Riassunto \"Incontro con la sociologia\" - Alessandro Cavalli PDF

Title Riassunto \"Incontro con la sociologia\" - Alessandro Cavalli
Author Elena Mazzilli
Course Sociologia ed Antropologia del Turismo
Institution Università di Pisa
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Riassunto “Incontro con la sociologia” - Cavalli Prefazione Vivendo insieme ad altri esseri umani, tutti noi possediamo una qualche competenza in materia sociale, in un certo senso tutti noi siamo sociologi. Si parla di “sociologia ingenua”. Questo sapere è affidabile, cioè possiamo fare affidamento su di esso per orientare il nostro comportamento, anche se spesso gli altri si comportano in modo tale da deludere le aspettative che abbiamo nei loro confronti. Non possiamo nutrire quindi delle certezze assolute, ma soltanto certezze ragionevoli che comunque ci sono sufficienti. Usiamo in continuazione la logica della probabilità. Questo sapere ha tuttavia dei limiti. In primo luogo è legato alla nostra esperienza, per cui quando ci troviamo in un una realtà differente dalla nostra non abbiamo aspettative affidabili e non sappiamo bene come comportarci. In secondo luogo, è legato alla posizione che noi occupiamo all’interno della società e in terzo luogo, dal fatto che la nostra esperienza sia inevitabilmente proiettata sul presente, mentre la società di cui ne siamo parte vive in una dimensione atemporale diversa dalla nostra. L’oggetto della sociologia e le altre scienze sociali Ma al di là di questo “sapere ingenuo” che cos’è la sociologia? È lo studio scientifico della società, ma tuttavia c’è un problema nella definizione della sociologia come scienza della società, poiché allo stesso tempo altre scienze sociali (economia, scienze politiche, antropologia culturale, psicologia sociale, storia, ecc.) si occupano di società. In che modo la sociologia si differenzia dalle altre scienze sociali? Le soluzioni sono tre: 1) la soluzione gerarchica 2) la soluzione residuale 3) la soluzione analitica o formale La prima risale ad Auguste Comte, che assegna alla sociologia una posizione privilegiata rispetto a tutte le altre scienze, poiché, essendo nata per ultima, si pone come obiettivo il completamento del sapere umano. Appare però poco discutibile stabilire un ordinamento gerarchico tra le scienze. Il sociologo Walter G. Runciman ha proposto quella che viene definita soluzione residuale, cioè l’assegnazione alla sociologia dello studio di tutti quei fenomeni che vengono trascurati dalle scienze sociali. Ma resta il fatto che la sociologia studia sostanzialmente lo stesso ambito di fenomeni che è oggetto anche delle altre scienze sociali. La soluzione analitica o formale risale a Georg Simmel, filosofo e sociologo tedesco, che pone al centro dell’analisi sociologica il concetto di interazione sociale. Formulare, quindi, una definizione rigorosa e accettabile di cosa sia la sociologia è complicato, poiché i confini della sociologia verso le altre discipline sono inevitabilmente sfumati. L’indeterminatezza dei confini, però, ha anche una funzione positiva: la sociologia e le altre scienze sociali hanno infatti tutte le caratteristiche per poter fare da ponte tra le due culture, quella umanistica e quella scientifica, che spesso non sono comunicanti tra loro e talvolta si contrappongono con disinteresse o, addirittura, disprezzo reciproco. Le origini della sociologia Auguste Comte è colui che per primo ha coniato il termine “sociologia”. Si comincia a parlare di sociologia nella cultura europea intorno alla metà del XIX secolo. Ma perché proprio in quel periodo nasce l’esigenza di una disciplina/scienza della società? La risposta a questa domanda fa riferimento a tre rivoluzioni che sono alla base del mondo moderno: 1) la rivoluzione scientifica 2) la rivoluzione industriale 3) la rivoluzione francese

