Riassunto Pianificazione Linguistica PDF

Title Riassunto Pianificazione Linguistica
Author Federico dM
Course Scienze politche
Institution Università degli Studi della Tuscia
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LA PIANIFICAZIONE LINGUISTICA La pianificazione linguistica facilita la vita del parlante, per attuarla il pianificatore deve conoscere storia e sociologia della comunità e anche la legislazione. Serve inoltre la collaborazione di amministratori e insegnanti oltre che dei parlanti. Dialetto: nel linguaggio comune si intende una varietà linguistica poco diffusa, locale e con modesta tradizione scritta. I dialetti in realtà sono lingue a tutti gli effetti: hanno una fonetica, una grammatica, un lessico e meccanismi semantici, infatti esprimono gli stessi concetti delle lingue nazionali. La differenza tra lingua e dialetto non è linguistica ma funzionale. Le lingue hanno uno status ufficiale, un riconoscimento sociale che il dialetto non ha. (Es: il catalano è molto più simile alla lingua ufficiale (spagnolo) dello Stato in cui è parlata (Spagna) di quanto non lo sia il lombardo rispetto all'italiano. Però il catalano è una lingua (perché viene considerata tale dai suoi parlanti) mentre il lombardo è solo un dialetto. Altro caso interessante è quello del bulgaro e del macedone che sono quasi identiche ma vengono riconosciute come lingue diverse; mentre il cinese che in realtà comprende otto lingue non intellegibili tra loro (unite solo dalla scrittura) è considerato una lingua sola.

Kloss distingue le lingue per distanziazione = quelle che comprendono varietà linguistiche con struttura interna completamente diversa da ogni altra (es il basco diverso dalle altre lingue romanze) dalle lingue per elaborazione = quelle che per ragioni storiche, politiche e culturali hanno un sistema di autoriferimento diverso da quello delle lingue circostanti (es il nederlandese rispetto al tedesco, o lo slovacco rispetto al ceco).

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Comunità linguistica: questo concetto è stato spiegato secondo quattro diverse tipologie. secondo il presupposto di lingua: per Lyons una comunità linguistica si identifica con tutte le persone che usano una lingua o un dialetto secondo istanze sociali: per Gumperz è un aggregato umano che ha interazione regolare e frequente per mezzo di un insieme condiviso di temi verbali e distinto da aggregati simili per mezzo di differenze significative nell'uso del linguaggio secondo la percezione del parlante: per Fishman le comunità sono tenute insieme dall'intensità di scambi comunicativi e/o dall'integrazione riguardo la competenza comunicativa. Labov compie il passo successivo e fa della percezione del parlante il punto fondamentale dell'esistenza di aggregati basati sulla lingua, infatti per lui la comunità linguistica è formata da un gruppo di parlanti che condivide un insieme di atteggiamenti sociali riguardo alla lingua. altri studiosi ne negano l'esistenza, ad esempio Hudson: per lui non esistono comunità linguistiche nella società se non come prototipi nella mente della gente e quindi la ricerca di tale definizione è insensata (ne ammette l'esistenza come oggetto di pensiero). Ai fini del nostro studio ricordiamo Berruto, per lui una comunità linguistica è formata da tutti parlanti che si considerano utenti della stessa lingua e interagiscano attraverso un repertorio condiviso di segni linguistici e che hanno in comune valori normativi riguardo al linguaggio: essa può coincidere, intersecarsi, includere o essere inclusa con una comunità sociale. Quindi lui evidenzia la considerazione di uso del linguaggio e di volontà dei membri di volere essere una medesima comunità linguistica: ciò che distingue i membri da chi non lo è fatto che i membri non solo condividano informazioni linguistiche ma anche modalità simili di valutazione e interpretazione di comportamenti comunicativi e di un senso di identità della lingua come simbolo di appartenenza a un gruppo.

