Riassunto LE ORIGINI DEL TEATRO MODERNO. DA JARRY A BRECHT (Perrelli) PDF

Title Riassunto LE ORIGINI DEL TEATRO MODERNO. DA JARRY A BRECHT (Perrelli)
Author Martina Ricchetti
Course Storia del teatro e dello spettacolo
Institution Università degli Studi di Genova
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Riassunto LE ORIGINI DEL TEATRO MODERNO. DA JARRY A BRECHT (Perrelli)...


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LE ORIGINI DEL TEATRO MODERNO. DA JARRY A BRECHT CON CYRANO E UBU, VERSO IL XX SECOLO 1896-1900

INVASIONE DA NORD EST Alla fine del XIX secolo, Parigi continuava a essere la capitale mondiale del teatro. Nel 1897 andò in scena Cyrano De Bergerac di Edmond Rostand, un giovane autore marsigliese. L’attore e capocomico era Coquelin che contribuì all’enorme successo dello spettacolo, caratterizzato da una messinscena notevole, con scenografie e costumi all’altezza della qualità del testo. Cyrano sollecitò un entusiasmo travolgente e oltre quattrocento repliche. Il sistema teatrale parigino era stato a lungo autosufficiente e per niente propenso ad aprirsi all’importazione di copioni stranieri. Il nazionalismo si affacciava anche sugli spalti della critica teatrale. Dunque per la critica francese esistevano dei nemici, costituiti dai teatrini sperimentali naturalisti e simbolisti che avevano aperto le porte di Parigi ai drammaturgi dell’est e soprattutto del nord Europa, avviando una contrastata moda culturale. Ibsen e Strindberg erano stati addirittura definiti barbari, che minacciavano di rivoluzionare le sane tradizioni francesi. Il fenomeno della loro penetrazione fra le élites culturali francesi non fu trionfale, almeno nell’immediato. Avevano trovato una cassa di risonanza nel Theatre Libre di Antoine e nel Theatre de l’Oeuvre di Lugné-Poe. NASCE IL LABORATORIO TEATRALE Antoine era stato il primo a smuovere il repertorio nazionale, contestando l’autoreferenzialità del teatro parigino e aveva avviato il movimento delle cosiddette scene libere, che si sarebbe poi sviluppato in tutta Europa. Lo fece portando in scena La potenza delle tenebre di Tolstoj, che portò per la prima volta sulla scena francese costumi e scenografie tipici degli usi quotidiani della Russia e quindi un autore veniva presentato senza intermediazioni, cioè per quel che era. E poi ancora con Spettri e Anitra selvatica di Ibsen, si erano evidenziati tutti i limiti della critica parigina, ferma al livello intellettuale dei vaudeville. Fu messa in scena anche La Signorina Julie di Strindberg che provocò molte proteste. Con le sue scene libere Antoine si era aperto alle opere di tutte le scuole letterarie. L’azione di Antoine si riassume nei seguenti punti: - Apertura al repertorio dei giovani drammaturghi; - Emancipazione del pubblico da rappresentazioni sempre uguali; - Sostituzione del dominio dei primi o grandi attori con un’idea di compagnia di amateurs; - Reazione contro le esagerazioni della dizione a favore di uno stile più piano e verosimile; - Rifiuto dei fondali senza profondità e della scenografia che dipinge ogni cosa. Il progetto riformatore di Antoine si presentò come un programma radicale, organico e maturo nelle categorie di un teatro che si configurava come primo laboratorio di ricerca teatrale della storia, un laboratorio d’essai. Antoine proclamava l’approccio naturalistico, scientifico e sperimentale alla creazione scenica. I simbolisti si opponevano al materialismo dei naturalisti e sostenevano che il naturalismo, in quanto messa in scena di fatti particolari, documenti minimi e accidentali, era il contrario assoluto del teatro. La caratteristica innovazione simbolista fu l’apertura alla collaborazione dei pittori nella messinscena, escludendo così gli scenografi-decoratori di professione. Questa preferenza avviò un impulso di rinnovamento scenico, considerando anche il periodo roseo della pittura in quel momento storico. C’erano così precise differenze tra naturalismo e simbolismo e tuttavia un convergente lavoro su confini comuni che li avvicinò. Antoine intendeva portare avanti l’unione del reale e del simbolo, ovvero un simbolismo che non rinnegava il contributo del realismo. Anche Lugné-Poe e il Theatre de l’Oeuvre furono trascinati, dallo stesso Ibsen, a un maggiore rispetto del realismo. TRAMONTO DELLE SCENE LIBERE John Gabriel Borkman è la penultima opera di Ibsen prima della morte, e l’ultimo vero successo del teatro nordico in Francia, visto che successivamente l’attenzione per questi autori incominciò a declinare. Intanto il Theatre de l’Oeuvre aveva virato verso un’altra direzione e Lugné-Poe si gloriava di non dipendere più da nessuna scuola ponendosi in rottura con le teorie simboliste che accusava di essere drammaturgicamente sterili. Negli anni successivi i due teatri chiusero, sia per motivi economici che per motivi storici: avevano fatto il loro tempo. Per Antoine si sarebbe dischiusa comunque una lunga e importante carriera teatrale, mentre Lugné-Poe avrebbe accompagnato o sostenuto diversi innovatori

