Riassunto Le dimensioni dell\'intervento sociale ( Ferrario) PDF

Title Riassunto Le dimensioni dell\'intervento sociale ( Ferrario)
Course Politiche sociali e della famiglia
Institution Università degli Studi di Verona
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Le dimensioni dell’intervento sociale Un modello unitario centrato sul compito (Franca Ferrario) Capitolo 1 Il metodo nel servizio sociale: un processo continuo di costruzione e ricerca Par. Professioni e assetto metodologico Ogni professione sviluppa un’attenzione metodologica a fronte della realtà. Quindi la padronanza di un metodo è fondamentale per la professione. Dal punto di vista etimologico, metodo significa “procedere razionale per raggiungere determinati obiettivi”. Si riferisce ad un operare che presuppone:  L’assunzione di criteri di riferimento valoriale e di conoscenze scientifiche, come fondamento del fare.  La divisione di scelte che costituiscono delle mete da raggiungere.  La concatenazione logica di operazioni e la predisposizione di idonei strumenti.  La riflessione sulle esperienze condotte. Quindi la costellazione del metodo nel servizio sociale è un processo circolare tra valori e principi, teorie delle scienze sociali, e scelte/mete, sequenze operative, strumenti per garantire una riflessione sulla realtà. Quindi il metodo unisce all’aspetto normativo, una componente di scoperta e di potenziale rinnovamento. Le esperienze svolte infatti, devono essere rielaborate all’interno di un processo riflessivovalutativo. Diverse istanze sono sottese all’attenzione metodologica:  L’una di efficacia (volta a produrre risultati e a garantire esiti dell’azione sia rispetto ai destinatari dell’intervento che alla società in genere).  L’altra di differenziazione e di riconoscimento della professione. La padronanza di un metodo, costituisce un supporto per il professionista in quanto ne delinea l’azione e rappresenta uno strumento complesso di autocontrollo, che gli consente di essere consapevole di ciò che sta facendo. Le trasformazioni di ricerca metodologica mettono in luce alcuni fenomeni all’interno della professione: 1. Si intrecciano elementi di stabilità e fattori di innovazione che costituiscono componenti in continua evoluzione (ogni professione definisce una propria ossatura, mentre il modo di configurare la realtà, i bersagli di azione e gli strumenti, possono modificarsi sia con lo sviluppo delle conoscenze scientifiche, sia in base agli esiti della sperimentazione di nuove pratiche). 1

2. Rispetto al moltiplicarsi degli orientamenti metodologici, vengono storicamente definiti dei confini (es. sono tollerate delle variazioni più o meno contenute ed escluse proposte che sono vissute come improprie e minaccianti per l’identità professionale).

Par. Parlare di metodo nel servizio sociale. Alcune riflessioni Nel nostro paese la professione di assistente sociale ha manifestato e manifesta ancora molte incertezze, relativamente allo sviluppo di un pensiero metodologico a causa della mancanza di processi di ricerca di regole operative esplicite, collocazione istituzionale e riconoscimento, relativa separazione tra riflessione e pratica del servizio sociale. 1 Il metodo si rinnova attraverso la rielaborazione delle esperienze e costituisce un vero e proprio processo di ricerca e costruzione. La riflessione e la ricerca (che comportano un ritornare con il pensiero sul lavoro per analizzare gli esiti e rivedere quindi il processo operativo) risultano di difficile e contrastata realizzazione. Inoltre non si sono realizzate appieno delle strutture formative/professionali che favorissero lo sviluppo di abitudini di rielaborazione delle prassi. Inoltre sono limitate le esperienze di gruppi di riflessione tra gli assistenti sociali. 2 La professione non ha validamente espresso proprie regole operative forti che possono riguardare: il campo, i modi, i tempi, i luoghi di intervento, le condizioni e i limiti per operare, la sequenza dell’azione in vista del raggiungimento dell’obiettivo, l’atteggiamento dell’operatore. Si pensi che ancora oggi raramente si definiscono protocolli professionali. Inoltre scarsa attenzione viene posta al setting d’intervento. La professione si è ispirata ed ancora molto si ispira alla disponibilità. La disponibilità tende a negare i limiti, ma dove si accoglie senza limiti, ci si può contenere e irrigidire burocraticamente nella relazione, mentre quando si definisce e regola l’esercizio si crea un’autentica disponibilità. 3 La riscontrata e frequente subalternità della professione costituisce un altro aspetto su cui riflettere. L’assistente sociale è collocato all’interno di contesti organizzativi spesso alle dipendenze di amministrativi ignari e disattenti alla natura della professione. Inoltre la dipendenza istituzionale rispetto altre professioni fa percepire la mancanza o sostanziale fragilità di propri luoghi di riferimento. 4 La distanza effettiva tra realtà e teoria del servizio sociale hanno sostenuto una rilevante dicotomia tra l’elaborazione del servizio sociale e la prassi (gli attori della riflessione metodologica ad es. non hanno sempre praticato la professione o se ne sono allontanati precocemente). 2

