Riassunto \"manuale di psicopatologia e psicodiagnostica\" Sanavio PDF

Title Riassunto \"manuale di psicopatologia e psicodiagnostica\" Sanavio
Author Irene Borri
Course Elementi di psicopatologia
Institution Università degli Studi di Firenze
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Summary

E I SUOI DISTURBI Con la pubblicazione del il termine viene abbandonato e venne introdotta ufficialmente la classe diagnostica dei disturbi Paura e ansia non sono intrinsecamente patologia, ma sono meccanismi adattivi utili per il normale sviluppo psicologico dei singoli individui e per la sopravviv...


Description

L’ANSIA E I SUOI DISTURBI Con la pubblicazione del DSM-III, il termine “nevrosi” viene abbandonato e venne introdotta ufficialmente la classe diagnostica dei disturbi d'ansia. Paura e ansia non sono intrinsecamente patologia, ma sono meccanismi adattivi utili per il normale sviluppo psicologico dei singoli individui e per la sopravvivenza della specie. A determinare un disturbo d'ansia è il fatto di non riuscire a superare ansia e paura: l'ansia diventa patologica quando è intensa e persiste nel tempo. Cattell distingue tra due diverse accezioni che può avere il termine ansia: ansia di stato e ansia di tratto. L'ansia di stato fa riferimento ad uno stato transitorio emozionale o come condizione dell'organismo; l'ansia di tratto è una disposizione dell'individuo. Preoccupazione e rimuginio mentale Preoccupazione pone l'accento sul contenuto di cui ci si preoccupa, è l'attività in sé, l'affollarsi alla mente di pensieri e il preoccuparsi in quanto tale. Di per sé, la preoccupazione è un meccanismo adattivo: facilita la focalizzazione dell'attenzione sul pericolo. La preoccupazione è disadattiva quando è eccessiva rispetto al pericolo o quando riguarda problemi che non hanno soluzione. La differenza tra preoccupazione patologica e non patologica non è qualitativa, ma è puramente quantitativa e risiede nella frequenza, nell'intensità e nel grado di incontrollabilità del fenomeno. Wells, ha distinto tra preoccupazione di primo e di secondo tipo; sono di primo tipo le preoccupazioni connesse ai tanti problemi ordinari e straordinari, le preoccupazioni di secondo tipo riguardano il fatto di avere tra le proprie preoccupazioni proprio il fatto stesso di preoccuparsi troppo (metapreoccupazioni). Nei pazienti con disturbi d'ansia si osservano tre fenomeni: 1. Presentano uno spostamento dell'attenzione verso stimoli minacciosi; 2. Richiamano con maggior facilità ricordi di eventi minacciosi; 3. In presenza di stimoli ambigui, tendono a fornire interpretazioni minacciose. Intolleranza dell'incertezza Una variabile fondamentale sembra essere costituita dalla presenza di diversi gradi di intolleranza dell'incertezza tra le persone. Si definisce l'intolleranza per l'incertezza come una propensione a reagire negativamente a circostanze incerte, sia in pensieri che in comportamenti. Sono due le componenti che la costituiscono: una parte prospettica che consiste nell'innestare un processo di preoccupazione; una seconda componente è detta inibitoria, che si trasforma in inibizione e esitazione nel comportamento. L'intolleranza per l'incertezza è associata a tutti i disturbi d'ansia. Disturbo d'ansia generalizzata Il nucleo del disturbo d'ansia generalizzata sono le occupazioni ansiose croniche che vanno però associate ad almeno un minimo di tre sintomi psicofisiologici: 1. Ansia e preoccupazioni eccessive, che si manifestano nella maggior parte dei giorni per almeno 6 mesi; 2. L'individuo ha difficoltà a controllare la preoccupazione; 3. Ansia e preoccupazione sono associate a tre o più sintomi, come per esempio facile affaticamento, difficoltà a concentrarsi, irritabilità, tensione muscolare. Le caratteristiche cognitive ed emotive principali si ritrovano già a partire dalla prima età adulta, a volte anche dall'infanzia. Diventa per questo fondamentale l'analisi dell'itinerario di vita. La comorbilità è elevata e la diagnosi differenziale

