Riassunto Storia della musica occidentale. Vol 2 & 3 - Carrozzo; Cimagalli PDF

Title Riassunto Storia della musica occidentale. Vol 2 & 3 - Carrozzo; Cimagalli
Course Storia Della Musica
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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STORIA DELLA MUSICA OCCIDENTALE VOL PARTE PRIMA PREMESSA Musica per muovere gli affetti Presso i letterati del Cinquecento viveva il sogno del perfetto cortigiano, un uomo di potere di origini nobili che doveva unire alle conoscenze politiche e militari anche le competenze artistiche e letterarie as...


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STORIA DELLA MUSICA OCCIDENTALE VOL.2 PARTE PRIMA PREMESSA Musica per muovere gli affetti Presso i letterati del Cinquecento viveva il sogno del perfetto cortigiano, un uomo di potere di origini nobili che doveva unire alle conoscenze politiche e militari anche le competenze artistiche e letterarie assieme all’esercizio delle qualità umane. Il blasone gentilizio imponeva a chi se ne fregiava di coltivare la musica anche in prima persona: il canto di madrigali sembrava realizzare questi ideali nel suo tessuto polifonico. Il Seicento si incaricò di rimuovere queste illusioni poiché il potere andava a coagularsi in regimi assoluti e la musica retrocesse a semplice bene d’uso, mezzo per celebrare i fasti e propagandare l’ideologial’aristocratico cessava di praticare la musica in proprio, servendosi solo di salariati e inaugurando una separazione tra musicisti e pubblico. Parallelamente anche la musica avvertiva nuove esigenze, prima tra tutte quella di un nuovo tipo di tessuto musicale: la monodia con basso continuo, che soppiantò lo stile polifonico poiché più adatta ad esprimere il contenuto emozionale dato che la musica voleva porsi al servizio della parola; inoltre l’effetto della musica monodica veniva potenziato dal nuovo stile concertante, che univa insieme voci e strumenti. Andò così a disgregarsi l’ideale sonoro di unitarietà e compattezza timbrica tipico del Rinascimento. Vi era inoltre l’esigenza, dei committenti, di rappresentazione della musica, ovvero la tendenza ad essere spettatori di vicende teatrali rappresentate in musicanascita della categoria del pubblico assieme alla separazione tra musicisti e spettatori. Il fine della nuova musica monodica era quello del muovere gli affetti degli ascoltatori, ovvero una passione, una musica che esercitava il suo potere sull’animo umanonell’epoca Barocca questa ricerca divenne consapevole sia nei musicisti che nel pubblico; i musicisti, di basso rango, erano chiamati a corte per eseguire pezzi musicali e diventavano i padroni dell’anima dello spettatore.

Capitolo primo Teorici, umanisti e compositori verso la monodia storia di quattro teorici e due camerate Durante il Quattrocento e il Cinquecento nelle corti italiane i letterati umanistici cantavano o facevano cantare le loro poesie su semplici moduli musicali. La musica era ministra della parole: era il testo poetico ad essere posto in primo piano, mentre la musica lo serviva con uno stile di canto simile alla recitazionelo stile ibrido tra recitato e cantato era molto diffuso in tutta la penisola. Nel XVI secolo la monodia espugnava anche il campo della musica polifonica, infatti il madrigale veniva eseguito monodicamente cantando solo la parte superiore affidando quelle inferiori a uno o più strumenti. Heinricus Glareanusera più appropriato considerare veri musicisti coloro che inventavano melodie monodiche piuttosto che i compositori polifonici poiché questi elaboravano le loro musiche attorno ad un canto fermo preesistente, e non erano dotati del dono della libera invenzione. Nicola Vicentinoelaborò il tema dell’imitazione dell’antica Grecia, in cui si narravano gli effetti su uomini e natura, ricorrendo alla polifonia a quattro voci e introducendo tutti e tre i generi musicali greci, quello diatonico, cromati ed enarmonico. Nella seconda metà del Cinquecento si vide un’aspra polemica tra Gioseffo Zarlino e il suo allievo, Vincenzo GalileiGalilei vide nel suo maestro un sostenitore della polifonia, sordo alle esigenze monodiche della sua epoca. Si può vedere uno schieramento di “progressisti” contrapposto a quello dei “conservatori”: i progressisti come Galilei esaltavano l’epoca ormai scomparsa dell’antica Grecia come perfezione, mentre Zarlino enunciò che ogni epoca fa un passo avanti rispetto alle precedenti.

