Storie e culture della televisione italiana - Grasso PDF

Title Storie e culture della televisione italiana - Grasso
Course Analisi dei linguaggi televisivi
Institution Università di Bologna
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STORIE E CULTURE DELLA TELEVISIONE ITALIANA SCENARI - CAP.1 IL DISSODATORE APPASSIONATO DI ALDO GRASSO La televisione fin dalla sua nascita è stata considerata uno strumento pervasivo e diseducativo. Alla fine degli anni 60 accostarsi alla televisione significava prendere partito. Da un lato, la demonizzazione del mezzo da parte degli intellettuali di sinistra, dall’altra un’attenzione più lungimirante da parte delle forze cattoliche, nel tentativo di trasformare la televisione in un progetto culturale di larga scala. In mezzo, un modesto stuolo di studiosi che si sforzavano di capire le potenzialità del mezzo. I convegni di studi sulla televisione più interessanti erano promossi dalla Rai, nei prestigiosi incontri del Prix Italia. Il Prix è stata la manifestazione che meglio ha simboleggiato lo spirito del “servizio pubblico”. La televisione, nata con l’industrializzazione della cultura, è strettamente determinata dal suo carattere industriale, da una parte, e dal suo carattere di consumo quotidiano, dall’altra. Nel Prix Italia celebrato a Torino nel 1972 la relazione introduttiva era stata affidata ad Umberto Eco, il quale distingueva fra 3 tipologie di “finalità culturali” in cui si può suddividere la critica e gli studi sulla televisione: la critica normativa, la critica fiancheggiatrice o militante e la critica orientativa. Per la prima volta si parlava di “valore artistico dell’opera”. In quel periodo i programmi erano considerati accessori. La prima attenzione ad un’analisi testuale avviene con una ricerca promossa dalla Fondazione Agnelli. Negli anni 198384, nel tentativo di ricostruire le origini della televisione italiana, ci era stato permesso di accedere agli archivi della Rai. Questo archivio Rai scontava un peccato di origine, tecnico ed ideologico. I programmi degli anni 50 andavano in diretta, e solo occasionalmente venivano trasferiti su pellicola. Il momento di svolta si verifica negli anni 70. È in questo periodo che si vanno definendo con sempre maggiore chiarezza i due approcci alla televisione: quello della “ricerca empirica” di derivazione sociologica, e quello “critico-testualista”, di derivazione umanistico- letteraria, e soprattutto in Europa, Semiotica. Nel primo caso si tenta di risolvere, attraverso la pratica di ricerca, una serie di questione che stanno attorno al testo e sono relative al contesto di produzione e che si collegano alla tradizione degli studi sugli effetti della comunicazione di massa. Nel secondo caso, l’attenzione si sposta sui testi, cioè sui programmi, sia nello sforzo critico di individuare una specifica estetica televisiva, sia nel tentativo di smontare l’apparente naturalezza della rappresentazione per farne emergere la natura di costrutto linguistico e per denunciarne la valenza ideologica. Ci soffermeremo su 3 programmi che condividono alcune caratteristiche: hanno avuto uno straordinario successo di pubblico; sono stati in qualche modi degli “scarti” inattesi rispetto alle linee editoriali predefinite; hanno fortemente condizionato l’evoluzione del medium in Italia. LASCIA O RADDOPPIA? La Rai attraverso programmi di grande seguito popolare come Lascia o raddoppia? ha costruito un’immagine della nazione svolgendo un importante ruolo sul piano dell’unificazione culturale e linguistica. Questa è stata la prima trasmissione “cult” della nostra tv. Il giovedì sera, l’Italia sembrava fermarsi per rispondere alle domande di Mike Bongiorno; è stata la trasmissione che ha aperto in Italia il grande dibattito sulla cultura di massa. È stata la prima trasmissione che ha messo in scena il fantasma della modernizzazione. La formula ripropone il meccanismo del quiz- show americano The $64,000 Questions, il primo big- money quiz della tv; il programma in realtà è un adattamento del francese Quitte ou double?, dal quale il produttore Guido Sacerdote aveva comprato il format. A quell’epoca, per il predominio della Rai, si scontravano due grandi fazioni: da

