Sotira del design Renato De Fusco PDF

Title Sotira del design Renato De Fusco
Course Storia Del Design E Delle Arti Industriali[2865]
Institution Politecnico di Bari
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Summary

Riassunto dal capitolo 2 al capitolo 8 del libro Storia del Design di Renato de Fusco con immagini di riferimento e trattazione dei principali periodi della storia del design dalla Rivoluzione Industriale al Design Italiano del dopoguerra....


Description

Capitolo 2 NEG NEGLI LI A ANNI NNI DELL DELLA AR RIVOL IVOL IVOLUZ UZ UZIONE IONE IND INDUSTR USTR USTRIALE IALE (17 (1760-1 60-1 60-1830) 830) La Rivoluzione industriale accentuò il principio di specializzazione del lavoro, in cui l’uomo si concentra su un unico prodotto o processo di lavorazione. Fisici, chimici, ingegneri e metallurgi furono in stretto contatto con i principali protagonisti dell’industria britannica, come James Watt e Josiah Wedgwood. Le invenzioni portarono in breve tempo a modificare anche la stessa distribuzione della popolazione, formando la cosiddetta civiltà urbana. Infatti, nella prima metà del ‘700 l’Inghilterra era ancora un paese rurale, in quanto le industrie erano posizionate vicino alle risorse. Solo quando la macchina a vapore di Watt iniziò ad essere usata in sostituzione della forza idraulica (ossia tra il 1785 e il 1790), la concentrazione di industrie poteva avvenire in qualsiasi luogo. Le industrie cominciarono a sorgere vicino alle città, provocando un aumento smisurato della loro popolazione. Una prima implicazione della Rivoluzione industriale col design si può riscontrare nelle stesse macc macchin hin hine e ind industr ustr ustriali iali iali, che furono presentate presso la Grande Esposizione di Londra del 1851, come segno di progresso, di funzionalità e di efficienza. Una seconda implicazione riguarda quei prodotti che subirono una notevole trasformazione, dato l’utilizzo di nuovi materiali come ghisa, ferro, acciaio, che sostituirono quelli tradizionali come legno e pietra. Emblematico è l’Ironb Ironb Ironbrid rid ridge ge (1777-1779), il ponte sul fiume Severn a Coalbrookdale, ideato da Wilkinson e progettato da Pritchard: si presenta come un arco di 100 piedi, formato da due semiarchi di un solo pezzo, costruiti in ferro e fusi. Il ponte sul Severn inaugura il settore delle costruzioni classificabili nel dominio dell’ingegneria, che comporta la presenza parziale o totale di elementi prodotti industrialmente. I settori più produttivi pertinenti alla vicenda del design furono quelli che presentavano una maggiore continuità con la tradizione, in cui si poté meglio assistere al passaggio dall’artigianato all’industria. Si può dire che la storia del design inizi con l’industrializzazione di una delle più antiche manifatture, la ceramica. Wedgwood fu uno dei maggiori esponenti in questo campo durante la rivoluzione industriale. Discendeva da una famiglia di ceramisti e si impegnò nello sviluppo delle Potteries, distretto specializzato nella produzione della ceramica fondato nel 1769. Seguì con interesse gli sviluppi tecnologici del periodo, come la macchina a vapore, di cui utilizzò l’energia per macinare i materiali e azionare i torni della sua fabbrica; lui stesso inventò il pirometro, per la misura della temperatura dei forni che gli valse l’iscrizione alla Royal Society (albo scientifico). A Wedgwood si deve inoltre anche la costruzione di uno dei primi quartieri operai e il completamento del Grand Junction Canal nel 1777, che giovò alle comunicazioni e ai trasporti. La produzione di Wedgwood si presenta con una dup duplice lice cara caratteri tteri tteristic stic stica, a, orn ornam am ament ent entale ale e util utilitari itari itaria: a: alla prima contribuì l’incontro con Bentley, mercante con cui Wedgwood fonda una società nel 1768. Da un punto di vista stilistico la produzione di Wedgwood comincia con l’imitazione dei modelli del passato, tanto che il Neoclassicismo finì per caratterizzare totalmente i prodotti della ditta; egli decise che l’arte vasaria sarebbe ascesa alle altezze di quella greca nel mondo antico. Dal punto di vista utilitario e funzionale, lui cercò attraverso continue riduzioni e semplificazioni, il modo di rendere sempre più aderente la forma alla funzione: riuscì ad ideare delle forme pratiche e standardizzate del tutto adatte al loro scopo e che fossero capaci di essere riprodotte con la massima precisione in quantità illimitate. Laddove non riuscì a meccanizzare l’intero processo produttivo, lo surrogò col principio della divisione del lavoro: lui infatti attribuì grande importanza all’addestramento della manodopera. A Wedgwood si devono veri e propri apporti personali alle innovazioni tecnologiche dell’industria: lo studio e il miglioramento dei costituenti chimici delle crete e degli smalti, il perfezionamento del torchio, l’introduzione del banco rotante, l’invenzione del pirometro e la scoperta di nuovi tipi di ceramiche. Lui, dunque, si adegua alla logica del lavoro industriale, ovvero quantificare la produzione, ridurre i prezzi per produrre di più in un tempo sempre più breve, con lo scopo di rendere i suoi prodotti accessibili a tutti. Durante la R.I. te tecni cni cnica ca e pr pratica atica hanno assunto un valore ideale, mentre l’antico ideale estetico scadeva a inutile accademismo. I ponti, i viadotti, le prime costruzioni in ferro sono il precedente diretto del disegno industriale; la loro bellezza dipende dalla loro perfezione tecnica e dalla loro aderenza ad una funzione pratica; e poiché la tecnica e la pratica implicano un fare, l’idea del bello si connette al far fare e e non più al contemplare. Una delle caratteristiche psicologiche della R.I. fu un nuovo senso del tempo.

