Trascrizione slide 2° libro - Economia e gestione delle imprese, Prof. Mastroberardino PDF

Title Trascrizione slide 2° libro - Economia e gestione delle imprese, Prof. Mastroberardino
Course Economia e gestione delle imprese
Institution Università degli Studi di Foggia
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COMPRENDERE L’IMPRESADel governo e della gestionePiero Mastroberardino – Giuseppe CalabreseTrascrizione delle slide dei capitoli: 4, 5, 6, 7, 8 e 9 – A cura di Alessia GramazioErSTRATEGIC MANAGEMENT: DALLE ORIGINI AGLI ANNI ‘Analizziamo i contributi chiave che hanno fissato i concetti base della dis...


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COMPRENDERE L’IMPRESA Del governo e della gestione Piero Mastroberardino – Giuseppe Calabrese

Trascrizione delle slide dei capitoli: 4, 5, 6, 7, 8 e 9 – A cura di Alessia Gramazio

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CAPITOLO 4 - STRATEGIC MANAGEMENT E VANTAGGIO COMPETITIVO STRATEGIC MANAGEMENT

Due sono i principali paradigmi. Il primo, noto come Industry Based View o S-C-P (Struttura, Condotta, Performance), è focalizzato sulla dipendenza dell'impresa dell’ambiente, e in particolare dal settore industriale in cui essa decide di operare, ed è figlio dell'approccio economico dell’Industrial Organization (IO Economics): dai caratteri strutturali del settore derivano le scelte strategiche e, dunque, le performance aziendali. Il secondo, noto come Resource Based View o R-C-P (Risorse, Condotta, Performance), qualifica l'impresa come bundle di risorse e si focalizza sui caratteri interni di differenziazione tra le imprese: sono le risorse a dettare le possibili scelte strategiche e dunque ad influenzare le performance dell'impresa. Prendendo spunto dal filone neo-istituzionalista, si è assistito all'emergere di una nuova prospettiva definita come Institution Based View, che si propone quale terza gamba del tripode strategico, aggiungendosi ai paradigmi dominanti della Industry Based View (S-C-P) e dalla Resource Based View (R-C-P).

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STRATEGIC MANAGEMENT: DALLE ORIGINI AGLI ANNI ‘60 Analizziamo i contributi chiave che hanno fissato i concetti base della disciplina. Chester Barnard (1938), individua nel management l'elemento chiave per il successo dell'organizzazione, affidandoli tre fondamentali funzioni: ➢ il mantenimento dei processi di comunicazione organizzativa; ➢ la garanzia dei servizi essenziali da parte degli individui; ➢ la formulazione di scopi e obiettivi. Philip Selznick (1957) pone enfasi sulla relazione tra leadership e il carattere dell'organizzazione: nel momento in cui l'impresa è priva di leadership - per quanto possano essere efficienti le sue strutture operative e i suoi flussi di comunicazione di controllo - i suoi processi strategici sono inesorabilmente interrotti. Herbert Simon (1945) fornisce un determinante contributo sul ruolo dei processi decisionali interni all'organizzazione. Edith Penrose (1959) spiega la crescita dell'impresa in funzione del fascio di risorse da questa possedute, con particolare riferimento alle capacità manageriali.

Prendendo spunto da queste radici concettuali, il primo contributo chiave della nascente disciplina dello strategic management si deva alla ricerca condotta da Alfred Chandler sui due seguenti temi: ➢ come le grandi imprese sviluppano nuove strutture amministrative per assecondare la loro crescita dimensionale; ➢ come si connettono i cambiamenti di strategia aziendale con quelli relativi alla struttura organizzativa, e come entrambi si connettono alle dinamiche evolutive dei mercati nei quali le imprese operano. Secondo Chandler la strategia può essere definita come la determinazione degli scopi e degli obiettivi a lungo termine dell' impresa e l'adozione di linee di condotta e allocazione delle risorse necessarie per il raggiungimento di questi obiettivi. Mentre la struttura può essere definita come il design dell'organizzazione attraverso il quale viene amministrata l'impresa. Questo design, definito formalmente o informalmente, ha due aspetti. Comprende, in primo luogo, le linee di autorità e di comunicazione tra i diversi uffici e funzionari amministrativi e, in secondo luogo, le informazioni e i dati che fluiscono attraverso queste linee di comunicazione e autorità.