una parte gli “aziendalisti” torinesi, rappresentati della massoneria, dall’altra la nuova dirigenza romana di formazione cattolica. Gli uni volevano una Rai attenta a una produzione colta, gli altri invece volevano usare il mezzo per creare gli italiani a loro immagine e somiglianza. Inaspettatamente, arriva il successo clamoroso del programma condotto da Mike Bongiorno che sconvolge ogni metro di giudizio sulla televisione. Il successo popolare introduceva il concetto di cultura popolare. PORTOBELLO Il “mercatino del venerdì” si apre con il simbolico pappagallo Portobello, al quale ogni settimana un concorrente deve tentare in qualche modo di far pronunciare il nome della trasmissione. Portobello va in onda dal 1977 al 1983, poi viene interrotto per 5 anni a seguito dell’arresto ingiusto di Enzo Tortora. Il cuore del programma è rappresentato dagli inserzionisti che propongono ai telespettatori le loro invenzioni più curiose. Nel clima della doporiforma della Rai, inizia a prendere forma la Neo Televisione o tv verità. Portobello è la più popolare trasmissione inventata dalla Rai. La novità di questo programma consiste nel presentare, per la prima volta, spezzoni di realtà provinciale sotto l’aspetto oggettivato di una serie di annunci economici che risalivano a persone e a vicende solitamente ignorate dai mezzi di comunicazione di massa. Portobello ha in comune con Lascia o raddoppia? Uno straordinario successo pubblico. La Rai, nel corso degli anni 70, sta esaurendo la sua funzione di servizio pubblico ed è frastornata dalla caduta nel monopolio. È in quel momento che la società e la cultura in Italia entrano in una fase di trasformazione riassumibile nel passaggio dal consumo al consumismo. Si passa al trionfo dei network commerciali fondai sul marketing e sulla vendita di quote di spettatori agli inserzionisti pubblicitari. Portobello dimostra come la televisione trasformi il sempre deprecato “consumismo” in un valore, un linguaggio semplice. GRANDE FRATELLO Grande fratello è un programma di successo, innovativo dal punto di vista linguistico; eppure gode di cattiva fama. Perché? Grande fratello è l’ennesimo esempio di tv spazzatura. Questo programma funziona come brillante metafora sociale: mette in scena alcune modalità espressive e alcuni modelli di comportamento molto efficaci per capire le trasformazioni in atto nella società. Grande fratello è un processo mediatico complesso, accumula e mescola linguaggi e generi televisivi, produce notizie, titoli, servizi. Nei reality il casting è tutto: sei hai azzeccato i concorrenti il più è fatto. Grande fratello ci pone di fonte a una situazione televisiva inedita: per alcuni mesi viene attivato un laboratorio di situazioni comportamentali (amicizie, incontri, scontri); si intrecciano le storie dei protagonisti ma si intrecciano anche le diverse disposizioni d’animo con cui seguire le storie. Per molti è diventato un gioco di società. Per altri, Grande fratello è una soap opera senza trama, un talk show senza conduttore, padre e padrone. Per altri ancora è una fucina di mascalzonate da svergognare in pubblico: i ragazzi recitano spudoratamente. La “messa a nudo del proprio io” che domina gli attuali programmi è dovuta a due fattori: da una parte, molte persone ambiscono ad apparire, perché sono convinte che apparire equivalga a esistere. Dall’ altra molti conduttori non cercano nei loro ospiti l’individuo, ma l’individualismo, quel comportamento cioè che spinge il singolo a uscire dal gregge. A differenza di altri format Grande Fratello costituisce un esempio riuscito di prodotto integralmente multipiattaforma. E’ una linea di frontiera tra la televisione tradizionale e il nuovo frammentario consumo televisivo attraverso il web.

