Risposte alle domande dei vecchi appelli di metodologia clinica baldoni unibo PDF

Title Risposte alle domande dei vecchi appelli di metodologia clinica baldoni unibo
Author Carolina Lopez
Course Metodologia clinica
Institution Università di Bologna
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RISPOSTE ALLE DOMANDE DI METODOLOGIA CLINICA. 1. IL COLLOQUIO CLINICO Il colloquio clinico in psicoterapia è’ una tecnica di osservazione e di studio del comportamento umano che ha lo scopo di comprendere (con la ricerca e la valutazione diagnostica) ed aiutare il paziente (con l'orientamento e la terapia). La peculiarità del colloquio clinico in ambito psicologico è l’instaurarsi di una relazione terapeutica tra il paziente e il clinico: l'esaminatore deve creare condizioni tali da permettere che il campo della relazione interpersonale venga stabilito e delineato dal soggetto(l'impronta viene data prevalentemente dalla personalità di quest'ultimo). Il colloquio deve essere aperto, nel senso che non si dovrebbero porre domande già predisposte nella loro formulazione e ordine o tali da intralciare il paziente nel suo modo di esprimersi. Presupposto generale del colloquio è che il comportamento delle persone non è incoerente e variabile a caso. In colloqui diversi, o anche nello stesso, possono emergere modi di essere contraddittori o complementari. Il colloquio psicologico deve lasciare molto spazio al paziente in modo che possa nascere una relazione e che il paziente la interpreti positivamente. È possibile che il clinico si comporti diversamente in base alla relazione che si viene a creare con i vari pazienti che si trova di fronte. Importanza delle aspettative e delle caratteristiche del paziente per connotare la relazione. Il terapeuta si deve lasciare andare al mondo del paziente ed apprendere all’interno della relazione con esso. L'esaminatore non deve essere considerato o considerarsi un osservatore neutrale. Il colloquio è una situazione relazionale ed il clinico fa parte del campo, quindi inevitabilmente influenzerà in qualche misura i fenomeni che osserva diventando una delle variabili in gioco. Il clinico, oltre a partecipare al rapporto, dovrebbe essere consapevole di cosa in esso sta avvenendo, raccogliere gli elementi che provengono dalle parole del paziente, dall'osservazione del comportamento non verbale, dal proprio vissuto emotivo e inserirli in un contesto conosciuto. Deve dunque ascoltare ed ascoltarsi, osservare ed osservarsi. AVERE UN ATTEGGIAMENTO META quindi bisogna si veda all’interno della relazione ma anche dall’esterno, per capire la relazione. La condizione del colloquio clinico si realizza autenticamente solo quando segua la richiesta di un paziente e risponda ad suo un reale bisogno. Questo vale pure per i colloqui condotti con obiettivi di ricerca, dove l'attenzione non dovrebbe mai essere rivolta esclusivamente al dato scientifico, ma sempre riguardare anche gli interessi dell'esaminando. Può accadere che le conoscenze della psicologia e la tecnica del colloquio vengano utilizzate per motivi ed interessi estranei a quelli dell'esaminando (perizia psicologica ordinata da un giudice per definire la personalità di un imputato, colloquio di selezione lavorativa dove il committente ed il beneficiario del risultato sono un'azienda o un'istituzione).

