Tutta Linguistica Geymonat PDF

Title Tutta Linguistica Geymonat
Author Mattia Porcelli
Course Storia della lingua italiana
Institution Università degli Studi di Torino
Pages 17
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Summary

Mod. 1, a.a 2017/2018, Patota, Serianni-Antonelli e la Manni...


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Lezione n°10 del 9/10/2017

Lezioni Precedenti: ·

Tratti Panromanzi: - La ristrutturazione del sistema vocalico (da 10 vocali a 7); - Il dittongamento: Spontaneo (Toscano) o Metafonetico (assimilazione tonica); - La Lenizione (sonorizzazione e articolazione sempre meno occlusiva); - Raddoppiamento fonosintattico e Betacismo; - La Palatalizzazione; - Morfologia nominale 3 tratti: lo standarsi delle declinazioni, la ristrutturazione del neutro, Vocalismo siciliano (l'articolo); - Morfologia verbale 4 tratti: futuro perifrastico,

Per il futuro Varvaro dice che le perifrasi usate per le lingue romanze, sono di vario tipo: possono essere fatte con l'ausiliare avere, ma ci sono casi dove l'ausialare è Volere, Venire + ad + infinito, la perifrasi con cantere per il napoletano. Ad esempio l'epitome, un riassunto di storie lugnhe medievali, di Fredegario. Questa epitome risale alla seconda metà del VII secolo, in questa epitome si racconta che l'imperatore Giustiniano, trovandosi in Mesopotamia durante il IV secolo, pronuncia questa forma: Non dabo. Quest'ultima è la forma classica del futuro di Dare che però in evoluzione italiana darebbe trasformando la V intervocalica Davo coincidendo con l'imperfeto attuale. Etimologicamente l'imperfetto esce in A, come si può notare negli autori delle tre corone (Dante, Petrerca e Boccaccio), dove l'imperfetto della prima persona singolare esce sempre in A. Ad un certo punto per quello stesso fenomeno del livellamento analogico delle desinenze, che abbiamo visto per I, così la desinenza della prima persona singolare diventa O si diffonde anche alla prima persona singolare dell'imperfetto dell'indicativo, questo avviene nel '400. Varvaro ci vuole fare vedere che la forma univerbata Abeas, ha attesatazione ancora più antica di quella del VII secolo, perché noi possediamo una Fibula (Fibbia per le cinture), [Fibula= gruppo trisillabico con accento sulla terz'ultima, quindi la U cade, si forma un gruppo secondario bisillabico BL che evole in -bia], rozza che contiene una rozzissima iscrizione, la quale contiene un futuro già pienamente nella forma romanza Possediravit, la fibula recita: Landelinus ficit Numen Qui illa possediravit viva Vsqui annus mili in D(eo)

quello che sorprende è la forma Possedere + Avere: Possider + Avuit. Nel sarcofago di Giratto, sarcofago della seconda metà del XII secolo conservato a Pisa, contiene due iscrizioni (Guardare pag.8 della lez. n°9): una è la firma di colui che l'ha fatto, lo scultore; l'altro è una formula, dialogo tra i vivi e i morti mezzo in latino e mezzo in volgare, questa contiene una perifrasi verbale con valore deontico futuro. Interessante da vedere è la forma del verbo Essere Tu sè e la forma Tu dei essere, perifrasi verbale con Dovere nel senso "tu sarai". Per il De volgari eloquentia per il futuro si prende in esame il veneziano, la forma che Dante adduce al futuro è molto simile alla forma Daras usata da Giustiniano nel IV secolo. Dante scrive che neanche i veneziani possono considerarsi degni di quell'onore del volgare

di cui andiamo in cerca; e se qualcuno di loro, trafitto dell'errore, vaneggiasse a questo proposito, si ricordi se ha mai detto: Per le plage de Dio tu no veras . Tradotto: Per le ferite di Dio tu non verrai. La forma del futuro è molto evidente è Venire+Abes, che presenta solo la tonica A e la S finale. La conservazione di S finale per le seconde singolari è un tratto tipico del veneziano antico che se ne conserva ancora una traccia nel veneziano moderno perché i veneziani formano le interrogative con la postposizione del soggetto, come in francese o in inglese. Da notare anche il nesso consonantico di occlusiva labiale più la velare conservato in Plage. Altra forma perifrastica che si è univerbata è quella del Condizionale.

