Riassunto Piccolo Manuale Di Controeducazione PDF

Title Riassunto Piccolo Manuale Di Controeducazione
Author Silvia Risi
Course Filosofia dell'educazione
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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PICCOLO MANUALE DI CONTROEDUCAZIONE Paolo Mottana Controeducazione come tentativo di pensare, scrivere e sentire altro dalle classiche lezioni accademiche e dagli spazi dell’istituzione. Controeducazione come trasmutazione del libro ordinato, paragrafato, lineare, consequenziale. Controeducazione come reazione al pensiero anoressico che tenta di spianare le asperità. Controeducazione come spinta a rivoltare il sapere, a rovesciare le certezze e i miti presunti della cultura educativa presente. Controeducazione come rovesciamento dell’educazione: non mezzo per lo sfruttamento della carne, ma campo d’esperienza molteplice. Manuale perché alla mano, vicino e lontano al tempo stesso: vicino perché pronto a farsi ascoltare da orecchie e anime sensibili; lontano perché affascinato dal vasto e dall’immenso, dal possibile. BARBARICO INCIPIT: Contagiarsi d’infanzia L’infanzia è stata scippata, sequestrata, reclusa in luoghi senz’aria e senza sbocco, intrappolata prima nella famiglia e poi nella scuola. Il tempo libero – se così si può definire – scandito da palestre, Mcdonald’s, sale giochi. L’infanzia vive nel soffocamento totale, quell’infanzia che dovrebbe essere dischiusa sull’infinito come solo l’animale sa essere ed ora, come l’animale stesso, ingabbiata. Il bambino, come diceva Bachelard, viene reso “oggettivo”, ” lo si prepara alla vita nell’ideale degli uomini inseriti”. Non c’è rapimento o fuga che possano sottrarlo all’infausto destino della sorveglianza e dell’addomesticamento. Sottoposta a vigilanza continua, scrutata dalla lente della totalizzazione psicologica e frugata nei suoi recessi di inafferrabilità, l’infanzia perisce. Di quell’infanzia sporca, sanguinante, fangosa, oggi rimangono solo soldatini, curvi sotto le cartelle e sotto lo sguardo accanito dell’adulto. Insieme spariscono quell’infanzia ancora selvatica e il mondo come spettacolo di congiunzioni inattese. Ora tutto è programmato, calcolato, castigato. E in tutto questo controllo, il bambino può incappare in frammenti di possibile solo per via telematica, servendosi degli strati ancora misteriosi della rete; lì incontra un sostituto dell’esperienza plenaria della strada e del cortile, della cantina e dei campi, però pur sempre un sostituto. Il bambino digita ed esplora, incontra l’altro sotto infinite finzioni degli avatar e dei nickname; può fingersi egli stesso mostro o killer, orco o vittima consenziente. Per quelle ore trascorse inchiodato alla sua postazione simula un’avventura, un gioco non protetto, non eufemizzato. Come liberare i bambini tristi e intrappolati da questo sistema totalizzante? Bambini in cerca d’aria, di odori, di terra nuda e melmosa, di vegetazione ruvida e di alberi a cui arrampicarsi; bimbi da riversare in strada. Bambini sporchi, incrostati di fango e di contusioni rapinate al cemento. Come invertire il flusso che li sequestra al’aperto per rinchiuderli nei luoghi di “insegnamento”? Occorre rifondare la forma della città, ripensarne i flussi, i ritmi, i calendari. Fuori dal mortorio delle lezioni e degli schemi obbligati, l’infanzia ha bisogno del cemento come pista infinita, la terra come letto di zuffe, gli alberi come trampolini per il cielo. Bisogna rovesciare il mondo che non è più di nessuno, nemmeno degli adulti dall’agenda piena e dall’affaccendamento senza orizzonte. Bisognerebbe scambiare le ore di parola con le ore di esperienza, che poi diventa anche parola, immagine e gesto, nell’arena a cerchio e spirale che potrebbe diventare la scuola. INCENDI E BRACI: Una scuola pervertita Controeducazione a scuola significa rovesciarla da capo a fondo; perché la scuola è la tetra e irrecuperabile riproduzione degli istituti di internamento e di ricovero, di cui ricalca perfettamente forme e modi, strutture