della scena del Novecento, ma la fase più dirompente del lavoro dei due si concludeva effettivamente in questi anni. D’ANNUNZIO A PARIGI – CITTA’ MORTA Va considerato in questi anni anche l’impegno di Gabriele D’Annunzio che voleva delineare una nuova forma di teatro popolare e rituale, essenzialmente classico. D’Annunzio avrebbe sviluppato le sue idee di riforma nel romanzo teatrale Il fuoco, nel quale afferma che il dramma non può essere se non un rito o un messaggio. D’Annunzio punta alla restaurazione di un teatro fondato sul verbo poetico, ma anche sul ritmo e una presenza mitica dell’attore, cerca di connettersi alle forme contemporanee di teatro-rituale che si manifestavano in tutta Europa. In concreto, il primo rilevante tentativo dannunziano di conquistare Parigi e l’Europa con un teatro di poesia si può considerare la messinscena della Città morta. D’Annunzio fu festeggiato e la rappresentazione può ritenersi un relativo successo che si rinnovò alla replica, ma la critica parigina non si faceva facilmente sedurre e non fu convinta dalla sonore letterarietà di questo testo. VERSO DAMASCO Due eventi capitali nella storia del teatro moderno sono il dramma di Strindberg Verso Damasco e lo spettacolo di Jarry Ubu roi, la quale importanza sarà riconosciuta solo nel tempo. Entrambi furono influenzati nella scrittura di queste opere dalla rappresentazione del Peer Gynt di Ibsen all’Oeuvre del 1896, un poema drammatico nel quale l’autore adotta, su una base favolistica, una struttura itinerante per tracciare il percorso di esperienza del protagonista, attanagliato dal problema dell’identità. Strindberg scrive la prima parte di Verso Damasco dopo una sofferta crisi personale e creativa di almeno quattro anni. Il dramma dissolve e metamorfizza il reale, me sempre su una base di riferimenti, fatti e persone, che possono essere identificati in concreto nell’esperienza dell’autore. IL DIO SELVAGGIO Un mese dopo Peer Gynt all’Oeuvre andava in scena l’Ubu roi di Jarry. Il personaggio di Ubu aveva origini in uno scherzo per marionette di alcuni liceali ai danni di uno strambo professore. Fin dal principio, Jarry prospetta a Lugné-Poe una formula di spettacolo comico elementarmente semplificato: si parla di maschere e di teste di cavallo di cartone per realizzare le scene equestri, di un fondale unico e di un solo soldato a rappresentare un esercito. Gli abiti saranno sporchi, in modo che il dramma appaia più miserabile, manichini di vimini rappresenteranno i nobili e i borghesi dell’opera. I cambiamenti di scena saranno affidati a cartelli elisabettiani volutamente sgrammaticati. L’accoglienza in teatro sarebbe stata tumultuosa e lo spettacolo ebbe appena un paio di rappresentazioni. Nonostante l’insuccesso e il turbamento si ha l’impressione che nell’intuizione di pochi critici, tra cui Yeats, un evento come l’Ubu roi fosse maturo e atteso, avvertito come contemporaneo e pertinente. Il Dio selvaggio dell’Ubu roi di Jarry, lungo il Novecento, ha spinto e accompagnato quasi tutti i più audaci fermenti d’avanguardia.

