Saggio - Documento sull\'eutanasia scritto dal Prof. D\'Aloia fornito agli studenti - Diritto Costituzionale - a.a. 2014/2015 PDF

Title Saggio - Documento sull\'eutanasia scritto dal Prof. D\'Aloia fornito agli studenti - Diritto Costituzionale - a.a. 2014/2015
Course Diritto Costituzionale
Institution Università degli Studi di Parma
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Disoensa scritta dal Prof. D'Aloia e fornita agli studenti del corso di diritto costituzionale. Il documento affronta il tema dell'eutanasia rispetto ai principi costituzionali....


Description

EUTANASIA (DIR. COST.) di Antonio D'aloia (Anno di pubblicazione: 2012)

Sommario: 1. Il problema costituzionale dell'eutanasia. Una mappa concettuale. - 2. Polisemia dei principi costituzionali sulle questioni bioetiche e sulle decisioni di fine vita. Il consolidamento di significati della tutela della salute come possibile punto di avvio della riflessione. - 3. Consenso informato e diritto di rifiutare le cure: qualche risposta dall'art. 32 Cost. - 4. "Excursus". Giudici e legge nelle questioni bioetiche: gli "end of life cases". Dalla collaborazione al conflitto: appunti sui casi Englaro e Schiavo. - 5. Rifiuto e interruzione di trattamenti life sustaining. Il consenso (dissenso) informato alla prova delle "estreme conseguenze". Esiste un dovere di vivere o di mantenersi in salute? - 6. (Segue). Withdrawing/Withholding medical treatment: la "insostenibile" differenza tra rifiuto e rinuncia ai trattamenti terapeutici. -7. La distinzione tra "lasciar morire" (letting go, letting die) ed "uccidere" (killing). Il discorso dell'eutanasia davanti al suo nodo più intricato. - 8. Stato vegetativo permanente e interruzione delle tecniche di nutrizione e idratazione artificiale. -9. Autodeterminazione, consenso, incapacità del soggetto al momento della cura. - 10. (Segue). Pianificazione anticipata delle cure e living wills: connotati e problematicità del modello. - 11. (Segue). La decisione "senza volontà": tra "best interest" e "substitute judgment standard". 12. (Segue). Il caso Englaro e i dubbi sulla ricostruzione della volontà. Un best interest "soggettivizzato"? 13. Oltre il rifiuto di cure. Eutanasia attiva e suicidio medicalmente assistito. - 14. Eutanasia e Costituzione. Alla ricerca di un inquadramento costituzionale della distinzione tra le diverse ipotesi. - 15. Conclusioni. Il legislatore italiano di fronte alla sfida dell'«eutanasia». 1. Il problema costituzionale dell'eutanasia. Una mappa concettuale. Pensare al tema dell'eutanasia nella prospettiva del diritto costituzionale segnala evidentemente, e da subito, l'insufficienza di un approccio fondato esclusivamente sull'analisi della normativa ordinaria di derivazione penalistica (il riferimento è agli artt. 579 e 580 c.p.)