e architetture. Nella scuola la gerarchia e la sistematizzazione dei saperi è percepibile tanto nei muri quanto nei testi; libri, registri, lavagne non sono strumenti degni per lubrificare l’esperienza straordinaria di imparare. I ragazzi di tutto avrebbero bisogno fuori che di questa carcerazione preventiva e di questa rettificazione obbligatoria. Alla domanda “a cosa serve la scuola” oggi dovremmo rispondere che essa serve a custodire, manipolare e disciplinare il periodo di maggior potenza fisica vitale, di più vivace spinta creativa e di più inesauribile energia espressivo-affettiva e cognitiva della vita, in funzione strumentale alle esigenze di un sistema oppressivo. La verità della scuola giace nel suo dispositivo profondo, molto meno invisibile di quanto si creda e verificabile nei suoi risultati: generazioni e generazioni di giovani che escono da quel luogo indeboliti fisicamente, condizionati negativamente nel loro immaginario del sapere e anestetizzati o portatori d’odio per ogni forma di cultura. Occorre finirla col voler salvaguardare gli elementi strutturali di un sistema di questa natura, un sistema che incarna una razionalità distruttrice a partire dalle sue mura, monotone e ortogonali, che condiziona ad un’immagine del sapere cupa e detestabile a partire dalle copertine e dagli indici dei suoi manuali, dei suoi libri di testo, in cui il sapere è immolato all’omogeneizzazione, alla classificazione e alla mortificazione sistematica di ogni traccia di vita, di interiorità e di differenza. La scuola è ormai destinata a mutare in maniera decisiva, a frantumarsi, ad essere teatro di molteplici esperienze, che permetta di coltivare esperienze fortemente differenziate, collocate agli incroci del reale. Esperienze capaci di spaziare dal fisico al metafisico, dallo sportivo all’avventuroso, in un’articolazione dello spazio della vita in cui i bambini e ragazzi non debbano per forza essere reclusi e compressi. Occorre valorizzare l’esperienza fuori porta, da vivere come escursione e avventura, come perlustrazione e scoperta; immersione nell’ambiente, cercando i luoghi della battaglia, il vecchio atelier del grande pittore, la camera d’albergo dove moriva lo scrittore. Un’osmosi (l’influenza che elementi o individui contigui esercitano l’uno sull’altro) tra fuori e dentro, dove il dentro però non è necessariamente la scuola. Ogni struttura va ripensata. Una controeducazione che voglia rimettere la realtà nelle sue radici deve abolire questa scuola e sostituirla con una cosa ricca d’anima, affondata nella terra reale, tutta rovesciata sull’esterno e profondamente attraversata dalla differenza. INCENDI E BRACI 2: Sensibili al sesso Il sesso denso, segreto e sinuoso si riduce oggi ad una ginnastica meccanica spigolosa, prosciugata e ostile. Del poco di “educazione sessuale” che circola negli spazi dell’istruzione, spicca l’interpretazione terroristica di una zona d’esperienza fitta di pericoli, d’insidie e di danni irreversibili. Oggi si aggira lo spettro che la sessualità sia sempre troppa, rischiosa e tossica. La società odierna onora una sessualità solo innervata dall’amor puro e dalla genialità perfetta, con qualche concessione alle pratiche oblique ma a patto che soddisfino le condizioni di un piacere diadico (di coppia) e misurato. Niente eccessi, raggruppamenti, deviazioni improprie, niente sorpresa e poca invenzione. Oltretutto la sessualità infantile e adolescenziale è avvolta dal terrorismo, giudicati (gli adolescenti) immaturi per godere della propria carne, per altro prossima e piccante. La nuova cultura sessuale dovrebbe attuarsi attraverso immagini attinte dall’arte erotica, la riscoperta della nudità come esposizione del sacro ma anche come riappropriazione animale, la coltivazione dei profumi e delle leccornie che preparano e accompagnano il godimento. L’utopia è quella di infondere nei giovani corpi indivisi, ancora permeabili, un sapere integro e globale. Una sessualità finalmente diurna e trionfante, solare e affermativa, non sepolta dalle iniziazioni segrete né consumata nell’ombra di un mistero.