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Repertorio: per Belluto è l’insieme delle risorse linguistiche possedute dai membri di una comunità. Non è solo la somma algebrica delle varietà di una lingua, comprende rapporti tra esse, le loro gerarchie e norme di utilizzazione”. (Non basta la sola presenza delle varietà dentro una comunità linguistica perché esse siano definite varietà: esempio il repertorio linguistico di Basilea oltre al tedesco letterario usato come lingua scritta esiste il dialetto alemannico (svizzero tedesco) per l’uso orale. Non c’è contraddizione tra i 2 codici, ognuno ha un suo impiego ben preciso, l’impiegato alle poste vi parlerà in alemannico ma vi darà un modulo scritto in tedesco. Le 2 comunità sono distinte non dalla presenza di 2 varietà, ma dall’USO che si fa di queste 2 varietà.)

Rapporto tra codici: diglossia: situazione in cui nella stessa comunità esistano almeno due codici di cui uno sia funzionalmente usato per una varietà alta (H o Lh o acroletto) con il compito di lingua prestigiosa, l'altro per una varietà bassa, usato nei rapporti spontanei oralmente (L o L1 o basiletto). dilalia: situazione in cui la varietà alta può essere usata in tutti gli ambiti sia formali che non, mentre quella bassa è riservata a usi orali e familiari accanto alla varietà alta. (come qui in Italia). bilinguismo: situazione in cui la compresenza di più lingue non ha valori socio funzionali diversi. Funzione del linguaggio: quando parliamo della correlazione tra lingua e identità si deve distinguere tra funzioni comunicative e funzioni simboliche del linguaggio. Per Edwards la funzione comunicativa permette alla lingua di essere un veicolo per lo scambio di informazioni tra persone (è la funzione pratica del linguaggio), mentre la funzione simbolica è quella per cui il linguaggio è simbolo di identità. Di solito queste due funzioni coincidono e nel parlante non si creano frizioni tra uso linguistico e coscienza linguistica; però nelle situazioni di minoranza linguistica il valore comunicativo e quello simbolico divergono. Un abitante di Oxford usa l'inglese e si sente ideologicamente legato a tale lingua, mentre un abitante di Dublino usa l'inglese e si sente ideologicamente legato all’irlandese anche se lo conosce a malapena. Dal punto di vista simbolico possedere diversi codici linguistici non implica che siano portatori di valenze identitarie.

Quindi distinguiamo i sentimenti di identificazione linguistica primari da quelli secondari. i primari sono legati alla propria (micro)varietà di prima socializzazione, come ad esempio il dialetto o la lingua con la quale siamo cresciuti, i secondari sono indotti dalla scuola, dall'educazione o dall'ambiente sociale e sono legati alle lingue nazionali. Di solito normalmente queste due identificazioni non sono contrapposte, sono solo attivate in modo alternativo a seconda della situazione o del contesto e in particolare identificazione primaria è molto stabile, mentre l'altra può variare nel corso della vita di un individuo. Il concetto di Dachsprache o lingua tetto: è una lingua usata in forma innanzitutto scritta (ma anche orale) dotata di un prestigio sociale superiore a quello dei dialetti parlati in quella regione. Si distinguono i tetti omogenetici (come la lingua italiana è al di sopra dei dialetti lombardo, toscano, umbro) dai tetti eterogenici (come la lingua francese standard è il tetto principale dei dialetti germanici del Alsazia e della Lorena). La pratica di una lingua tetto presuppone l'esistenza di un sistema scolastico che ne garantisca l'insegnamento e l'alfabetizzazione. Definizioni La riflessione linguistica sul language planning è una sottodisciplina della sociologia del linguaggio, della sociolinguistica e della linguistica di contatto. Il language planning è sul confine tra situazione linguistica e sociolinguistica. Scientificamente si distinguono le riflessioni sulla pianificazione linguistica dalle azioni politiche-legislative intraprese per incentivare l’uso di una lingua. Vediamo l’esempio dei due ambiti per le definizioni tedesche di Sprachplanungswissenschaft e di Sprachplanung, oppure la terminologia inglese che distingue la language policy e language politics.

