Riassunto libro di Giddens, Fondamenti di sociologia, capitoli 1 - 2 - 3 - 4 - 6 - 8 - 9 - 10 - 11 - 13 PDF

Title Riassunto libro di Giddens, Fondamenti di sociologia, capitoli 1 - 2 - 3 - 4 - 6 - 8 - 9 - 10 - 11 - 13
Author Andrea Rocca
Course Fondamenti di sociologia
Institution Università degli Studi di Bergamo
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Riassunto dei capitoli 1 - 2 - 3 - 4 - 6 - 8 - 9 - 10 - 11 - 13...


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CAPITOLO 1 – CHE COS’È LA SOCIOLOGIA? La sociologia è lo studio scientifico della vita umana, dei gruppi sociali, di intere società e del mondo umano in quanto tale, insomma ha come oggetto di studio il nostro comportamento di esseri sociali. L’ambito di interesse è estremamente vasto: dagli incontri casuali per strada allo studio delle relazioni internazionali e del terrorismo globale.

L’IMMAGINAZIONE SOCIOLOGICA Lo studio della sociologia non è solo un processo meccanico di acquisizione di conoscenze, ma il sociologo deve essere capace di liberarsi dai condizionamenti della situazione personale. Il lavoro del sociologo dipende dallo sviluppo di quella che Charles Wright Mills ha chiamato immaginazione sociologica, la quale richiede la capacità di riflettere su se stessi fuori dalle abitudini familiari della vita quotidiana, per arrivare a vederle da un nuovo punto di vista.

Lo studio degli individui e della società Si dice spesso che la sociologia è la “scienza della società”. Ma cos’è esattamente la “società”? I sociologi intendono generalmente un gruppo di persone che vivono in un determinato territorio condividendo caratteristiche culturali comuni quali la lingua, i valori e le norme fondamentali di comportamento. Ma la “società” comprende anche una serie di istituzioni e le relazioni relativamente stabilite tra esse. I modelli persistenti delle relazioni tra persone, gruppi e istituzioni formano la struttura sociale. Nel momento in cui cominciamo a concepire la vita sociale attraverso i concetti di “società”, “istituzioni” e “struttura sociale”, iniziamo a esercitare l’immaginazione sociologica e a “pensare sociologicamente”. Il ricorso all’immaginazione sociologica ci permette di vedere il modo in cui molti eventi, che sembrano interessare solo il singolo individuo, in realtà riflettono questioni più ampie. Per quanto tutti siamo influenzati dai contesti sociali a cui apparteniamo, i nostri comportamenti non sono mai semplicemente determinati da quei contesti. La sociologia esplora le connessioni tra quello che la società fa di noi e quello che noi facciamo di noi stessi e della società. Le nostre attività strutturano il mondo sociale attorno a noi e nello stesso tempo sono strutturate da esso. I contesti sociali in cui viviamo non sono una congerie di eventi e azioni del tutto casuali: sono strutturati, o modellati, in modi determinati. Esistono delle regolarità nel nostro modo di comportarci e nei rapporti che intratteniamo gli uni con gli altri. Le società umane passano attraverso un interminabile processo di strutturazione, ovvero vengono continuamente ricostruite dai “mattoni” che le compongono: gli esseri umani.

LO SVILUPPO DEL PENSIERO SOCIOLOGICO I sociologi spesso disputano tra loro sulle modalità di studio del comportamento umano e sull’interpretazione più corretta dei risultati della ricerca. Questo è un processo del tutto normale che caratterizza qualsiasi branca della scienza. La sociologia, però, comporta lo studio di noi stessi e in tal senso può mettere radicalmente in discussione idee e atteggiamenti consolidati. La sociologia può scompaginare e sovvertire, ma quando ci dedichiamo al lavoro sociologico dobbiamo fare ogni sforzo per mettere da parte le nostre inclinazioni emotive e politiche.