Che i partner abbiamo luogo e tempo per dimorare insieme felici di frequente, che il fare l’amore sia pratica quotidiana e coltivata. L’eros deve uscire dal secretum, diffondersi come contagio, come copula (accoppiamento) diffusa, bellezza che si infonde tra le cose, desiderio che fluisce impetuoso e ricettività riconoscente. Il sesso come esperienza collettiva, di cui cibarsi con frequenza e con sapienza, scoprendo e scambiandosi consigli. Non bisogna maleficare il piacere, quanto il suo sfruttamento. Il perseguimento del piacere è copula di vita, che non può andare esente dall’armonico incontrarsi con il piacere di tutte le cose. Il soggetto dell’amore non è l’individuo, ma proprio il mondo che in quel momento si trova celebrato e compresso, corpo a corpo in cui il demone del dominio e dello sfruttamento è provvisoriamente annientato e la visione di una ricomposizione possibile è finalmente in azione. STRALI (frecce) E CONTUMELIE (offese), PARTE I: Prima godere poi faticare I sacerdoti della fatica ancora sentenziano contro l’imparare dal piacere e il piacere d’imparare. Vorrebbero tutti proni a torturarsi in cambio del niente. Secondo loro infatti “ogni cosa è conquistata solo con il sudore”. Ma come ottengo una fatica che non sia sommaria, finta ne di breve respiro, se prima non si è persuaso che è affascinante sapere, che leggere, scrivere, immergersi nell’atmosfera dell’analisi matematica, accende corpo e mente? Posso certo agire sul ricatto, sull’eterno flagello della punizione temuta ma quale guadagno otterrò se non una serie di nozioni mal assimilate perché mal “masticate” ed elaborate? Questo è il frutto dell’imparare per forza, con la fatica senza ricompensa, senza capire quello che si sta facendo. Occorre coltivare la ricerca del sapere ricco, colorato, denso, proposto ancora vivo e palpitante, non mummificato nei testi scolastici; far incontrare il fatto (non il suo residuo secco), l’autore e la sua presenza, magari per immagini in movimento, testimonianze e racconti, pedinamenti e sopralluoghi. Bisogna creare luoghi in cui l’oggetto e i soggetti si tramano in un’interrogazione reciproca, inseguendosi, infondendo ai sussidiari il carisma della narrazione mitica, in un’osmosi tra fuori e dentro, rendendo i muri permeabili, invitando la vita ad entrare, spingendo i ragazzi fuori, con protocolli minimi, solo i sensi accesi, per oggetti che siano ancora viventi, danzanti, in divenire. All’inizio muovere i primi sentori della scoperta verso i legami analogici, le somiglianze che intrecciano gli oggetti del sapere con le pratiche del quotidiano e con gli spazi della produzione di sapere (atelier, laboratori, officine). Poi torcere il filo verso le testimonianze sepolte, da rianimare attraverso il figurale, l’immaginativo. Soffiar via l’aria morta dalle parole con l’incandescenza delle immagine simboliche, pregne e accalorate. C’è bisogno di maestri accesi, di guide prodighe di avventura perché sono ancora anch’esse nell’avventura della “gnosi” (la conoscenza partecipativa che non scinde i sensi). La fatica si fa per passione, non ci si appassiona alla fatica, e chi lo fa forse deve espiare qualcosa. Ma sulle colpe non si costruisce il gusto di sapere. STRALI (frecce) E CONTUMELIE (offese), PARTE II: I livorosi (chi prova astio o rancore) della penna rossa I loro libri li riconosci al primo colpo d’occhio: massicci, lineari, dal colore indefinito e sudicio, senza nessuna immagine, scritti a carattere piccolo, grigi, salmodianti e tetri. Piatti e deduttivi, ogni concetto bonificato da ogni traccia emozionale; parole scorticate e prosaicizzate affinché nulla di troppo ambiguo vi sfugga. Il loro dio è l’utile. I loro titoli sono brevi e anonimi, le loro copertine dissecate come cadaveri preistorici, i loro contenuti raffermi e improbi. Ma essi si vantano proprio di questo: del non aver indulto agli eccessi di spettacolarizzazione, di aver del tutto espunto e diserbato il territorio di ogni traccia di libido che non si quella pia e conserta delle cose concrete e utili. Nessun alleggerimento, ingombrare di inutili e verbose citazioni, azzerare le immagini. Il problema da porsi è come scegliere il grano duro delle loro prose forbite e aristocratiche per alimentare il gusto del sapere, il piacere di conoscere, come appassionare menti e cuori ai noccioli più celati della cultura.

