Riassunto pratiche educative nei servizi per l\'infanzia PDF

Title Riassunto pratiche educative nei servizi per l\'infanzia
Course Pedagogia dell'infanzia
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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PRATICHE EDUCATIVE NEI SERVIZI PER L’INFANZIA PARTE PRIMA: TEMI, QUESTIONI, ESPERIENZE 1. IL SAPERE PRATICO PRATICA non è applicazione della teoria, ma è una dimensione autonoma che si svolge NEL tempo e SUL tempo  differente dalla teoria che è atemporale e astratta. Il sapere pratico permette di vedere in anticipo nel presente, in profondità; la pratica non è esplicabile, nel momento in cui si racconta è già lontana e conclusa (Bourdieu), non si può scoprire se non agendola.  - valorizzare la pratica nella sua specificità = non contrapposta alla teoria ma diversa! - comprendere la pratica a partire da essa stessa, non da un precedente discorso teorico che viene applicato Il sapere è costruito nella pratica  Scribner: il pensiero prende forma non in processi astratti ma nell’attuazione di compiti e pratiche. In ogni situazione specifica c’è un ATTO PROFESSIONALE CREATIVO, individualizzato, ma l’educatore non parte da zero, rimodula le possibilità d’azione conosciute. Assume una POSTURA PROFESSIONALE e interviene nell’EQUILIBRIO RELAZIONALE DIADICO (bambino-adulto di riferimento) per aprirlo alla triade bambino-adulto di riferimentoeducatore.  non basta il sapere teorico, entra in gioco il pensiero pratico e l’esperienza professionale. La pratica è trasformativa (da una realtà ad un’altra, ma anche dell’operatore stesso). Esiste uno spazio di progettazione delle pratiche: in un gruppo professionale vengono esplicitate per renderle patrimonio culturale comune. Schon  PROFESSIONISTA RIFLESSIVO, l’azione e il pensiero convivono e si arricchiscono reciprocamente. In una situazione problematica riconosce il problema, che può essere interpretato in molto modi, la decodifica del problema non può essere neutra, ma legata ai valori professionali e culturali del professionista  lenti interpretative con cui dare senso alla realtà. CONOSCENZA RIFLESSIVA PRATICA: aspetti complessi e multidimensionali, esperienza pregressa, casi esemplari. Dewey  il pensiero si sviluppa da una situazione di incertezza, da un mutamento improvviso e inedito. La complessità dei fenomeni e delle novità richiede una presa di distanza. Schon: Non è facile accostarsi a oggetti confusi e intricati, prendere contatto diretto serve ad aprire nuove possibilità, la “pratica esperta” non si fonda su una precedente operazione intellettuale  CONVERSAZIONE RIFLESSIVA CON LA SITUAZIONE = pensiero e azione si sviluppano in una circolarità virtuosa: - la riflessione pensa l’azione a posteriori - la riflessione è nel dialogo con l’oggetto in azione, che non è meccanica, ma deriva dalla modulazione di più visioni  pensare a ciò che si fa mentre lo si fa Mortari: “FARE PENSOSO” = pratica riflessiva per cogliere il senso dell’esperienza, se non c’è pratica riflessiva non c’è esperienza.