Una distinzione tra colloquio clinico a scopo di ricerca, diagnostico o terapeutico, pur essendo utile, non può mai essere intesa in senso assoluto. Non è sempre vero che il paziente sia motivato ad essere lì. Può quindi prevalere un atteggiamento difensivo. A tal ragione è importante considerare le motivazioni e le ragioni del suo essere lì. Bisogna essere sinceri su ciò che si sa o non si sa sul suo conto e cercare di evitare che il paziente si porga sulla difensiva. Il clinico durante il colloquio esercita un'attività di ricerca. Ogni colloquio clinico svolto in senso completo e corretto non può prescindere da un atteggiamento scientifico, unendo nella stessa persona e nello stesso atto l'operatore ed il ricercatore. Il colloquio clinico ha per forza problemi di validità e attendibilità, ma utilizzando altri strumenti non troverò mai informazioni tanto personali quanto quelle derivanti da un colloquio clinico. Il colloquio clinico è insostituibile. Può essere perfezionato dal punto di vista di validità e attendibilità attraverso la condivisione di modelli teorici e pratici tra i vari clinici o all’interno di uno staff. In alcuni casi il paziente si sottopone al colloquio clinico con la richiesta esplicita di intraprendere una psicoterapia (eventualmente su consiglio di un collega, del medico, di un familiare o di un amico). In questi casi l'atteggiamento dell'operatore sarà finalizzato, oltre che alla valutazione clinica, anche alla verifica delle reali motivazioni, delle capacità di "insight“ (comprensione ed elaborazione degli elementi significativi emersi durante la conversazione) e della qualità della relazione. Semplici riformulazioni o piccole interpretazioni di prova potranno essere molto utili per cogliere questi aspetti. Nel caso di un trattamento è necessario definire uno specifico contratto terapeutico nel quale il paziente ed il terapeuta si accordano su sede, orario, frequenza degli incontri e onorario. Vi sono diversi fattori che caratterizzano e influiscono con il colloquio clinico. Questi sono 1. Il contesto (ossia l’ambiente in cui si svolge il colloquio, la modalità di invio, il modo in cui è stato fissato l’appuntamento, informazioni sul paziente già in possesso del clinico e se accompagnato da qualcuno) 2. Il setting (ossia la cornice in cui avviene l’incontro, comprende l’ambiente materiale e l’atteggiamento del terapeuta) [stanza confortevole isolata, porta chiusa, ambiente non pretenzioso, abbigliamento sobrio , posizione vis a vis, poltrona comoda, TEMPO da 45 a 90 minuti/ prendere appunti, registrare, consensi informati] 3. La comunicazione verbale [quelle relative al contenuto (aspetti biografici e specifici, personalità sogni, il significato del silezio etc), cioè alle dichiarazioni esplicite, ai concetti ed ai fatti che ci vengono raccontati e quelle sulla natura della relazione (metacomunicazione) ] 4. La comunicazione non verbale [L'aspetto analogico della comunicazione non verbale la rende immediata e facilmente comprensibile, anche se poco precisa rispetto al suo contenuto Più si sviluppa la capacità di comunicare attraverso le parole, maggiore è la tendenza a sottovalutare le informazioni non verbali Caratterizzato da:

intonazione, paralinguaggio, cinesica, tatto, olfatto, aspetto esteriore, sguardo, espressione del volto, gestualità, comportamento spaziale] 5. Gli aspetti emotivi (transfert e controtransfert) [controtransferiali (noia, irritazione, senso di colpa o di inadeguatezza); Motivazione (del paziente e del clinico) Ansia (del paziente e del clinico), Transfert del paziente, Controtransfert, Transfert del clinico] 6. Lo svolgimento del colloquio (fase iniziale, centrale finale)

2. Il setting nel colloquio Il termine inglese setting (sfondo, messa in scena) indica la cornice in cui avviene l'incontro tra il clinico ed il paziente Per la maggior parte dei clinici, principalmente quelli di orientamento psicoanalitico, è importante operare all'interno di una cornice fissa, senza ambiguità, che deve essere mantenuta e difesa da parte del terapeuta. E’ un aspetto particolare del contesto e rappresenta una standardizzazione degli elementi di stimolo dell'incontro (Bleger, 1964). Ogni violazione del setting deve essere considerata una variabile da sottoporre ad osservazione E costituito principalmente da due componenti: 1) le condizioni materiali dell'incontro (luogo, tempo, modalità di pagamento) 2) l'atteggiamento del terapeuta (comportamento non verbale, abbigliamento, prendere appunti, registrare la seduta) Aspetti dell’ambiente Stanza: sufficientemente confortevole ed isolata, in modo da garantire la dovuta riservatezza Porta: rigorosamente chiusa Arredamento: (illuminazione, tappezzeria, tinta delle pareti, quadri e altri oggetti decorativi e d'arredamento). Meglio evitare la presenza di apparecchiature mediche. L'insieme non deve apparire pretenzioso od ostentare ricchezza o eccessiva originalità, ma deve comunicare al paziente la nostra intenzione di metterlo a proprio agio Posizione: una poltroncina comoda (senza rotelle), posizione vis a vis , eventuale scrivania Il tempo Da un minimo di 45 a un massimo di 90 minuti Incontri brevi sono possibili solo in situazioni particolari (per esempio un intervento d'urgenza in una situazione di crisi), ma non sono di alcuna utilità per un colloquio clinico a scopo diagnostico o terapeutico 13 Il Pagamento Si comunica il proprio onorario alla fine dell'incontro ed il paziente consegna il denaro direttamente a lui (o alla sua segretaria) dietro ricevuta L'ammontare della cifra deve essere dignitoso e adeguato, tale da non svalutare il nostro intervento, ma neanche renderlo inaccessibile Massima onestà per quanto riguarda l'aspetto fiscale Nei servizi pubblici la gratuità dell'incontro, o il suo pagamento indiretto, potrà presentarsi come un vantaggio economico, ma può portare a svalutare,