Si vogliono maestri attraenti e ben coltivati, dalle vesti preziose e dal profumo intenso, dai volti sapienti ma non indigenti di appassiona menti,c ari a se stessi e disposti ad amare anche l’altro, con occhi accesi e parole fluenti. Si vogliono libri veri, scritti con desiderio e di esso infusi, accattivanti e avventurosi. Libri con immagini, figure, libri sonori, libri come pasta di terra che mentre li maneggi palpitano e traspirano, ti guardano, ti sorprendono. Libri che nessun accademico di vaglia citerebbe mai, che mai proporrebbe ai suoi studenti di esaminare, perché lo terrorizzerebbe perché capace persino di appassionare ed emozionare. Controeducazione come ribaltamento dell’insegnare: tramite lucidi, teatro, immaginazione attiva e musica, tramite il calore dei corpi in mutua sintonia. INIZIAZIONI E RESTITUZIONI: Elogio della terra La Terra è in via d’estinzione. Anche lei saccheggiata, erosa, contaminata e sfruttata, si assottiglia e si prosciuga, si inaridisce e si polverizza. Ai fini di una controeducaizone occorrerebbe un ultimo sguardo a quel paesaggio che sembrava essere il complemento di un’idea armonica di collocazione e orientazione della dimensione animalumana. Oggi la distruzione è in costante movimento. Non vi è più nessuna sensibilità al desiderio della “grande nitrice”; lo sguardo che il sensibile ancora in ascolto poteva depositare su un altopiano per riconoscere la zolla che desiderasse divenire orto o frutteto, è scomparso. Non più occhi che sappiano vedere dove la terra debba farsi tempio o andare a maggese. Nessuno più che si inchini a interrogare il suolo, ad annusarlo, ad assaggiarlo per sentirne la fragranza e la sapidità. Questo è la prova che per l’uomo d’oggi tutto è possibile: libertà di colare il cemento, saccheggiare e soffocare il suolo in modo che sia definitivo l’oblio del suo essere vivo e animato, corpo che respira, beve e restituisce. Il concetto di “abitare poeticamente il mondo” è andato completamente perso; un’idea di uomo e terra uniti fedelmente l’uno all’altra. Un uomo che sapeva leggere l’anima della terra, la sua vocazione e una terra capace di accogliere e ripagare. Niente di tutto questo. L’uomo del profitto e della ragione si è rigirato contro la sua nutrice e ha rivendicato il suo ruolo di dominatore e presto si è fatto distruttore. Un uomo che pesa la terra e la misura col metro del profitto, pensata solo come oggetto di speculazione e sfruttamento. Educare alla terra significa abitare nella sua materia invisibile, immaginale; salvaguardare la terra oggi significa riassaporarne il potere simbolico, affondare nel tepore delle sue intimità umide e argillose ma anche sperimentarne la durezza. Risperimentare la forza della terra, nella sue resurrezioni immaginali per desiderarla, carezzarla e ripararla. Tornare a terra, alla sua densità, ai suoi colori, ai suoi impasti. Rimetterla a nudo: spezzare la crisalide di cemento, affondare le mani nell’argilla. Occorre il bilanciamento tra l’esperienza scatenata della terra come materia sensibile ed erotica e l’introiezione (processo psichico per cui si tende ad accogliere in sé oggetti o aspetti del mondo esterno, appropriandosi delle rispettive doti o qualità, vere o presunte) delle sue figure esaltate dall’immaginazione. Situarsi nel “reticolo delle forze”, nel tessuto delle corrispondenze di cui la materia è il perno ruotante, diventare terra. STRALI E CONTUMELIE, PARTE III: Saperi lussuosi e dispendio Da molto tempo si vagheggia un’educazione tutta piegata sull’ideologia del fare, del produrre, dell’essere redditizi. Il sapere è esclusivamente appiattito nella forma del problem solving e del know how. Il nostro tempo è spinto sempre più verso una dimensione tecnica e pratica; il suo mito è la professione e i suoi dèi minori sono le competenze e le abilità. Alla subcultura del mercato delle conoscenze mercantili occorre contrapporre la coltivazione generosa del sapere inutile, gratuito, delle conoscenze obsolete ed esotiche. Saperi il cui unico riscatto sta nel piacere di esplorare, nell’avventura di approfondire e di sorprendersi. Una cultura radicalmente estetica, finalizzata al lussuoso piacere di sapere; la cultura come viaggio nelle zone intermedie del sapere.