Teorie e prospettive teoriche Elaborare teorie significa costruire interpretazioni astratte impiegando una serie di affermazioni logicamente correlate tra loro, tali da spiegare un’ampia varietà di situazioni empiriche o “fattuali”. Possiamo sviluppare valide spiegazioni teoriche solo se siamo capaci di verificarle attraverso la ricerca empirica. Molti sociologi lavorano anzitutto sulla ricerca fattuale, ma è probabile che, in assenza di conoscenze teoriche, il loro lavoro possa spiegare la complessità che portano alla luce. Molte perone di indole “pratica” diffidano dei teorici e ritengono di avere troppo “i piedi per terra” per prestare attenzione alle idee astratte. Ma ogni decisione pratica si basa su presupposti teorici. In mancanza di un approccio teorico, non sapremmo nemmeno cosa cercare nell’intraprendere uno studio o nell’interpretare i risultati di una ricerca. L’interpretazione dei fatti non è però l’unica ragione per elaborare teorie: occorre anche rispondere a questioni di carattere generale concernenti il modo di studiare la vita sociale.

I fondatori della sociologia Le motivazioni del proprio comportamento sono sempre state motivo di curiosità per gli esseri umani. Fino all’avvento della scienza moderna, nella maggior parte delle comunità umane, dominavano gli usi tradizionali tramandati. Le origini di studi sistematici della vita sociale risalgono a una serie di grandi cambiamenti introdotti dalla rivoluzione francese (1789) e dalla rivoluzione industriale (metà del XIX secolo). Questi eventi stravolsero i modi di vita tradizionali e i fondatori della sociologia si proposero di comprendere come avessero potuto prodursi cambiamenti tanto radicali. Essi svilupparono metodi più sistematici e scientifici di osservazione del mondo sociale e naturale, che scalzavano le credenze religiose convenzionali.

AUGUSTE COMTE Auguste Comte coniò la parola “sociologia” attorno al 1840. Per riferirsi al nuovo campo di studi, in un primo momento Comte utilizzò l’espressione “fisica sociale”, usata anche da alcuni suoi antagonisti intellettuali. Ma Comte intendeva distinguere la propria concezione dalla loro e così ideò la parola “sociologia” per definire la disciplina che voleva fondare. Comte ambiva a creare una scienza della società che potesse spiegare le “leggi” del mondo sociale così come le scienze della natura avevano scoperto le leggi del mondo fisico. Comte voleva che la sociologia divenisse una “scienza positiva” in grado di applicare allo studio della società gli stessi metodi scientifici utilizzati da astronomi, fisici e chimici. Il positivismo è una dottrina secondo cui la scienza si applica solo a fenomeni osservabili, direttamente attingibili attraverso l’esperienza. Sulla base di osservazioni accurate, possono essere dedotte le leggi che spiegano i rapporti tra i fenomeni osservati. Comprendendo le relazioni causali tra gli eventi, gli scienziati possono prevederne la ripetizione futura. La “legge dei tre stadi” di Comte afferma che gli sforzi umani per comprendere il mondo sono passati attraverso tre stadi: 

Nello stadio teologico, il pensiero viene guidato dalle idee religiose e dal concetto di “società” come espressione della volontà di Dio;



Nello stadio metafisico, la società viene vista in termini naturali e non più soprannaturali;



Lo stadio positivo è caratterizzato dall’applicazione del metodo scientifico al mondo sociale: Comte considerava la sociologia come l’ultimo prodotto dello sviluppo scientifico, e come la scienza più importante e complessa;

ÉMILE DURKHEIM Per Émile Durkheim la sociologia era una scienza nuova, in grado di tradurre le tradizionali questioni filosofiche in interrogativi sociologici che richiedevano ricerche nel mondo reale. Lui pensava che si dovesse studiare la vita sociale con la stessa oggettività con cui gli scienziati studiano la natura, e riassunse tutto ciò nel suo famoso appello “studiare i fatti sociali come cose”. Egli intendeva dire che le istituzioni sociali possiedono una concretezza e un’oggettività che consentono di analizzarle con lo stesso rigore riservato agli oggetti o agli eventi naturali. Ma che cos’è un fatto sociale? I fatti sociali sono tutte quelle istituzioni e regole dell’agire che determinano o incanalano il comportamento umano. L’individuo può percepire i fatti sociali come una pressione esterna, benché per la maggior parte del tempo essi siano dati per scontati come parte naturale o normale dell’esistenza. Durkheim era preoccupato dai cambiamenti che stavano trasformando la società. Uno dei suoi interessi primari era la solidarietà sociale e morale, ovvero ciò che “tiene insieme” la società. La solidarietà viene salvaguardata nella misura in cui gli individui sono integrati in gruppi sociali e si attengono a un insieme di valori e costumi condivisi. Ne “La divisione del lavoro sociale”, Durkheim elabora un’analisi del mutamento sociale in cui si afferma anche un nuovo tipo di solidarietà. 