non è semplice, infatti i sintomi principali sono comuni ad altri disturbi d'ansia. Paura La paura è la risposta emotiva ad una minaccia presente, è una delle emozioni fondamentali, sulle quali si è costruita la sopravvivenza della nostra specie. La paura produce espressioni mimiche che sono riconosciute dalle popolazioni di ogni parte del mondo essendo primitive. La paura è uno stato transitorio dell'organismo che rimane per tutto il tempo in cui il pericolo è presente e si risolve spontaneamente. Alla pari dell'ansia, è un fenomeno normale e adattivo. La funzione adattiva della paura è duplice: in primo luogo, protegge l'incolumità e la sopravvivenza degli individui, in secondo luogo predispone l'organismo a fuga o attacco. Disgusto il disgusto è una delle emozioni fondamentali in quanto dà anche luogo a espressioni facciali che sono universalmente riconosciute. Lo stato soggettivo è descritto come un senso di repulsione. In più si hanno chiare manifestazioni fisiologiche come la nausea e il vomito. Questo perché è un meccanismo elementare di utilità biologica. Tutte le reazioni di disgusto, sono prodotto di apprendimento che può avvenire per esperienza diretta o per trasmissione culturale. La maggior parte delle reazioni di disgusto si instaura tra i 2 e i 12 anni. Gli stimoli più comunemente oggetto di disgusto si riconducono a due tipologie: 1. Forme animali associate alla putrefazione del cibo, soprattutto nella carne; 2. Secrezione del corpo estraneo. Il significato evolutivo è la tendenza a evitare la trasmissione di malattie per contatto. Fobie specifiche Le etichette diagnostiche delle fobie si sono ridotte a tre: agorafobia, fobia sociale e fobie specifiche. Le prime due sono “fobie complesse”, perché includono una pluralità più o meno vasta e stimoli e situazioni temute, mentre le fobie specifiche sono invece fobie semplici che riguardano un solo stimolo o situazione specifica e circoscritta. Una fobia specifica non è altro che una paura e può dunque riguardare qualsiasi cosa e qualsiasi situazione. Una fobia non è semplicemente una paura di grado molto elevato. Una fobia è una paura con una serie di caratteristiche e una serie di conseguenze sufficientemente devastanti da dover essere considerata un disturbo mentale. È una paura sproporzionata o addirittura irrazionale; l'aspetto devastante di una fobia è l'evitamento. Tra i criteri diagnostici del DSM-5 troviamo: paura o ansia marcate verso un oggetto o situazione specifici, paura o ansia sono sproporzionate rispetto al reale pericolo, la situazione o l'oggetto fobici provocano quasi sempre immediata paura o ansia. La modalità più semplice e collaudata per identificare il nucleo presunto di una fobia è la scomposizione dello stimolo (esempio, fobia dei cani, razze diverse, taglie diverse). Il secondo elemento cruciale dell'indagine psicologica riguarda gli evitamenti e la loro storia. La valutazione psicodiagnostica è spesso collegata a un trattamento; nella maggior parte dei casi di fobie specifiche si hanno situazioni-stimolo semplici e concrete, proponendo il così detto test "avvicinamento-allontanamento". Attacchi di panico In psicopatologia, il termine panico fa la sua comparsa ufficiale nel 1980 con il DSM-III. Un attacco di panico è un attacco, cioè qualcosa che occupa un periodo di tempo preciso e circoscritto. È la comparsa improvvisa di intensa paura che sopravviene sia a partire da uno stato di tranquillità sia a partire da