La dedizione assoluta verso ciò che non reca alcun guadagno monetario ma abbellisce e nutre, arricchisce e risveglia, sarebbe una manovra controeducativa radicale e decisiva, il perno attorno cui far ruotare il progetto disinteressato di un’umanità redenta perché concentrata solo sulla salvaguardia e sull’incremento del proprio modo di restituire al mondo ciò che dal mondo proviene. Un sapere per tutti e per nessuno, poetico, sufficientemente distante, ma anche lussuoso e trasgressivo, da essere finalmente sottratto al compito che ormai gli è assegnato di sostenere come servomeccanismo qualche improbabile causa di progresso. Questo sapere è quello che una controeducazione che si rispetti anzitutto ha il dovere di riscoprire, custodire, nutrire, esplorare, diffondere. INIZIAZIONI E RESTITUZIONI 2: Il potere della musica C’è una materia magica e sorprendente che fatica ad assumere il rango che merita nell’educazione: la materia sonora, materia che sussiste ben oltre ogni demarcazione disciplinare. Perché la musica si annida ovunque. La musica è conturbante e sconvolge il corpo, lo mobilita, lo agita, lo accende e lo percuote. Non si può star fermi se c’è musica; ma anche quando si sta fermi, nell’ascoltare, il nostro corpo è altrove, è sedotto, traslocato, posseduto. La musica è una faccenda erotica, corporea, magmatica. Ecco perché l’educazione la tiene a distanza o la immobilizza in un breviario di posture assegnate. La musica non è solo faccenda di orecchie, la musica tocca e percuote la pelle. Contro educazione significa restituire musica agli ambienti dove si dà forma e si prende forma o si decostruisce la propria forma perché risorga una pluralità vivente. Musica non solo come sfondo sonoro ma come soggetto, presenza inquieta che chiama e che assorbe. Musica come stratificazione di rappresentazioni fisiche del mondo, voce delle cose, espansione e trasgressione dei confini. La musica restituita dall’uomo alle cose è sempre e comunque un tentativo di rifare il mondo, di ritesserlo, di rinviarlo nella pelle e nella carne di una materia invisibile. È un incontro da cui non si esce mai uguali come ineguali si riemerge da un tuffo nelle profondità, da un’ispezione speleologica. La musica invade senza lasciare scampo. La musica è eccitante e seducente, non per niente filosofi e catechisti l’hanno sempre temuta. Propone un’esperienza violenta e dionisiaca del mondo, è potere della materia sulla materia e incontro serrato di corpi, i corpi del suono, del danzatore e dell’ascoltatore. La musica è eco del mondo, restituzione, modulazione e rigenerazione. Con l’affondo nella sonorità delle cose, con l’acquisizione della profondità e del rumore, ritroviamo una proliferazione di esperienze acustiche capaci di reimmergerci nel mondo come organismo; un mondo finalmente dotato di un’autonoma potenza espressivi e non più addomesticato dalla presunzione linguistica dell’uomo. La musica è voce di questo mondo restituito a sé e alle sue infinite forme di manifestazione corporea, sonora, plastica, carnale. Di essa ogni pratica educativa si deve preoccupare. ABISSI: L’ossessione di riparare L’educatore è sempre animato dalle migliori intenzioni, spesso a sua insaputa. È un guaritore ferito che si prodiga a prosciugare la palude del male; egli stesso colpito, fratturato, spesso torturato dal qualche colpa oscura, cerca di salvarsi dal mondo. Il suo sogno è quello di regalare un sorriso e per farlo si insedia dove davvero brulica e si presentifica il volto nero del mondo: gli sbilenchi, i tardivi, i perduti e qui presta opera e dà conforto. Gli educatori sono questi esseri sacrificali, figure dell’ospitalità estrema, della testimonianza e della cura. Hanno capito che solo il catrame secerne oro. I benpensanti direbbero che noi siamo come loro (storpi, pazzi, barboni) proprio perché non siamo come loro; stando con loro mi assicuro di non essere come loro, tengo a bada il dubbio, certifico il mio essere san...


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