Le società tradizionali, con una scarsa divisione del lavoro, sono caratterizzate dalla solidarietà meccanica. Dedicandosi in prevalenza alle occupazioni simili tra loro, gli individui sono legati gli uni agli altri da esperienze comuni e credenze condivise. L’industrializzazione e l’urbanizzazione provocano tuttavia una crescente divisione del lavoro, che contribuisce a scalzare questa forma di solidarietà.



La specializzazione delle mansioni e la crescente differenziazione sociale portano alla creazione di un nuovo tipo di solidarietà della solidarietà organica. Con l’aumento della divisione del lavoro, gli individui diventano sempre più indipendenti gli uni dagli altri, poiché ognuno ha bisogno di beni e servizi forniti da coloro che svolgono attività differenti dalla propria.

Ma Durkheim era anche convinto che nel mondo moderno i processi di cambiamento sono così rapidi e intensi da generare gravi difficoltà a livello sociale. Assieme alla società cambiano anche gli stili di vita, la morale, le credenze religiose... Durkheim definiva

queste condizioni di disagio col termine anomia, per indicare un profondo senso di inutilità, timore e disperazione, derivante dalla diffusa percezione di un’assenza di significato e di struttura dell’esistenza.

L O STUDIO DI DURKHEIM SUL SUICIDIO Il suicidio è uno degli aspetti più concertanti della vita, che spesso lascia nei sopravvissuti più domande che risposte. Lo studio di Durkheim dimostrò che persino un atto altamente personale come il suicidio è influenzato da ciò che accade nel mondo sociale. Secondo il sociologo, il suicidio è un fatto sociale che può essere spiegato solo da altri fattori sociali. Il tasso del suicidio è un fenomeno con proprietà ben definite, osservabili. Esaminando le statistiche ufficiali, Durkheim scoprì che certe categorie di individui erano più propense al suicidio di altre: gli uomini più delle donne, i protestanti più dei cattolici, i ricchi più dei poveri, i non coniugati più dei coniugati... Inoltre i tassi di suicidio tendevano ad essere più bassi in tempo di guerra e più alti in tempi di cambiamento o di instabilità economica. Questi riscontri portarono Durkheim ad affermare l’esistenza di forze sociali, esterne all’individuo, che influenzano i tassi di suicidio. Egli ricollegò la sua spiegazione al concetto di “solidarietà sociale” e a due tipi di legami presenti nella società: l’integrazione sociale e la regolazione sociale. Egli identificò quattro tipi di suicidio: 

Il suicidio egoistico è determinato da una carenza di integrazione sociale. Esso ha luogo quando un individuo è isolato, i suoi legami con i gruppi sociali sono allentati o interrotti.



Il suicidio anomico è determinato da una carenza di regolazione sociale. Durkheim di riferisce alle condizioni sociali di anomia, quando gli individui sono “privi di norme” a causa di rapido cambiamento o instabilità sociale.



Il suicidio altruistico è determinato da un eccesso di integrazione sociale. I legami sociali sono troppo forti e l’individuo attribuisce alla società più valore che a se stesso. Il suicidio diviene un sacrificio a favore di un “bene maggiore”.



Il suicidio fatalistico è determinato da un eccesso di regolazione sociale. L’oppressione a cui è sottoposto l’individuo produce in lui un senso di impotenza di fronte al fato o alla società.

