Stili DI Attribuzione Ambiente Scolastico PDF

Title Stili DI Attribuzione Ambiente Scolastico
Author Simona CASSANO
Course Corso specializzazione sostegno
Institution Università degli Studi di Foggia
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Stile attributivo: fortuna, capacità o impegno? Stile cognitivo e stile attributivo sebbene abbiano la parola “stile” in comune, si riferiscono a due concet diversi. Del primo ne ho già parlato nell’articolo “Stile cognitivo: ecco perché alcuni sono bravi a scuola e altri no“; del secondo ne parlo invece in questo articolo. Si tratta di un argomento molto importante perché ha il potere di influenzare pesantemente il percorso scolastico (e non) di un bambino. Appellarsi alla fortuna, alla capacità o all’impegno avrà lo stesso effetto? Vediamo allora cos’è lo stile attributivo e quante attribuzioni sono state individuate. Stile attributivo: cos’è Tut i bambini prima o poi sperimentano successi e insuccessi, ma non tut si danno le stesse spiegazioni in merito al perché sono riusciti a fare bene una determinata cosa oppure al perché hanno fallito. Lo stile attributivo, quindi, si riferisce proprio a questo, alla spiegazione che una persona si dà dei successi e insuccessi propri e altrui. Si tratta di uno schema mentale che, come nel caso dello stile cognitivo, è piuttosto stabile; ciò significa che i bambini tendono ad utilizzare più o meno le stesse attribuzioni per spiegarsi il perché gli eventi accadono in un modo o nell’altro. Un’altra cosa importante da non dimenticare è che il tipo di attribuzione che un bambino utilizza per spiegarsi quello che gli è successo, influenza le sue reazioni a quell’evento e le sue aspettative nei confronti degli eventi futuri . Capite bene che se un bambino è solito attribuire i suoi successi o insuccessi all’impegno, tenderà a perseverare e a non scoraggiarsi sviluppando fiducia ed emozioni positive; se invece tende ad attribuire le sue difficoltà a scuola ad una mancanza di capacità o intelligenza, tenderà ad affrontare i compiti con poca fiducia, sarà più incline a scoraggiarsi e a mollare perché non vedrà possibilità di cambiare le cose. Gli stili attributivi costituiscono validi predittori del comportamento umano, lo guidano attraverso ricompense e punizioni, influenzano aspettative ed emozioni di ognuno di noi. Vediamo allora meglio, quanti tipi di stili attributivi ci sono. Stile attributivo: uno solo o molti? Nel corso del ‘900 vari autori hanno studiato il concetto di stile attributivo ma vi cito solo Weiner perché è riuscito a creare uno schema che sintetizza i tipi di attribuzioni alle quali si può fare ricorso per spiegare un evento, individuando in particolare 3 dimensioni delle attribuzioni causali: il luogo in cui risiede la spiegazione (locus of control) cioè se è interna o esterna all’individuo, la stabilità della causa e la controllabilità dell’evento. Nel fronteggiare l’esito di un qualsiasi evento, siamo soliti interrogarci sui motivi alla base dei nostri successi o dei nostri fallimenti. A tal proposito, Weiner (1985) parla di altri due fattori che intercorrono in tali processi, oltre al succitato locus of control: la stabilità e la controllabilità delle attribuzioni. Le tre dimensioni delle attribuzioni causali permettono di rintracciare tipologie di cause ricorrenti di successi e fallimenti. Tra questi, si citano: 

la tenacia



l’abilità



l’impegno



il tono dell’umore



il pregiudizio di chi valuta



la difficoltà del compito



l’aiuto



la fortuna.