CAP.2 CAVALCARE LA TIGRE. TV ITALIANA E CULTURE STORICHE La televisione è passata dall’essere un oggetto variamente “controllato e progettato” a diventare essa stessa espressione di una cultura autonoma, centrata sui valori della società dei consumi e dell’intrattenimento di massa. Dagli anni 50 agli anni 80, le culture storiche nazionali hanno condiviso il sogno di addomesticare il monstrum televisivo, l’estremo tentativo di calvare la tigre. Il paradossale rovesciamento avvenuto nel corso degli anni 80, consiste nell’inversione del rapporto di potere fra culture nazionali e medium televisivo. Quest’ ultimo contribuisce a un progressivo indebolimento delle prime. La televisione inizia a dispiegarsi sempre più chiaramente come “forma culturale”. CONTROLLO E PROGETTO: DUE CORRENI CRSICHE NELLA STORIA DELLE TV Bourdon ha mostrato che dietro al generico ideal-tipo del “servizio pubblico” all’europea sussistono concezioni diverse per epoche e per contesto nazionale. Guardando ai primi 4 decenni di storia della tv in Italia, ritroviamo nelle culture storiche del paese due pulsioni: possiamo definirle come un’attitudine al “controllo”, da un lato, e un’attitudine al “progetto”, dall’altro. Il “controllo” sulla tv non è solamente una pulsione profonda che attraversa le culture storiche è anche la chiave di lettura prevalente con la quale è stata interpretata e narrata la storia della tv in Italia. L’attitudine del controllo tende a porre al centro dell’attenzione non la tv ma un genere specifico, su un problema a esso collegato, il pluralismo. Meno indagata è una “storia progettuale” della tv italiana, ovvero una storia che metta in primo piano i disegni mento egemonici e di più ampio respiro, costruiti attorno al mezzo televisivo. Il “progetto” dà corpo a un più articolato tentativo di “addomesticare la belva”. Per “progetto” intendiamo l’elaborazione di una visione più ampia e complessa della semplice preoccupazione al “controllo”. Un progetto è un’elaborazione insieme teorica e pratica, che ha trovato spazi di applicazione concreta sui diversi aspetti che costituiscono il medium televisivo. Il primo “progetto” segna la nascita della televisione, con l’ingresso dei cattolici in Rai, ed è caratterizzato dalla figura di Filiberto Guala. Il secondo momento progettuale è quello che, tra anni 80 e 90, vede l’ingresso dei comunisti nella tv pubblica, con Angelo Guglielmi che assume l’incarico di direttore della terza rete Rai. FRA PACELLI E FANFANI: IL PROGETTO CATTOLICO SULLA TV Lo sviluppo del progetto culturale cattolico sulla televisione risale agli anni 50 e dobbiamo pensarlo come racchiuso entro una precisa area d’applicazione i cui confini sono segnati, da un lato, dall’attento intervento del Pontefice Pio XII e dall’ altro dall’elaborazione ideale, di un cristianesimo sociale. Papa Pacelli nutriva un interesse aperto nei confronti dei nuovi media. Era intervenuto nel 1949 con un telemessaggio alla televisione americana e a quella francese. Nel corso del decennio successivo, accanto al riconoscimento del potenziale universalistico della televisione e strumento di nuova evangelizzazione delle società, si andava definendo e problematizzando una posizione più complessa che esortava i cattolici da un lato ad un lavoro “in negativo”, di vigilanza ma anche di censura e dall’altro Pio XII indica anche un compito “in positivo” cioè un’esplicita chiamata ad entrare nel settore della comunicazione televisiva. FILIBERTO GUALA, L’IMPRENDITORE DI DIO Filiberto Guala è stato il primo amministratore delegato della Rai fra il 1954 e il 56 e strumento della “Penetrazione clericale” in Rai. A lui, viene attribuito il “codice di autocensura”. Guala è la figura chiave per comprendere la parte positiva della formulazione del progetto culturale cattolico sulla tv. L’approdo di Guala in Rai corrisponde col primo tentativo di dispiegare quel progetto, e assume subito una connotazione conflittuale. La neonata tv era gestita da un gruppo di manager