Pratiche = espressione consapevole o implicita della cultura professionale; hanno una dimensione sovra-individuale, creano coesione in un gruppo rendendolo una “comunità di pratiche”  comunità di professionisti con un’identità in un servizio. Attraverso la condivisione delle pratiche e il confronto aperto si aumenta la coesione e si colmano distanze professionali che genererebbero stagnazione e isolamento. Pratica è “artefatto culturale”. È nell’azione che si genera e si forma la conoscenza, nelle pratiche di lavoro si conosce e impara la cultura professionale  PRATICA – TEORIA – PRATICA. APPRENDIMENTO = sviluppo di conoscenze in situazione  Bruner Due figure: una esperta e una meno; il tutor offre un’impalcatura attuando diverse funzioni al fine di rendere possibile il compito: 1. Richiama l’attenzione 2. Riduce la complessità 3. Orienta l’attività 4. Segnala elementi rilevanti 5. Contiene l’eventuale frustrazione 6. Ha funzione dimostrativa  Esempio tirocinio: una persona con un ruolo autorevole aiuta chi è inesperto a costruire pratiche lavorative. Formazione = comprendere pratiche e processi, qualificare il lavoro e sostenere lo sviluppo e il consolidamento delle pratiche professionali SCHEMA = dimensione concettuale invariante ma flessibile che struttura l’intervento professionale e pratico  è essenziale far riferimento a schemi d’azione, ma questi non possono essere fissi e statici, devono essere adattati alle singole situazioni; un sistema di schemi d’azione è la competenza chiave. In un lavoro come quello educativo studiare le pratiche implica un’immersione in profondità, ma i saperi per leggere la pratica devono essere costruiti da coloro che conoscono direttamente la pratica professionale. Rivestono importanza sia i significati individuali sia l’universo culturale più ampio. Nel lavoro troviamo distinzione tra compito prescritto e lavoro effettivamente svolto: l’esecuzione non è mai solo svolgere un compito, non è pura ripetizione, ha una dinamica e una storia relazionale unica  per comprendere le pratiche si studia il lavoro reale! Su di esso è bene confrontarsi nel gruppo attuandone una lettura critica che sappia “dire la pratica”. Studiare la pratica implica allontanarsi da essa, prenderne le distanze esplicitandola, per poi ri-accostarsi e comprenderla.

2. FORMARE NELLA RPATICA Affrontare un problema educativo = pensiero astratto + pensiero pratico-teorico con connessioni dinamiche tra i due. Né tecnicismi né astrazioni autoreferenziali. La conoscenza si costruisce nell’interazione interpersonale, nella connessione tra le dinamiche della vita organizzativa e gli apprendimenti situati emerge l’importanza della comunità. Lì convivono una pluralità di visioni e prospettive che vanno a definire il pensiero del singolo.  realtà complesse!

Weick: “LEGAME DEBOLE” = interconnessione non meccanica o deterministica che esiste in un flusso di comportamenti con i precedenti e i conseguenti, i quali non sono connessi da un rapporto di causa-effetto. PRINCIPIO DI RECIPROCITA’ RELAZIONALE = vita relazionale e organizzativa è un gioco di intrecci in cui è difficile identificare il “punto zero”, un inizio e una fine. Un’organizzazione è un sistema che evolve, e involve, nelle pratiche culturali attuate dagli individui, non è mai omogenea e fissa, ma vive di scambi, conflitti e soluzioni. Wenger: le organizzazioni sono “strutture sociali finalizzate alla pratica”, realizzano l’apprendimento nel fare e nel pensare mentre si è al lavoro, non nell’attuare prescrizioni, c’è un coinvolgimento diretto della persona. Sfida attuale = definire e co-costruire ipotesi di intervento mirato che sia sintonizzato con le pratiche educative già in atto e che porti linee di cambiamento praticabili. Centralità dell’esperienza lavorativa diretta, che è essa stessa l’oggetto principale di analisi del formatore che si sposta dall’aula al campo attivando dinamiche di tutoring. Lavorare è conoscere, non solo applicare conoscenze, si partecipa e si condividono pratiche che vanno dall’apprendimento spontaneo a quello strutturato. Il formatore esterno interviene cercando di ricreare le condizioni naturali per poi attuare in esse forme di apprendimento guidato. Il tutor non dà schemi d’azione ma fa in modo che l’operatore veda il suo posizionamento abituale davanti ai problemi, poi introduce domande, perturbazioni per attivare una visione critica ed esplicitare gli schemi d’azione.  la PERTURBAZIONE decostruisce i modelli di riferimento, genera spaesamento e quindi una RIORGANIZZAZIONE della mentalità professionale che porta all’impegno verso NUOVE STRATEGIE e assetti di intervento. Formazione  RIFLESSIVA, perturbazione a posteriori con la parola (riflettere su pratiche)  PRATICA, perturbazione nell’azione sul campo (sperimentare pratiche) NB: nella formazione pratica non è assente la dimensione riflessiva, ma cambia il suo posizionamento, la riflessione si pratica sulle pratiche in corso e porta a nuove pratiche (pratica-teoria-pratica). Il percorso di formazione inizia molto prima del primo incontro, già con i primi contatti, i coordinatori e l’equipe dirigenziale, il formatore incontra qui elementi organizzativi importanti del servizio e inizia a dare forma al nucleo tematico e metodologico  lettura dei bisogni formativi, far emergere le connessioni tra pratiche e cultura; non si può fare solo con il coordinatore, che esprime un punto di vista, una lettura parziale, ma nei contatti iniziali il rapporto formatore/coordinatore serve a dare punti di riferimento ad entrambi. Ripensare quotidianamente le pratiche e attingere alle esperienze pregresse: nel lavoro educativo non si può prescindere da ciò, interrogarsi e assumere uno sguardo critico serve a evitare il rischio di inscenare un copione.  utile la condivisione e la co-costruzione di pratiche!! I formatori: PRATICO + PSICO-PEDAGOGICO (incontri di riflessione e condivisione). Il formatore pratico ha un ruolo complesso, che richiede prima di tutto il consenso e la disponibilità degli educatori al suo intervento, orientato a risalire dai comportamenti attuati alle intenzionalità che li hanno originati per evidenziare criticità e possibilità di