uno stato d'ansia. Raggiunge il suo picco nell'arco di pochi minuti; in questo arco di tempo si presentano una pluralità di sintomi, tutti in maniera molto intensa, tra cui palpitazioni o tachicardia, sudorazione, tremori, sensazione di soffocamento, dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali, brividi o vampate di calore, paura di morire. L'elenco delle situazioni-stimolo che possono innescare un attacco di panico è sterminato: bruschi cambiamenti posturali, stanchezza, sforzo intenso, improvviso rilassamento indesiderato, iperventilazione. Disturbo di panico Avere attacchi di panico non significa avere un disturbo di panico. Un attacco di panico sporadico è un'esperienza comune. I criteri diagnostici DSM-5 del disturbo di panico sono ad esempio: A. Presenza di attacchi di panico ricorrenti e inaspettati; B. Almeno uno degli attacchi è stato seguito per almeno un mese da una delle seguenti manifestazioni, persistente ansia anticipatoria, alterazione della propria routine; C. Gli attacchi non sono attribuibili a una droga, farmaco, o malattia fisica; D. Gli attacchi non sono meglio spiegabili da un altro disturbo mentale. Si è soliti distinguere tre fasi nell'evoluzione di un disturbo di panico: un primo periodo in cui compaiono alcuni attacchi inaspettati vissuti con crescente paura; una seconda fase in cui si sviluppa ansia anticipatoria; una terza fase nella quale si sviluppano evitamenti, che pongono limitazioni significative all'autonomia e alla qualità di vita. Nei primi anni 60, un farmacologo, Donald Klein, scoprì quasi per caso che un farmaco psicotico da poco scoperto ed efficace nella depressione, l'IMIPRAMINA, poteva bloccare gli attacchi di panico. L'azione dell'imipramina sarebbe quella di abbassare la soglia d'allarme. Le ricerche degli ultimi decenni indicano la presenza di fattori di vulnerabilità di natura biologica e cognitiva, che si manifesta in un'attenzione selettiva per i rumori del corpo, le sensazioni somatiche e le loro variazioni. Secondo il modello di Clark, i primi attacchi potrebbero essere di natura varia e casuale, ma per arrivare ad un disturbo di panico servono alcune condizioni, in particolare si deve innestare un circolo vizioso: il continuo e eccessivo monitoraggio dei dati provenienti dal proprio corpo, favorisce uno stato di apprensione per la minaccia incombente che si verifichi un attacco. L'innalzamento del livello d'ansia intrappola l'individuo in un circolo vizioso in cui i sintomi dell'attivazione confermano l'aspettativa di un attacco imminente. A porre fine a questo stato d'ansia intervengono comportamenti di evitamento. La tipologia degli attacchi di panico è varia. È possibile sottoporre il paziente a prove di induzione (spiegate a pag.83) o chiedere di tenere un diario di auto monitoraggio. In secondo luogo, si dovrebbe cercare di individuare eventuali regolarità nelle situazioni in cui si sono presentati gli attacchi. Va inoltre esplorata con attenzione la condizione psicologica del paziente all'epoca dei primi attacchi. L'esame dovrà concentrarsi sulle possibili complicanze che possono essere due: intensità dell'ansia anticipatoria e ampiezza degli evitamenti. Agorafobia L’agorafobia non ha carattere adattivo nella storia evolutiva dei nostri antenati. Il recente DSM-5 ha bisogno di diversi criteri per definire l’agorafobia. In primo luogo, presenza di paura in due o più delle situazioni seguenti, ad esempio utilizzo dei mezzi pubblici, trovarsi in spazi aperti, trovarsi in spazi chiusi. Un