Zarlino non auspicava ad una subordinazione della musica alla parola: egli rivendicava ad ambedue una piena autonomia, che le faceva soggette solo alle proprie leggi razionali. A parere suo la musica non doveva imitare il linguaggio parlato, ma doveva unirsi ad esso mantenendo la propria indipendenza e libertà. Galilei poneva da una parte il medioevo, epoca di barbarie dove si sviluppò la polifonia, e dall’altra l’antica Grecia, perfettamente espressa dalla sua musica monodica, infatti secondo lui i vantaggi della monodia erano molteplici: era una forma di espressione più naturale, fa comprendere le parole, stimola un ascolto emotivo e si avvicinava alla declamazione naturale, simile a quella degli attori della commedia dell’arte. Le opinioni di Galilei erano condivise dal gruppo di giovani intellettuali che frequentava a Firenze, la famosa Camerata de’ Bardi, che si riuniva per discutere di poesia, astrologia, scienze sport e musica. La Camerata ebbe il suo massimo rigoglio negli anni 70 e 80 del Cinquecento. Il conte Bardi, valente musicista, stimolò le ricerche di Galilei e lo incoraggio a realizzare in pratica le sue teorie, componendo in stile monodico. La produzione più importante scaturì per le nozze di Ferdinando de’ Medici, ma la camerata stava declinando e le riunioni si interruppero quando Bardi si trasferì a Roma. L’eredità delle discussioni fu raccolta dalla Camerata di Corsi, il cui esponente di punta fu Jacopo Peri, che realizzò eventi musicali concreti: il canto doveva rispecchiare pienamente le inflessioni della recitazione, evitando salti melodici e grandi estensioni, con un ritmo libero e flessibile che doveva riprodurre la declamazione naturale. Successivamente venne finanziata da Corsi la prima opera in musica, la Dafne, pastorale drammatica rappresentata per la prima volta nel palazzo Corsi durante il carnevale del 1598. Emilio de’ Cavalieri compose il primo esempio di dramma monodico per recitar-cantando, la Rappresentazione di Anima e di Corpo, non proprio definibile opera perché trattava un argomento sacro, prima composizione drammatica con scene e costumi. Le nuove esigenze dell’epoca barocca (monodia con basso continuo, stile concertante) crearono intorno al nuovo secolo un nuovo genere musicale: l’opera in musica. Capitolo secondo Monteverdi e la seconda prattica la storia dello sviluppo del madrigale con Monteverdi Il passaggio tra Cinquecento e Seicento rappresentò una svolta decisiva: si serrarono le porte sull’epoca rinascimentale per aprirle al mondo barocco. Questo mutamento di orizzonte influì sulle modalità di produzione e fruizione, sulle scelte stilistiche e sul substrato armonico, che indusse a creare nuovi generi musicali o il ripensamento di quelli già esistentiIl madrigale dovette accantonare la sua natura polifonica per accogliere le nuove esigenze barocche del basso continuo e concertato per muovere gli affetti degli ascoltatori. Claudio Monteverdi non abbandonò il madrigale, infatti pubblicò otto libri di madrigali che formarono l’ossatura portante della sua produzionei suoi madrigali giovanili si inseriscono nella tradizione rinascimentale di tale genere. Il materiale letterario è musicato verso per verso, rispettando sia il significato letterale del testo, sia la sua struttura poetica. Tra il 1590 e il 1591 Monteverdi fu assunto come violinista alla Corte di Mantova, il cui direttore musicale era il fiammingo Giaches de Wert. Successivamente accompagnò il duca Vincenzo I in Ungheria per la guerra contro i Turchi e nelle FiandreMonteverdi ebbe la possibilità di venire a diretto contatto con la produzione franco-fiamminga e nel 1601 inoltrò una domanda al Duca Vincenzo per essere assunto come direttore musicale, con risposta positiva. Nel frattempo la fama di Monteverdi iniziò a diffondersi, suscitando l’accesa reazione del teorico musicale Giovanni Maria Artusi che, allievo di Zarlino, pubblicò un libro dove criticava aspramente il suo avversario e i suoi madrigali condannandone la spregiudicatezza nell’uso delle dissonanzeMonteverdi rispose all’avversario nel suo quinto libro dove, nell’appendice, rispondeva alle accuse di Artusi con un’argomentazione molto lucida e semplice: sbagliava a considerare i suoi madrigali esclusivamente dal punto di vista musicale perché era il rapporto con il testo a determinare la struttura musicale e a giustificarne le deviazioni dalle regole stabilite. Si fronteggiavano nel pensiero di Monteverdi:

“prima prattica” considerava l’armonia signora del testo e soggetta alle proprie leggi di natura tecnico-musicale (Missa “in illo tempore”, a sei voci a cappella);  “seconda prattica”nell’uso moderno l’armonia diventa serva del testo e il testo padrone dell’armonia (Vespro della Beata Vergine, in ricco stile concertante per voci e strumenti). Si trattava di un totale capovolgimento di prospettiva: se con l’ars nova la musica aveva rivendicato la propria indipendenza dalla parola, ora essa sentiva il bisogno di assoggettarsi al testo per renderne senso e muovere gli affetti degli ascoltatori. Lo scopo principale di Monteverdi era rendere in musica il contenuto più profondo e all’interno della produzione monteverdiana i madrigalismi perdevano terreno in favore di nuovi criteri costruttivi; inoltre evitò di accostare l’uno all’altro episodi contrastanti e iniziò a guardare il testo da un punto di vista globale, cercando di comprendere quali affetti esso volesse muovere, per potenziarne la realizzazione con mezzi musicalila musica era eloquenza, arte del persuadere commovendo gli animi. I compiti ufficiali di Monteverdi alla Corte di Mantova lo avevano condotto a cimentarsi anche con altri generi musicali: nel 1607 l’Orfeo, favola pastorale scritta nello stile monodico dei compositori fiorentini, nel 1608 L’Arianna e compose le musiche per il Ballo delle Ingrate, un balletto di corte con voci e strumenti. Nel 1613 venne assunto come direttore musicale in San Marco a Venezia, passando dalla condizione di servitore di un signore assoluto ala condizione di pubblico funzionario retribuito e rispettato. A Venezia la sua produzione madrigalistica registrò un ulteriore evoluzione: dal Quarto libro aveva iniziato ad accostarsi al nuovo stile recitativo a voce sola fiorentino, e nel Quinto libro aveva affiancato alle voci umane un basso continuo strumentale ed un gruppo a cinque voci di strumenti non specificati. A partire dal Settimo libro applicò al madrigale la monodia con basso continuo e l’inserimento di altre parti strumentali autonome. Nel 1638 venne pubblicato l’Ottavo libro e alcune composizioni prevedevano un’esecuzione rappresentativa, cioè dotata di gesto e azione scenicala novità di questo teatro da camera fu acuita da Monteverdi, il quale aveva constatato che fino ad allora la musica era riuscita ad esprimere solo due affetti dell’animo, la temperanza e l’umiltà, e in qualsiasi repertorio non era riuscito a trovare alcuna traccia della passione bellica dell’ira. Monteverdi trovò il modo per tradurre in musica il sentimento dell’ira, realizzando uno stile musicale concitato, ovvero la stessa nota ribattuta velocemente per molte volte consecutive e abbinata a parole. 