miglioramento.  esplorare criticamente per giungere a pratiche condivise e riconosciute dal gruppo. Es. obiettivo autonomia del bambino: l’idea che ciascuno ha è diversa, ci sono discrepanze tra le pratiche concrete e le idee pensate nel gruppo. Il formatore non dà un’unica soluzione fissa che uniformi, ma ha un repertorio di pratiche da cui attingere e su cui lavorare in relazione al caso specifico, il suo obiettivo è sollecitare uno sguardo euristico e critico che faccia vacillare la mente meccanica. Occuparsi del proprio modo di lavorare! NB: è fondamentale che gli educatori percepiscano l’atteggiamento avalutativo e non giudicante del formatore, così che siano aperti al suo intervento sul campo. RUOLO PERTURBATORE DEL FORMATORE  andare alla ricerca di nuovi equilibri, cambiare e cercare nuove conferme perché le comunità possono essere luoghi aperti e variabili ma anche chiusi e fissi. I saperi teorici vanno messi in relazione alla pratica, al modo di operare degli educatori, le cui possibilità devono essere ampliate senza introdurre prescrizioni. Gioco pre-euristico = esperienze di scoperta ed esplorazione spontanea con materiali vari a disposizione (fine primo/inizio secondo anno di vita). L’educatrice ha un ruolo discreto e di osservazione, ma ci sono molti modi di realizzare ciò; portare in primo piano gli oggetti nella relazione e avere una distanza (es. stare sulla sedia e non sul tappeto). Saper leggere le richieste dei bambini che esprimono una pluralità di bisogni (affettivi, relazionali, cognitivi, …) per non correre il rischio di dare un aiuto non richiesto.  l’intervento formativo non prescrive, non addestra, ma apre prospettive professionali facendo sperimentare nuove possibili modalità d’azione, il cui significato è costruito nelle dinamiche del gruppo degli operatori.

PARTE SECONDA: METODI E PRATICHE 1. PRATICHE, PROGETTO EDUCATIVO E CULTURA DEL SERVIZIO Cultura del servizio: è scontata, emerge nelle azioni ma in modo implicito; viene esplicitata in due documenti: la CARTA DEI SERVIZI e il PROGETTO PEDAGOGICO. L’obiettivo è mantenere legate la cultura, le pratiche quotidiane e le radici esplicitate dei documenti. È importante esplicitare e condividere le azioni e le pratiche che non sono mai neutre, ma intrecciano individualità e valori del gruppo. Competenze di base: 

Scrivere: dire il proprio lavoro, anche se richiede tempo, motivazioni precise (non si scrive per piacere) e c’è la difficoltà di staccare pensiero e azione. La scrittura serve per: - tenere traccia di eventi, dettagli che altrimenti si perderebbero nella memoria, guardare meglio e in profondità; - ordinare tutti gli elementi raccolti con precisione; - creare una distanza tra il tempo in cui accade il fatto e il tempo in cui diventa pensabile, così da essere attenti allo stesso tempo ai dettagli e alla complessità;





- fornire una base al lavoro riflessivo nel gruppo. La stessa scelta delle parole con cui ci si esprime è indice della cultura e dei criteri culturali del gruppo. Studiare: aggiornarsi costantemente perché la teoria non è slegata dal lavoro pratico, dà riferimenti per muoversi e orientarsi nello spazio, permette di cogliere finezze, usare un vocabolario ricco, regolare aspettative di sviluppo, cogliere segnali di crescita, … Attenzione soprattutto all’ambito pedagogico e antropologico! Leggere sviluppando un’attenzione selettiva ai punti salienti; la lettura d’equipe è diversa da quella individuale per l’interpretazione corale e finalizzata ad un agire coerente, alla progettazione comune. Nei criteri di lettura e interpretazione emerge la cultura del servizio, con le categorie esplicitate nel progetto pedagogico.