Capitolo 3 L’E L’ETÀ TÀ VI VITTOR TTOR TTORIAN IAN IANA A (1 (1837837837-190 190 1901) 1) Industrializzazione e ideologia L’età vittoriana è da considerarsi un periodo di involuzione rispetto a quello della rivoluzione industriale: l’intero movimento industriale subisce un appiattimento, diventando una professione di routine, piuttosto che un’iniziativa di individui eccezionali. Il liberalismo permetteva al fabbricante di produrre molto e nel tempo più breve possibile a scapito della qualità dei manufatti; il buon gusto era considerato di intralcio alle vendite. “That is best what sells best”. Nasce la questione del rapporto arte-industria a partire dalla dichiarazione di Peel, secondo cui i manifatturieri inglesi erano superiori ai concorrenti in ogni questione legata alla meccanica, ma inferiori in merito ai disegni pittorici. Dopo il Reform Bill, a causa della preoccupazione dovuta alla concorrenza estera, si promossero una serie di iniziative, come associazioni artistico-industriali, in cui industriali, artigiani e artisti potevano confrontarsi, e scuole di disegno con collezioni d’arte antica e moderna in tutta l’Inghilterra. Un protagonista di queste iniziative fu Henry Cole, il maggiore esponente della cultura vittoriana nel campo del nascente design. Il suo programma riguardò l’associare le arti all’industria, dando vita alla figura dell’art art m manuf anuf anufactur actur acturer er (il precursore del designer moderno), la riformulazione del concetto di funzionalità e l’esigenza di imparare a vedere. Nel 1849 fonda il “Journal of Design e Manufactures”, è il principale artefice della Great Exhibition nel 1851, nel 1852 dell’Albert museum e successivamente viene nominato sovrintendente delle scuole di disegno inglesi. Richiamò l’attenzione sugli oggetti semplici e comuni della vita quotidinana, che però dovevano pur sempre avere una objects forma, gli us useful eful objects ects. È proprio in questo che risiede lo sforzo maggiore di Cole e dei suoi collaboratori come Jones: quest’ultimo, nella sua “Grammar of Ornament” sosteneva che il fondamento di tutte le cose è la geometria e che i colori andavano usati in funzione spaziale e percettiva e non in modo impressionistico o illusionistico, mentre l’ornato doveva essere astratto e non imitativo. In sintesi il suo progetto era strutturalista, ossia si basava su geometria, semplificazione e riduzione. Un esempio di questo pensiero è il servizio da the del 1846, in cui entra il concetto di estetica moderna: la decorazione lentamente sta sparendo, sparisce il colore (viene utilizzato solo il bianco che è quello più economico) e la decorazione è limitata solo alle maniglie, al tappo e al becco, a causa dell’inerzia termica di quei punti.