considerandola dovuta, la prestazione del clinico, il quale, a sua volta, potrebbe dedicarsi al paziente con minore responsabilità, visto che comunque sarà pagato L’atteggiamento del clinico Il clinico, con la propria presenza, contribuirà a determinare l'intera gestalt dell'ambiente Importanti anche fattori personali e non verbali come l'abbigliamento, la pettinatura, l'atteggiamento corporeo e l'espressione mimica Non esistono evidentemente regole generali, ma sono comunque da evitare i casi estremi (aspetto trasandato, barba e capelli trascurati, abiti inadeguati od eccentrici oppure, al contrario, atteggiamenti ed ornamenti che ostentano ricchezza e valori troppo lontani da quelli del paziente) Evitare di assumere pose stravaganti o che possono essere considerate scortesi ed offensive dal paziente Prendere appunti E’ molto raro che prendere appunti crei particolare disagio al paziente, ma è necessario sincerarsene ("Le dispiace se prendo qualche appunto? Mi permetterà di capire meglio“) La pratica più saggia sembra essere quella di prendere il minimo di annotazioni durante il colloquio ed il massimo dopo E’ molto importante distinguere con chiarezza le risposte del soggetto dal pensiero del clinico Registrazione audiovisiva Tecnica utilizzata a scopo formativo o di ricerca, oppure nelle terapie familiari ad indirizzo sistemico Richiede il consenso informato da parte del paziente Modifica il setting, ma la sua influenza solitamente è limitata Setting bicamerale Tecnica utilizzata in terapia familiare ad indirizzo sistemico 1. Due ambienti comunicano tramite uno specchio unidirezionale. Da una parte si pone il terapeuta assieme al gruppo o alla famiglia, dell'altra, dietro allo specchio, vi sono alcuni osservatori con la funzione di supervisori e l'apparato di registrazione

3. Le domande del colloquio Contenuto. Gli antecedenti personali fisiologici e psicosociali (infanzia, scolarità, lavoro, ecc.) → la famiglia di origine (genitori, fratelli, nonni, ecc.) → l'eventuale famiglia attuale (coniuge, figli, altri componenti) → stato di salute (malattie, abitudini di vita, ecc.) Il contenuto: aspetti specifici Pregenitalità: soprattutto per quanto riguarda gli aspetti orali (appetito alimentare ed affettivo, bisogni, avidità, tendenza alla dipendenza) e quelli anali

(pulizia fisica ed ordine morale, meticolosità, tenacia, rapporti con il denaro, problemi relativi al controllo, al trattenere ed all'espellere) Genitalità: relazioni sessuali e sentimentali (appaganti, insoddisfacenti, sadomasochiste, simbiotiche, legate a bisogni di fuga, di dipendenza, ecc.), masturbazione (normale assente, ossessiva? Iniziata a che età? E' continuata in età adulta e con che modalità? Quali fantasie la accompagnano?) Attività onirica: il sonno è appagante? E' presente insonnia? Di che tipo? Si ricorda dei sogni? Alcuni di questi sono ricorrenti? Relazioni familiari e sociali: relazione coniugale e ruolo genitoriale, rapporti professionali (con i colleghi, con i superiori, con i subalterni, le aspettative e le delusioni nei confronti del lavoro), amicizie, tempo libero, interessi