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Secondo Chandler i cambiamenti di strategia rappresentano prevalentemente delle risposte adattiva delle imprese alle opportunità ovvero alle criticità venutesi a creare in seguito a mutamenti anche repentini di all'ambiente esterno. Al centro di questa visione evolutiva dell'impresa c'è il management, risorsa chiave in grado di: ➢ esplorare l'ambiente ed interpretarne i futuri scenari; ➢ immaginare nuove strategie di crescita (dimensionale) e/o di sviluppo (espansione dei confini geografici e/o di mercato del business model aziendale); ➢ disegnare nuove strutture. Secondo contributo chiave e fornito nel 1965 da Igor Ansoff, secondo il quale la strategia fa riferimento alle decisioni sul tipo di attività in cui l'impresa dovrebbe cercare di essere. una strategia di successo è connessa alle decisioni relative a quattro componenti fondamentali: ➢ il prodotto-mercato, ovvero il perimetro (scope) del business in cui l'impresa opera; ➢ il vettore di crescita, ovvero la road map futura circa cambiamenti relativi alla matrice prodottomercato; ➢ il vantaggio competitivo, ovvero la capacità di perseguire e di mantenere nel tempo livelli di profittabilità maggiori rispetto a quelli dei propri concorrenti; ➢ le sinergie tra le capacità e competenze interne all'impresa, funzionali allo scope coperto attraverso la matrice prodotto-mercato (valore aggiunto differenziale, derivante dall' operare contemporaneamente in due o più business tra loro integrati). Box 4.2 – pagina 169 del libro (riassunto a fine documento).

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Terzo contributo chiave fornito nel 1971 da Kenneth Andrews, chi ha dato vita al noto modello della SWOT Analysis. Egli definisce la business policy come lo studio delle funzioni e delle responsabilità della direzione generale (management) e dei problemi che influenzano il carattere e il successo dell'impresa totale. Egli definisce la strategia come il modello di obiettivi, scopi o traguardi e le principali politiche e piani per il raggiungimento di questi obiettivi, dichiarati in modo tale da definire in quale attività si trova o si troverà l'azienda e il tipo di azienda in cui si trova o deve essere. La strategia, secondo Andrews, si compone di due momenti: formulazione e attuazione. nella fase di formulazione occorre governare l'interazione tra i seguenti quattro aspetti: ➢ le opportunità di mercato; ➢ le risorse e le competenze dell'impresa; ➢ i valori e le aspirazioni personali del management; ➢ le responsabilità verso altri attori della società, andando oltre i soli interessi degli azionisti. Formulata la strategia occorre gestire le risorse disponibili e mobilitarle, attraverso una leadership efficace ed efficienti strutture organizzative, sistemi di incentivazione e meccanismi di controllo. L'analisi SWOT è una tecnica di analisi a supporto delle scelte del management. Viene condotta sui punti di forza (strenghts) e di debolezza (weaknesses) dell'impresa, al fine di far emergere le opportunità (opportunities) e le minacce (threats) che derivano dal contesto esterno. i punti di forza di debolezza sono fattori interni che possono creare o distruggere valore (es. capacità o le risorse che l'impresa ha a sua disposizione). le opportunità e le minacce sono fattori esterni incontrollabili per l'impresa, che possono contribuire a creare o distruggere valore (fattori politici, economici ,sociali, demografici, culturali e tecnologici. Inoltre, possono emergere da dinamiche competitive).