formatasi negli anni della radio e in alcuni casi più o meno compromessi col regime fascista. La tv è gestita da un ex uomo dell’Eiar Sergio Pugliese. Pugliese immagina una tv in diretta continuità con la radio e con il teatro. La tv di Pugliese è concepita come un “canale”, un “medium senza contenuto”, riempito di generi pre- esistenti. Dal punto di vista politico-culturale, la tv di Pugliese è concepita come un mezzo “innocuo”: s’ispira al triplice motto della Bbc di informare, educare e intrattenere; ma è pensata soprattutto come un “teatro familiare”, un teatro borghese o una “radio con le immagini”. Di contro, Guala, si fa portatore di una visione molto più “politica” del mezzo. Egli si fa promotore di un ideale di trasformazione della società italiana, di “modernizzazione morbida”. Due visioni della televisione che non potrebbero essere più distanti: da un lato un “teatro familiare” d’evasione, dall’altro, per Guala, uno strumento simbioticamente collegato alla realtà culturale e sociale destinato a farsi vettero di sviluppo, di un progresso che strappasse i ceti popolari, attraverso la crescita materiale e morale del paese, alla crescente egemonia delle forze socialcomuniste. Perché l’impresa di Guala potesse realizzarsi, c’era la necessità di formare e di inserire in Rai una nuova, giovane classe dirigente, i cosiddetti “corsari”. L’aspetto più noto dell’amministrazione Guala consiste proprio nell’indizione del primo concorso e del successivo concorso di formazione per giovani laureati. Tra i corsari, entrano sia personalità con una formazione cattolica si altri con un retroterra più laico. LA CONCRETIZZAZIONE DEL PROGETTO: DA GUALA A BARNABEI Interessante può essere indicare quali sono state le concrete linee di sviluppo del percorso iniziato da Guala negli anni 50 e proseguito da Barnabei nel decennio successivo. Guala intende la tv come “impresa nazionale” destinata a svolgere un ruolo di unificazione linguistica e culturale. La tv diventa il terreno “centralizzato” dove avvengono la mediazione e la rielaborazione della cultura che arriva dalla provincia, da un lato, e dall’America, dall’altro. Con la tv si va delineando una forma di cultura popolare che perde i tratti del localismo e del regionalismo, e funziona da fattore di unificazione nazionale. Sul piano dei rapporti con la realtà politico-sociale la televisione immaginata dai cattolici è lontana dall’asettica “posizione di distanza” cui la volevano rinchiudere gli aziendali. Si origina nel desiderio di un rapporto più diretto col reale. Già nell’era Guala vengono realizzate alcune inchieste sulla vita degli operai nelle fabbriche. Da qui la lunga tradizione delle inchieste sociali e dei programmi d’inchiesta. Il. La tv immaginata da Guala doveva riflettere sul piano della comunicazione mediale, la tradizione culturale nazionale. L’utopia consisteva forse nell’immaginare una possibilità di incontro virtuoso fra la modernità e i valori dell’umanesimo cristiano. La vera e propria traduzione di quest’ultimo avverrà soprattutto negli anni ’60. La tv di Barnabei abbandonava la messa in onda, in diretta dalle sale delle grandi città, del teatro borghese, ed elaborava la forma del teleromanzo, che via via s’allontanava dalle forme del teatro per avvicinarsi alla grande produzione cinematografica. Partiva così la grande stagione degli sceneggiati: i Miserabili, l’Odissea etc, fino all’opera più ambiziosa, I Promessi Sposi di Sandro Bolchi. Il periodo barnabeiano alla Rai può essere dunque letto come quello cui va concretizzandosi il progetto cattolico sulla tv. ANGELO GUGLIELMI E IL SERVIZIO PUBBLICO AI TEMPI DELL’AUDITEL Negli anni 80, si va definendo una vera e propria revisione complessiva del rapporto fra cultura e televisione. Fra i due momenti progettuali, quello degli anni 50 quello degli anni 80, possiamo rilevare sia analogie sia differenze. Questo secondo momento progettuale si origina nell’ambito di un’importante cultura nazionale, quella comunista (e postcomunista). Similmente a quanto rilevato a proposito della cultura della sinistra cattolica e democristiana, possiamo anche in questo caso

