Riassunto Libro Dal Nuovo Mondo all’America Scoperte geografiche e colonialismo (secoli XV-XVI) PDF

Title Riassunto Libro Dal Nuovo Mondo all’America Scoperte geografiche e colonialismo (secoli XV-XVI)
Course Storia Moderna
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Dal Nuovo Mondo all’America Scoperte geografiche e colonialismo (secoli XV-XVI) I.

CONDIZIONI PRELIMINARI

Culture e civiltà Le imprese condotte nel mondo verso la fine del XV non erano molte, in quanto esse erano affrontabili solo da un gruppo forte sia politicamente che economicamente. L’antropologo Gordon W. Hewes distingue la popolazione in 76 gruppi umani: solo 13 sono definite ‘’civiltà’’, cioè aggregazioni umane molto sviluppate, con realtà urbane, uso di sistemi agricoli, strumenti e tecniche complesse ed evoluti con un’elevata densità di popolazione. Le restanti 51 sono definite ‘’culture’’, ossia popoli di raccoglitori, cacciatori o pescatori, allevatori e nomadi dotati di un’agricoltura elementare. E dalle 13 culture che il mondo ha preso l’energia che è stata in grado di modificare in modo permanete e profondo le condizioni di partenza. Le protagoniste storiche sono state: Europa e islam, Cina e Giappone, Sud-Est asiatico e l’India. E l’America? Come consideriamo i maya, gli incas e i mexica? E giusto collocarli sullo stesso piano dei cinesi e indiani? 

Si, se si tratta delle loro qualità, splendore, longevità e intelligenza.



No, se teniamo conto dei criteri materiali, ovvero l’utilizzo solo della zappa, il fatto che ignorassero la ruota, la volta e persino il ferro.

Negli immensi spazi americani, queste culture erano isolate tra di loro, restavano stranieri gli uni agli altri. Il mondo moderno è andato avanti grazie alla fitta rete di relazioni che collegano le città. L’alternanza tra fasi di accrescimento e di diminuzione hanno scandito la storia della popolazione Europea fino a metà 700: dopo la crisi provocata dalla peste nera (13481351), passerà quasi un secolo perché gli indici demografici tornino a salire: continueranno fino a metà 600. La scoperta e la conquista del mondo americano si collocano durante una fase di aumento demografico, in un’atmosfera favorevole, capace di dare agli uomini fiducia in se e nel proprio compito.

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Cine e islam La civiltà cinese precede quella europea in molte invenzioni (seta, carta, polvere da sparo), non le è inferiore né culturalmente né per quanto riguarda le tecniche amministrative dello Stato. Dopo il 1368, il controllo del paese viene assunto dalla dinastia indigena dei Ming. Sembra un momento favorevole per l’apertura cinese verso spazi lontani in cerca di contatti con il mondo esterno. Possiede tutto ciò che serve: uomini; pratica la navigazione, con un modello nuovo di imbarcazione, la giunca (lenta, pesante, sicura e capace). I cinesi conoscono bene la tecnica cartografica, importante perché era una forma di controllo intellettuale dello spazio. Sotto Young-Lo, salparono molte flotte per viaggi di ricognizione e conquista. Durante 7 spedizioni, le giunche toccarono: Indocina e Indonesia, Isola di Ceylon e le coste indiane, Mar Rosso, Golfo persico, Corno d’africa e Tanzania Dopo il 1433, furono colonizzate le grandi pianure all’interno del territorio, la Cina ritrovò in esse la propria realizzazione finché la volontà di raccoglimento in se non prese il sopravvento. La cina non aveva motivi che la spingessero alla ricerca di nuovi mondi. La sua mentalità, la sua autosufficienza economico-culturale si realizzarono nella grande Muraglia, eretta con lo scopo di escludere dalla storia cinese tutto ciò che è diverso dalla tradizione. L’islam è l’altro aspirante alla supremazia mondiale. Nel XV secolo si estende dalla Spagna fino all’India. Per l’Europa, l’islam è un nemico che sembra volerla confinare in una morsa, a partire dalla presa di Bisanzio nel 1453. Messa al sacco, poi risorgerà come nuova capitale dell’impero ottomano con il nome di Istanbul. Nei decenni dopo, conquistarono i Balcani; 1526 controllo dell’Ungheria; 1529 viene assediata Vienna. L’islam intrattiene numerosissime relazioni: Egitto, Siria, Alessandria, Beiurt e damasco sono i terminali di un sistema di scambi che sposta sia merci che uomini, notizie idee in uno scambio bilaterale. Transitano pellegrini, cristiani e musulmani perso Medina e La Mecca. Qui giungono spezie e sede dell’Oriente, oro e avorio africani, argento e tessuti europei portati dalle navi italiane e catalane. L’islam è la cerniera di comunicazione delle principali civiltà del mondo.