secondo criterio fa riferimento al pensiero dell’individuo che teme ed evita le situazioni sopraddette. Un terzo requisito è che la situazione agorafobia provochi paura quasi sempre: non può essere chiamata agorafobia una paura che a volte si presenta e a volte no. Il quarto criterio riguarda gli evitamenti; la persona modifica le proprie abitudini e si comporta intenzionalmente in modo da non ritrovarsi nelle situazioni temute. Un quinto requisito è che la paura sia sproporzionata rispetto al reale pericolo insito nella situazione temuta. Un sesto criterio indica una durata minima di sei mesi. È necessario escludere che i sintomi siano dovuti a malattie fisiche o ad altri di disturbi mentali. È buona prassi costruire la cosiddetta “mappa di autonomia”. Disturbo d’ansia sociale (fobia sociale) La fobia sociale raccoglie assieme un’ampia gamma di fobie, per esempio la paura di una critica e di un giudizio negativo. Tali paure coinvolgono parte più o meno grande della vita sociale. La gravità del disturbo può essere molto variabile per esempio può compromettere la costruzione di relazioni e in generale tutta la vita sociale. Altre volte invece si tratta di situazioni circoscritte, esempio la paura di un esame ecc… I criteri diagnostici del DSM-5 sono i medesimi delle altre fobie. Nel caso in cui l’ansia sia limitata ad una determinata e specifica situazione è richiesto di indicarlo usando la specificazione “legata solo alla performance”. Un caso diverso è il disturbo evitante di personalità, che è diverso dalla fobia sociale. La differenza che si coglie più facilmente è legata al carattere estremo, rigido e pervasivo delle convinzioni. L’esame psicodiagnostico dovrebbe cercare di identificare le competenze sociali presenti e quelle deficitarie, ricorrendo a l’osservazione diretta o al role-playing. Molto utile è anche il ricorso a procedure e schede di auto monitoraggio. Le ipotesi eziologiche possono essere varie: situazioni di carenze nell’acquisizione delle comuni competenze interpersonali nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza, incontro di molteplici frustrazioni degli approcci sociali, incontro di eventi che hanno prodotto un grave fenomeno di inibizione; oppure più comunemente dipende dai livelli di aspettative l’individuo cioè effetto costante e severo monitoraggio delle proprie prestazioni. Mutismo selettivo Si tratta di una forma di fobia sociale legata alla prestazione, di tipo molto circoscritto. La definizione è:” costante incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche in cui ci si aspetti che si parli, nonostante si sia in grado di parlare in altre situazioni. Disturbo d’ansia di separazione Questo tipo di disturbo è tipico dell’infanzia, ma si può presentare anche nell’adolescenza e in età successive. Un livello di ansia a separazione è fisiologico, ma livelli eccessivi compromettono pesantemente lo sviluppo: i bambini non riescono a separarsi da casa e dai familiari, limitando le proprie possibilità di esplorazione, socializzazione e di crescita. Esame psicodiagnostico dedica molto spazio alla qualità delle relazioni familiari; sono invece di limitata utilità il colloquio e questionari. È opportuno dunque basarsi su periodi di monitoraggio sistematico. OSSESSIONI, COMPULSIONI E DISTURBI CORRELATI Negli ultimi decenni del novecento, i due principali sistemi di diagnostici, DSM e ICD, rubricavano il disturbo ossessivo-compulsivo nella sezione dei disturbi d’ansia. Solo con il recente DSM-5, questo disturbo ha avuto una sezione a sé, denominata disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi correlati.

Ossessioni Esistono molte forme di pensiero con caratteri intrusivi, ripetitivi e disturbanti che non sono ossessioni. L’esperienza di pensieri intrusivi è comunissima: pressoché tutti hanno esperienza di pensieri indesiderati, che irrompono nella mente della mente, interrompendo per qualche attimo il flusso principale del pensiero. Le ossessioni dunque non differiscono da pensieri intrusivi comuni per forma e contenuto, ma solo per aspetti quantitativi: frequenza, durata, intensità, conseguenze pratiche. Le ossessioni non sono di per sé indici di un disturbo mentale. Nel DSM-5, le ossessioni sono così definite: pensieri, impulsi o immagini persistenti, vissuti come indesiderati e causa di ansia o di disagio; il soggetto tenta di ignorare o sopprimere tali pensieri, a volte mettendo in atto una compulsione. Si tratta dunque di pensieri o immagini mentali. Per arrivare a parlare di ossessione, non basta la presenza ricorrente di pensieri, impulsi o immagini. Nell’ossessione vi è anche una lotta accanita contro questi pensieri, impulsi o immagini. In base al livello di insight, è stata fornita una classificazione a tre termini:  Insight buono o sufficiente, quando l’individuo riconosce che convinzioni del disturbo ossessivo-compulsivo sono probabilmente non vere;  Insight scarso, quando l’individuo pensa che le sue convinzioni siano probabilmente vere;  Insight assente/convinzioni deliranti, quando l’individuo assolutamente sicuro che le sue convinzioni siano vere. Compulsioni Un altro modo per lottare contro un’ossessione è mettere in pratica un’azione che in qualche modo sembra di poter “neutralizzare” l’ossessione. Per compulsione si intende comportamenti ripetitivi o azioni mentali che il soggetto si sente obbligato a mettere in atto in risposta a un’ossessione; i comportamenti o azioni mentali sono volti a prevenire o ridurre l’ansia o il disagio o a prevenire alcuni eventi o situazioni temuti; questi sono chiaramente eccessivi e non sono collegati in modo realistico con ciò che dovrebbero prevenire o neutralizzare. Inoltre due casi su tre le ossessioni sono accompagnate da compulsioni. Le composizioni nascono in risposta a un’ossessione, ma con gli anni acquisiscono una sorta di autonomia funzionale. Disturbo ossessivo-compulsivo Per parlare di un disturbo ossessivo-compulsivo non basta la presenza di ossessioni e compulsioni: serve che causino di disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale. Prime per diffusione vengono ossessioni e compulsioni di controllo (checking): esempio, prima di uscire di casa di, l’individuo deve controllare ripetutamente che siano ben chiusi rubinetti e interruttori. Controlli eseguiti secondo procedure fisse e rigorosamente ritualizzate possono essere denominati “rituali” o “cerimoniali ossessivi”. Una seconda grande tipologia è indicata con washing/cleaning. Compulsioni collegate comprendono il lavarsi a lungo e di frequente e operazioni di pulizia più o meno elaborate. Meno comuni sono i disturbi legati all’ordine e alla simmetria. Vi sono poi o ossessioni senza compulsioni: spesso si tratta di dubbi esasperanti. Il contenuto di alcune ossessioni compulsioni può provocare imbarazzo: questo non invoglia la persona a chiedere aiuto specialistico. E s’essenziale è il colloquio clinico, che può essere perfezionato con la tenuta di diari di auto osservazione, dove annotare il contenuto dell’ossessione, la frequenza, la durata e l’intensità. Importante è un’accurata anamnesi familiare. Per le