Par. Dalla storia della professione L’origine della professione è connessa ad una forte matrice volontaristica. 1 L’apparato metodologico che le scuole proseguono è nel contempo fattore di differenziazione/identificazione rispetto all’impegno volontario da cui la professione è sostanzialmente generata. 2 Le metodologie diffuse in Italia negli anni ’50 provengono da cultura anglosassone. Il necessario processo di appropriazione è risultato difficoltoso per debolezze istituzionali e fragilità scientifiche. 3 Possiamo notare nel processo storico l’alternarsi di fasi. Dalla fase ideologica del dopoguerra si passa ad una fase metodologica in cui si sviluppano le scuole, per poi passare ad una fase ideologica di elevata politicizzazione, caratterizzata da profonda crisi del ruolo professionale (fine anni ’60). Dopo questo periodo si ritorna ad una fase di riprofessionalizzazione nella metà degli anni ’80 e ad una progressiva riapertura verso le esperienze internazionali. Questa successione di fasi dà luogo ad un processo di rotture e non sviluppo. Si pensi ad es. che il lavoro di comunità realizzato alla fine degli anni ’50 è per lo più ignorato dagli assistenti sociali di oggi; le modalità di documentazione degli assistenti sociali si sono perse nel tempo; e lo stesso concetto di intervento in dimensione collettiva non costituisce una novità dei nostri giorni. 4 Le idee ed i valori che il servizio sociale ha promosso, la fiducia nella persona, il rispetto, l’accettazione delle differenze e la partecipazione del soggetto all’azione di aiuto, sono stati in anticipo rispetto ai tempi rivoluzionari nella concezione dell’uomo. La maturazione di atteggiamenti di valori e principi ha prevalso sull’acquisizione di abilità e non ha giovato allo sviluppo di un pensiero professionale. 5 Può non essere stato indifferente il dilemma che ha toccato la prima generazione di assistenti sociali circa l’identità di “arte o scienza” del servizio sociale e la propensione a considerarlo frutto di fantasia. 6 Lo stato del metodo e delle conoscenze nel servizio sociale i Italia è andato diversificandosi rispetto ad una serie di fattori:  Durante la storia della professione: si pensi all’alternanza delle fasi.  All’interno delle sedi formative: vi è stata un’alternanza di fasi metodologiche.  Nei servizi: l’approccio metodologico sembra assumere toni di relatività in rapporto alla tipologia di servizio dell’utenza.