Il Condizionale Il condizionale nasce da una perifrasi di infinito + passato remoto di Avere, cioè non Habui che è la forma del latino classico, ma Hebui la quale fortemente ridotta arriva alla desinenza -ei come Temerei. Anche per questo tratto abbiamo alcune testimonianze, ad esempio epigrafe di Dodo pisana fatta nel 8 Settembre 1243, dove un certo signore si firma come Dodus e scrive: Dodus fecit puplicare hoc opvs. Si può notare che sia la parte iniziale che la parte finale sono state scritte in latino e il resto del testo è in volgare e ricorda due imprese navali contro Genova che sono fallite. Le due forme di condizionale che si possono notare sono: Andaro a cum galee, forma di passato remoto regolare con la desinenza Arunt ridotta ad Aro tipica dell'italiano antico spesso utilizzata da Dante; Stettervi qui si nota la ToblerMussafia dove V si trova in posizione clitica perché è all'inizio di una nuova frase; Guastaro è come Andaro; Averebberlo preso qui troviamo il secondo condizionale Avare, per un motivo fonetico vocale invece i avere c'è avare, desinenza Ebbero terza persona plurale del condizionale e il LO in clitico perché prima vi è la congiunzione E; Volse forma analogica del passato di Volere; N'andammo si passa dalla terza persona alla prima; Avarenmola stessa cosa di N'andammo cioè Avare + Hebuimus, anche qui si può notare la Tobler-Mussafia perché il LA è in posizione in clitica perché segue la congiunzione E. Lezione n°11 del 10/10/17

Nella quarta riga di questa epigrafe ci sono parecchi errori perché il testo è stato preparato per il lapicida ed egli nel scriverlo si è sbagliato a introdurre il numero delle navi partite. Nella r.4 abbiamo prima la preposizione che si riferisce a Porto Venere, poi tra la proposizione e Porto Venere c'è il numero delle Galee, quindi il lapicida ha anticipato impropriamente la preposizione o posticipato impropriamente Porto Venere. L'ipotesi che chi ha preparato il testo, avesse scritto su una pergamena, e poi all'ultimo momento, perché si era andato a informare in proposito, ha trovato il numero delle Vacchette e quindi l'ha inserito con un segno di richiamo. Però questo segno ha fatto mal intendere al lapicida il punto in cui doveva inserire il numero. Quindi o il lapicida non ha visto che doveva inserire il numero oppure ha sbagliato a capire dove andava inserito. L'altra questione è che là dove Dante prende in giro i pisani nel DVE, dice Andonno usa la desinenza -Onno che non altro che il risultato di una desinenza analogica formata sulla terza persona singolare, qui in questo caso viene affiancata la desinenza - nno come morfema di terza plurale, stessa desinenza per cui diciamo Amano. Questo è un tratto tipicamente pisano, che non viene solo preso in giro da Danta, ma lo troviamo documentato in tanti altri testi pisani antichi. Perché allora nell'epigrafe troviamo il pssato remoto formato con la desinenza di Arunt e non la desinenza italiana -no? È successo un processo simile, dove

avvenuto, si appoggiano alle desinenze -aro, -ero, -iro, la desinenzo -no sentita come morfema di terza plurale. Altra questione sono i condizionali soprattutto Avarebberlo e Avarenmola perché a Pisa la forma condizionale di AVERE si presenta nella forma Are- qui abbiamo due differenze rispetto al pisano: la froma dell'infinito di avere è completa, non è sincopata, non è ridotta ad Are, ma Avare; l'altra invece che presenta Ar invece che Er, questo Ar è in posizione protonica che però non subisce il mutamento in Er, ma nel pisano antico se ci sono degli Er atoni tendono a trasformarsi in Ar. L'ipotesi degli studiosi riguardante a questa epigrafe è quella che Dodo, si sia avvalso di un lapicida o di uno scrittore che ha scritto il testo, che non era pisano. Per quanto riguarda Dante, troviamo un caso interessante riguardante gli Apuli, ovvero i pugliesi, dicendo: Bolzera che chiangesse lo quatraro

si tratta di un endecasillabo, quindi di un verso citato da una poesia, vuol dire: "Vorrei che piangesse il ragazzo". Questo Bolzera è una forma di condizionale che deriva dal Più che perfetto latino dove esisteva il tipo Fora. Bolzera darà poi in un latino tardo una forma del condizionale arrivando a Volsera, avviene quindi un betacismo dova la V è resa anche foneticamente con un occlusiva labiale, quindi è il caso del batacismo in cui la V viene realizzata come occlusiva; l'altro è il passaggio dell'africata dentale della S dopo labiale in gruppo consonantico. Caratterizzante è il cambiamento Chiangesse per Piangesse cioè l'evoluzione del gruppo PL in posizione iniziale che, in italiano la L diventa una semivocale quindi PI, invece nei dialetti meridionali ha questa evoluzione. Quatraro invece è un modo per dire Guaglione ovvero Ragazzo.