Esempi: (p.92) 1) educatrice interviene per risolvere un “conflitto”: contrasto con il progetto di favorire autonomie relazionali e capacità sociali. Problematizzare i luoghi comuni e dividere ciò che si fa/che si dovrebbe fare innescando il cambiamento. 2) attività di pittura, educatrice guida la mano del bambino: antitesi con la libera creatività, contrappone la pedagogia attiva e la pedagogia del compito. Montessori: educatrice deve aiutare lo sviluppo non dare cultura, predispone il materiale poi osserva. Attenzione a bisogni evolutivi e capacità motorie! 3) Pranzo “per saziare” non favorisce autonomia, conversazione, clima sociale positivo. Analizzare le pratiche per spezzare la meccanicità e l’irresponsabilità dell’abitudine. Le pratiche consapevoli sono aperte al cambiamento e possono portare un rinnovamento nella cultura del servizio = circolarità azione-pensiero-cultura (Esempio: bambina gioca con gli strappi delle scarpe dell’educatrice.)  Il gioco porta un godimento immediato, ma implica operazioni mentali e coordinazione senso-motoria guidate dal desiderio di sperimentare, è un’attività libera, senza finalità, motivata dal piacere di scoprire. - APPRENDIMENTO PER SCOPERTA = soluzioni creative del bambino in relazione all’ambiente in cui è inserito (Montessori) - APPRENDIMENTO SOCIALE = nella relazione adulto-bambino, questo acquisisce conoscenze (interattivo-costruzionista).  valenza culturale degli oggetti con cui il bambino interagisce: le abilità senso-motorie si sviluppano in relazione agli oggetti che l’adulto mette a disposizione del bambino; si possono progettare materiali via via più sofisticati.  il modo di muoversi dell’educatrice è colo una delle possibilità, per questo non è possibile per un educatore prescindere dall’auto-osservazione; ad esempio lodare la bambina con “finto entusiasmo” si può considerare indice della cultura della valutazione, che può innescare nel bambino la dipendenza dal giudizio. Cultura del servizio = valori, idee e rappresentazioni condivisi dagli operatori di un servizio, che condividono anche tempi, spazi, organizzazione e metodi di pratica. Viene esplicitata nel progetto pedagogico ed è condizionata dalle pratiche (circolarità!). La cultura è trasparente e rischia di diventare ovvia, scontata, per evitarlo è indispensabile la discussione in gruppo, ben orientata da domante che perturbino l’ordine, che problematizzino. Riflettere sulle pratiche è necessario per la responsabilità dell’educatore verso gli utenti, valori come il cambiamento, la voglia e il piacere di scoprire nelle pratiche e nelle

relazione rendono un gruppo responsabile davanti alle famiglie, è un gruppo che trasforma l’educazione nella responsabilità di educare alla continua ricerca di significato.