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Par. I modelli nel servizio sociale Durante gli anni ’70 si diffondono in diversi Paesi dei modelli differenti per l’azione sociale, per il lavoro di gruppo ed il lavoro di comunità. Il modello costituisce uno schema di riferimento. La formulazione di modelli teorici per la pratica del servizio sociale è una operazione complessa, che riguarda diverse variabili:  I valori e i principi.  Fondamenti teorici, spesso plurimi per il servizio sociale.  La teorizzazione della prassi. Il lavoro sociale nasce con connotazioni anglosassoni (Charity organisation Societies) assumendo connotati diagnostici-terapeutici. Successivamente vengono introdotti approcci “classici” d’orientamento psico-sociale, funzionale e di problem solving. L’orientamento psico-sociale adatta in chiave clinica lo schema psico-dinamico alla relazione di aiuto. L’orientamento funzionale evidenzia concetti quali la funzione dell’ente ed il ruolo dell’assistente sociale, la volontà di cambiamento della persona e l’uso del tempo nel processo di aiuto. L’orientamento del problem-solving è centrato sull’apprendimento di competenze risolutive rispetto ad un problema. L’attenzione ai modelli di servizio sociale si colloca in Italia nel periodo degli anni ‘80-‘90, periodo di riattivazione della riflessine metodologica e di rilancio della professione. Inoltre in Italia tendono a diffondersi approcci di natura olistica che pur considerando la dimensione territoriale, valorizzano il lavoro sul caso e la circolarità tra diversi aspetti dell’azione professionale: è in questa direzione che si sono diffusi i modelli sistemici, modelli di rete, l’approccio unitario centrato sul compito.

Capitolo 2 Un modello unitario centrato sul compito Par. Dagli anni ’60 ad oggi: premesse storiche Dagli anni ’60 si è verificato un crescente interesse verso il “modello unitario centrato sul compito”. Nella metà degli anni ’60 viene rivolta una prima critica ai cinque “metodi” a fronte della realtà. L’osservanza della realtà operativa e la riflessione sul significato della professione nel nostro paese, si intrecciano alla “rilevazione della centralità della persona”. -L’assistente sociale si caratterizza come operatore che interviene in molteplici direzioni (individuali e collettivi). 4

-Vi è una costante attenzione alla persona, tenendo conto delle svariate dimensioni operative. -Viene inoltre evidenziato che l’aiuto si sviluppa in fasi. Matura quindi un orientamento professionale volto all’interrelazione tra azioni. Tuttavia lo sviluppo del modello unitario centrato sul compito riprende vigore negli anni ’80. Fattori basilari di tale riflessione sono: il contenitore istituzionale e il ruolo svolto dagli assistenti sociali da una parte e dall’altra l’attenzione al cittadino quale interlocutore potenziale del servizio e dalla considerazione del rapporto inscindibile esistente tra persone ed ambienti. Tali fattori vengono integrati dalle teorie sistemiche. L’approccio unitario viene a costituire un modo di concepire la realtà come fattore di elevata interdipendenza con il lavoro sociale.

Par. Approccio unitario: un inquadramento generale Con lo sviluppo dei servizi pubblici territoriali ed il capillare inserimento degli assistenti sociali si sviluppa un approccio metodologico integrato. -La distribuzione dei servizi visibilizza il territorio, come ambito di mondi vitali, risorse, bisogni e soggetti operativi e lascia intravedere prospettive di intervento, prevenzione e cura. -La dimensione collettiva viene particolarmente accentuata (sia per i cittadini che per i servizi). La concezione dell’azione professionale all’interno di un’area territoriale in cui sono presenti diversi attori, comparta infatti la considerazione della parzialità e specificità del proprio ruolo, che viene interpretato in funzione del territorio. -Inoltre l’approccio unitario affronta l’ampiezza del campo di azione con la formulazione di un progetto globale di intervento rispetto al territorio di competenza, che limita il campo stesso attraverso la definizione di obiettivi prioritari, in base ai quali prevede azioni verso diverse dimensioni (territorio, organizzazione, servizi). -Viene inoltre ribadito il riconoscimento della soggettività nei confronti della persona, mediante l’assunzione da parte dell’assistente sociale di un’ottica bifocale (cioè la persona è considerata inscindibile dall’ambiente) e di interventi multipolari (cioè lavora in direzione della persona, della realtà situazionale nel servizio di appartenenza o altri e nel territorio). -L’intervento professionale quindi assume tre dimensioni (territorio, servizi ed organizzazione) contemporaneamente. -L’intervento inoltre può attivare circolarità ovvero da un’azione all’altra crescono saperi e competenze a disposizione dell’operatore, che si riflettono sul pensare e sul fare e ne influenzano l’intervento successivo. 5