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Quarto contributo chiave e fornito nel 1967 da James Thompson che, oltre ad approfondire le dinamiche di interdipendenza tra le diverse business unit aziendali nei confronti della complessiva e più generale corporate strategy, introduce i concetti di strategia cooperativa, alleanze strategiche e dinamiche coalizionali. Questi approcci, fondati generalmente su metodi induttivi (analisi di casi specifici), a causa dell' imminente non replicabilità di quanto osservato, vengono fatti oggetto di forti critiche che nei due decenni successivi spianano il campo ad una decisa curvatura metodologica degli studi di strategic management verso quelli tipici dell'Industrial Organization Economics. GLI ANNI ’70 E ’80: LA SVOLTA QUANTITATIVA E IL PARADIGMA S – C – P Dalla prima metà degli anni ‘70 inizia un radicale cambiamento nello strategic management: ➢ sia per ciò che concerne l'oggetto di studio (si passa dalla singola impresa al settore industriale e ai gruppi strategici); ➢ sia per ciò che concerne il focus che orienta le ricerche (si passa dalle competenze distintive interne all'impresa alle variabili strutturali del contesto competitivo esterno); ➢ sia per ciò che concerne le metodologie di ricerca (si passa dall'approccio induttivo degli studi di casi all' approccio deduttivo abilitato anche dalla disponibilità dei primi grandi database quantitativi).

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Il contributo di Mason (1939) e Bain (1956): l'approccio Struttura – Condotta – Performance, di matrice economico-industriale (Industrial Organization), diverrà il paradigma di riferimento degli studi di strategia per oltre due decenni. le condotte aziendali vanno spiegate anzitutto analizzando l'ambiente esterno in cui le imprese operano e, in particolare, il settore industriale di riferimento: il settore e le sue dinamiche evolutive, piuttosto che la singola impresa, devono essere oggetto dell'interesse dello studioso. Dagli anni ’60 all'interno delle discipline organizzative prende corpo, fondato sulla poderosa metafora organicista o del sistema biologico, un ricco filone di studi e di ricerche empiriche che enfatizzano da un lato gli elementi caratterizzanti l'ambiente in cui le imprese possono trovarsi ad operare, dall'altro le capacità di adattamento delle medesime tese ad assicurare anzitutto la loro sopravvivenza. è il filone delle contingenze organizzative secondo cui al crescere della complessità e dell' instabilità ambientale (di mercato, di tecnologia) le imprese, per sopravvivere, debbono adottare forme organizzative adatte, collocabili su un continuum tra sistema meccanico e sistema organico (Burns T., Stalker G.M., 1961), facendo crescere di pari passo con la complessità dell'ambiente esterno il livello interno di differenziazione ed integrazione organizzativa (Lawrence P.R., Lorsch J.W., 1967). Terzo filone proveniente dalle critiche mosse agli studi di strategic management basati sul metodo dei casi, ritenuto poco scientifico. Milton Friedman (Positive Economics, 1959) afferma il metodo scientifico in economia quale metodo deduttivo. Descrivendo l'economia positiva, Friedman specifica che il suo compito è quello di fornire un sistema di generalizzazioni che possa essere utilizzato per fare previsioni corrette riguardo a qualsiasi cambiamento nelle circostanze. Le sue prestazioni devono essere giudicate in base alla precisione, alla portata e alla conformità con l'esperienza delle previsioni che produce. In breve, l'economia positiva è, o può essere, una scienza oggettiva, esattamente nello stesso senso di una qualsiasi delle scienze fisiche. Queste diverse forze convergono verso un comune effetto: gli studi di strategic management modificano il focus del proprio ambito di ricerca. Le performance dell'impresa sono anzitutto funzione dell'ambiente nel quale essa opera e rispetto al quale l'impresa ha una posizione di dipendenza. Le decisioni strategica chiave, basate su una rigorosa fase di analisi delle dinamiche ambientali (sia dei trend macroeconomici, politici, tecnologici e sociali, sia dei caratteri strutturali del settore), diventano due: ➢ la scelta del settore nel quale operare sulla base della sua attrattività; ➢ la scelta di una fonte (i costi, la differenziazione o la focalizzazione) su cui basare la costruzione del proprio vantaggio competitivo all'interno del settore. l'analisi della struttura del settore diviene la tecnica regina dello strategic management, uno step preliminare ed imprescindibile di qualunque piano strategico.