I tassi di suicidio variano da una società all’altra, ma all’interno di una società mostrano un andamento piuttosto regolare. Questa era la prova dell’esistenza di forze sociali che influenzano i tassi di suicidio.

KARL MARX Le idee di Karl Marx contrastano in modo piuttosto radicale con quelle di Comte e di Durkheim. Gli scritti di Marx riflettono in particolare il suo interesse per il movimento operaio e per le idee socialiste. Marx si concentrò soprattutto sullo sviluppo del capitalismo, un “modo di produzione” radicalmente diverso dai suoi precedenti storici. In esso Marx individuava due elementi costitutivi: 

Il capitale, ovvero i mezzi di produzione (denaro, macchine, fabbriche...) utilizzati per produrre merci;



Il lavoro salariato, cioè l’insieme dei lavoratori che, non possedendo mezzi di produzione, devono cercare occupazione presso i detentori del capitale;

Secondo Marx, l’insieme dei capitalisti costituisce la borghesia, una ristretta “classe dominante” di fronte alla quale sta la grande massa dei lavoratori salariati, anche chiamata proletariato, ovvero una vasta “classe subordinata” alimentata dalle schiere di contadini che si trasferivano nelle città in espansione per lavorare nelle fabbriche. Il capitalismo è dunque un sistema classista in cui le classi intrattengono un rapporto conflittuale, e la loro reciproca dipendenza è sbilanciata: gli operai sono privi di controllo sulle condizioni e sul prodotto del proprio lavoro, mentre i capitalisti ricavano profitti appropriandosi di tale prodotto. Marx vedeva nei conflitti tra le classi la molla dello sviluppo storico, il “motore della storia”. Marx delineò una progressione di fasi storiche: 1.

le società “comuniste primitive” di cacciatori e raccoglitori;

2.

le società schiavistiche antiche e i sistemi feudali, basati sulla divisione tra “proprietari terrieri” e “servi della gleba”;

3.

La comparsa della borghesia capitalista, che segnò il tramonto della nobiltà terriera e, così come i capitalisti avevano rovesciato l’ordine sociale precedente, essi stessi sarebbero stati a loro volta soppiantati dal proletariato;

Marx teorizzò una rivoluzione dei lavoratori che avrebbe dato vita a una società nuova in cui non vi sarebbe stata alcuna netta divisione tra “proprietari” e “lavoratori”: questo stadio fu detto da lui comunismo. Marx intendeva dire che la società non si sarebbe più divisa in una classe di pochi, col monopolio del potere economico-politico, e una grande massa di individui privati di gran parte della ricchezza prodotta dal lavoro. Il modo di produzione si sarebbe organizzato attorno a una proprietà di tipo comunitario, fondamento di un ordine sociale più egualitario.

MAX WEBER Anche Max Weber non può essere definito semplicemente un sociologo, poiché i suoi interessi spaziano attraverso molte discipline. Anch’egli si occupa dello sviluppo del capitalismo e dei modi in cui la società moderna si differenzia dalle forme precedenti di organizzazione sociale. Weber individuò alcune caratteristiche fondamentali delle società industriali e identificò alcune problematiche tuttora centrali per la sociologia. Weber riteneva che i sociologi dovessero studiare l’agire sociale, ovvero le azioni significative che il soggetto compie nei confronti degli altri. La sociologia ha dunque il compito di comprendere il significato nascosto delle azioni individuali. Un elemento importante nella prospettiva sociologica weberiana è il concetto di tipo ideale: sono modelli utilizzabili per indagare un fenomeno sociale e ci aiutano a comprendere il mondo. Questi costrutti ipotetici possono essere utilissimi nell’orientare l’indagine su un certo argomento. Nella prospettiva weberiana, l’affermazione della società moderna è stata accompagnata da importanti cambiamenti dei modelli di azione sociale. Weber era convinto che la società si stesse affrancando dalle credenze radicate nella superstizione, nella religione, nelle usanze e nelle abitudini tradizionali. Al loro posto subentra il calcolo sperimentale razionale, tendente al raggiungimento dell’efficienza sulla base di conseguenze prevedibili. L’affermazione della scienza, della tecnologia moderna e delle burocrazie configurava per Weber un processo di razionalizzazione, cioè di organizzazione della vita sociale secondo principi di efficienza e sulla base di conoscenze tecniche (Weber aveva però forti preoccupazioni riguardo agli esiti della razionalizzazione)

Tradizioni teoriche in sociologia I fondatori della sociologia classica impiegarono approcci notevolmente diversi.