(1). L'omicidio del consenziente e l'aiuto al suicidio appaiono un segmento parziale di un fenomeno molto più complesso, non solo per la vastità della dimensione casistica, quanto proprio per la diversa "qualità" di una serie di contesti, e di problematiche che si manifestano (o che vengono proposte) con il linguaggio e la forza giuridica "espansiva" dei diritti(2) . La rivendicazione di un controllo sulla fase finale della propria esistenza diventa così uno snodo inedito e assai controverso del dibattito sui valori e sulle implicazioni sostanziali della libertà e della dignità della persona. L'eutanasia va ad occupare un diverso orizzonte tematico(3), e subisce al tempo stesso una profonda trasformazione delle sue motivazioni e delle sue immagini fattuali. In questa nuova dimensione, tutte le nozioni [soprattutto quelle vicine, o quelle apparentemente "oppositive", come appunto eutanasia o accanimento terapeutico(4)diventano incerte, non univoche nella loro proiezione concettuale e nella reciproca distinzione; le difficoltà semantiche(5) sono in realtà lo specchio di questioni sostanziali, che attengono al modo di intendere "beni" fondamentali (come dignità, autonomia, qualità della vita, lo stesso concetto di salute) e situazioni particolari (sofferenza, malattia terminale, situazioni cliniche estreme, …) (6) . Su una cosa, tuttavia, sembra esserci un accordo, o almeno un punto di vista abbastanza comune e condiviso. Questa nuova e controversa "storia" dei diritti (legati al corpo. alla salute, alla vita) è l'effetto della alterazione del linguaggio "naturale" della morte, che dalla condizione di fatto (appunto) naturale, ineluttabile, diventa sempre più un processo, governato dalla tecnica e dall'artificialità (7), nell'ambito del quale c'è lo spazio per prendere decisioni che riguardano la propria vita e il modo di avvicinarsi alla morte(8). La rivendicazione di una partecipazione attiva alle decisioni che ci riguardano, di un controllo attraverso il consenso o il dissenso, si pone così quasi alla stregua di una reazione a questa possibilità della tecnica medica di ridefinire "artificialmente" i confini biologici della vita, talvolta oltre e al di fuori dei suoi significati più autentici(9). D'altro canto, un ulteriore corollario di questo dominio tecnologico sulle fasi finali della vita è nell'evidente accentuazione dei profili di ospedalizzazione della morte; una sorta di "espropriazione" dei significati umani e relazionali di questo processo(10). La capacità della tecnica medica di protrarre la vita, almeno come condizione biologica, di produrre una