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Le motivazioni dell’Europa Uno spazio conteso I rapporti ambivalenti tra Islam e Europa hanno spinto in quest’ultima ad uscire dal proprio piccolo spazio. Negli ultimi secoli del Medioevo lo spazio dell’Europa si amplia (con le Crociate che strappano Palestina e Medio Oriente) e si contrae (conquista della Sicilia, penisola iberica, Grecia e Balcani). L’Europa si sente premuta nei propri confini da un islam sempre più pressante.

Mondi immaginari Durante il Medioevo essa trasse dai propri limiti culturali e materiali l’energia per dar forma a nuovi spazi, prevalentemente immaginari: è l’Oriente ad attrarre i sogni europei, e in particolare l’India, mondo straordinario, vero ‘’orizzonte onirico’’, in quanto ha tutto ciò che l’Europa desidera ma non ha: ricchezza, abbondanza, libertà dalla società cristiana, dal peso della morale oppressiva. La cultura cristiana vede queste terre come l’Eden in terra, il luogo dove il Signore ha vissuto la sua vicenda terrena.

L’entusiasmo religioso Il fervore missionario ha giocato un ruolo non secondario nella conquista delle terre d’oltremare. Il bisogno di comunicare la fede ad altri popoli è insito nel cristianesimo, che vede la storia come percorso salvifico che riguarda l’intero genere umano, dunque anche gli infedeli, che vanno convertiti. Alle scoperte geografiche si collega uno sforzo di conquista spirituale, ma ciò è stato sufficiente a spingere gli europei verso l’India e l’America? La risposta arriva da de Busbecq che afferma: nelle spedizioni di scoperta, ‘’la religione fornisce il pretesto e l’oro il motivo’’ C’è da dire che le persone che dall’Europa transitarono in America dopo il 1492 furono per lo più mercanti, marinai e soldati, dunque la conquista fu prima politica ed economica, e poi religiosa, nonostante la scoperta e la conquista dell’America maturarono ad opera di uomini che misuravano le proprie scelte/azioni in riferimento ai valori cristiani. Lo spirito religioso fornì un’ideologia in grado di conferire senso a questi avvenimenti, e a giustificarli.

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Le monarchie nazionali; la reconquista iberica Politicamente, gli ultimi secoli del Medioevo furono segnati dalla crisi della Chiesa e dell’impero, incapaci di vincolare a sé le membra di un’Europa sempre più divisa e inquieta. La scoperta e la conquista di nuove terre offre un incremento di territorio e sembra materializzare il sogno di straordinaria ricchezza da sempre attribuito all’Oriente. Tutto ciò si traduce nell’interesse che tutte le monarchie nazionali iniziarono a nutrire verso l’espansione al di fuori dell’Europa. Ma è nella penisola iberica contesa tra Islam e cristianità che la ricerca di vie marittime verso l’India mise radici prima che altrove. Qui, nel 1492 si è conclusa la Reconquista dei territori in mano agli infedeli, con la presa dell’ultima roccaforte islamica, Granada. La conquista dell’America sembrò costituire l’oggetto di una nuova, esaltante guerra santa. Artefice della conquista fu il regno di Castiglia, mentre il regno d’Aragona, a occidente, rivolse i propri interessi sul Mediterraneo (Baleari, Corsica, Sardegna). I due regni si riunificarono nel 1479, con il matrimonio di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia.

Orizzonti mercantili Oro e spezie erano obiettivi concreti che mobilitavano uomini e capitali. Fino alla rivoluzione industriale l’attività prevalente in Europa era l’agricoltura, ma tra il secolo X e il XIV il settore più dinamico dell’economia diventa il commercio e i mercanti ne furono i promotori, e l’Italia ha un ruolo privilegiato derivato dalla sua posizione geografica favorevole (supremazia delle repubbliche marinare, mediatrici tra Occidente e Oriente). I mercanti italiani mettono a punto l’intero bagaglio tecnico del capitalismo commerciale, ideando la contabilità, la lettera di cambio e l’assegno, l’assicurazione marittima e le leggi di funzionamento delle società commerciali. Di qui, la fitta presenza di mercanti italiani nella storia delle scoperte.