FUNZIONALISMO Per il funzionalismo, la società è un sistema complesso le cui parti cooperano per produrre stabilità . La sociologia dovrebbe indagare le relazioni che le varie parti intrattengono tra loro. I funzionalisti, come Comte e Durkheim, hanno spesso fatto ricorso all’analogia secondo cui la società funzionerebbe come un organismo vivente: le sue componenti lavorano l’una accanto all’altra come le varie parti del corpo, a beneficio della società nel suo complesso. Il funzionalismo mette in risalto l’importanza del consenso morale nella conservazione dell’ordine e della stabilità. Il consenso morale esiste quando la maggior parte degli individui che compongono una società condividono gli stessi valori. I funzionalisti vedono nell’ordine e nell’equilibrio lo stato normale della società, e questo equilibrio sociale è radicato nel consenso morale che unisce i suoi membri. Fino agli anni Sessanta del secolo scorso, il pensiero funzionalista è stato probabilmente la tradizione sociologica prevalente, in particolare negli Stati Uniti. Particolarmente influente è stata la visione del funzionalismo fornita da Merton, che distingueva: 

Le funzioni manifeste sono quelle note e volute dai partecipanti a un tipo determinato di attività sociale;



Le funzioni latenti sono conseguenze di quell’attività delle quali i partecipanti non hanno consapevolezza;

Merton inoltre distingueva tra “funzioni” e disfunzioni. Guardare alle disfunzioni del comportamento sociale significa concentrarsi sugli aspetti della vita sociale che contraddicono l’ordine esistente delle cose.

TEORIE DEL CONFLITTO Come i funzionalisti, i sociologi che si basano sulle teorie del conflitto sottolineano l’importanza delle strutture sociali. Anch’essi propongono un “modello” esplicativo complessivo del funzionamento della società, respingendo però l’accento funzionalista sul consenso, per privilegiare l’importanza delle divisioni sociali, concentrandosi sul tema del potere, della disuguaglianza e del conflitto. Secondo loro, la società è composta da gruppi distinti, ciascuno dedito al proprio interesse, il che comporta la costante

presenza di un conflitto. I teorici del conflitto studiano le tensioni tra gruppi dominanti e svantaggiati, cercando di comprendere come vengono stabilite e mantenute le relazioni di dominio. Marx e gli approcci marxisti sono stati fondamentali per la teoria del conflitto, ma non tutte queste teorie sono di stampo marxista. Il femminismo, ad esempio, è una forma di teoria del conflitto che si concentra sulla disuguaglianza di genere, cioè la situazione di disparità tra uomini e donne che si riscontra nella maggior parte delle società. Secondo alcune teorie femministe, la disuguaglianza di genere è altrettanto o più importante della disuguaglianza di classe. La prospettiva sociologica femminista richiama l’attenzione su questioni che in precedenza i sociologi avevano ignorato. In particolare, le ricerche e le teorie femministe si interessano al livello micro oltre che a quello macro. Le femministe hanno studiato ad esempio la disuguaglianza di genere nelle situazioni domestiche e in altre sfere “private” dell’esistenza, hanno svolto anche ricerche sull’uso di stereotipi e linguaggio di genere nelle interazioni, mettendo a nudo e contestando numerosi assunti “malestream” incorporati nel nostro modo di pensare e descrivere il mondo. Naturalmente le femministe non ignorano neppure il livello macro. La disuguaglianza di genere è radicata in strutture sociali moderne quali il diritto, l’istruzione, l’amministrazione, la politica e molte altre ancora. La ricerca femminista ha inoltre attinto alle statistiche ufficiali e indagato i processi di cambiamento di lungo periodo. La tradizione sociologic...


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