Capitolo terzo L’opera italiana del Seicento A Firenze, il primo tentativo di imbastire uno spettacolo cantato era andato di pari passo con la sperimentazione del recitar cantando e con l’esigenza di creare eventi famosi e irripetibili per celebrare occasioni particolarmente solenni. I primi esemplari di opera erano spettacoli creati e realizzati dal personale fisso della corte, a cui il pubblico accedeva solo tramite invito. La pubblicazione delle descrizioni degli spettacoli, delle partiture, delle scenografie e le corrispondenze epistolari contribuirono a diffondere l’eco degli avvenimenti e le corti di Firenze, Mantova, Ferrara, Piacenze, Parma, Torino fecero a gara per realizzare la celebrazione della propria grandezza. La corte pontificia di Roma non poteva realizzare uno spettacolo profano, così trovò accoglienza nei singoli palazzi della nobiltà e dei cardinali. La produzione operistica romana assunse una connotazione legata alla facciata cattolica della città: accanto alle trame della mitologia classica abbondavano gli intrecci desunti dalle vite dei santiil primo spettacolo nel nuovo stile monodico fu realizzato a Roma e presentava un contenuto moralistico: la Rappresentazione dell’Anima e del Corpo di Emilio de’Cavalieri, e poi Eumelio di Agostino Agazzari. Nel 1631 fu rappresentato il Sant’Alessio di Stefano Landi, opera che inaugurò molte novità come il fatto che mise in scena la vita di un uomo concreto con i suoi problemi e drammi interiorifilone agiografico dell’opera romana. In più, con la seconda rappresentazione dell’opera, fu inaugurata la stagione delle opere barberiniane, che prese il nome dalla famiglia romana più potente di quegli anni. I Barberini finanziarono l’allestimento di numerose opere in vari palazzi della città, edificarono un teatro semipermanente e progettarono diverse scenografie e macchine. La terza ragione dell’importanza del Sant’Alessio consiste nel fatto che il suo libretto fu scritto da un letterato importante, Giulio Rospigliosi, al servizio della famiglia

Barberini. Un quarto motivo si può trovare nell’elemento comico: i personaggi divertenti divennero ben presto molto comuni nelle opere romane e con Rospigliosi si giunse alla compilazione di vere e proprie commedie musicali, ma con un finale moralistico. La morte di papa Urbano VIII e l’elezione di Innocenzio X segnarono il declino delle attività operistiche barberinianeRospigliosi fu inviato come nunzio apostolico in Spagna e il cardinale Barberini fu accolto a Parigi dal primo ministro francese cardinale Mazarino: i Barberini rientrarono a Roma dieci anni dopo, accolti con la rappresentazione dell’opera Dal Male il Bene. L’asse operistica in questo periodo si spostò al nord, a Venezia, società differente da Firenze, Roma o Mantova poiché ancora attaccata ai suoi ideali repubblicani e protesa verso i traffici mercantili; nonostante la caduta dell’industria editoriale veneziana la città vantava ancora una vita culturale vivace, favorita dalla libertà di stampa e di pensiero. Il punto di volta è rappresentato nel 1637 quando un gruppo di musicisti capeggiati da Benedetto Ferrari e Francesco Manelli affittarono il Teatro San Cassiano e vi rappresentarono L’Andromeda: l’opera incorporava i modi di produzione già esistenti nella commedia dell’arte, una vera e propria impresa commerciale a fini di lucrochiunque poteva accedervi comprando un biglietto, ma ciò non implicava che l’opera fosse diventata popolare dato che il costo del biglietto era tale che solo l’aristocrazia poteva permetterselo. Nacque inoltre la figura dell’impresario, svolgendo in parallelo una professione stabile, che investiva il suo capitale pagando le spese dell’allestimento: inizialmente doveva affittare il teatro, poi doveva retribuire il compositore dell’opera, i cantanti, i componenti dell’orchestra, lo scenografo, il copista, il personale tecnico, mentre il librettista non veniva pagato poiché era una persona di condizione nobile e gli spettava l’incasso dalla vendita dei libretti al pubblico. Fonte di guadagno erano i biglietti, infatti chiunque doveva acquistarne uno; se il pubblico preferiva stare comodamente seduto poteva affittare una sedia oppure il posto su una pancaquesti guadagni giungevano quando la maggioranza delle spese era già stata sostenuta, così successivamente invalse l’uso di affittare preventivamente i palchetti del teatro, fornendo all’impresario una notevole quantità di denaro all’inizio della stagionenuovi teatri dotati di vari ordini di palchi uno sopra l’altro, detti “teatri all’italiana”, costituendo la forma architettonica classica del teatro d’opera. Mantenere l’equilibrio tra costi e guadagni non era molto facile: per quanto gli impresari cercassero di ridurre le spese, l’opera era comunque uno spettacolo costosissimo mentre i biglietti e gli affitti dei palchi bastavano a pareggiare il bilancio. Anche l’argomento dei libretti fu cambiato: dagli anni ’30 fino ai ’40 a Venezia si predilessero i temi mitologici, per poi passare negli anni ’50 a temi eroici e imperiali i cui protagonisti erano i grandi condottieri dell’antichità, temi mutati a causa della guerra contro l’impero ottomanonell’epoca barocca i librettisti si ritrovarono a rispecchiare le ideologie delle classi dominanti.