IL TEATRO TRA VITA E POESIA 1901-1908

TEATRO D’ARTE MOSCA – LABORATORI – PRIMO STUDIO Nel 1898 Namirovic-Dancenko fonda il Teatro d’Arte di Mosca con Stanislavskij. Il programma prevedeva: - Consentire alle classe meno abbienti di avere posti decenti in teatro a prezzi bassi; - Introdurre uno spirito nuovo nella scena russa, liberandola dalla routine; - Dare a giovani talenti la possibilità di svilupparsi. - Centralità del regista Secondo Craig il Teatro d’Arte s’imponeva per serietà e carattere su una linea non commerciale. Stanislavskij crede nel realismo come mezzo attraverso il quale l’attore può rivelare la psicologia del drammaturgo. Fra le caratteristiche del Teatro d’Arte si imponeva un peculiare perfezionismo, sia per quanto riguarda le spese per scenografie e macchinari, sia per le prove, centrali e lunghe. Craig era convinto che il realismo e la precisione dei dettagli fossero inutili in scena e che solo la maschera potesse rendere l’espressione dell’anima fino al trascendimento dell’attore in una Supermarionetta. Inoltre dubitava che il testo scritto avesse un valore più profondo e duraturo per l’arte del teatro. Stanislavskij era cosciente degli impulsi di ricerca attivi nel nuovo secolo e non si sottrasse a esperimenti al di fuori del perimetro del realismo. Nel 1905 inaugurò uno studio, inteso come libero spazio di sperimentazione, recuperando al suo interno l’attore-regista Mejerchol’d che aveva abbandonato il Teatro

insofferente al suo realismo. L’esperienza non fu felice, ma fu riproposta nel 1912 quando avviò il Primo Studio. Questo laboratorio era più mirato all’affinamento di un metodo di recitazione, il Sistema di Stanislavskij. A questo Primo Studio fecero seguito in Russia ulteriori autonome iniziative laboratoriali, che spostarono sempre più l’accento sulla mera rappresentazione al processo creativo. Gli Studi russi possono considerarsi una metamorfosi radicale dei teatri liberi della fine del XIX secolo. In questi Studi l’attenzione si fissa dalla prioritaria veicolazione di una drammaturgia alternativa all’approfondimento del rapporto dell’attore con se stesso e con il suo pubblico. Alla base di tutti gli esperimenti di Stanislavskij, restava un impulso in direzione dello scavo di una verità scenica autentica. Questo era il fine del suo famoso metodo di recitazione, ossia un certo numero di proposizioni e di esercizi nel quale non esistevano facili formule, ma solo una serie di passi verso il vero stato creativo di un attore sulla scena, che quando è autentico è il solito normale stato di una persona nella vita reale. Bisogna considerare che in ogni azione fisica è presente un motivo psicologico interiore che stimola l’azione fisica. E dato un vero stato creativo interiore sulla scena, azione e sentimento portano a una vita naturale sulla scena nella forma di uno dei personaggi. OLTRE LA RAPPRESENTAZIONE – STANISLAVSKIJ - CECHOV Il Novecento è il secolo che accosta veloci contrasti, dissoluzioni e restaurazioni, espressionismi e neoclassicismi e al suo cuore le opere e le costruzioni estetiche prospettano un relativismo strutturale, ovvero l’impossibilità di uno stile nella sostanza cogente o vincolante. Il Dio selvaggio del Novecento è anche un Dio vario e tale natura si rivela proprio nel rapporto che si instaura tra Cechov e Stanislavskij. Il dramma cechoviano induce l’attore a essere, vivere, esistere. I drammi di Cechov sono quindi essenziali, nel contesto novecentesco, per questa spinta verso un teatro di compiuta presenza dell’essere, che tende a scindersi dal mero recitare o rappresentare. Le sue opere aprono la linea realistica interiore dell’intuizione e del sentimento. Cechov credeva in un teatro di sottrazione: la scena riflette la quintessenza della vita e niente di superfluo dovrebbe essere posto in scena. Quindi, se lo spettatore deve inevitabilmente trovarsi di fronte a una convenzione, è opportuno che abbia almeno la sensazione che l’autore possieda la competenza dei fenomeni che presenta. Le opere cechoviane avevano liberato il teatro dall’ossessione dell’azione esteriore, essendo ricche di azione interiore. LONDRA - COMMEDIE SGRADEVOLI - SHAW Anche a Londra nel 1891 si era radicata una scena libera, quella dell’Independent Theatre animato dall’olandese Grein, che allestì Le case del vedovo di Shaw con l’intento di sostenere una nuova drammaturgia nazionale, quella delle cosiddette commedie sgradevoli. A continuare il lavoro dell’Independent anni dopo la Stage Society guidata da Granville-Barker, che puntò a sua volta su Shaw, contribuendo in maniera determinante alla sua affermazione. Mise in scena La professione della signora Warren. Ai primi del Novecento il teatro era un luogo socialmente centrale, il posto nel quale il modo di trattare la morale o la politica poteva suscitare agitazioni e scandali clamorosi. La censura era particolarmente attenta e le scene libere riuscivano ad aggirarla dichiarandosi club privati. Le rappresentazioni della Professione della signora Warren furono appena un paio ma lo scandalo fu tutt’altro che lieve. Era infatti un dramma modellato su istanze militari, socialiste e femministe, con i maschi, i ricchi e i nobili più o meno cinici e opportunisti e le donne vittime. Un dramma quindi che protesta contro la società capitalistica e la censura. L’umorismo di Shaw godette dell’ammirazione di Brecht e la sua drammaturgia costituì un teatro d’impegno, di abilissima fattura e vivace satira. L’opera shawiana, nella sostanza, rinnova però piuttosto poco testimoniando giusto la persistenza scenica di filoni critici con radici nella più solida drammaturgia borghese di fine Ottocento, ancora in grado di suscitare turbamento per l’audacia dei temi o l’energia dell’indignazione e della denuncia. IRLANDA – YEATS – SYNGE – CRAIG In quegli anni era a Dublino che si avvertiva più profondamente la necessità di un rinnovamento del teatro, sul piano di una più intensa sperimentazione drammaturgica e scenica. Yeats aveva assistito all’Ubu roi e colto i segnali dell’epocale trasformazione in corso all’insegna del Dio selvaggio: le novità delle scenografie studiate nei dettagli ne erano un esempio per lui. Alla fine dell’Ottocento i teatri di Dublino erano vuoti e affittati a compagnie di passaggio, quindi Yeats insisteva sulla fondazione della scena irlandese. Insieme a Lady Gregory fonda l’Irish Literary Theatre al fine di esprimere le emozioni e i pensieri più profondi della nazione, rappresentandovi la sua Contessa

