Salvatore Falci PDF

Title Salvatore Falci
Author Tommaso Silvestri
Course Storia dell'arte contemporanea
Institution Università degli Studi di Genova
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analisi del lavoro di Salvatore Falci...


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Salvatore Falci

Tommaso Silvestri (S4485724)

“Come artista non mi sento inesistente, ma credo che sia un peccato limitarsi a raccontare il mio mondo interiore, che poi ad un certo punto si esaurisce, quando, come artista, posso raccontare tutto il mondo e tutte le generazioni che si susseguono”

Biografia Nato Portoferraio (LI) nel1950, oggi l’artista vive e lavora a Bergamo. È attualmente docente di Arti Visive all’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo (dal 1994) e di Metodologia e Tecniche della Sperimentazione Artistica presso l’Università di Bergamo (dal 2004), anche se per anni (dal 2000 al 2012) ha insegnato anche alla Libera Accademia di Belle Arti di Brescia. 1980 Co-fondatore del Gruppo di Piombino. 1990 espone alla Biennale di Venezia. 1993 avvio del progetto A.A.V.V. metodo di coinvolgimento artisti. 1997 Co-organizzatore del progetto Oreste zero a Paliano e nel 1998 di Oreste 1. 1998 Convegno Come spiegare a mia madre che quello che faccio serve a qualcosa, Bologna. 1998 risiede per tre mesi presso International Art Space, a Kellerberrin in Australia, dove realizza un lavoro sull’incomunicabilità tra aborigeni e anglosassoni (poi esposto sia in Australia che a Milano). 1999 Co-organizzatore progetto Oreste alla Biennale Padiglione Italia Biennale di Venezia. Dal 2005 avvio progetto artistico interculturale Arte e Luogo (progetto sull’intercultura con interventi didattici e artistici) con il Camerun. Dal 2012 avvio progetto artistico Arte e Luogo in Brasile Attualmente il progetto di Arte e Luogo ha maturato esperienze e tentativi anche, oltre ai luoghi sopracitati, in Argentina, Australia, Italia e India, mentre, ancora in fase di programmazione Dopo le esperienze e le mostre collettive, ha esposto in mostre personali in Italia e all’estero: Studio Casoli, Fondazione MUDIMA, Milano; Galleria Nazionale, Bologna; Galleria Alice Roma; Othis Parson, Los Angeles; Galleria Il Milione, C/O Viafarini, Milano; International Art Space, Kellerberrin, Museo Nazionale West Australia, Perth, Australia; Galleria Nazionale di Tirana, Albania; Centro Luigi Pecci, Livorno; Spazio Oberdan, Milano; PAC, Milano.

Introduzione Per quanto il percorso artistico di Falci si riveli tendenzialmente molto coerente nella sua interezza, è anche altrettanto vero che lo si può suddividere in due macro-fasi: quella del periodo piombinese e quella successiva, frutto di una evoluzione delle istanze della prima e dell’interpretazione di quel paradigma formato da autore-oggetto-contesto-pubblico.

Infatti, se aderendo pienamente alla poetica del Gruppo di Piombino, nelle sue prime produzioni Falci pone come elemento necessario alla riuscita dell’opera l’involontarietà da parte del fruitore, ovvero il suo inserimento inconsapevole nell’atto creativo, nella fase successiva l’artista declina diversamente le ragioni fondanti del Gruppo, approcciandosi maggiormente a quella che può essere definita Arte Relazionale, ossia ad esperienze artistiche in cui è sempre il “caso” a farla da padrone, è sempre l’azione del pubblico-creatore a realizzare l’opera ma, in questo caso consapevole di star partecipando ad un processo, ad un progetto, anche grazie alla comunicazione con l’autore. Per Falci l’arte coincide con un’azione che preveda anche, e soprattutto, il coinvolgimento di qualcun altro e ciò porta inevitabilmente l’artista ad uscire dal concetto di totale autorialità. Ed è proprio questo un elemento costante della sua evoluzione, l’eliminazione della centralità della figura “autore” dalla produzione artistica; infatti, Salvatore (e così anche gli altri piombinesi) in quanto artista ha solo il compito, nel suo progetto, di predisporre l’opera, stimolare una situazione, che poi il rapporto tra pubblico-oggetto e contesto possa concretizzarsi e lasciare segno di sé. In tal senso, per lui, il ruolo dell’autore e la sua opera sono basati sull’idea di relazionalità (anche se interpretata in modi diversi) ed è proprio tale principio che lui sviluppa ed estremizza nella sua seconda fase, arrivando, come dice lui stesso, a render l’opera un “servizio” (concetto che è facilmente tangibile nel suo progetto Arte e Luogo). Per comprendere meglio l’opera di Falci (ed in particolare quella che prenderò in esame, ovvero quella incentrata sull’involontarietà,) è bene fare prima un focus sul Gruppo di Piombino, la sua prima esperienza artistica collettiva e quella che sicuramente più influenzò la sua poetica.