sorta di «twilight zone of suspended animation where death commence while life, in some form, continues (…)» (così la dissenting opinion di Justice Brennan nel caso Cruzan)(11), pone il problema di capire se e in che misura questa vita può essere desiderabile per il paziente, o corrispondere alla sua visione esistenziale e morale; e anche, di individuare, in questi casi, come è stato attentamente evidenziato, chi risulta giuridicamente legittimato a tracciare la linea che segna la fine della vita di ciascuno? Chi decide fino a che punto si deve cercare di protrarre una esistenza che può dirsi tale ormai solo in senso biologico? Chi può stabilire il quantum di tollerabilità dell'intervento della tecnica? Il diretto interessato (e, se incompetente, i suoi familiari, un fiduciario), il medico, un Comitato etico, la maggioranza politica di turno, il giudice, il legislatore costituzionale(12). È in questo contesto che trova spazio quello che anche recentemente è stato definito «il più paradossale dei diritti umani» (13), una specie di ultima libertà (14), il diritto di controllare le fasi finali della propria vita, di decidere se e come intervenire sulla malattia, se e come contrastarla, in alcuni casi persino il diritto di decidere se e come accelerare il processo mortale o determinarlo (con l'aiuto o l'assistenza di altri soggetti). Il tema dell'eutanasia si converte così in quello del "right to die or to letting die", come espressione [che invero, soprattutto nella prima espressione può mostrare una certa pericolosa vaghezza (15)comprensiva di tutta una serie di casi, tra loro molto diversi (anche e soprattutto nella valutazione giuridica), che vanno dal rifiuto di cure(16)alla interruzione/sospensione di presidi terapeutici (anche life-sustaining) già attivati [considerata tradizionalmente come una forma di eutanasia passiva consensuale(17) , fino ai confini del suicidio medicalmente assitito e dell'eutanasia attiva in senso proprio(18), che a sua volta contiene l'estremo dell'eutanasia non consensuale(19). La parola "eutanasia", allora, si rivela per quello che è: un concetto che serve appena a descrivere (solo inizialmente) un complesso di situazioni che in realtà lo oltrepassano(20), e che richiedono necessariamente un'attività di precisazione di situazioni, presupposti e limiti; un "contenitore semantico" (21), probabilmente più utile sul piano emotivo(22) che non su quello descrittivo, all'interno del quale l'elemento comune dell'abbreviazione della vita (normalmente con la partecipazione o l'intervento di un terzo, quasi sempre il medico) (23), e quello delle condizioni patologiche "terminali" e/o non reversibili del paziente, accompagnate da sofferenze fisiche e psichiche(24) , subisce il diverso impatto qualificativo di elementi quali la volontà (espressa, attuale, anticipata, "presunta") o meno del paziente o di suoi fiduciari, le modalità della sequenza tra azione/omissione del terzo (medico) e accelerazione dell'exitus, la gravità delle condizioni cliniche e la valutazione della proporzionalità o futilità del trattamento terapeutico o di sostegno vitale. Sulla base di questi elementi qualificativi, e del loro variabile incrocio, è possibile tentare un primo approccio descrittivo delle fattispecie che possono rientrare nella dimensione concettuale dell'eutanasia. Adottando il "punto di vista del malato", l'eutanasia può essere "consensuale" o "non consensuale" (differenziando in questo secondo caso le ipotesi dell'eutanasia non volontaria, in cui manca il consenso del soggetto che subisce la condotta, e dell'eutanasia "involontaria" o "contro la volontà", quando cioè la condotta eutanasica si rivolge addirittura contro la volontà del malato. Adottando invece "il punto di vista dell'agente", l'eutanasia può essere "attiva" o "passiva", con l'inquadramento in quest'ultimo tassello definitorio della casistica del right to refuse medical treatment, almeno quando esso viene esercitato nei confronti di trattamenti di sostegno vitale(25), ovvero in situazioni in cui il rifiuto o la rinuncia ad interventi terapeutici (medici) espone il soggetto ad un processo di accelerazione dell'evento "morte" naturalmente collegato alla patologia in atto. In questo senso, allora, secondo l'impostazione che qui si vuole utilizzare, "uccidere" una persona consenziente, o aiutare qualcuno a togliersi la vita, appaiono "etichette" inadatte (sia per "eccessività" che in termini "difettivi") a rappresentare le molteplici "emergenze" e dimensioni che si innestano sulla relazione medico-paziente, e che riguardano la decisione del soggetto malato nei confronti delle cure proposte o avviate, lo stato estremo delle sue condizioni di salute (sia fisiche che psicologiche), la valutazione della appropriatezza o meno di un intervento medico-terapeutico, la possibilità stessa della tecnologia medica di costruire situazioni in cui il processo naturale di morte viene "sospeso", e la condizione del soggetto oscilla tra una fine che non c'è ancora (ma è "imminente" e "inevitabile") e un'esistenza già svuotata di ogni prospettiva. D'altro canto, questa prima perimetrazione tematica chiarisce da subito perché l'eutanasia continua ad essere, da sempre, una delle questioni più difficili e "divisive" nel panorama bioetico, dove è molto arduo trovare punti di mediazione tra opposte visioni. Ad ogni modo, proprio alla luce delle precisazioni concettuali fatte in precedenza, il tema dell'eutanasia (o meglio, dei casi e delle situazioni che è possibile riportare alla nozione di eutanasia) verrà affrontato a partire dalla dimensione costituzionale della salute come diritto individuale e come contenuto della