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Praticamente con il primo termine tedesco si intende lo studio scientifico della pianificazione linguistica, mentre col primo termine inglese si indicano presupposti ideologico-politici alla base della politica linguistica. In italiano il termine “politica linguistica” comprende un’ampia gamma di attività e non è ambito di lavoro del linguista: infatti si parla di politica linguistica se ci si riferisce alla scelta consapevole degli operatori pubblicitari di usare certi termini, ma soprattutto è politica linguistica l’intervento diretto delle istituzioni nella vita del paese. Per Calvet con “intervento sulle situazioni linguistiche” si intende ogni pratica che cambi la forma delle lingue o l’articolazione tra lingue e rapporti sociali. Distinguendo per livelli la riflessione anglosassone distingue il language revival (insieme di provvedimenti per riportare in uso una lingua non più parlata estensivamente) dal language revitalisation (il tentativo di incrementare lo status e l’uso e aggiungere nuove funzioni ad una lingua minacciata). Il language reversal unisce le due accezioni precedenti, le operazioni di reversing language shift sono invece quelle messe in atto dalla comunità per supportare e dare assistenza a lingue la cui continuità intergenerazionale sta diminuendo. Infine il language renewal è il tentativo di assicurarsi che almeno alcuni membri di un gruppo la cui lingua tradizionale sta pian piano calando nell’uso continuino ad usarla e ne promuovano così l’apprendimento per altri membri del gruppo. Sul piano operativo ricordiamo corpus planning = lavoro sulla lingua in quanto tale (ossia codificazione ortografica, fonetica, morfologica, sintattica) che serve per acquistare mezzi per fare fronte alle funzioni cui la lingua è destinata. Status planning è invece l’apparato normativo e legislativo che supporta la lingua (es. le operazioni di promozione sociale per aumentare il prestigio della lingua che noi nomineremo acquisition planning). Il processo di pianificazione linguistica interviene sui rapporti tra lingua e società, le attività di planning accelerano o ritardano i processi sociolinguistici che potrebbero avvenire comunque in natura. Calvet parla di conduzione della situazione linguistica in vivo e in vitro. In vivo è se i parlanti risolvono naturalmente i problemi di comunicazione; ( per quanto riguarda il corpus planning sono gli adattamenti naturali della lingua alle esigenze della società che cambia, mentre per quanto riguarda lo status planning è l’incremento o la riduzione degli ambiti d’uso dei codici in contatto).

Mentre la conduzione in vitro propone metodologie che intervengono nel senso desiderato dalla comunità (è poi compito degli amministratori trasferire queste proposte nelle situazioni ideali). L’approccio in vivo e quello in vitro sono differenti e conflittuali: sarà difficile imporre a un popolo una lingua nazionale che questo non vuole o che ad es. ritiene un dialetto.

CAP. 2) LINGUA E STATO La lingua è componente essenziale dell’identità e della coesione statale. Tuttavia la sua importanza come fattore di coesione sociale ha una verità non di tipo universale ma di tipo storico. L’ancien regime Nello stato medioevale il marcatore sociale era la religione. Il re era tale per grazia di Dio e esercitava il potere in suo nome; la coesione interna dello stato era garantita dal riconoscimento della legittimazione divina del potere, non da coerenze geografiche o etniche: le regole di comportamento religioso corrispondevano a quelle dello stato. L’unica attenzione tributata al linguaggio era verso il linguaggio di corti e tribunali; scritto e codificato nella lingua della religione (in Europa il latino). Nelle corti si parlavano numerosi idiomi diversi e il re spesso non parlava le lingue presenti nei territori su cui regnava. Non c’erano strutture scolastiche.