Diverso fu il caso di William Morris, che si richiamò alla linea neomedievale di Pugin e Ruskin, con un progetto che si rivolgeva alla rinascita dell’artigianato, rifiutando la civiltà industriale. Esempio è la Red Ho Hou use del 1859, progettata da Webb ma arredata con singoli prodotti dei collaboratori di Morris; vi è una continuità fra forma e funzione e non è presente la decorazione: gli unici elementi decorativi sono dati dalla diversificazione dei materiali.

Nel 1862 fonda la ditta Morris, Marshall, Faulkner e Co., e poi a partire dal 1888 organizza le esposizioni di arti applicate dal titolo Arts and Crafts, che diventerà il nome dell’intero movimento morrisiano. Morris combatte il liberismo, il commercialismo, l’ecclettismo della produzione industriale proponendo una riforma radicale nel settore delle arti applicate che prendeva a modello l’esecuzione artigianale e il corretto uso dei materiali tipiche dei prodotti medievali, caratterizzati da qualità artigianale nonché da quella Joy in Labour, antidoto

dell’alienante lavoro industriale. Sotto il suo influsso, l’arte applicata, per oltre mezzo secolo considerata un’occupazione inferiore, diventò nuovamente un compito nobile e degno. Il rifiuto della produzione industrializzata faceva crescere il costo delle creazioni di Morris, che erano quindi esclusivamente alla portata dei ricchi. Nonostante le differenze, Morris e Cole condividevano alcune idee e riconoscevano gli stessi valori: gli useful object, le esigenze del vasto pubblico, la preferenza delle arti applicate rispetto alle altre e l’artisticità come principio del design. L’iniziativa della Prima Esposizione Universale di Londra (componente vendita del design in età vittoriana) si deve a Cole e al principe Albert: lo scopo era di promuovere al massimo l’integrazione tra industria e arti. Rispose perfettamente a questo obiettivo l’edificio che ospitò la stessa esposizione, ossia il Crystal Palace di Paxton, il primo edificio prefabbricato della storia dell’architettura. La struttura era costituita da pezzi standardizzati in vetro e ferro, da realizzare fuori opera e montare sul posto. Gli alberi vennero compresi all’interno della struttura. Era un oggetto concepito con gli stessi criteri della produzione in serie e dotato di una bellezza che scaturiva dalla sua intima struttura e dalla perfetta funzionalità. A differenza dell’edificio, però, gli oggetti in esso contenuti mostrarono tutte le incertezze e le contraddizioni del binomio arte-industria. La maggior parte dei paesi che parteciparono, esponevano i loro prodotti tipici ed artigianali che non ponevano il problema arte-industria, come ad esempio l’Inghilterra, che presentò sia oggetti d’uso domestico che macchinari, caratterizzati da un eclettismo di svariati stili. D’altra parte paesi come gli Stati Uniti, presentarono macchinari senza alcuna ricerca formale oppure oggetti d’uso che affidavano la loro forma esclusivamente alla loro funzione. La Great Exhibition ha contribuito dunque a restituire la consapevolezza del degrado estetico degli oggetti, nel momento del passaggio da artigianato a produzione industriale. Si tratta comunque del primo vero incontro della cultura del design con il vasto pubblico, oltre che ad un grande fenomeno di promozione e vendita. Il gusto del pubblico esigeva che gli oggetti, anche se prodotti industrialmente, dessero l’idea di essere eseguiti a mano. Si sviluppò la falsificazione della forma degli oggetti industriali e anche della natura dei materiali. Questa falsificazione riguardava principalmente gli oggetti con pretese artistiche destinati ad un ceto medio-alto (un esempio furono sculture in gesso ricoperte in bronzo e vendute come tali). Tuttavia, accanto a questi esisteva una grande produzione di oggetti destinati alle classi povere, che non furono soggetti alla falsificazione. Caso Thonet Un posto di grande rilievo nella storia del design spetta a Thonet: ebanista originario della Prussia che nel 1830 iniziò gli esperimenti sulla curvatura del legno. L’importanza dei mobili di Thonet ha origine da un’invenzione tecnica, ossia quella di inumidire gli elementi in legno attraverso l’impiallacciatura (ossia immergendoli in colla bollente), curvarli poi sfruttando il vapore acqueo, e poi sagomarli ed essiccarli affinché conservassero quella conformazione. Il suo successo nacque soprattutto in occasione di una sua mostra di mobili nel 1841, in cui catturò l’interesse del principe di Metternich d’Austria, che lo invitò a trasferirsi a Vienna per poter lavorare per lui. Questo determinò un salto di qualità per Thonet poiché l’ambiente austriaco non soffriva delle incertezze di quello tedesco. Così nel 1856 a Moravia, fonda la prima delle grandi officine per la produzione in serie di mobili, la Gebrüder Thonet, cui seguirono diverse filiali e punti vendita in tutta Europa. I criteri che caratterizzano il lavoro di Thonet ci sono la scomposizione lineare, la resistenza, le connessioni, lo spazio diaframmato e la trasparenza delle strutture. L’emblema dell’innovazione di Thonet è la sedia n.14 del 1859, evoluzione del modello n.5 presentato all’Esposizione di Londra del 1851 (che presentava le gambe anteriori sdoppiate e curvate) e dei modelli 6,7,8 e 9: viene eliminata la doppia gamba, viene inserito un innesto unico tra gambe e sedile tramite un capitello (poi eliminato a favore di un innesto senza mediazione), le gambe vengono irrigidite da un anello curvato, lo schienale impagliato viene sostituito da un solo elemento arcuato ecc. La n.9 appare come il culmine dell’evoluzione di tale sedia, composta da soli 6 pezzi: per esigenze produttive, però, la spalliera viene ancora più semplificata nella n.14, che finisce per rappresentare la fase più matura. Anch’essa è formata da 6 pezzi, 8 viti e 2 perni a bulloni. L’apporto di Thonet non può, però, considerarsi esclusivamente tecnico, in quanto i suoi mobili non avrebbero raggiunto tale successo, senza che lui ne avesse curato anche gli aspetti formali e lo stile.