Certo non si può dire che prima del XIX secolo la conoscenza dei fatti sociali non sia stata oggetto di attenzione da parte degli studiosi, non si può negare che le opere dei filosofi dell’Illuminismo (da Hobbes a Locke, ecc.) e di molti altri filosofi non contengano analisi e osservazioni sui comportamenti sociali. Tuttavia, verso la fine del XVIII secolo comincia ad affermarsi la fiducia nella possibilità di estendere allo studio dell’uomo, della società e della cultura gli stessi principi del metodo scientifico nello studio dei fenomeni naturali. Le scienze sociali, oltre ad essere prodotto della rivoluzione scientifica, sono prodotto della cosiddetta rivoluzione industriale. Tra le scienze sociali, la prima ad aver acquisito un valore autonomo dalla filosofia fu l’economia politica, che ebbe come primo esponente Adam Smith. Smith e gli altri economisti classici possono essere considerati, quindi, dei sociologi ante litteram: riflettono infatti sulle trasformazioni sociali che stavano avvenendo sotto i loro occhi nell’Inghilterra del XVIII secolo e cercano di interpretarle attraverso un modello che mette in relazione la società con il processo economico. La sociologia nasce infatti da un atteggiamento ambivalente nei confronti del tipo di società moderna che si stava delineando. Se da un lato la rivoluzione industriale veniva vista come una tappa decisiva del progresso, dall’altro era interpretata come dissolutrice dei legami sociali autentici (solidarietà, rispetto, fiducia). La terza rivoluzione che ha creato le condizioni/contesto favorevole alla nascita della sociologia è senza dubbio la rivoluzione francese. È quando si riconosce la fondamentale uguaglianza degli esseri umani che risulta evidente collocare il fondamento del vivere associato e la legittimazione delle gerarchie sociali. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 riveste un’importanza simbolica nella genesi del mondo moderno. Tuttavia, anche se il 1789 rappresenta una data di svolta nella storia delle società occidentali, è sbagliato pensare che dopo quella data il mondo sia cambiato così radicalmente da cancellare definitivamente le caratteristiche delle società precedenti. La sociologia risulta essere figlia del mutamento, la società diventa oggetto di studio quando i suoi fondamenti sono messi in discussione, quando i suoi ordinamenti non appaiono più stabili e quando i rapporti tra gruppi sociali e individui cambiano. I decenni a cavallo tra il XIX e il XX secolo sono decisivi per la nascita e l’affermazione della sociologia. È questo il periodo in cui si fondono le prime associazioni professionali dei sociologi, si pubblicano le prime riviste e si istituiscono le prime cattedre universitarie della nuova disciplina. I temi della sociologia classica: ordine e mutamento, conflitto e integrazione sociale Prima degli sconvolgimenti di natura rivoluzionaria, l’ordine sociale appariva assicurato dalla credenza in qualche entità trascendente dalla quale provenivano le leggi che governavano sia il mondo della natura sia il mondo umano, in una dimensione quindi essenzialmente religiosa. Una volta infranta questa credenza, il fondamento dell’ordine sociale doveva essere ricercato altrove, non al di fuori, ma all’interno della società stessa. Hobbes si era posto lo stesso problema e lo aveva risolto postulando l’esistenza di un’autorità superiore, lo Stato, che potesse controllare il comportamento degli uomini. Adam Smith aveva invece visto nel mercato, e nella cosiddetta “mano invisibile” che regola gli scambi, un elemento capace di tenere insieme individui e gruppi che perseguono interessi diversi. Stato e mercato, quindi, appaiono come due risposte dal problema dell’ordine sociale. Tuttavia, si tratta di due soluzioni non più sufficienti. I modelli organicistici della società sono una delle prime risposte al problema dell’ordine nell’ambito della sociologia. 1. Auguste Comte Comte è tra i primi a formulare un modello organicistico. Egli suddivide la sociologia in statica e dinamica, concependo la società come un organismo composto da altri organismi (famiglia, associazioni, istituzioni politiche, ecc.), ognuno dei quali svolge una funzione specifica che contribuisce al funzionamento del tutto. Non tutti gli organi, e le funzioni, però, si collocano sullo stesso piano. Le funzioni di controllo e coordinamento svolte dal potere politico risultano senza dubbio più importanti. Con ciò Comte si avvicina alla soluzione hobbesiana, ma si discosta poi quando assegna agli scienziati il compito di guidare la società. 2. Herbert Spencer Un modello organicistico della società di stampo più evoluzionistico è anche quello formulato da Spencer. Anche per Spencer, come per Comte, la società è concepita come un organismo le cui parti sono connesse