Non si tratta di processi di crescita e influenzamento, bensì di trasferimenti di saperi dal caso individuale al territorio, all’organizzazione e viceversa. Il collegamento tra interventi ha un effetto moltiplicatore dovuto alle sinergie che si vengono a creare, i problemi vengono unicamente visti non solo in relazione alle persone, ma in una dimensione sociale ed i saperi vengono rielaborati in relazione al territorio. Si diffondono strategie di compito e di rete. 1. La strategia di compito è considerata prioritaria (essa si traduce nell’adesione al piano della realtà e supporta l’assistente sociale nella definizione del proprio progetto e nell’articolazione del lavoro professionale). 2. Le strategie di rete sono utilizzate per costruire e produrre sinergie tra operatori e risorse, in particolare nell’attività che l’assistente sociale svolge in modo partecipato, nei progetti integrati, e nel lavoro di territorio con i soggetti collettivi e nella presa in carico di persone dipendenti. (L’uso è proficuo per riconoscere ed attivare il contesto di vita intorno all’utente ed è coerente con il riconoscimento delle autonomie e delle culture).

Par. Visione dell’uomo e riflessione sull’esperienza La visione umanistica, che ispira il servizio sociale, costituisce un fondamentale orientamento della pratica professionale. Già negli anni ’50 gli assistenti sociali vengono formati sulla base di principi quali: individualizzazione ed accettazione della persona come unica ed irripetibile, fiducia nelle capacità e potenzialità, rispetto, autodeterminazione, segreto professionale, principio di trasparenza, diritto all’accesso alla documentazione. Questi principi vengono definiti come elementi ispiratori e connotativi delle relazioni. Un’altra matrice di impostazione metodologica è costituita dall’elaborazione delle esperienze e dalla riflessione sia dei successi che degli insuccessi e dei fallimenti.

Par. Il ruolo dell’assistente sociale e i campi di appartenenza L’assistente sociale svolge un ruolo di mediazione tra bisogni e domanda sociale da un lato e risorse disponibili o attivabili dall’altro. Tale funzione mediativa comporta trasformazioni e cambiamenti su due piani. La domanda viene elaborata e confrontata con le aspettative realistiche all’interno del sistema organizzativo, mentre le risorse vengono modulate e rese compatibili con i bisogni, cui possono rispondere, collegate tra di loro. Il ruolo di questo operatore si sviluppa in rapporto:  All’assetto normativo (nazionale o regionale).  Il servizio nelle sue connotazioni.  La cittadinanza intesa come soggetto collettivo. 6

 I principi del servizio sociale. Ne consegue che il cittadino è titolare di diritti e doveri, portatori di bisogni e risorse, è coinvolto nei bisogni ed è al contempo co-risolutore. Infatti il lavoro sociale professionale, valorizza le risorse sia personali che collettive. L’assistente sociale quindi, non solo dispone di risorse di servizio, ma deve saperle individuare e riconoscere in diverse sedi, considerando le opportunità che possono essere attivate. Quindi l’assistente sociale, da un lato riceve impulsi dall’esterno e ne è condizionato, dall’altro prende iniziative ed influisce sul contesto ambientale: si viene quindi a definire un quadro di azione multipolare in cui l’operatore si muove verso soggetti singoli, risorse del territorio e dei servizi e nei confronti dell’organizzazione.

Par. Esame di realtà e azione progettuale Sott. Par. Onnipotenza e ampiezza di campo Il campo ampio di intervento che consiste nella tendenza a lavorare su problematiche differenti ed intrecciate, rende assai complessa la formazione di progetti realistici. Inoltre l’abitudine a definire le funzione dell’assistente sociale in termini generici, comporta un’elevata difficoltà di autorappresentazione e negoziazione delle responsabilità. Tuttavia per definire un campo ampio senza perdersi in prospettive di onnipotenza è necessario collocarsi nell’organizzazione in cui si opera per formulare poi un progetto di intervento complessivo, rivolto all’area di competenza.