Supponiamo invece che la preparazione sia migliore nell’interrogazione rispetto al compito, ma che l’esito delle prove sia identico. La probabilità di attribuire la causa all’insegnante aumenta, ma in termini di giudizio pregiudizievole e, in caso di esiti negativi, quasi persecutorio nei propri confronti. Si tratta di una causa stabile, perché perdura nel tempo, ma esterna. L’instabilità invece si caratterizza per la sua temporaneità, come può essere un impegno limitato per un certo compito (causa interna) o il fatto di aver copiato da un compagno (causa esterna e instabile, poiché non è detto che possa ripetersi in futuro). Altra dimensione che intercorre nelle attribuzioni è la controllabilità, che Weiner definisce anche intenzionalità. Nei casi citati, si può tendenzialmente controllare lo studio (limitato o costante), così come pregiudizio dell’insegnante o l’aiuto da parte. Al contrario non si può di certo controllare la propria naturale inclinazione in una materia piuttosto che in un’altra (locus interno e stabile), l’elevata difficoltà di un compito (locus esterno e stabile), l’umore del giorno (locus interno e instabile) o il caso (locus esterno e instabile). Vediamoli insieme. Tenacia: attribuzione interna, stabile e controllabile La tenacia è l’attribuzione ideale. Quando un bambino ritiene di essere riuscito in un’atvità perché è stato tenace ha molte probabilità di avere successo in tante altre situazioni perché la tenacia si trova dentro di lui, è una qualità stabile perché si riferisce ad un atteggiamento nei confronti della vita e la può controllare perché può decidere di essere tenace o meno. Di fronte ad un insuccesso comunque l’atteggiamento non cambia e quindi è probabile che un bambino sperimenti emozioni più positive come la fiducia e la speranza di riuscirci la prossima volta. Abilità: attribuzione interna, stabile e incontrollabile Anche l’attribuzione di abilità è da preferire a tante altre perché è interna ma presenta delle qualità più rischiose. Il fatto di essere un’attribuzione stabile perché si è abili o non lo si è, spesso i bambini dicono intelligenti o stupidi, potrebbe favorire chi pensa di esserlo ma mettere in difficoltà chi invece pensa di non esserlo. Il basso livello di autoefficacia che ne deriva induce il bambino a scoraggiarsi e a non impegnarsi abbastanza poiché lo ritiene inutile oppure a vivere sentimenti di vergogna che lo portano ad evitare successive sfide; ciò naturalmente lo porta a fallire più volte e ad avere prestazioni peggiori, come se fosse una “profezia che si autoavvera“. Impegno: attribuzione interna, instabile e controllabile L’impegno, sebbene più instabile ha il pregio di essere controllabile perché di fronte ad un compito il bambino può cercarlo dentro di Sé e quindi decidere se impegnarsi o meno. Se un ragazzo attribuisce il proprio insuccesso al mancato impegno personale è possibile che si senta in colpa ma è più difficile che si scoraggi perché la convinzione di poter padroneggiare la situazione lo porta a perseverare nonostante l’insuccesso. Nel caso di successo invece si apre le porte a emozioni quali soddisfazione e orgoglio. Tono dell’umore: attribuzione interna, instabile e incontrollabile

I bambini che dicono di essere riusciti bene in un compito perché “erano dell’umore giusto” o di essere andati male perché “erano arrabbiati o nervosi”, rischiano molto nel futuro perché l’umore è molto instabile e difficile da controllare; rischiano, quindi, di non riuscire a porsi di fronte a nuove sfide con fiducia e sicurezza. Pregiudizio: attribuzione esterna, stabile e controllabile Quando la spiegazione di un evento non risiede dentro l’individuo ma fuori, il bambino corre i rischi maggiori perché si preclude molte possibilità di intervento sulla situazione. Nel caso del pregiudizio, un bambino potrebbe reputare un proprio insuccesso al fatto che l’insegnante ce l’abbia con lui dato il suo poco interesse per la materia. Si tratta, quindi, di una spiegazione esterna che tende a durare nel tempo a meno che il bambino non decida di fare qualcosa per cambiare la situazione. Al contrario se pensa di avere successo in una materia perché “piace al professore” rischia di non atvarsi a sufficienza nello studio e andare quindi incontro a dei fallimenti che lo potrebbero deludere molto. Difficoltà: attribuzione esterna, stabile e incontrollabile Nel caso della spiegazione di un insuccesso per la difficoltà di un compito, il rischio di sviluppare un atteggiamento passivo e rinunciatario è ancora maggiore perché la situazione è molto meno controllabile rispetto a quella di prima. Mentre nel caso del pregiudizio, per esempio il bambino potrebbe decidere di dimostrare maggiore interesse per la materia e quindi migliorare la visione dell’insegnante nei suoi confronti, la difficoltà di un compito non può essere modificata se non atvando l’impegno, possibilità che però non viene contemplata da chi usa spiegazioni esterne. Aiuto: attribuzione esterna, instabile e controllabile Quando un bambino pensa di essere riuscito in qualcosa perché è stato aiutato significa che dentro di Sé è convinto di non essere in grado di affrontare da solo quel determinato compito e, quindi, ha bisogno degli altri. Ne può nascere un sentimento di gratitudine ma se nei successivi compiti manterrà lo stesso atteggiamento diminuiranno le probabilità di successo anziché aumentare. Ne potrebbe poi anche derivare un sentimento di rabbia nei confronti di chi non lo ha più aiutato. Fortuna: attribuzione esterna, instabile e incontrollabile E per finire esiste la fortuna che è la spiegazione peggiore perché mette l’individuo di fronte all’impossibilità di poter fare qualsiasi cosa per modificare la situazione, dando il via a emozioni quali la rassegnazione e la sfiducia nel futuro, fino addirittura a sentimenti di vera e propria impotenza. Come avete visto, le spiegazioni di successi e insuccessi possono essere molte e diversi sono gli effet comportamentali ed emotivi. Per un insegnante diventa molto importante riconoscerli nei propri alunni per aiutarli a passare da attribuzioni esterne a quelle più interne e da quelle incontrollabili a quelle più controllabili. Il locus of control. Facciamo un esempio: Un alunno riceve un buon voto dopo un compito in classe e afferma con fierezza che quel giudizio è frutto esclusivamente della sua metodica preparazione a casa. Questo è il caso di un’attribuzione interna, ovvero l’esito di un determinato evento (il buon voto) dipende strettamente da un fattore personale interno al soggetto (il proprio impegno nello studio). In ta circostanze, si parla di locus of control interno. Ora riprendiamo l’esempio precedente:

L’esito del compito è negativo e il discente sostiene che il brutto voto sia causato dal fatto che il professore che “l’abbia con lui”. In questo caso la causa dell’esito negativo non è attribuibile a un fattore gestibile in prima persona dall’alunno, ma è ricondotta ad un fattore esterno (il professore) e non è controllabile dall’alunno. Si parla quindi di locus of control esterno, e tra i fattori che rientrano in questa modalità, vi sono anche quelli di stampo sovrannaturale, in una sorta di pensiero magico incontrollabile (es. “è stata solo sfortuna”). Molti studi (Dweck & Moè, 2007) rilevano come l’individuo che tende ad avere un locus of control interno, soprattutto come risposta alle situazioni spiacevoli, vedrà innalzarsi l’asticella della fiducia in se stesso e il senso di agency (Bruner, 1994). Questo perché il locus interno innalza la percezione che la possibilità di migliorare le cose dipenda dal singolo soggetto. In caso di attribuzioni esterne, invece, la tendenza è quella di non riuscire a responsabilizzarsi nei compiti e pensare di essere immersi in un vortice di eventi a cui si può solo assistere fatalisticamente. L’agency ne appare compromessa, perché non ci si percepisce artefici del proprio destino. In ogni caso, si tratta di un paradigma che non tiene conto di fattori soggetvi che possono modulare le proprie abilità, ma costituisce comunque uno schema a cui guardare con favore per prendere in considerazione le reazioni emotive ad esso connesse. A titolo di esempio, il rapporto tra emozioni e locus of control può essere estrinsecato nei termini per cui se i successi sono attribuiti a cause interne, ciò incrementa la stima di sé. In caso contrario, si tenderà a provare gratitudine verso chi ha fornito l’ausilio, ma ciò andrà a scapito del senso di autoefficacia. Supponiamo invece che la preparazione sia migliore nell’interrogazione rispetto al compito, ma che l’esito delle prove sia identico. La probabilità di attribuire la causa all’insegnante aumenta, ma in termini di giudizio pregiudizievole e, in caso di esiti negativi, quasi persecutorio nei propri confronti. Si tratta di una causa stabile, perché perdura nel tempo, ma esterna. L’instabilità invece si caratterizza per la sua temporaneità, come può essere un impegno limitato per un certo compito (causa interna) o il fatto di aver copiato da un compagno (causa esterna e instabile, poiché non è detto che possa ripetersi in futuro). Altra dimensione che intercorre nelle attribuzioni è la controllabilità, che Weiner definisce anche intenzionalità. Nei casi citati, si può tendenzialmente controllare lo studio (limitato o costante), così come il pregiudizio dell’insegnante o l’aiuto da parte. Al contrario non si può di certo controllare la propria naturale inclinazione in una materia piuttosto che in un’altra (locus interno e stabile), l’elevata difficoltà di un compito (locus esterno e stabile), l’umore del giorno (locus interno e instabile) o il caso (locus esterno e instabile). Di conseguenza, qualsiasi attribuzione ha un’incidenza sull’apprendimento scolastico con un’influenza notevole su aspettative, motivazioni ed emozioni. In questo contesto s’inserisce un costrutto strettamente connesso a quello delle attribuzioni e che in amb scolastico trova purtroppo terreno fertile: l’impotenza appresa (Seligman & Maier, 1967; Seligman, 1972). Si tratta di “un fenomeno osservato negli uomini e in altri animali nel momento in cui vengono condizionati ad aspettarsi dolore, sofferenza o disagio senza che abbiano un modo per sfuggirvi” (Cherry, 2017). Una sequenza di fallimenti può essere troppo gravosa per chiunque, soprattutto per un alunno: ecco che viene fuori l’atteggiamento rinunciatario, di chiusura, per cui il soggetto è portato ad abbandonare immediatamente il compito, senza tentare alcuna strategia.