4. Silenzio nel colloquio Il significato del silenzio

Come si è detto, non è possibile non avere un comportamento, quindi non è possibile non comunicare. Chi si sforza di negare questo aspetto, come lo schizofrenico, si pone su un piano relazionale distorto e fonte di patologia. Così anche il silenzio del paziente assume un preciso significato comunicativo. Può essere prima di tutto espressione di meccanismi di difesa psichica (come la rimozione, l'isolamento, la negazione, la proiezione o la regressione) che proteggono dall'emergere di emozioni e desideri infantili che il paziente teme di non poter controllare. In questo caso la zona orale e la funzione del parlare viene posta al servizio di impulsi parziali (orali, anali, edipici) ed il tacere rappresenta il tentativo di soddisfare l'istinto, ma anche di difendersi da esso. In alcune occasioni queste difese sono la conseguenza di un atteggiamento scorretto del medico che ha fatto sentire il paziente in pericolo oppure giudicato. In altri casi il silenzio è espressione di disturbi delle funzioni cognitive Assume un preciso significato comunicativo (non è possibile non avere un comportamento, quindi non è possibile non comunicare ). Espressione di meccanismi di difesa (rimozione, isolamento, negazione, proiezione o regressione) di disturbi delle funzioni cognitive oppure di un timore eccessivo verso il clinico. Bisogna riconoscere i vari tipi di silenzio (paranoide, depressivo, fobico, confuso, riflessivo, contemplativo) ed intervenire di conseguenza. Può essere l’effetto di un atteggiamento scorretto del clinico che ha fatto sentire il paziente in pericolo oppure giudicato. Bisogna perciò riconoscere i vari tipi di silenzio (paranoide, depressivo, fobico, confuso, riflessivo, contemplativo) ed intervenire sulla base di tali conoscenze (Bleger, 1964).

Come sappiamo, il paziente che tace è solitamente un incubo per il clinico alle prime esperienze. La persona che si mantiene a lungo in silenzio, infatti, sollecita in chi gli sta davanti sensazioni controtransferiali ed impulsi del tutto particolari, che, se non sono sufficientemente compresi ed elaborati, impediranno il normale svolgimento del colloquio. Qualcuno, sentendosi insicuro, si chiederà se ha sbagliato qualcosa o sarà spinto ad agire tempestando di domande il paziente. Altri potranno essere attratti dalla voglia di porsi loro stessi in una posizione passiva, lasciandosi sprofondare nel regno dell'inconscio. Altri ancora desidereranno aiutare il paziente proteggendolo, dandogli calore e assumendosi le sue responsabilità. La nostra opinione è che il clinico debba sapere sopportare questi silenzi senza impazienza, ma anche senza eccesso di compiacimento. Infatti, se nell'ambito di una terapia psicoanalitica i silenzi (sia dell'analista che dell'analizzando) hanno un loro significato ed una funzione che può essere pienamente colta solo attraverso il lavoro interpretativo e l'analisi del transfert, diversa è la situazione di un colloquio. Il paziente ha naturalmente il diritto di tacere, ma la realtà del colloquio implica che egli è li per parlare. Silenzi troppo lunghi non sono di alcuna utilità: tanto vale con calma, serenamente, cercare di mobilizzare la situazione ponendo al paziente alcune semplici domande, volte proprio a comprendere le ragioni del suo silenzio. 5. Empatia nella relazione clinica. Le capacità riflessive (di mentalizzazione) sono alla base dell’empatia (cioè della consapevolezza e condivisione degli stati mentali dell’altro accompagnata da regolazione emotiva) e permettono di andare al di là dell’atteggiamento esteriore per arrivare a cogliere lo stato psicologico che ha motivato un determinato modo di agire. E’ fondamentale la capacità di regolare questi stati mentali, che ci permette di andare al di là dell’atteggiamento esteriore per arrivare a cogliere lo stato psicologico che ha motivato un determinato modo di agire. E’ un’assonanza emotiva implicita e automatica che richiede la differenziazione del Sé dall’altro e la regolazione dell’emozione (Preston, de Waal 2002) È collegata alla funzione dei neuroni specchio (corteccia motoria e parietale) che si attivano non solo quando si compiono azioni, ma anche quando le si osservano (Gallese 2001; Rizzolatti, Craighero 2004). Non si attivano solo per imitazione, ma anche, quando diamo un significato all’azione di un'altra persona e attiviamo l’organismo al fine di avere questo comportamento (vedere bere da un bicchiere una persona attiva il nostro organismo non a bere da un bicchiere ma bere) E’ solo una della componenti del mentalizzare (non si riferisce ai propri stati emotivi). In assenza di queste funzioni, quindi, il proprio comportamento e quello degli altri rimangono poco significativi. Il concetto di mentalizzazione si riferisce al processo mentale attraverso cui un individuo interpreta, implicitamente ed esplicitamente, le azioni proprie e degli altri come aventi un significato sulla base di stati mentali intenzionali come i desideri, i bisogni, i sentimenti, le credenze e le motivazioni personali (Bateman e Fonagy 2004). Il termine funzione riflessiva è stato introdotto