sottolineare che tale spinta progettuale nasce solo da una componente del Pci. Un’altra analogia consiste nel fatto che la figura più di spicco di questo secondo momento progettuale sia proprio un “corsaro” entrato in Rai negli anni di Filiberto Guala, Angelo Guglielmi. A metà degli anni 80, la Rai 3 di Guglielmi non rappresenta semplicemente un canale, ma una realtà che definisce un importante “momento di progetto”. Il progetto di Guglielmi rappresenta un altro tentativo di “addomesticare la belva”. Fra il 1985 e 87, con l’inizio delle rilevazioni quotidiane dell’Auditel, un nuovo soggetto compare sulla scena della comunicazione: il pubblico. L’elaborazione di Guglielmi è l’ultimo tentativo creativo di trasformare e “salvare” il servizio pubblico attraverso un modello di tv nel quale il pubblico non è solo riconosciuto come esistente, ma diventa coprotagonista dell’enunciazione televisiva. Il rapporto tra cultura nazionale e sovrannazionale è un secondo punto importante per comprendere la tv di Guglielmi. Se con Guala e con i cattolici, la televisione era stata pensata come progetto fortemente nazionale, con Guglielmi le suggestioni provenienti dall’estero sono acquisite consapevolmente. Sul piano dell’elaborazione teorica del progetto esso affonda tanto nella conoscenza dei modelli stranieri quanto in una variegata serie di suggestioni prettamente nazionali. Come l’idea di fare della tv un catalizzatore di partecipazione e interesse attorno ad alcuni luoghi spenti o oscurati della vita sociale: la piazza, come terreno di confronto e scontro politico. C’è infine in questo mix di elementi nuovi, il desiderio di confronto diretto con le prime esperienze della tv commerciale italiana (Finivest). Dunque nella storia della tv italiana sono emerse almeno due fasi progettuali, ovvero capaci di includere sia un’elaborazione teorica si una sua traduzione pratico- operativa. La prima quando la televisione diventò quello che un gruppo di cattolici avevano provato ad immaginare. E poi, una seconda, emersa quando si esauriva definitivamente il modello di servizio pubblico all’italiana e bisognava reinventarsene uno nuovo. Queste due fasi progettuali sono state entrambe tentativi di addomesticare la televisione. Ma fra gli anni 70 e 80 un nuovo e diverso progetto di televisione finirà per diventare più centrale nel paese. Si tratta della televisione commerciale. UNA (NEO)CULTURA TELEVISIVA NAZIONALE? L’avvento della tv commerciale, in Italia, negli anni 80, rappresenta in maniera simbolica i complessi mutamenti nell’universo culturale nazionale. La tv commerciale, che diventerà presto tout court “tv berlusconiana”, è al centro di una varietà di opposizioni valoriali: esse pro o contro la pubblicità, pro o contro il cinema di qualità, essere per il consumismo o per l’austerità etc. La nascita della tv commerciale sembra far tramontare il sogno delle culture storiche di “controllare” il mezzo: la tv pare in grado di costruire una propria cultura. La tv commerciale disegna i tratti di un trattenimento puro, senza sensi di colpa e senza necessità di giustificazioni intellettuali. Negli anni 90 si sviluppano tg privati e si consuma una progressiva tensione alla spettacolarizzazione della realtà, specialmente quella quotidiana, quella della “gente comune”. CAP.3: TUTTO IL MONEDO IN CASA. TV E CULTURE DI VISIONE Alla metà degli anni 50, il televisore fa il suo ingresso nelle case degli italiani. Se proviamo ad osservare l’evoluzione della televisione in Italia, possiamo individuare 3 fasi significative che corrispondono in larga misura alla tradizionale tripartizione della storia della tv europea: una prima fese, la più significativa perché costretta a misurarsi con l’assoluta novità rappresentata dalla tv, caratteristica del periodo “archeologico” del medium; una seconda fase che coincide con la fine del monopolio e l’ingresso in scena di molti diversi canali commerciali e infine il periodo contemporaneo, attraversato dalle dinamiche della digitalizzazione e da una esponenziale aumento dell’offerta.

UNA VISIONE “AMBIENTALE” Come ha spiegato Stephen Gundle, tra le principali peculiarità storiche della tv italiana c’è la “natura del suo impatto iniziale come in una dimensione collettiva”. Il possesso di un televisore privato ha costituito un privilegio esclusivo di un pubblico cittadino e borghese. Il ruolo più importante nel “mediare” i primi tratti tra italiani e televisore è stato quello degli esercizi pubblici che ne rendevano possibile una visione collettiva, che spesso prendeva le forme di u...


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