Tipi di stili attributivi. Una categorizzazione recente (Ravazzolo et al., 2005; De Beni & Moè, 2006) ha evidenziato 5 tipologie di stili attributivi: 1. impegno strategico: il successo o l’insuccesso ruotano intorno alle proprie capacità, che eventualmente possono essere modificate in caso di fallimento; 2. depresso: l’insuccesso è attribuito alle proprie incapacità e l’atteggiamento è tendenzialmente rinunciatario; 3. pedina: il soggetto mette in atto delle attribuzioni esterne, sia in caso di successo che di insuccesso, ma può mettere in atto strategie per migliorare la situazione; 4. negatore: simile al precedente, ma in questo caso non si cercano strategie per ovviare al fallimento; 5. abile: tutto è determinato dalle proprie abilità e, in caso di esito negativo, potrebbero non presentarsi modalità adatve per superare l’insuccesso (impotenza). In sintesi, si può dire che basarsi su attribuzioni interne, e dunque credere che successi e insuccessi siano l’effetto del proprio impegno e delle proprie abilità, porta a sviluppare un atteggiamento più strategico e maggiori sforzi per riuscire nei compiti. Al contrario, la preponderanza di attribuzioni esterne indirizza a pensare che si possa avere meno controllo sulle situazioni e che si possa solo subire il flusso degli eventi. Stili attributivi e cognizione: l’apprendimento scolastico. Tuttavia, ciò che potrebbe essere interessante comprendere all’interno del contesto scolastico è il modo in cui vengono utilizzati gli stili attributivi anche da sogget che presentano alcune specifiche difficoltà a livello di apprendimento. I dati presenti in letteratura generalmente indicano che i sogget con un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) sono caratterizzati da un sistema metacognitivo piuttosto deficitario, con un massiccio utilizzo di attribuzioni esterne. Uno studio del nostro Paese (Pasta et al, 2013) ha analizzato le strategie attributive dei sogget con DSA comparate a quelle di altri alunni con lo stesso livello di scolarità. I risultati hanno confermato che i primi tendono a non utilizzare uno stile attributivo basato sull’impegno. Tendono dunque ad avere una forte dipendenza dalla figura dell’insegnante e a ricercare aiuto anche quando non è necessario, poiché non credono nelle loro potenzialità. Per questo motivo potrebbe occorrere una sorta di impotenza appresa (Garber & Seligman, 1980). Se questo stile dovesse svilupparsi, essi potrebbero arrivare a credere che non possono cambiare l’esito delle situazioni e quindi rinunciare a fare uno sforzo. Questo potrebbe innescare un circolo vizioso che porta a risultati sempre più scoraggianti con una progressiva perdita di fiducia nelle proprie capacità e in se stessi. Implicazioni didattiche. La buona notizia per chi insegna è che gli stili attributivi sono appresi e si possono modificare (Ravazzolo, De Beni & Moè, 2005). La possibilità di poter riflettere sui processi mentali e, soprattutto, sulle proprie capacità cognitive consent infat di monitorare e aggiornare le strategie di intervento su punti di forza e debolezza. Infat la

consapevolizzazione degli aspet che ostacolano l’apprendimento può costituire una buona strada per un cambio di prospettiva attribuzionale. Non è tanto il contenuto dell’apprendimento a esser messo sotto la lente d’ingrandimento, quanto la modalità dell’apprendimento che deve facilitare l’alunno nel suo percorso didatco. Sviluppare l’autovalutazione per intervenire sulla motivazione ad apprendere: non c’è modo migliore per lavorare e avere stili attributivi di successo....


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