Sott. Par. L’esame di realtà Il lavoro sociale “sta dentro” il servizio, l’équipe e il territorio. “Stare dentro” significa essere consapevole delle dimensioni, dei limiti e degli strumenti ad un tempo. L’esame della realtà consiste in un’operazione che ha per oggetto l’analisi dei contesti in cui si gioca un ruolo professionale. Tali contesti vengono analizzati per:    

Coglierne le caratteristiche più significative. Interrogarsi rispetto alla domanda. Considerare i fattori di fischio. Registrare le opportunità e le risorse oltre che i vincoli.

Solo una volta conosciuta la situazione, l’assistente sociale è in grado di valutare e formulare un progetto. 7

Sott. Par. Il Progetto Il progetto contiene gli aspetti, le potenzialità, i problemi che lo connotano. L’azione del progettare traduce infatti l’anticipazione del pensiero rispetto all’azione. Vengono definiti gli obiettivi valutando i vincoli e vengono declinati in risultati-esiti, usando gli strumenti professionali, le opportunità e le risorse. Il progetto definisce un assetto organizzativo dell’intervento professionale; prevede procedure, strumenti, spazi e tempi di realizzazione. Comprende diverse attività in relazione ai destinatari da realizzare. Il progetto si traduce in compiti operativi sostenibili nella realtà. L’azione progettuale richiede di contenere sentimenti e aspettative, imparando a differenziare tra progetto ed agito. La definizione dei compiti tiene conto:  Dei soggetti, problemi e campi di cui l’assistente sociale si occupa (chi, cosa).  Modalità di presa in carico (come).  Risorse utilizzabili (con quali risorse). Questi elementi si riferiscono, non solo al campo del servizio, ma anche al contesto del territorio. Se i collegamenti con il territorio vengono sottovalutati, si rischia che l’intervento tenda a fondarsi su prestazioni tradizionali rigide. I criteri ispiratori di un progetto sono: 1. La parzialità o l’accentuazione: viene definito un campo problematico o ambito su cui si rafforza l’intervento. 2. L’auspicabilità: le azioni previste sono di riconosciuta opportunità. 3. La fattibilità/praticabilità: le azioni previste sono realizzabili, cioè sono disponibili mezzi. 4. La gradualità: vi è una progressione nelle definizioni del progetto, che tiene conto dello stato delle cose e delle componenti in gioco. 5. L’integrazione e la cumulazione di saperi: emergenti dai diversi campi d’intervento. Oltre alle competenze di natura programmatoria, il progetto richiede capacità negoziali per avanzarne la proposta ai diversi attori. Il progetto oltre ad essere coerente con gli obiettivi, ha lo scopo di attivare le relazioni.

Sott. Par. Progetto: flessibilità e incertezza Progettare non significa immaginare, ma conoscere i costi delle azioni, contestualizzarle valutandone gli esiti per operare investimenti fruttuosi. Progettare quindi, significa cogliere elementi di flessibilità nel contesto, senza ricercare livelli troppo alti di certezza. Il progetto 8

racchiude in se dinamicità quindi, il professionista deve tenere conto di elementi di incertezza.

Par. Strategie di compito, strategie di rete Lo sviluppo di circolarità tra i diversi campi si concretizza nelle strategie di campo e strategie di rete. Essere centrati sul compito significa porre l’attenzione su campi di praticabilità, ovvero considerare ed elaborare domande e desideri, per tradurle in interventi utili e fattibili, che possano creare trasformazioni concrete e limitate. Per limite si intende muoversi dentro confini e garantire concretezza delle azioni senza sviluppare atteggiamenti onnipotenti.

UN SISTEMA DI REGOLE Vi sono regole costitutive che si rifanno alla tridimensionalità dell’azione e regole regolative che indirizzano l’esercizio e sono connessi ad aspetti metodologici. Le regole caratterizzano la natura e i modi di svolgere una professione. L...


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