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Michael Porter (1980) arricchisce i classici indicatori di matrice economico industriale estendendo l'analisi oltre i confini del settore inteso in senso tradizionale (i concorrenti attuali) e qualificando la redditività del settore, dunque la sua attrattività, come funzione di 5 forze competitive: ➢ i concorrenti attuali (Box 4.3 – pagina 179 del libro. Riassunto a fine documento); ➢ i potenziali nuovi entranti; ➢ i fornitori di prodotti sostitutivi; ➢ il potere contrattuale dei fornitori; ➢ il potere contrattuale dei clienti. Secondo Porter il comporsi delle cinque forze determina il campo del gioco competitivo e il potenziale di redditività dell'impresa che scelgono di operarvi. Esiste dunque una differenza tra settori più attrattivi e settori meno attrattivi. L' effettiva redditività di ciascuna impresa, tuttavia, è poi funzione delle condotte strategiche operate da questa e finalizzate a distinguere la propria offerta da quella degli altri competitori. secondo Porter, infatti, la competitività strategica è essere differenti. Porter definisce le tre strategie competitive di base (Box 4.4 – pagina 182 del libro. Riassunto a fine documento): ➢ leadership di costo; ➢ differenziazione; ➢ focalizzazione.

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Due ulteriori concetti vengono introdotti in questa fase: ➢ Il gruppo strategico (Hunt, 1972); ➢ le barriere alla mobilità (Caves, Porter, 1977). Secondo Hunt all'interno di un certo settore è possibile individuare due o più gruppi strategici andando a rilevare le similitudini tra le imprese in termini di: struttura dei costi, grado di diversificazione del portafoglio prodotto/mercato, organizzazione formale, sistemi di controllo e percezioni e preferenze degli individui. Porter afferma che un settore può essere considerato come composto da gruppi di imprese, ogni gruppo costituito da imprese che perseguono strategie simili per quanto riguarda le variabili decisionali chiave. Secondo Porter un gruppo strategico è un gruppo di aziende di un settore che seguono una strategia simile o identica per quanto riguarda le dimensioni rilevanti. Un’industria può essere una strategia unica se tutte le aziende seguono essenzialmente la stessa strategia. Ad un altro estremo, ogni impresa potrebbe essere un gruppo strategico diverso. sono di solito un piccolo numero di gruppi strategici, che riassumono le differenze strategiche essenziali tra le imprese di un settore.

Il concetto di gruppo strategico modifica il tradizionale assunto secondo cui all'interno di un certo settore le differenze tra le performance delle imprese erano da attribuire esclusivamente alla quota di mercato detenuta. Il concetto di gruppo strategico rende l'analisi più complessa, assumendo che a livello iter-gruppi siano le diverse condotte strategiche a determinare i differenziali osservati nelle performance. Entro lo stesso gruppo strategico, invece, permane l'ipotesi forte che la diversa performance siano da attribuire alle diverse quote di mercato.

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Connesso al concetto di gruppo strategico, e funzionale alla spiegazione del permanere dei differenziali di performance inter-gruppi, è quello di barriere alla mobilità (Caves, Porter, 1977), una sorta di estensione del concetto di barriere all'ingresso nel settore formulato da Bain nel 1956. così come gli ostacoli all'ingresso in un certo settore industriale ne preservano la redditività dall'azione di potenziali nuovi concorrenti, all'interno del settore esistono ostacoli alla mobilità tra un gruppo strategico e gli altri. Le barriere alla mobilità preservano la redditività di ciascun gruppo strategico dalla minaccia di movimenti intra-settoriali dovuti all' azione imitativa dei concorrenti operanti in altri gruppi. L'efficacia di tali barriere dipende dal volume degli investimenti richiesti a chi, operando al di fuori del gruppo, volesse adottare la medesima strategia applicata nel gruppo. Ulteriore rilevante contributo arriva dagli studi di marketing che, parallelamente allo strategic management, si vanno affinando e strutturando. Si tratta del concetto di Strategic Business Area (SBA) formulato da Derek Abell (1980) in seno al suo modello tridimensionale di definizione del business. Un'Area Strategica d'Affari (ASA) è frazione dell’ambiente competitivo caratterizzata da particolari fattori critici di successo e definibile in base a tre dimensioni: ➢ customers groups: i gruppi di clienti che verranno serviti; ➢ customer needs: i bisogni dei clienti (o funzioni d'uso) che verranno soddisfatti; ➢ distinctive competencies: le tecnologie che saranno utilizzate per soddisfare i bisogni dei clienti. Box 4.5 – pagina 187 del libro.