complessa identità psico-fisica di ciascun soggetto. Da qui, almeno una parte del complesso tematismo che si riannoda al concetto di eutanasia può trovare delle soluzioni che presentano un certo grado di ragionevolezza e di assestamento. 2. Polisemia dei principi costituzionali sulle questioni bioetiche e sulle decisioni di fine vita. Il consolidamento di significati della tutela della salute come possibile punto di avvio della riflessione. La scelta della salute come livello di "attacco" della riflessione costituzionale sulle ipotesi eutanasiche appare preferibile anche perché è la meno condizionata, rispetto ad altri valori costituzionali che sono normalmente richiamati in questo contesto, da opzioni morali. Per meglio dire, le opzioni morali, indubbiamente esistono e sono forti anche in relazione al modo di intendere la salute, e la disponibilità della medesima; parlare di salute significa fare riferimento ad un'idea di sé che tiene insieme fisicità e psiche, e che perciò si correla strettamente con la dimensione interiore (e morale) di ciascuna persona(26) . Tuttavia, questi aspetti appaiono qui limitati, circoscritti, da un panel più visibile di contenuti normativi e di elementi oggettivi, di quanto non possa avvenire per concetti come vita, dignità umana. Prendiamo il ricorso al valore della vita, al principio giuridico della protezione della vita. Che la vita sia un diritto (27), e che la tutela della vita sia un interesse basilare [quasi una "pre-condizione"(28)di qualsiasi ordinamento giuridico, è un'affermazione persino scontata, sulla quale non possono esserci dubbi. Tutte le Costituzioni lo dichiarano espressamente o lo comprendono implicitamente(29) . La nostra Corte costituzionale ne ha parlato alla stregua di «un bene essenziale, (…) soggetto ad una garanzia assoluta» (sent. n. 223/1996). Eppure, impostare il problema in questi termini rischia di essere almeno in parte fuorviante, e certamente lo è fuori dai casi di eutanasia non volontaria o involontaria, quando cioè l'azione o l'omissione che determinano la morte di un soggetto, o la accelerano, sono realizzate senza o contro la volontà di quest'ultimo. In situazioni di questo tipo, è giusto che il principio di indisponibilità della vita (altrui) sia richiamato nel modo più perentorio possibile, alla stregua di un limite invalicabile(30). Niente può giustificare o consentire che un soggetto sia privato di un supporto terapeutico o addirittura sia costretto a subire un intervento eutanasico, pur motivato da intenzioni "pietose", salvo che, nel primo caso, l'intervento terapeutico non configuri un'ipotesi di accanimento(31) . Capire poi quando ci si trovi di fronte ad un accanimento terapeutico non è ovviamente facile. I tentativi di descrivere la fattispecie appaiono in realtà nient'altro che un prolungamento delle incertezze definitorie; e ogni elemento del quadro sembra prestarsi a più di una ricostruzione(32). Il caso Bland (su cui si tornerà più avanti) resta una sorta di linea estrema di utilizzazione della risorsa argomentativa del best interest del paziente, ovvero – rovesciando la prospettiva – della futilità e del carattere sproporzionato della cura. A ben vedere, però, anche in quella decisione, non era del tutto accantonato il profilo soggettivo-volontaristico come elemento di rafforzamento della valutazione medica di assoluta inutilità del trattamento life-saving, in quel caso nella forma di un consenso ricostruito in via indiretta, attraverso colloqui con i familiari del ragazzo che si trovava in coma ormai irreversibile. L'eutanasia non consensuale [nel senso di "non volontaria" o "involontaria"(33)continua ad essere in linea di principio sanzionata rigorosamente, anche in quegli ordinamenti che invece hanno avanzato di molto la soglia di accettazione normativa (oltre che culturale) del fenomeno nella sua versione consensuale. È un dato questo non scalfito da qualche tentativo di aggiramento interpretativo del rigore della norma sull'omicidio. Celebre, ma appunto "eccezionale", è la "finzione" giuridica cui ricorre la Corte d'Appello di Milano per assolvere il marito che aveva deliberatamente staccato le macchine che tenevano in vita la moglie, sia pure in condizioni disperate ed irreversibili. Il Giudice, con una motivazione probabilmente azzardata – al di là di quelle che possono essere le ragioni morali della vicenda e della decisione –, non ritenne accertato lo stato vitale della donna «nel lasso di tempo tra l'ultimo monitoraggio ed il momento dell'estubazione»; in sostanza, come è stato efficacemente sottolineato, sceglie «di presumere che la donna