principali compulsioni è fondamentale un’osservazione diretta. Alcuni test psicologici che possono diagnosticare in primo luogo una forma di disturbo ossessivo-compulsivo sono:  L’MMPI  Padua Inventory  Obsessive-Compulsive Inventory Fare una diagnosi di disturbo ossessivo-compulsivo non è particolarmente complicato e l’auto diagnosi dei pazienti spesso corretta. La principale confusione è stata tra il disturbo ossessivo-compulsivo e il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità, tanto che i due costrutti venivano spesso confusi. La maggior parte dei pazienti sofferenti dell’uno non presenta le caratteristiche dell’altro disturbo. Innanzitutto, il disturbo ossessivocompulsivo di personalità è ovviamente un disturbo di personalità: ci si riferisce a pattern disadattivi di personalità, cioè a caratteristiche individuali che modulano sia l’esperienza interiore sia il comportamento. Le caratteristiche specifiche del disturbo ossessivo-compulsivo di personalità sono: la preoccupazione per l’ordine, il perfezionismo, il bisogno di controllo mentale e interpersonale, alle spese di apertura mentale, flessibilità e l’efficienza in svariati contesti. I criteri per diagnosticare un disturbo ossessivo-compulsivo di personalità sono, ad esempio, preoccupazione per i dettagli, le regole, le liste, l’ordine, eccessiva scrupolosità e intransigenza, ecc… Disturbo di dismorfismo corporeo Tra le fobie, una popolare è la dismorfofobia. L’inclusione nello spettro ossessivo è data dal DSM-5. I criteri diagnostici attuali sono i seguenti: preoccupazione per uno o più difetti nell’aspetto fisico, l’individuo mette in atto comportamenti ripetitivi. Le parti del corpo più frequentemente considerate difettose sono nel volto, seguiti da organi genitali, seno. Capita soprattutto nei maschi, che la preoccupazione sia rivolta verso la propria costituzione corporea in generale. Preoccupazioni legate al proprio aspetto fisico costituiscono un forte e diffuso problema nel corso dello sviluppo adolescenziale e della crescita (età di insorgenza più comune è 12 13 anni). Qui si parla di un vero e proprio disturbo mentale. È improbabile che il paziente sia collaborativo: ai suoi occhi, il problema è fisico e la soluzione è soltanto medico chirurgica. Il clinico dovrà valutare il livello d’insight e classificarlo secondo i tre livelli:  buono o sufficiente, quando il paziente riconosce che le convinzioni le relative ai propri difetti fisici potrebbero non essere vere;  scarso, nel caso in cui l’individuo ritiene che le proprie convinzioni siano più probabilmente vere;  assente, quando il paziente ritiene le sue convinzioni assolutamente vere (convinzioni deliranti si riscontrano nel 30% dei casi). È fondamentale indagare la qualità della vita e le potenziali comorbilità, così come la vita sociale. Nella stragrande maggioranza dei casi, è presente ideazione suicidaria e il tasso di tentativi di suicidio sfiora...


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