La sua produzione riguardò anche altri mobili come poltrone, divani, sedie a dondolo, tavoli, letti, attaccapanni e portaombrelli, tutti modelli rientranti nella tipologia di “mobili sostenitori”, la più adatta al linearismo strutturale della sua tecnica.

I mobili brevettati Il mobile meccanico nasce nell’Europa del 700 con la produzione di elementi di arredo maneggevoli, leggeri e pieghevoli, con ingombro minimo. La sua maggiore diffusione avviene però in America a partire dal 1850, poiché si volevano realizzare mobili il cui comfort non fosse più affidato alle imbottiture ottocentesche ma ad elementi articolati secondo l’anatomia umana. Questi mobili brevettati si diffusero in particolar modo presso il ceto medio, che disponendo di uno spazio abitativo minimo aveva esigenza di sfruttare al meglio lo spazio con configurazioni differenti. Il mobile iperfunzionale istaura l’idea del mobile singolo completamente svincolato da un contesto: è così che nasce l’oggetto di design che prescinde dall’arredamento. L’industria non produce più una gamma di modelli diversi di una stessa linea formale ma si specializza in una sola produzione. Un esempio è la se seggiol ggiol ggiolaa Wi Wilson lson del 1871, una poltrona da invalido convertita in un oggetto d’arredo.