Cathleen. Il teatro irlandese stava crescendo e nel 1904 la compagnia nazionale cominciò ad assestarsi su basi professionistiche all’Abbey Theatre, sotto la guida Yeats, Lady Gregory e Synge. Synge era un drammaturgo libero, spesso contestato dal pubblico, bersaglio ideale del moralismo nazionalistico che desiderava un controllo politico sul repertorio dell’Abbey. I tre resistettero e misero in scena il Furfantello dell’ovest di Synge, che esibiva volgarità e arditezze di dialogo. Il dramma usava la conoscenza di Synge delle popolazioni irlandesi e delle loro tradizioni per attaccare la falsa immagine che si aveva di esse da parte dei compatrioti e delle donne e per realizzare una convincente ambientazione. Come prevedibile creò scandalo. Dopo la morte prematura di Synge Yeats si avvicinò al teatro giapponese. Guardando al Giappone Yeats voleva perseguire un’idea di teatro senza teatro, senza scenografia, che esaltasse la musica, la bellezza della forma e della voce. Contrastava così l’idea di un teatro realistico in quanto secolarizzato, che poteva solo prospettarsi volgare, semplicemente divertente e ammiccante, mentre attingendo allo spirito irlandese intendeva restaurare una scena antica con una recitazione essenziale e ritmica. Chiedeva una scenografia che non andasse oltre una tela o qualcosa che indicasse l’immagine mentale del poeta. Yeats apprezza molto lo scenografo-teorico Craig, che riteneva giusta la creazione di un palcoscenico più semplice. Lo faceva con i suoi screens, ovvero con la scena del volto espressivo, che perseguivano il concetto scenico di immagine in azione. Tuttavia all’Abbey non furono in grado di utilizzarli, essendo difficili da manovrare. D’ANNUNZIO – LA FIGLIA DI JORIO Anche in Italia c’era chi aspirava a un teatro improntato a una luce di bellezza. Gabriele D’Annunzio ci stava riuscendo con La figlia di Jorio e con questo l’Italia ebbe anche un suo dramma nazionale. È una tragedia in versi ambientata fra i pastori abruzzesi e si sviluppa nella descrizione di antiche cerimonie conservata da una razza fedele alla sua terra e alle sue tradizioni. Qui D’Annunzio fa sfoggio di un imponente pittoresco apparato folklorico e rituale che creava un’atmosfera di leggenda. Così D’Annunzio contribuì all’affermazione di un più avanzato concetto di regia. DUSE - CRAIG Dopo la rottura con D’Annunzio, Eleonora Duse collabora con Lugné-Poe all’insegna di Ibsen. Porta in scena Rosmersholm che l’anno dopo vuole riallestire con Craig a Firenze. Egli era il teorico di un’idea accentrata della creazione scenica e riteneva che il dominio globale delle sue funzioni spettasse al regista inteso come l’artista di teatro che avrebbe consentito all’arte teatrale di diventare autonoma e autosufficiente e quindi non più come tecnica di interpretazione. Non tutti erano disposti a cedere a Craig poteri assoluti. In Craig la regia compare come scrittura scenica e invenzione, dunque non riponeva speranze neanche sulla Duse ma contro ogni previsione con l’attrice italiana si aprì uno spiraglio sul fronte di una scenografia intesa come surrogato della messinscena. Tuttavia lavorando insieme i due non andavano d’accordo sulle scelte del regista e Craig si rese conto che il teatro italiano dell’epoca non era in grado di dargli strumenti adeguati. Ma alla fine dello spettacolo la Duse rimase impressionata dalla scenografia messa in scena da Craig, tanto da voler intraprendere con lui un sodalizio artistico duraturo. Lo spettacolo fu un successo. Tuttavia una studiata e imponente scenografia non poteva essere trasportata con facilità nella routine delle tournée che vedevano la Duse protagonista. Craig a Nizza vide la sua imponente scenografia ridotta e storpiata. Tornarono quindi a galla le tensioni precedenti e il loro rapporto lavorativo finì definitivamente. È in questo momento che Craig mette a punto gli screens.