Capitolo quarto Girolamo Frescobaldi Inizialmente la musica non veniva scritta, ma eseguita oralmente e ciò comportava un rischio per i musicisti, ovvero sfalsare l’originale. Fu solo agli inizi del Seicento che la musica strumentale, grazie a Girolamo Frescobaldi, iniziò il lungo cammino che la condusse dal regno dell’oralità al regno della scrittura. Girolamo Frescobaldi fu il primo compositore di grande rilievo ad aver legato la propria fama ad una produzione esclusivamente strumentalea 14 anni divenne organista dell’Accademia della Morte e nel 1607 nella chiesa di Santa Maria in Trastevere; l’anno dopo fu assunto alla Cappella Giulia in San Pietro e dal 1628 al 1634 coprì la carica di organista presso Ferdinando II de’ Medici. La sua prima apparizione di musiche a stampa fu in un libro di madrigali polifonici, Il primo libro de madrigali, che fu pubblicato nel 1608. Trovandosi per un periodo di tempo al servizio della famiglia Aldobrandini, il ferrarese era piuttosto un consulente esterno con mansioni vere e sporadicherapporto mecenatesco dettato dal vivo interesse per la musica da parte di un personaggio autorevole, una sorta di scambio di vantaggi tra musicista e committente dove il committente accresceva il proprio prestigio

attraverso omaggi musicali a lui tributati, mentre il musicista era avvantaggiato sia dal punto di vista economico sia dalla protezione del potente per accrescere il proprio status sociale e professionale, Uno stile più avanzato lo possiamo trovare in un altro volume di Frescobaldi, dedicato al duca di Mantova Ferdinando Gonzaga, le Toccate e partite d’intavolatura di cimbalonel libro si affermava che era semplice ricreare con lo strumento a tastiera i molteplici affetti cantabili che i madrigali moderni producevano con efficacia e varietà; si trattava dunque di introdurre la rivoluzione della “seconda prattica” all’interno della musica strumentale. Dedicandosi a generi strumentali polifonici come i ricercari, le canzioni, i capricci e le fantasie, egli volle imprimere una nuova direzione al nuovo stile vocale monodico, infatti le toccate e le partite permettevano di realizzare uno stile “parlante”, libero, mutevole dal punto di vista armonico, ritmico e metrico. Sia le toccate che le partite discendevano dall’antica prassi della musica improvvisata, ma non l’assoluto arbitrio creativo dell’interprete-compositore, bensì una specie di canovaccio che permetteva di non smarrirsi nei meandri dell’estemporaneità. La toccata era costruita come libero sviluppo in sezioni contrastanti della formula gregoriana di recita dei salmi, la famosa “intonazione salmodica” che fungeva da cantis firmus della composizione strumentale, dettandone sia la struttura armonica che melodicala toccata fungeva da piccola forma preludiante per fornire ai cantori liturgici la giusta intonazione. L’importanza maggiore di Frescobaldi consiste nell’aver conferito la dignità di opus di altissimo libello artistico ai generi musicali idiomatici per mezzo del loro apparentamento con il nuovo stile monodico vocaleinserirsi nel flusso della tradizione scritta, commovendo gli affetti degli ascoltatori. Nel 1626 Frescobaldi pubblicò a Venezia un volume che incorporava i Ricercari et canzoni franzese e Il primo libro di capricci, senza alcuna dedica: ciò significava che l’editore era disponibile a sopportare le spese di stampa. La fama di Frescobaldi varcò le Alpi giungendo fino a Vienna, dove il compositore di corte decise di andare a Roma per studiare assieme al maestro italiano, divenendo così il principale veicolo per la diffusione delle novità stilistiche frescobaldiane nel mondo germanico.

Capitolo quinto Oratorio e Oratoria Le nuove esigenze musicali nel periodo barocco stimolarono la nascita di un nuovo genere musicale sorto a Roma agli inizi del Seicento: l’oratorio. Da lungo tempo la chiesa cattolica era diventata una potenza politica ed economica di primo ordine e l’opera informatrice di Lutero assieme al sottrarsi di buona parte dell’Europa all’autorità papale costrinsero la Chiesa a prendere atto della necessità di un mutamento. ...


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