Il mare, le navi Nel Basso Medioevo è da nord che parte la prima esplorazione oceanica, ad opera dei vichinghi. I popoli del nord svilupparono un’attività commericiale a largo raggio, struttando i grandi corsi fluviali, per questa via l’Europa scambiava pellicce, schiavi, miele, cera con spezie e seta dall’Oriente. L’organizzazione dei commerci nordici medievali non ha molto da invidiare al Mediterraneo, soprattutto grazie all’Hansa germanica, federazione di circa duecento

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città mercantili unite da patti d’intesa stipulati allo scopo di assicurare difesa e vantaggi commerciali a tutti i contraenti. L’economia mercantile si avvantaggiava allora della tecnica marinara del “cabotaggio”, cioè della navigazione parallela alla costa, dalla quale le navi si allontanavano per poi riavvicinarsi. Questa tecnica era sicura e c’era un rifornimento e uno scambio continuo tra terra e mare Verso la metà del XIII secolo, tecniche e strumenti nuovi introdussero mutamenti profondi nei sistemi di navigazione: comparvero la bussola e la carta nautica, che consentirono di navigare e commerciare in condizioni di scarsa visibilità, non solo rendono possibile la navigazione “per pileggio”, ossia nel mare aperto, grazie alla ‘’navigazione stimata’’ affidata alla bussola, alla carta nautica e a nuovi strumenti di rilevamento (quadrante, astrolabio). Sin dall’antichità l’oceano e la sede degli uomini erano ben distinti, e i confini tra i due erano stabiliti dalle colonne d’Ercole. Pian piano le tecniche di navigazione intorno al Quattrocento, grazie alla commistione delle tradizioni nordiche e mediterranee, permisero un avanzamento dell’ingegneria navale volta alla navigazione oceanica. Furono ideati nuovi tipi di imbarcazioni: la ‘’cocca’’, una specie di solida tinozza galleggiante, con grossi limiti in quanto aveva scarse capacità di carico e non adatta all’oceano; la ‘’caracca’’ usata dai portoghesi; la piccola caravella, adatta in qualsiasi circostanza; infine il galeone.

Il disegno dello spazio Tra XIII e XV secolo si assiste al lungo processo di modernizzazione dei sistemi geocartografici rispetto alla tradizione medievale, fenomeno conseguente ad un vero e proprio cambio di mentalità. Le carte medievali sono espressione delle riflessioni di teologi e filosofi, che nelle “mappaemundi” raffigurano l’intero orbe terrestre, dando importanza non alla sua forma esterna, quanto al suo senso, alla sua simbologia, tutta collegata all’idea morale e religiosa. Lo spazio è teatro di spiritualità, e ciò si può cogliere nel modello cartografico più celebre di questo periodo (mappamondo “O/T”), denso di simbologia cristiana. La carta geografica medievale è una sorta di enciclopedia che offre anche nozioni di storia e di religione. Pian piano, col passare del tempo le raffigurazioni cartografiche perderanno le loro implicazioni religiose come il valore del tempo, avviandosi verso una dimensione oggettiva, quantitativa e matematica dello spazio. Sono i viaggi per mare a necessitare di carte rigorose, e a questo scopo serviranno il cartografo e la carta nautica: è una svolta radicale che si concretizza attorno alla fine 5

del XIII secolo. La carta nautica presenta uno spazio drasticamente ridotto (sezione più importante per i commerci, cioè bacino Mediterraneo e Mar Nero) e trascura la gerarchia simbolico-religiosa delle mappaemundi: il rapporto tra Dio e il mondo non è percepibile. L’ultima, decisiva evoluzione in questo percorso avviene ai primi del ‘400, quando gli Umanisti scoprono e traducono in latino la Cosmografia di Tolomeo, il maggior geografo dell’antichità. Il testo ha uno straordinario successo, non tanto per la sua attendibilità (erano infatti più precise le carte nautiche) quanto per il fatto che risultava del tutto rivoluzionario il metodo geo-cartografico basato sul calcolo matematico delle coordinate attraverso latitudine e longitudine