2. RELAZIONI E SAPERE PRATICO NEI SERVIZI PER LA PRIMA INFANZIA Sevizi per la prima infanzia = lavorare SULLE e ATTRAVERSO le relazioni. Teorie sottolineano il perché e il come, ma nessuno dice COSA FA un educatore, ovvero un sapere pratico, basato sulla riflessione, per sui è necessario: - interrogarsi sulle pratiche: non ci sono modelli fissi, ogni relazione è irripetibile e unica, Mortari parla di “sapere fronetico” = disposizione a cercare l’azione che meglio si adatta all’obiettivo da raggiungere, ovvero alla miglior formazione possibile - agire sul campo, lì nasce il sapere pratico. - il tirocinio ha un ruolo di primo contatto con la concretezza del lavoro, ma sempre con l’appoggio di supervisore e tutor. ACCOGLIENZA momento breve ma molto delicato, sia per il bambino sia per il genitore, entra in gioco la triade educatore-genitore-bambino. In questo momento è essenziale la competenza dell’educatore dell’ESSERCI, con empatia e intenzionalità che guida ogni gesto. Fondamentale la RIPETITIVITA’ che dà al bambino sicurezza e la possibilità di prevedere ciò che deve accadere; ripetitivo non significa però meccanico, i riti si cocostruiscono ogni giorno. Fruggeri: dinamica di svincolo-affidamento-accoglienza-coinvolgimento; due momenti, la DECOSTRUZIONE e la COSTRUZIONE di una nuova configurazione. Nella prima fase l’educatrice resta ai margini, ma è emotivamente partecipe, mantiene il contatto visivo con la coppia. Poi deve cogliere i segnali affinchè si inserisca nel momento opportuno per svincolare il bambino dalla madre. Nel caso in cui la coordinazione sia errata non è un problema, si può attuare una riparazione collaborativa efficace. Nell’ultima fase il bambino è in interazione con l’educatrice e la madre diventa periferica. Il fatto che il sapere pratico sia difficile da formalizzare non significa che sia casuale o estemporaneo, c’è una sapienza che permette di leggere ogni volta il diverso contesto e rispondere ai bisogni degli attori.  azione-pensiero AUTOCONTROLLO = sapersi trattenere e fare spazio al pensiero, unendo conoscenze teoriche con empatia, osservazione, ascolto, riflessione. Agendo ogni giorno si acquisisce sempre più intenzionalità, fluidità e prontezza nel rispondere alle difficoltà. Osservare ha poi una grande valenza formativa sia per il controllo e la sensibilità, sia per attuare dei cambiamenti nelle pratiche. (circolarità!) Nei servizi per l’infanzia riveste una grande importanza la POSIZIONE dell’adulto: stare in piedi comunica provvisorietà e cambiamento, solo abbassandosi si diventa un punto di riferimento e il bambino può affidarsi alla disponibilità dell’adulto. Ci sono diversi livelli a cui posizionarsi, in relazione alla situazione si sceglierà quello più funzionale ai bisogni a cui l’educatore è chiamato a rispondere. Altro elemento che deve essere pensato è il MATERIALE che si inserisce nello spazio di accoglienza per facilitare il distacco, che comunque deve essere accogliente e ricordare casa (es: in sezione o nell’atrio, entra il genitore o no, si portano cose da casa o no,…)  Agire intenzionalmente significa leggere il contesto e la situazione, cogliere segnali, riflettere e controllare il proprio comportamento. CAMBIO tenere in considerazione più livelli di comunicazione: verbale, paraverbale, non verbale. C’è una dimensione che va oltre la pratica igienico-sanitaria, è quella che dà un

valore educativo a questo momento di forte intimità, l’unico in cui il bambino gode di un rapporto individualizzato con l’educatrice. E’ con le prime relazioni di cura che il bambino avvia gli apprendimenti fondamentali che lasciano traccia nella “memoria inconsapevole”. L’educatrice usa il linguaggio verbale per descrivere al bambino ogni azione, in questo modo il bambino è pronto a ciò che accade e apprende le sequenze di routine, e per verbalizzare le emozioni, che non cadono nel vuoto ma sono accolte e nominate, invece usa quello non verbale per comunicare la sua attenzione e disponibilità. Non ci sono solo gesti automatici, ma un rapporto articolato che rafforza la partecipazione del bambino, che non è passivo. Il CORPO è fondamentale, è uno strumento centrale nel lavoro educativo. Sapere pratico: resiste all’oggettivazione, si concretizza nella capacità di leggere le situazioni e compiere delle scelte funzionali all’apprendimento nel bambino. In quest’ottica gli imprevisti sono utili a porsi domande e ricentrarsi; si agisce e ci si interroga su ciò che si fa  intenzionalità educativa! La riflessione e la costruzione di un sapere pratico attorno al momento del cambio è costruita anche in equipe con scelte precise, accanto agli elementi di psicologia dello sviluppo devono esserci un saper fare e un saper essere; il pensiero è rivoto anche all’ambiente, che pur rispettando le norme igieniche, non deve risultare asettico: tutto è intenzionale e pon...


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