GLI ANNI ’70 E ’80: IL RITORNO AL FOCUS SULLA SINGOLA IMPRESA Due approcci teorici - tra gli anni ‘70 e gli anni ’80 - riportano l'attenzione dai concetti relativi ad aggregazioni di imprese (settore, gruppo strategico, area strategica di affari) alla singola impresa, e dall'analisi del contesto competitivo esterno a quello dei processi decisionali interni alle imprese. Il primo è quello dell'Economia di Costi di Transazione (ECT, Williamson, 1975) fondata sul lavoro di Coase (1937), secondo cui: ➢ le imprese non sono mere funzioni di produzione, bensì complessi sistemi di governo delle transazioni; ➢ le imprese esistono in quanto, in certe condizioni (razionalità limitata, incertezza, opportunismo, piccoli numeri, specificità di certi asset), il costo degli scambi economici basati sui prezzi di mercato (opzione buy) è maggiore di quello relativo alla produzione interna (opzione make); ➢ mercato (prezzi) e gerarchia (regole) sono poli di un continuum, due forme pure alternative di organizzazione delle attività economiche in una logica che non punta alla minimizzazione dei (soli) costi di produzione ma quella dei più complessi costi di transazione.

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Il secondo è la Agency Theory (Jensen & Meckling, 1976) a partire dai contributi sulla separazione tra proprietà e management di Berle & Means (1932), secondo cui: ➢ tra la proprietà e il management vige una relazione di agenzia del tipo principal-agent; ➢ è una relazione connotata da asimmetria informativa a svantaggio della proprietà; ➢ la posizione di relativa debolezza della proprietà implica il sostenimento di costi di agenzia tesi ad implementare e mantenere meccanismi organizzativi finalizzati a misurare le performance manageriali, controllare l' operato dei manager, mettere appunto sistemi di incentivazione manageriale tali da favorire condotte tese alla creazione di ricchezza per l' azionista. GLI ANNI ’90: LA RISCOPERTA DELLE RISORSE E IL PARADIGMA R – C – P A partire dalla prima metà degli anni ’80, gli studi di strategic management cominciano a spostare nuovamente il focus dall'analisi dall'ambiente esterno a quella delle risorse interne all'impresa. Si recuperano i lavori originari utili a tale scopo, quali: Chandler, Ansoff, Andrews, Penrose (risorse). Il carattere di unicità di ciascun’impresa, basato sul proprio patrimonio di risorse, è il concetto chiave della Resource Based View (RBV), ovvero di quel paradigma R – C – P (Risorse, Condotta, Performance) che si svilupperà per tutti gli anni ’90 in contrapposizione a quello definito S – C – P (Struttura, Condotta, Performance), sino ad allora egemone nell'ambito degli studi di strategic management.

Il nuovo paradigma parte dal più spinoso quesito irrisolto del paradigma S – C – P: “Perché, pur operando nella medesima arena competitiva, le performance di alcune imprese sono sostanzialmente differenti rispetto ad altre?”. Secondo la RBV (Wernerfelt, 1984; Rumelt, 1984) la risposta è da cercare nell'insieme delle risorse (materiali e immateriali) di cui l’impresa dispone e che, almeno in un certo periodo di tempo, non sono disponibili ai concorrenti. Numerose ricerche provano a spiegare in che modo la specificità del patrimonio delle risorse aziendali si traduce in significative differenze di performance per l'imprese. Box 4.7 – pagina 195 del libro (riassunto a fine documento).

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Nel 1991 Barney presenta un framework per l'identificazione dei caratteri necessari affinché una certa risorsa possa rappresentare un valido fondamento ai fini del vantaggio competitivo. Si tratta di quattro elementi, sintetizzati dall’acronimo VRIN: ➢ (V) valuable: le risorse sono preziose se contribuiscono alla creazione di valore, sostenendo il processo di contenimento dei costi e/o dei rischi, ovvero quello di incremento dei ricavi; ➢ (R) rare: la rarità della risorsa fa sì che non sia facilmente reperibile ai competitor; ➢ (I) imperfect imitability; ➢ (N) non-substitutability.

Secondo l’approccio R – C – P (Riso...


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