successivamente da Peter Fonagy e a Mary Target (Fonagy et al. 1991; Fonagy e Target 2001) e rappresenta l’ operazionalizzazione a scopo di ricerca del concetto di mentalizzazione. Dal punto di vista clinico i due termini possono essere considerati sinonimi. La ricerca contemporanea in ambito psicosomatico ha messo in evidenza l’influenza della mentalizzazione e della regolazione delle emozioni sulla resistenza allo stress e sullo sviluppo delle malattie fisiche e psicologiche. I processi di mentalizzazione, infatti, permettono la rappresentazione psicologica e la simbolizzazione del proprio stato interiore e sono quindi determinanti per la regolazione e il controllo delle emozioni e degli impulsi (compresi gli stati fisiologici ad essi correlati). La carenza di mentalizzazione sembra legata al fallimento delle capacità riflessive genitoriali e alla disfunzione del sistema relazionale familiare. Le ricerche hanno dimostrato che queste condizioni sono correlate allo sviluppo di un attaccamento insicuro, a una minore capacità di espressione emotiva e di regolazione degli affetti (alterazioni del comportamento di malattia, scompensi psicosomatici, falso Sé, alessitimia), a patologie psichiche (autismo, disturbi di personalità, disturbi del comportamento alimentare,depressione), a comportamenti antisociali (bullismo, vandalismo, violenza individuale o collettiva, abusi di tipo sessuale) e alla maggiore vulnerabilità ai traumi (Fonagy et al.,1997; Fonagy, Target, 2001; Baldoni, 2005, 2008, 2010). La mentalizzazione può essere studiata non solo come una capacità individuale, ma anche, in una prospettiva sistemica, come la manifestazione di un sistema di relazioni. Le capacità riflessive manifestate da una famiglia, infatti, sono importanti per il mantenimento del benessere, la soluzione dei conflitti e la capacità di adattamento, mentre la loro carenza può essere considerata un fattore prognostico negativo per le difficoltà relazionali e i disturbi psicologici, comportamentali e somatici manifestati dai componenti del nucleo familiare nel corso della loro vita. In psicoterapia le affermazioni riflessive costituiscono un indice della disponibilità a sviluppare un’alleanza terapeutica, a elaborare i problemi e ad affrontare i cambiamenti. Una procedura che valuta le capacità riflessive manifestate da pazienti e clinici all’interno di un trattamento è il Mentalization Assessment in Psychotherapy (MAP) (Baldoni, 2007, 2013), che si avvale della analisi della comunicazione verbale come risulta dalla trascrizione della registrazione audiovisiva della seduta. Il paradigma dell’attaccamento e il costrutto di mentalizzazione si rivelano quindi particolarmente utili in psicoterapia e rappresentano una nuova prospettiva, fondata sui dati delle neuroscienze e della ricerca evidence-based, nella terapia dei pazienti che manifestano disturbi di strutturazione del sé, difficoltà nella regolazione delle emozioni e nel controllo degli impulsi, difficoltà empatiche (disturbi di personalità, pazienti antisociali eviolenti) e alterazioni del comportamento di malattia (pazienti ipocondriaci, sindromi mediche funzionali, disturb...


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