Verso l’Occidente: dal mito alla realtà Nell’antichità l’Occidente era percepito come un regno irraggiungibile, totalmente alieno all’uomo, ostile, sede dei regno dei morti poiché vi tramonta il Sole, e nel Medioevo ci si convinse che fosse, addirittura, una possibile sede del paradiso terrestre (teoria alimentata da alcune fonti antiche, che descrivevano isole meravigliose, dette “Isole Fortunate”, a ovest di Gibilterra, che oggi si ritengono essere le Canarie e Madera). Il Medioevo accolse queste credenze immergendole in un’atmosfera religiosa, in una sorta di “meraviglioso cristiano” (si pensi ai racconti, ai limiti della leggenda, degli avventurosi viaggi per mare dei monaci irlandesi). Le Canarie furono le prime, tra queste isole, ad essere scoperte, ad opera di genovesi per conto del re del Portogallo. Successivamente, nel corso del ‘400, saranno scoperte le Azzorre e Madera. Queste isole diventeranno importantissimi scali per le rotte atlantiche per e dall’America, e Madera diventerà celebre per la fiorente produzione di canna da zucchero, importata dall’Egitto. Il triste destino occorso agli autoctoni di Madera, i Guanci, brutalmente cancellati dalla propria terra, sarà l’anticipazione di quanto accadrà agli indios americani.

II.

Scoprire, esplorare, rappresentare

Cristoforo Colombo: dal progetto all’America Nel ‘400 la forma e le dimensioni della Terra erano ignote. I teorici e i marinai dell’epoca, di fronte alla possibilità di attraversare l’oceano per raggiungere l’oriente, si dividevano attorno a due ipotesi, entrambe fondate sull’autorità di Aristotele: la prima sosteneva che il mare fosse immensamente più esteso rispetto alle terre emerse, e la seconda sosteneva esattamente il contrario. I sovrani Portoghesi credevano nella prima ipotesi, e

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conseguenza fu il loro tentativo di raggiungere l’Oriente costeggiando le coste dell’Africa. Colombo, al contrario, riteneva di poter raggiungere l’Oriente facendo rotta verso Occidente, una vera e propria scommessa. Oggi gli studiosi sono più o meno concordi nell’individuare in Genova la sua patria d’origine, dove nacque nel 1451 da un tessitore, poi locandiere. L’ascesa commerciale e sociale di Colombo e dei suoi fratelli fu costante: il genovese strinse contatti con importanti aziende marittime e prese il mare, verso nord (Gran Bretagna, Irlanda), nell’Egeo, nel Golfo di Guinea, ma soprattutto in Portogallo, dove si stabilì e prese moglie. In Colombo la pratica marittima si unisce allo studio costante della scienza antica e moderna (studiò gli scritti di Marco Polo, Enea Silvio Piccolomini, Plinio il Vecchio).

Colombo presentò il suo coraggioso progetto alla corte portoghese, che tuttavia rifiutò di finanziare un’impresa così densa di incognite; una dopo l’altra, tutte le monarchie d’Europa bocciarono il suo progetto, finché, grazie alle sue conoscenze negli ambienti religiosi, la regina Isabella di Castiglia decise di finanziarlo. Nell’aprile del 1492 furono così firmate le Capitolazioni di Santa Fè, che sancirono i diritti di Colombo, cui fu conferito il titolo di ammiraglio, governatore e viceré di tutte le terre che avrebbe scoperto, oltre alla decima parte dei loro prodotti. Le navi per il viaggio, due piccole caravelle (la Nina e la Pinta) e una nave più grande (la Santa Maria), e l’equipaggio di 87 uomini, furono forniti dalla comunità di Palos, indebitata con la corona. Si fece vela per le Canarie il 3 agosto 1492, e da qui si partì verso l’ignoto Occidente, l’8 settembre. Dopo 34 giorni di navigazione fu avvistata terra (si trattava di una piccola isola delle Bahamas), alle 22 dell’11 ottobre. Ora che l’America era stata scoperta, restavano da trovare l’oro e le spezie, vero obiettivo dei quattro viaggi di Colombo: nei primi due (il secondo dei quali compiuto nel 1493) l’esplorazione riguardò le Piccole e Grandi Antille (Haiti e Cuba); il terzo (1498) portò la spedizione sul continente, alla foce dell’Orinoco, mentre nel quarto (1502) Colombo perlustrò un lungo tratto del Centro America, dall’Honduras a Panama. Questi lunghi anni di viaggi furono spesi dal genovese fra popoli nuovi, difficoltà, malattie, privazioni, polemiche e contrasti, fino alla morte, sopravvenuta nel 1506. L’esperienza e l’abilità marittime di Colombo sono evidenti, e si manifestano nella felice scelta di situare le navi entro la fascia degli alisei. Ogni qual volta Colombo giungeva in un nuovo territorio, la prima operazione da compiersi era quella della cerimonia ufficiale di presa di possesso per conto dei reali, con il battesimo del luogo (es. San Salvador). I progetti di colonizzazione di Colombo, tuttavia, risultarono fallimentari, e fu il suo successore, il governatore de Ovando, a pianificare la costruzione del primo vero centro urbano, Santo Domingo. Colombo si vide costretto a far balenare gli occhi di Isabella promesse (spesso irreali) di ricchezza, per poter