SPEZZARE I LACCI DELLA TRADIZIONE 1909-1913

REINHARDT Max Reinhardt, regista austriaco. Un aspetto del lavoro di Reinhardt è l’espressione pantomimica come componente essenziale dell’arte e dell’attore. Mette in scena Sumurun, una pantomima di tema orientale. In questo spettacolo che gli avrebbe dato fama mondiale, Reinhardt cercava una sintesi di fisicità danzante e teatro di poesia, con scenografie lussuose e semplici, ma perfette. Reinhardt si formò come attore al naturalismo di Brahm da cui ora vuole staccarsi. Avrebbe voluto un naturalismo più sensuale, più aperto alla rivelazione di un volto della vita che rallegra ed è piena di colore e di luce. Il teatro insomma doveva tornare a essere il gioco festoso che è la sua vocazione più autentica. Reinhardt assume la direzione del Neues Theater e del Deutsches Theater, dove mette in scena Ibsen. Secondo lui il teatro aveva un unico scopo, e cioè il teatro, che appartiene all’attore. Non dovranno più

valere i punti di vista prettamente letterari, ma sarà necessario far riascoltare la musica della parola. Poco prima di lasciare il Neues Reinhardt mette in scena uno dei suoi spettacoli più emblematici, che mescolavano sovrannaturale, eroismo e comicità: Sogno di una notte di mezza estate. L’allestimento era montato su una pedana girevole che fu molto apprezzata. Secondo Reinhardt i classici dovevano essere rappresentati come se fossero di autori contemporanei e riteneva che un attore potesse considerarsi tale solo dimostrando di saper recitare Shakespeare. Voleva spezzare i lacci di ogni tradizione e scrutare nel fondo di ogni opera la sua struttura e la sua anima. Reinhadt stesso aveva parlato della necessità di articolare le rappresentazioni su due scene ideali: una grande per i classici e una piccola, intima, per l’arte da camera degli autori moderni, a cui ne aveva aggiunta una terza, imponente, per una grande arte di effetto monumentale. Così è alle prese con l’Edipo Re di Sofocle che decide di ambientare in una scena improvvisata con quattro colonne al gran Circo Schumann, per creare un ambiente adatto attorno all’antica tragedia, e farvi penetrare più agevolmente il pubblico. Un punto di forza delle regie di Reinhardt si confermava l’azione delle masse ondeggianti, che meritavano ogni lode, considerando anche i brevi tempi di prove...


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