IL PASSIVO PERIFRASTICO E IL PASSATO PERIFRASTICO Il passivo e il passato perifrastico hanno invaso e preso il posto dell'intero paradigma del passivo. Sia che per il passato prossimo che per il passivo possiamo vedere il Ritmo laurenzian. In questa poesia troviamo il verso: Ben'è cresciuto e melliorato

Questo Ritmo è un testo toscano di tipo giullaresco della fine del XII e inizi del XIII secolo, il Ritmo è stato scritto inizialmente con una invocazione al vescovo di Iesi che si chiama Grimaldesco, Grimaldesco di Iesi. Il nome del paese di provenienza viene detto Senato, quindi con una riduzione latina di Mai sinate, dove avviene quindi un'aferesi. Quello che possiamo notare è che c'è un metaplasmo di declinazione, un aggettivo di due uscite di terza declinazione ad un aggettivo di quattro uscite di seconda declinazione. Il testo ci viene tramandato, non come gli altri in opuscoli, ma ci arriva perché è stato trascritto su margine inferiore di un codice che contiene un martirologio latino, cioè raccolte di storie di un martire. Questo codice è conservato oggi a Firenze nella biblioteca Laurenziana. È possibile che il giullare si di Volterra perché ad un certo punto del testo, quasi verso la fine, viene citata l'omonima città. Si tratta di tre strofe che hanno un unica rima: la prima rima in -ato, la secondo in -ano e la terza in -esco. Le rime si trovano in tutti i versicoli è in certo quindi come vada interpretato, Formentin pensa che si tratti di versi doppi che oscillano tra otto e

novenari che però rimano tutti, secondo altri, dato che la rima è anche interna, si tratta di strofe di dieci versi. Il modello di questo tipo di strofe è un modello provenzale e ciò si può dedurre dal fatto che ci sono parecchi astratti di questo componimento anche a livello linguistico che fa pensare ad una voluta imitazione di modelli. Salva lo vescovo senato, lo mellior c’unque sia nato, ce [dall’]ora fue sagrato tutt’allumina-l cericato. Né Fisolaco né Cato non fue sì ringratïato, e-l pap’ à llui [dal destro l]ato per suo drudo plu privato. Suo gentile vescovato ben’è cresciuto e melliorato.

Da notare come viene scritto Migliore, con valore sicuramente palatale, ma scritto ancora con la grafia latina di LJ che viene allungato con una seconda L per dire che quella è una L lunga. Fue sagrato qui si nota il passaivo con una sonorizzazione con G invece che C; da notare anche come viene edito l'articolo che in posinsione post-vocalica si riduce a L; ringratiato sicuramente si pronunciava con la Z, ma veniva ancora scritto con la grafia latina TI; Ben'è cresciuto e melliorato si nota il passato prossimo di cui si scriveva all'inizio. Per quanto riguarda il DVE possiamo vedere l'esempio dove Dante loda i siciliani dicendo che tutte le poesie che scrivono gli italini, quest'ultimi devono dare il merito ai siculi e che alcuni maestri utilizzavano questi due versi: Ancor che l'aigua per lo foco lassi Amor, che lungiamente m'hai menato

Quest'utlimo verso è stato citato da Dante da una canzone di Guido delle Colonne, canzoni che Dante cita spesso come esempio di canzone è particolarmente pregevole per il tipo di versi con il quale è costruita, cioè fatta da endecasillabi. Questo verso, come si può notare, contiene un passato prossimo. Come si può notare questa canzone è una canzone composta tutta in endecasillabi, la possediamo attraverso due dei nostri tre codici che ci tramandano le liriche. Il più importante dei tre codici è V la cui sigla è Vaticano Latino 3793 ed è un codice della fine del XIII secolo, quindi arriva prima dello Stilnovo, questo è il testimone più ricco che ci tramanda moltissime poesie in copia unica, se non l'avessimo non le conosceremmo; questa poesie viene tramandata inoltre da P, un altro codice della lirica delle origine che si conserva a Firenze ed è noto con il nome di Bancorari 217, questo codice forse è di fattura Pistoiese, lo si riconosce da alcune spie linguistiche ed è stato fatto alla fine del XIII e l'inizio del XIV secolo; c'è un terzo codice importante che è il Laurenziano si chiama Rediano 9, è importante perché contiene Quintone ed è stato fatto a Pisa poi in relatà altre mani fiorentine hanno aggiunto alcune canzoni e dei sonetti in coda al codice. La canzone di Guido delle Colonne è costituita appunto da cinque strofe, tutte in endecasillabi, tredici endecasillabi, ogni strofa ha rime diverse dalle precedenti, infatti viene detto che si tratta di Stanze Singulars, cioè che non hanno rime in comune con le altre, presenta un artificio chiamato Combinatio, cioè hanno una rima baciata agli ultimi due versi. Lezione n° 12 del 11/10/2017

Nell'Inferno XXIX di Dante ai v.77 è possibile notare l'esito antico del gruppo secondario di occlusiva velare sonora ed L: Battegula, Stregula, Tigilare. Questo gruppo ha un trattamento particolare perché noi oggi diciamo Teglia...


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