avrebbe (già) cessato di vivere»

(34)

.

Un'autorevole dottrina ha parlato, in relazione a questi metodi di attenuazione del rigore di un parametro normativo, di una sorta di «bio-equity che tenta di rimediare alla rigidità e alla percepita ingiustizia del formante codici stico e legislativo attraverso il riferimento alla dimensione equitativa» (35) . Ne sarebbe espressione anche l'esperienza inglese relativa alla "gestione penale" dei casi di accompagnamento, da parte di parenti, di soggetti malati in Svizzera per sottoporsi alla procedura di suicidio assistito. L'ordinamento inglese continua a ritenere punibile l'assistenza al suicidio, e pienamente vigente il Suicide Act del 1961; tuttavia, in alcune situazioni(36), tipizzate nelle guide-lines del Director of Public Prosecutions (DPP), che è l'organo della pubblica accusa, l'indicazione è quella di non procedere all'incriminazione, sostanzialmente rinunciando alla prosecution. Tornando allora al ragionamento iniziale, il principio di protezione della vita ha una rilevanza limitata (non basta) quando invece c'è una richiesta del paziente, c'è una sua volontà (qui poi le forme possono essere diverse) di rifiutare o interrompere cure ritenute inutili (37); quando, insomma, piuttosto che esprimere un desiderio di morire, il soggetto chiede di poter vivere quel poco di vita che ancora gli resta (e che è pesantemente gravato da elementi di sofferenza e di decadimento fisico e psichico) secondo modalità più "naturali"(38)e che sente più corrispondenti alla sua valutazione morale, alla sua dignità (39) . È possibile provare a tracciare una prima provvisoria conclusione, sulla quale inevitabilmente si ritornerà più avanti. L'affermazione dell'esistenza di un diritto alla vita non può tramutarsi automaticamente in un dovere di vivere a qualunque costo (40); anche perché arrendersi ad una malattia inesorabile non significa scegliere la morte, ma prendere atto di non poterla contrastare, né appare ragionevole che qualcuno sia costretto a sopportare un dolore senza speranza (41). D'altro canto, nemmeno può significare una totale disponibilità della vita medesima, anche fino al punto di pretendere e "deresponsabilizzare" il comportamento attivo di altri, o di rendere irrilevanti le modalità della decisione di accelerare il processo di morte. Il suicidio non è razionalmente punibile(42), e tuttavia sarebbe semplicistico inferire da questo che esso sia un diritto o una facoltà costituzionalmente riconosciuta(43) [quello che alcuni autori americani chiamano "the Right to Waive the Right to live"(44), se non al prezzo di una caricatura degenerativa del concetto stesso di diritto e di libertà (45) . Ad ogni modo, appare evidente che l'argomento del valore costituzionale della vita ha un impatto solo parziale sul tema in esame. Per quanto possa sembrare paradossale o improprio, anche chi sostiene le ragioni di una maggiore apertura nel riconoscimento giuridico dell'eutanasia, ovvero chi rivendica la possibilità di controllare le fasi finali della propria esistenza, lo fa invocando il valore della vita, il suo modo di intendere la vita, di dare e mantenere un orizzonte di "senso" e di qualità della vita medesima, in definitiva rimanendo dentro la sfera giuridica e morale di questo "bene"(46). Il conflitto si muove all'interno della stessa dimensione assiologica. Lo sottolinea molto bene Hans Jonas(47), quando scrive: «è il concetto di vita, non quello di morte, che in definitiva governa la questione del diritto di morire (…)». Come pure troppo schematico (48), proprio se lo raffrontiamo alle implicazioni del personalismo costituzionale (dico questo al momento solo come base di lavoro), appare il confronto tra l'etica della sacralità della vita e la dottrina della qualità della vita medesima(49): la vita non è un orizzonte da cui è possibile (e giusto) filtrare tutto il senso irriducibile ed autentico dell'autonomia e dell'esperienza personale di ognuno; di contro, essa nemmeno può essere ridotta ad un ambito di libertà illimitata ed irresponsabile, specchio egoistico di ogni desiderio individuale, anche quello più estremamente autolesionistico, mettendo completamente fuori gioco gli interessi oggettivi, intrinseci, di cui pure essa è portatrice. Se le cose stanno così per la vita, non diversamente credo si debba dire per altri parametri costituzionali, che sono analogamente investiti dalla multidirezionalità delle questioni bioetiche, e, nello specifico, dai dilemmi dell'eutanasia.

Il concetto di dignità (umana) manifesta la stessa connotazione polisemica, e in questo senso anche tale paradigma, come è stato efficacemente sottolineato, "provide too little help"(50). Usare perciò la nozione costituzionale di dignità, ovvero insistere sul suo indubbio peso "supercostituzionale"(51) , per risolvere il problema etico e giuridico dell'eutanasia non è meno retorico ed emozionale del richiamo al "topos" della vita. Non è un caso che spesso serva a sostenere anche posizioni diametralmente opposte (52). La ricerca di significati della dignità, in un ambiente costituzionale dominato dall'opzione metodologica della ragionevolezza e dal pluralismo etico come condizione di pensabilità stessa del fenomeno costituzionale(53), non può prescind...


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