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Le poche scuole servivano per preparare chierici e amministratori, ai quali si insegnava solo la grammatica e i testi latini sacri, come seconda lingua dotta interculturale e perlopiù scritta. Tuttavia tra insegnanti e allievi le lingue in uso erano varie: la società medievale era fortemente plurilingue e multietnica (la differenza linguistica era meno importante di quella religiosa in quanto causa di conflitti). Dal momento che nessuna lingua parlata è migliore delle altre tutti gli idiomi possono essere parlati scorrettamente, essendo strumenti tecnici per garantire l’intercomprensione. Il valore simbolico del linguaggio esiste comunque nel campo sociale, ossia il linguaggio è anche nella società dell’ancien regime un marcatore di provenienza e classe: quello che qui importa è che usare una varietà o l’altra è del tutto indifferente nei confronti del rapporto con lo Stato. La lingua dello Stato: dalla Rivoluzione Francese alla caduta del muro 1) Col crollo del sistema ideologico medievale nasce il moderno senso di appartenenza a un gruppo statale attraverso la lingua. L'illuminismo e la rivoluzione francese sanciscono il principio di esistenza di diritti comuni a tutti gli uomini. Il diritto a una confessione religiosa diventa un fatto personale invece che sociale. La nazione ha bisogno di legittimazioni proprie, tra cui una lingua comune. Nazioni diverse sono quelle in cui si parlano lingue diverse. L'Europa nel XIX secolo vede molte riforme ortografiche lessicali soprattutto per gli Stati di recente formazione o per le comunità che si definiscano “nazionali”, segno che la lingua viene percepita come collante della comunità. Tra le tante varietà quella scelta per diventare standard deve imporsi per prestigio economico, quindi spesso è la lingua della borghesia o il linguaggio letterario tradizionale. Si pone il problema di radicare nel popolo questo nuovo strumento di legittimazione statale, la risposta è trovata nella scuola che diviene istituzione capillare centrale e obbligatoria, luogo dove si forma il buon cittadino, che parla la lingua “corretta”. Qui nasce anche il concetto di errore e di norma, la capacità di parlare bene, e nasce anche il “plurilinguismo” inteso come movimento di opinione, chi offende la propria lingua offende il proprio Stato. La scuola sostituisce gradualmente la Chiesa come mezzo per trasmettere il potere e mantenerlo. La lotta per la standardizzazione linguistica vede da un lato la borghesia più conservatrice, (secondo la quale l'unità del linguaggio crea senso di coesione nazionale e idea di ciò che è straniero mentre i dialetti confinati alla periferia geografica rappresentano la frangia contadina), e dall’altro vede la borghesia liberale e rifornita, (che vuole fornire ai contadini la possibilità di partecipare alla vita politica dello Stato attraverso la scuola, consultando le leggi e affrontando il linguaggio burocratico).

2) anche se la maggior parte degli Stati dell'Europa adottò il modello sopra indicato, rimasero altre realtà linguistiche simili allo stato premoderno. Vediamo ad es. Il Regno Unito, che è un regno per il moderno unito dalla persona del monarca: di conseguenza ogni diritto è personale, non si pone il problema di identificazione che la nazione britannica e lingua britannica (e infatti si chiama inglese). L'affermazione dell'inglese o di altre varietà è dovuta non a leggi, ma al prestigio economico. Tuttavia l'affermazione dell'inglese ha portato nell'ultimo dopoguerra un intervento legale a protezione delle lingue periferiche. Il New Welsh Language Act del 1993 ad esempio, è una legge britannica che sancisce sul territorio del Galles la parità di diritti tra inglese e gallese sia in campo amministrativo che educativo (chi vive in Galles può scegliere un’educazione tutta inglese, tutta gallese o bilingue). Mentre il gaelico scozzese gode di un riconoscimento per cui nelle remote regioni dove è ancora parlato, la popolazione ha accesso teorico a scuola e mezzi di informazione (radio, tv, giornali) in questa lingua.