Capitolo 4 GER GERMA MA MANIANIANIA-USA USA (190 (1900-19 0-19 0-1929 29 29)) Una nazione-azienda Nel primo Novecento il paese-guida per le arti applicate non sarà più l’Inghilterra vittoriana, ma la Germania, che ne svilupperà la storia sino alla nascita del vero e proprio DESIGN. La storia del design tedesco dei primi trent’anni del secolo è intrecciata con quella dell’industria americana, modello da seguire per tutto ciò che riguarda le invenzioni, l’organizzazione del lavoro e la produzione industriale di massa. Uno dei primi contatti della Germania con l’America risale al 1876, durante l’Esposizione internazionale di Filadelfia, testimoniato dal reportage di Reuleaux. Secondo quest’ultimo, la Germania aveva mostrato delle debolezze rispetto all’America: ad esempio, aveva scelto di seguire il principio del “a buon prezzo e di cattiva qualità” in merito ai suoi prodotti, aveva mostrato come il suo artigianato non conosceva motivi se non quelli patriottici (che risultavano fuori luogo in un contesto internazionale) e aveva mostrato mancanza di gusto nell’arte applicata e scarso progresso tecnico. Reuleaux nel reportage aggiunge che l’industria tedesca deve utilizzare la macchina solo per avvantaggiare l’uomo, ossia facilitarlo nel lavoro fisico, ma che allo stesso tempo deve affidarsi all’abilità del lavoratore in merito alla finitura dei prodotti: ritorna ancora, dunque, il dualismo industria-artigianato. Successivi a questo primo approccio con l’industria americana, sono significativi tre principi base: - L’impresa industriale deve impegnare gli sforzi dell’intera nazione; - Il vasto riconoscimento del ruolo della macchina; - L’importanza della qualità su tutti gli altri valori della produzione. La Germania vedeva la questione della produzione industriale legata al design come problema nazionale, tanto che sviluppò l’idea di nazione-azienda, come nel caso del Werkbun d. Il Werkbund non nacque da solo, ma vi contribuirono una serie di iniziative nel settore delle arti applicate intraprese a partire dal 1870. In particolare, seguendo la linea iniziata da Cole in Inghilterra, vennero istituite delle scuole d’arte applicata, collegate ad una vasta rete di musei d’oggetti industriali, proprio per dare la possibilità di imparare

attraverso il confronto, e società artistico-industriali: un esempio fu la Colonia d’artisti, realizzata dal duca Ernst Ludwig Von Hessen in Assia (Germania) nel 1901. Si trattava di una comunità di artisti, tra cui Olbrich, che avrebbero vissuto e lavorato fianco a fianco per realizzare oggetti d’alta qualità, da esporre poi in una mostra permanente aperta ai visitatori e ai compratori. Il Werkbund nasce come un’associazione di artisti, artigiani, produttori, industriali e politici, a Monaco di Baviera nel 1907 ad opera di Muthesius, che in un suo scritto afferma la necessità di migliorare la qualità della lavorazione industriale. Egli attacca l’eclettismo della produzione tedesca, il gusto della borghesia rivolto agli oggetti di lusso e l’ornamento, visto come spreco di materiali e di forza-lavoro. Il fine del Werkbund era la nobilitazione del lavoro produttivo attraverso la cooperazione fra arte, industria e artigianato. Vi aderirono diverse figure: politici come Neumann, industriali come Schmidt, artisti e architetti come Hoffmann, Olbrich e Behrens. Il Werkbund va visto come l’insieme di tanti temi e problemi, delle conquiste e delle contraddizioni insite nel design: al suo interno era presente una disputa fra chi, come Muthesius, sosteneva la standardizzazione e chi, come Van De Velde, difendeva la libertà creativa dell’artista anche nel settore delle arti industriali. Infatti, accanto alle lampade ad arco di Behrens, le automobili di Neumann e gli scompartimenti per vagoni letto di Gropius, figuravano esempi delle più vecchie arti applicate, come lampadari in ferro battuto o vetrate dipinte. Tre sono gli aspetti fondamentali che segnano la svolta nella storia del design: - Aver posto per la prima volta il problema del design (con la disputa tra i due architetti); - Aver riconosciuto che senza la presenza dell’industria non è possibile un industrial design; - Il nuovo design nasce in una corrente di gusto orientata secondo i canoni della “pura visibilità”, di un rinnovato classicismo e del Protorazionalismo. Tra le aziende che si distinsero per il loro passaggio dall’artigianato all’industria ci fu la Deutsche Werkstätte, fondata da Schmidt nel 1898 a Dresda. Si tratta della prima azienda europea nel settore del mobile che meccanizzò i suoi impianti e standardizzò le componenti, con l’obiettivo della componibilità. Realizzò arredamenti per alloggi minimi, come quelli per gli operai: va ricordata la serie di mobi mobilili co compo mpo mponibi nibi nibilili U UNIT NIT NIT. La cultura tedesca del design dei primi del Novecento è molto complessa e mostra sin dal 1918 ogni sua fragilità: le aziende in seguito alla guerra subiscono un’involuzione, come il Werkbund, in cui si smise di parlare di forma funzionale, di estetica della macchina e di industrial d...


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