tra loro da una rete di relazioni di interdipendenza. L’equilibrio che si genera tra le varie parti, tuttavia, non è mai statico bensì dinamico, sottoposto cioè ad un continuo processo di evoluzione. Anche se Spencer non parla, come Darwin (le cui teorie influenzarono notevolmente il pensiero sociologico), di selezione naturale e di sopravvivenza del più adatto, è chiaro che per lui il processo di evoluzione è messo in moto dalla competizione tra le specie: le risposte adattive degli organismi sociali alle sfide poste dall’ambiente generano nuove funzioni, e quindi nuovi organismi, con la conseguenza di innestare processi di differenziazione e di divisione del lavoro. 3. Georg Simmel Con Spencer il problema dell’ordine sociale si declina nei termini della divisione del lavoro; da allora in poi questo è diventato uno dei temi centrali della teoria sociologica. Simmel, ad esempio, scrive richiamandosi ampiamente a Spencer. Secondo Simmel, la divisione del lavoro produce differenziazione sociale, cioè fa si che gli esseri umani diventino sempre più diversi l’uno dall’altro, ma è proprio in virtù di questa diversità che devono sempre più fare affidamento sugli altri per soddisfare le proprie esigenze e stabilire rapporti di interazione reciproca. La diversità, in altre parole, si estende e approfondisce le relazioni di interdipendenza. 4. Émile Durkheim Anche per Durkheim il problema dell’ordine è centrale della sociologia, ma va oltre la lezione di Comte, individuando un nesso profondo tra forme della divisione del lavoro e forme della solidarietà sociale. Per Durkheim esistono due diverse forme di solidarietà: quella che si genera tra uguali e quella che si genera tra diversi (il matrimonio è l’esempio tipico). La prima è caratteristica delle società che Durkheim chiama “segmentarie”: in esse la divisione del lavoro è scarsa e le unità che le compongono sono poco differenziate tra loro (ogni unità è un segmento della stessa retta e la retta, cioè la società, è composta dalla somma dei vari segmenti). Ciò che le tiene insieme è un vincolo di solidarietà fondato sulla credenza in una comune origine o identità. Nelle società segmentarie prevalgono poi le norme del diritto penale a sanzione repressiva, poiché chi viola la norma infrange il vincolo sacrale che tiene unità la società e quindi deve essere punito in modo esemplare. Durkheim chiama “meccanica” questa forma di solidarietà. Diversamente, nelle società moderne, dove prevale la divisione del lavoro, il vincolo di solidarietà è di natura interna, fondato cioè sui nessi di interdipendenza tra le varie funzioni e professioni svolte da individui e gruppi sociali. Le norme giuridiche prevalenti, in questo caso, sono quelle del diritto civile e le sanzioni sono di tipo restitutivo, tendono cioè non tanto a punire il colpevole della violazione quanto a ristabilire le condizioni di equilibrio turbate dalla violazione stessa. A differenza della precedente, questa forma di solidarietà è chiama “organica”. 5. Ferdinand Tönnies Mentre per Durkheim, come per Comte e Spencer, il mutamento è sostanzialmente progressivo, Tönnes guarda all’avvento della modernità con un misto di apprensione e di nostalgia per il passato. Così come per Hobbes, anche per Tönnes l’uomo è dominato dalla volontà di sopraffazione che soltanto nella vita sociale trova limite e temperamento. Questo avviene, tuttavia, in forme storicamente diverse che danno il titolo alla sua opera più famosa “Comunità e società” (1887). Per Tönnes i termini “organico” e “meccanico” hanno un significato opposto a quello loro attribuito da Durkheim. Organica è la comunità all’interno della quale i rapporti sono improntati a intimità, riconoscenza, condivisione di linguaggi, abitudini, spazi, ricordi e esperienze comuni. Nella comunità si esprime quella che Tönnes chiama “volontà essenziale”. Nulla di tutto questo avviene all’interno della società. Nella società gli individui vivono isolati, in uno stato di tensione con gli altri, e ogni tentativo di entrare nella loro sfera privata viene percepito come un atto di intrusione. Il rapporto societario tipico è il rapporto di scambio, in cui i contraenti non sono mai disposti a dare qualcosa in più di quello che ricevono. La società è quindi una costruzione artificiale e convenzionale, composta da individui separati, ognuno dei quali persegue il proprio interesse personale. Nella società domina quella che Tönnes chiama la “volontà arbitraria”. In Durkheim e Tönnes, tuttavia, manca una vera e propria teoria del mutamento.