3) altre realtà europee hanno una base giuridica di rapporti tra lingua e stato di tipo postrivoluzionario perché la legittimazione statale e le ragioni della convivenza dei cittadini non sono legate a una lingua condivisa: questo porta alla non uniformità del diritto linguistico ulteriore statale. Vediamo il caso della Confederazione Elvetica: la Svizzera è uno stato federale composto da 26 tra cantoni e semicantoni, e ognuno ha la propria costituzione. Il plurilinguismo è sancito dalla costituzione federale: tedesco, francese, italiano e romancio sono le lingue ufficiali secondo la costituzione! La gestione effettiva delle politiche linguistiche è tuttavia demandata ai singoli cantoni: ne esistono 5 monolingue (1 italiano e 4 francesi), 3 bilingui (francese-tedesco), 1 trilingue (tedesco, italiano e romancio) e i restanti sono monolingui tedeschi.

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All'interno dei cantoni è la lingua dei singoli comuni a essere usata nei rapporti amministrativi, le scuole pubbliche sono monolingui nella lingua ufficiale del comune che appartengano e gli studenti non possono scegliere la lingua dell'istruzione. particolare è caso dei comuni di lingua Romancia, una lingua ormai parlata da pochi parlanti sparsi in famiglie miste. La minoranza, la distribuzione a macchia di leopardo e la disparità di prestigio tra il romancio rispetto al tedesco fa sì che non esistano praticamente più monolingui romanci adulti.

4) vediamo ora un prototipo dei rapporti tra lingua e istituzioni statali in Europa col caso studio del modello francese, per cui uno stato può ammettere una sola lingua. La politica linguistica della Francia si è sempre conformata questo modello (ricordiamo il processo di erosione dei parlari franco-provenzali, catalani, corsi, baschi e bretoni che ebbe luogo dalla metà dell'800 fino alla fine del ventesimo secolo). È solo negli anni 80 che si ha un timido processo di decentralizzazione linguistica: nascono così le “lingue regionali”. Queste sono solo materie di insegnamento facoltative, che il governo cerca di salvare dalla completa scomparsa in un'ottica museale. 5) rimangono esempi di modello nazionale puro in Europa vediamo il caso dell'estremizzazione balcanica in Grecia e Turchia. La Grecia avendo espulso la maggioranza delle popolazioni non greche è diventato un paese etnolinguisticamente compatto. L'uso del greco è previsto in modo globale e monolitico e il governo nega l'esistenza sul territorio di altre lingue con l'unica eccezione di un piccolo numero di scuole musulmane (localizzate in Tracia) la cui esistenza è sancita da trattati internazionali. Anche la Turchia è monolingue sul piano legale ma questo è risultato di un'iniziativa globale di modernizzazione, promozione economica e sociale, di un'occidentalizzazione e di pianificazione linguistica intrapresa da Mustafa Kemal Ataturk. Negli anni 20 tale politica ebbe molti meriti sociali (infatti l'alfabeto turco a base latina è uno degli esempi meglio riusciti di sistema grafico ex-novo) ma questa conquista del monolinguismo fu intransigente e brutale. (La legge del 24 marzo 1924 vietava che scuole e associazioni curde usassero la lingua curda nello scritto, solo nel 2003 pressata dall’UE la Turchia ridusse tali divieti. Trasmissioni radio e tv in lingue diverse del turco sono concesse solo su canali privati e nelle scuole pubbliche non si può insegnare il curdo).

La lingua al servizio dell’ideologia: lo stato socialista Il marxismo reimposta il problema della lingua in modo completamene diverso: si deve staccare il concetto di lingua da quello di nazionalità, ci si deve liberare da questo “nazionalismo borghese”. Questo svincolamento avviene in chiave duplice: da un lato la visione teologica della storia deve portare all’avvento del socialismo e quindi all’evoluzione dell’umanità, dall’altro la rivoluzione Russa ammette e accetta le diversità etnico-linguistiche. Ognuno nella vita quotidiana può usare la lingua che vuole e ha il diritto di essere educato come meglio crede, le varie lingue del popolo diventate ufficiali sono lo strumento per la penetrazione della dottrina rivoluzionaria, un po’ come accadeva nel medioevo. L’ideologia socialista diventa collante sociale e strumento di legittimazione di un nuovo stato plurietnico e plurilingue: lo Stato è composto da più gruppi etnici che convivono pacificamente sotto la guida ideologica della dottrin...


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