Il Gruppo di Piombino (o “i piombinesi”)

Nato nel 1983 dall’incontro a Piombino tra Salvatore Falci, Stefano Fontana, Pino Modica e Domenico Nardone (a cui si deve l’impianto teorico), il Gruppo di Piombino raggiunge la sua formazione definitiva quando si unisce ad esso, nel 1987, Cesare Pietroiusti. La sua storia, seppur breve, si presenta come particolarmente originale nel panorama dell’epoca sviluppando una ricerca completamente in controtendenza (prendendo anche le distanze anche dalle coeve tendenze neo-espressioniste, post-astrattiste e citazioniste che postulano in vari modi, tra gli altri aspetti, il ritorno all’immagine), anche nella collocazione geografica, lontana e marginale, “provinciale” rispetto ai grandi centri di Milano, Roma e Torino), rispetto a una koiné incentrata sul primato dell’individualità e dell’autorialità. Il Gruppo di Piombino, infatti, si fregia del merito di aver ricollegato l’arte e vita quotidiana, la realtà, oltre ad aver comportato la ridefinizione dell’oggetto d’arte. Il cuore della poetica del Gruppo sta nella massima celebrazione del caso, del dato precario e contingente. Tale volontà si concretizza negli esiti formali delle opere del Gruppo, che possono essere senz’altro indicate con l’etichetta di “arte partecipata”, nel senso di un’opera d’arte alla cui realizzazione abbia concorso, oltre all’artista, uno o più soggetti “altri”. Ma ciò che rende singolare, e caratterizza maggiormente, il tipo di partecipazione messa in atto dagli interventi dei piombinesi, è la sua natura di assoluta involontarietà. È proprio questa ricerca della involontarietà che spinge gli artisti del Gruppo ad utilizzare oggetti e contesti apparentemente banali nella loro quotidianità, così da essere perfettamente mascherati e non percepiti dal pubblico/creatore. Le opere dei Piombinesi dunque si possono dir compiute solo se il dispositivo, inserito nel contesto, è stato agito entro un certo lasso di tempo (scelto arbitrariamente o casualmente dall’autore); pertanto, dal punto

di vista concettuale, la loro riuscita è solo ipotetica perché soggiace all’intervento, o meno, di un pubblico dal momento che l’autore non interviene mai concretamente (si occupa infatti solo di predisporre e ritirare l’opera). L’artista è dunque artefice del prelievo del dato e sulla base di ciò Falci avvicina questo tipo di intervento ad una sorta di ready-made esperienziale. Altra peculiarità delle operazioni del Gruppo è il loro svolgimento in luoghi extra-artistici (quindi nessun atelier, laboratorio o galleria viene frequentato nel mentre del processo creativo), infatti nel panorama della prima metà degli anni ottanta è tra le poche esperienze artistiche, se non l’unica, a testare in modo programmatico la pratica nello spazio urbano. In galleria vengono solamente verificati e resi visibili i dati ottenuti e i materiali manipolati dalle persone. La matrice della poetica del Gruppo (che si porta dietro alcune istanze degli anni settanta) è nel Situazionismo e altrettanto nelle pratiche concettuali. D’altra parte se il gruppo eredita, dall’avanguardia e dalla neoavanguardia, la messa in campo della processualità come momento centrale del lavoro, è altresì vero che rielabora poi questo passaggio in maniera del tutto inedita nella successiva formalizzazione dell’opera. Terminata l’esperienza del Gruppo, la cui ultima mostra collettiva risale al 1991, Cesare Pietroiusti e Salvatore Falci saranno protagonisti dell’arte relazionale.