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ottenere i finanziamenti necessari a compiere nuove spedizioni. Il suo atteggiamento verso gli indigeni è contraddittorio: da un lato li descrive, nei suoi frequenti rapporti alla regina, come esseri umani buoni e docili, da rendere buoni cristiani; dall’altro, come esseri diabolici, perversi antropofagi da ridurre in schiavitù. Col passare del tempo, i suoi viaggi si colorano di motivi escatologici: Colombo si dice certo di essere giunto nei pressi del Paradiso Terrestre e di essere guidato dal Signore; tra il 1502 e il 1503 ricopia in un quaderno (“Libro delle profezie”) una serie di passi biblici in cui intravede allusioni alle terre da lui scoperte.

Inter Caetera L’impresa colombiana sollevò il problema di stabilire i diritti della Castiglia sulle nuove terre. La cultura giuridica contemporanea avrebbe affidato i nuovi territori, in caso fossero stati disabitati, agli scopritori, ma l’America era abitata, il che creava problematiche di tipo anche religioso; infatti, le popolazioni ritenute “inferiori” dagli Europei (come i neri d’Africa o gli abitanti delle Antille), dedite a pratiche incomprensibili considerate idolatre, nel migliore dei casi potevano apparire come pagani da convertire, nel peggiore, come gli “schiavi naturali” di cui parla Aristotele nella Politica. In ogni caso, non era in dubbio il diritto degli Europei di appropriarsi di queste terre, né il loro diritto-dovere di convertirne gli abitanti. A suo tempo, il Portogallo aveva ottenuto l’approvazione papale sui domini delle isole atlantiche e della costa Africana, attraverso l’emanazione di alcune bolle pontificie (Inter Caetera, 1456), che concedevano inoltre ai sovrani di riscuotere tributi, amministrare la giustizia, edificare chiese, ridurre in schiavitù gli indigeni e commerciare con gli infedeli. Solo le Canarie furono assegnate alla Castiglia. Frattanto, i re cattolici ottennero facilmente dal papa Alessandro VI (di famiglia aragonese) la concessione al dominio sulle nuove terre scoperte, attraverso l’emanazione di ben cinque lettere, la più importante delle quali, Inter Caetera (omonima della bolla ai portoghesi), redatta nel 1493, incitava i conquistadores a convertire gli indigeni, e affidava alla Spagna, e solo ad essa (pena la scomunica) il dominio sull’America. Il Portogallo non accettò questo fatto, e si arrivò ad una soluzione solo nel 1494 con il trattato di Tordesillas, che divideva, di fatto, il mondo in due zone d’influenza, una spagnola, a occidente, e una portoghese, a oriente (era stato preceduto, nel 1479, da quello di Alcacovas). Tuttavia, le bolle papali non impedirono ad altri stati (Inghilterra, Olanda, Francia) di impossessarsi di zone più o meno ampie del territorio americano. Un nuovo problema sorse con la scoperta del Brasile: a chi spettava il domino su questa terra? Al Portogallo o alla Spagna? Alla fine si privilegiò il Portogallo, e questa è la ragione per cui il Brasile è l’unico grande

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paese americano di lingua lusitana.

Un nuovo mondo: Amerigo Ve...


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