6. Karl Marx Marx è stato senz’altro un precursore della sociologia, e la sua influenza sul pensiero sociologico è stata notevole. Ci interessa in modo particolare il suo contributo all’idea di conflitto e mutamento sociale. Per Marx in ogni società i rapporti fondamentali sono quelli che si instaurano nella sfera della produzione e distribuzione dei beni e servizi che servono alla società stessa per funzionare e riprodursi. I rapporti che creano sono intrinsecamente conflittuali in quanto gli interessi delle varie classi sociali sono in conflitto tra loro. Il conflitto di classe è, quindi, per Marx, il grande motore del mutamento sociale. 7. Max Weber A differenza di Marx, per Weber il conflitto non si riduce alla lotta di classe. Le classi non sono l’unica struttura attorno alla quale si organizzano gli interessi in conflitto. Esse nascono dalla contrapposizione di interessi economici che si scontrano laddove si formano dei mercati. Determinante per stabilire l’esito del conflitto è, quindi, il potere di mercato. La sfera economica non è l’unica nella quale si manifesta il conflitto. Accanto ad essa si collocano le sfere della politica, del diritto, della religione, dell’onore e del prestigio. Non c’è in Weber, come in Marx, un esito finale dove i conflitti si placano e regna l’armonia. Il conflitto genera sia ordine sia mutamento. L’ordine è l’assetto delle istituzioni che regolano il conflitto, il mutamento trasforma le istituzioni esistenti o da vita a nuove istituzioni. 8. Vilfredo Pareto Anche Pareto sviluppa una concezione sostanzialmente conflittuale della società. Egli scrive che “la storia è un cimitero di aristocrazie”, è cioè la lotta tra élite di governo ed élite che cerano di usurpare il potere delle prime e sostituirsi a esse. In questa lotta incessante le élite sono animate da istinti di dominio e sopraffazione. Tuttavia, dice Pareto, non bisogna lasciarsi ingannare dai valori e dagli ideali che le parti dichiarano di perseguire; dietro queste dichiarazioni si nasconde la volontà di velare la realtà sottostante agli occhi degli attori coinvolti. La sociologia assume quindi la funzione critica si svelare la realtà nascosta dalle apparenze. Due paradigmi di analisi: struttura e azione I sostenitori del paradigma della struttura ritengono che per spiegare i comportamenti umani occorre partire dalla società. Ogni uomo (o donna) nasce in un mondo sociale preformato, cresce in un determinato ambiente, assume i valori, le credenze, i modi di pensare e le abitudini che vigono nella società in cui è nato e nell’ambiente specifico in cui vive, si trova a frequentare scuole adeguate alla sua condizione, entrerà in un ruolo lavorativo dove si aspettano da lui determinate prestazioni, costruirà una famiglia secondo i canoni prescritti, svilupperà preferenze, stili di vita, ma anche idee politiche, che saranno fortemente condizionate dalla sua esperienza. L’intera sua esistenza seguirà un percorso largamente prevedibile, non potrà fare altro che battere strade già tracciate. Ciò non vuol dire che l’individuo non sia libero di compiere delle scelte, ma la sua libertà rimane tuttavia limitata dalla struttura sociale. Marx e Durkheim elaborano un pensiero chiaramente classificabile nell’ambito del paradigma della struttura. Quando Marx analizza i rapporti tra le classi e parla di sfruttamento tra capitalisti e lavoratori salariati, è chiaro come la posizione che questi occupano nella struttura sociale impone loro, da un lato, di fare tutto il possibile per accrescere i profitti, dall’altro, di vendere la forza lavoro a un prezzo che garantisce loro appena la sopravvivenza. Anche Durkheim ritiene che la società venga prima degli individui, che i “fatti sociali” possano essere spiegati solo da altri fatti sociali