L’opera d’arte casuale di Salvatore Falci Tutto nasce e rimane coerente con le ricerche del Gruppo di Piombino e con la sua poetica, mezzo capace di produrre ancora opere intendibili come oggetti d’arte, elemento che fortemente differenzia la produzione di Falci del primo periodo da quella che parte già dall’esperienza di Oreste (progetto tutto basato sull’elemento della “relazione” non solo tra gli artisti ma anche e soprattutto col pubblico). Fondamentale per Salvatore è l’esperienza maturata dunque con i Piombinesi poiché già a partire dall’83 inizia quel processo di rinuncia Falci, Fontana e Modica, Sosta Quindici Minuti, 1984 Populonia alla propria individualità, che si diluisce all’interno del gruppo, e che lo porta a comprendere la necessità dell’”altro”, necessità che poi diventerà un carattere essenziale della sua produzione arrivando a dire “Un Falci non è un Falci se ci ho messo le mani ,ma solo se ci ho messo i presupposti”. Ben presto però, dopo l’esperienza collettiva delle sedie “Sosta 15 minuti” (1984, a Populonia prima e ai Giardini della Biennale di Venezia poi), egli si rende conto di provocare reazioni e non azioni: per questo avverte la necessità di Falci, Fontana e Modica, Sosta Quindici Minuti, 1984 Giardini della un elemento neutro e si impegna a ridurre ai Biennale, Venezia

minimi termini l’oggetto di stimolo facendo leva più che altro su stimoli normalmente già esistenti. Nasce allora l’idea dei vetri dipinti di nero, prima forma di quella ricerca volta a raccogliere i gesti inconsapevoli e meccanici delle persone che caratterizzano le loro giornate rendendoli visibili attraverso dispositivi (a loro invisibili) perfettamente mimetizzati nella loro quotidianità. Vetro Pub, 1984, tempera su vetro Delle lastre di vetro, verniciate uniformemente di nero, sono state sovrapposte ai tavoli di uso pubblico. Queste non aderiscono in modo totalmente inamovibile, così da poter poi essere prelevate dall’artista che, capovolgendole di 180° (e talvolta retro-illuminandole), le espone mettendo in evidenza graffi ed usure registrati, sottolineando così il proprio interesse per l’aspetto grafico, piuttosto che per quello semantico.

Salvatore Falci, 1985, Vetro Pub, Piombino

Tale procedimento viene poi anche applicato in altri contesti quali sale d’aspetto, aule di scuola, ecc.

Sin da allora risulta chiara una vocazione dei luoghi: il risultato sul tavolo del pub è diverso da quello della

Salvatore Falci, 1986, Vetro Elementari EVVIVA, cm. 65×46

stazione. L’evoluzione successiva del suo lavoro ha ulteriormente precisato questo orientamento. Egli ha infatti messo a punto delle superfici che gli consentono di raccogliere – cristallizzandoli nella fissità della scrittura- i segni che le nostre azioni consuetamente lasciano nel pavimento” scrive Domenico Nardone che prosegue “Tanto nel caso dei tavoli che in quello dei pavimenti –che accentuano il carattere involontario del fenomeno preso in esame l’operazione di Falci porta alla luce, nel contesto delle azioni che maggiormente riteniamo svolgersi sempre uguali a se stesse, differenze, a volte macroscopiche, che possono essere ricondotte a specifici situazionali o ambientali”. Falci è stato capace di tante altre invenzioni ugualmente affidate alla casualità allo stato puro, ma tali da cavar fuori effetti di sicura qualità estetica, come lo zigzagare, il reticolo di tracce che i bicchieri dei consumatori tracciano sui tavoli di bar e osterie, messi in evidenza da qualche illuminazione straordinaria. Dancing, 1986, smalti e cera su masonite. A Volpaia alla mostra “Da Zero all’Infinito” anziché esporre le opere in un tradizionale spazio espositivo, il Gruppo Sceglie invece un bar di Radda in Chianti. Falci colloca sulla parete esterna del bar un grande pannello “disegnato” dai movimenti compiuti su una pista da ballo di una vicina discoteca.

Parking, 1988, cera e smalti stratificati su masonite. I materiali sono posizionati in corrispondenza di esistenti strisce di parcheggio. Le divisioni vengono superate, attraversate e segnate dal via vai dei mezzi. Salvatore Falci, Dancing, 1986, esposizione all’esterno del locale