e che non si possa partire dal comportamento degli individui, dalle loro motivazioni e dalla loro personalità, per arrivare alla società. Nel suo studio sul suicidio, Durkheim spiega come in certe condizioni sociali, che riducono il livello di integrazione di un individuo nelle reti di rapporti sociali, aumenti la probabilità che egli giunga alla decisione di togliersi la vita. Anche la teoria dei ruoli spiega il comportamento degli individui in base alla posizione (status) che occupano nel sistema sociale. I ruoli determinano le aspettative, vale a dire l’insieme dei diritti e doveri, nei confronti di chi occupa una determinata posizione sociale. In altri termini, si può dire che è la società che spiega i comportamenti degli individui e non viceversa. Non sono tanto gli individui che scelgono la posizione sociale che occupano e i

ruoli che svolgono, ma è piuttosto la struttura sociale che seleziona e forma gli individui adatti a ricoprire quei ruoli e occupare quelle posizioni. Per questa ragione, il paradigma della struttura ha a che vedere con una concezione olistica del sociale in quanto concepisce gli individui come veicoli attraverso i quali la società si esprime. Max Weber, al quale è attribuito il merito di aver posto i fondamenti del paradigma dell’azione, sostiene che, per spiegare i fenomeni sociali, sia necessario ricondurli ad atteggiamenti, credenze e comportamenti individuali, e di questi si deve cogliere il significato che rivestono per l’attore. I principi del paradigma dell’azione sono quindi due: a) i fenomeni macroscopici devono essere ricondotti alle loro cause microscopiche (le azioni individuali) b) per spiegare le azioni individuali è necessario tenere conto dei motivi degli attori. Se per il paradigma della struttura si parlava di olismo, in riferimento al paradigma dell’azione si parla di individualismo metodologico. Il termine “individualismo” non deve tratte, però, in inganno. A esso non è attribuito alcun significato valutativo o morale, positivo o negativo, ma soltanto un significato logico: indica che non si possono imputare azioni a entità astratte o ad attori collettivi di cui si ipostatizza l’unità. Il secondo principio indica che per spiegare un’azione si deve tenere conto dei motivi dell’azione (Weber usa l’espressione “senso intenzionato”), vale a dire che bisogna mettere in atto un processo di comprensione. È evidente che alla base di questo approccio vi è una sorta di antropologia filosofica, cioè una concezione dell’uomo come un essere dotato della capacità di compiere delle scelte e di dare un senso alle sue azioni. Ciò non vuol dire che l’individuo non sia vincolato dalle sue scelte: si muove sempre in situazioni che comportano vincoli e condizionamenti, ma non si riduce mai a essere un burattino mosso da forze esterne che non è in grado di controllare; egli fa delle scelte che possono avere più o meno successo, ma che comunque danno un senso alla sua azione. Può capitare, però, di osservare azioni che ci appaiono come prive di senso. Prima di tutto è necessario chiedersi se sono prive di senso per noi che le osserviamo, oppure anche per chi le compie. Inoltre, gli attori non sempre sono consapevoli del senso delle loro azioni, oppure il senso che imputano alle loro azioni è diverso da quello che appare a un osservatore esterno. Ma si può dire che i paradigmi della struttura e dell’azione siano tra loro compatibili? Il paradigma della struttura vede nella società prevalentemente l’elemento della costrizione e gli individui, volenti o nolenti, devono adattarsi alle circostanze che vengono loro imposte. Le metafore più utilizzate in proposito sono quelle del teatro dei pupi, dove le marionette sono mosse da chi tien...


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