Salvatore Falci, Parcheggio, 1988, in fase di realizzazione

Salvatore Falci, Parcheggio, 1988, completato

Tra le opere più significative ed emblematiche di questo modus operandi vi sono i Paviment. Questi sono realizzati con pedane di forex (o masonite: materiale plastico in pvc espanso facilmente sagomabile, leggero ma resistente) coperte di cera e vernice così che, per scratching, ad ogni azione venga esposta parte della superfice sottostante: ad ogni azione (per lo più in questi casi micro-azioni) diretta corrisponde un segno diretto. Un pavimento ha motivo di esistere negli anni 80 come oggi perché, secondo l’autore, le nostre abitudini non cambiano, il nostro modo di incedere non cambia, siamo ancora frettolosi, ondeggiamo con i piedi mentre comunichiamo, strisciamo le valigie, compiamo piccoli sfregamenti nervosi quando siamo in ascensore o in attesa, picchiettiamo il tacco quando si parla concisamente facendo campanello sotto un porticato, compiamo sfregamenti grossolani di sedie strisciandole per alzarci da un tavolo, ecc… e in tal senso questo tipo di opera è sempre contemporanea. Con queste opere indaga il camminare delle persone e l’espressività che si ha nell’incedere e che cambia da luogo a luogo e da “autore” ad “autore”. Pavimento Liceo Lorenzo Lotto (o “Pavimento d’oro” perché aurea è l’istruzione per l’artista), cera, smalto e foglia d’oro su masonite. Realizzato in un liceo, registra un modo di camminare peculiare degli studenti, si percepisce lo scaricare della tensione e nervosismo magari tra una lezione e l’altra.

Salvatore Falci,1987, Pavimento Liceo Lorenzo Lotto, cm.900×500

Pavimento Argento Verniciatura Stllegno, cera, smalto e foglia d’argento su masonite. Completamente differente nei tratti dal Pavimento d’oro, questo è realizzato in una fabbrica dove viene registrato un tipo diverso di movimento e di comportamento, più rigido e fortemente connotato dallo strisciare le cose per terra, dal lavoro.

Salvatore Falci, 2019 – 1987, Pavimento Argento Smerigliatura Stillegno, cm. 420 x 210, n° 18 moduli di cm. 70 x 70

Salvatore Falci, 2019 – 1987, Pavimento Argento Verniciatura Stillegno (Moduli 1-2-3) cm. 70×210

Questa ricerca di Falci si sviluppa poi ulteriormente in risposta alla seguente domanda che l’artista stesso si pone: “È possibile mettere in atto un’opera che con un azione di oggi che porti a un effetto, a un risultato domani?” A tale quesito risponde la serie delle Erbe.

Il primo esperimento in tal senso è “Erba Ponte Sant’Eufemia”, esposto per la prima volta nel 1990 alla XLIV Biennale di Venezia nella sezione “Aperto”. Quest’opera è il frutto della ricerca di un materiale che possa permettere a qualcosa di autogenerarsi e tale peculiarità viene ritrovata nella segatura. Falci dunque predispone sul Ponte di Sant’Eufemia lungo il canale della Giudecca a Venezia (luogo sede di un passaggio quotidiano di quella che è la vita veneziana, carretti, bambini che Salvatore Falci, 1990, Erba Ponte Sant’Eufemia, cm. 405×772, rigenerazione in occasione vanno a scuola, persone che della mostra Conwith del 2019 vanno al lavoro, ecc…) di mattina presto una pedana di forex contente segatura mista a semino di prato inglese. L’artista si allontana e lascia che il passaggio della vita sul ponte dissemini il tutto per poi tornare in loco la sera, innaffiare il tutto per far sì che la segatura, compattandosi, non scivoli dalla posizione dove il passaggio delle persone l’ha collocata e trasportare il tutto in una serra dove si cura di far crescere l’erba. I semi così aggregatisi lasciano nelle zone più “battute” delle aree scoperte dal manto erboso che poi cresce e rende visibile la registrazione della vita sul ponte. I segni rimangono dunque invariati dopo il prelievo dell’opera mentre l’aspetto materico della stessa ha il suo decorso naturale, prima rigoglioso e verde, poi appassito, secco e marrone, che viene ciclicamente rigenerato con nuove semine in sede espositiva.

Salvatore Falci, 1990, Erba Ponte Sant’Eufemia, cm. 405×772, nella versione a Galleria Casoli, Milano nel 1990

Salvatore Falci, 1990, Erba Ponte Sant’Eufemia, cm. 405×772, nella versione a Galleria Alice, Roma nel 1991

La pratica delle “erbe” viene poi riproposta come nel caso dei Pavimenti in molteplici ambienti diversi nei quali si svolgono azioni quotidiane notevolmente differenti… se sul ponte si registra il passaggio, nelle cabine telefoniche (1990) si registra la comunicazione e nella fontana di San Jacopo (1996) la tranquillità di una funzione però sistematica.

Sopra: Salvatore Falci,1996, Erba Fontana San Jacopo Firenze, mostra Oltre il Grande Rettile, Museo Pecci, Livorno A sinistra: Salvatore Falci,1996, Erba Fontana San Jacopo, Firenze, in fase di creazione...


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