10 misconcezioni e ostacoli PDF

Title 10 misconcezioni e ostacoli
Author Federica Polizzotto
Course Didattica e storia della matematica
Institution Università degli Studi di Palermo
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MISCONCEZIONI E OSTACOLI ALLA SDI E ALLA SP: ASPETTI TEORICI ED ESEMPI Una misconcezione è un concetto errato e quindi costituisce genericamente un evento da evitare ma non va sempre interpretata come una situazione del tutto negativa perché non è escluso che per poter raggiungere la costruzione di un concetto, si renda necessario passare attraverso una misconcezione momentanea ma in corso di sistemazione, per cui, citando d’Amore,”farsi un modello di un concetto, dunque, significa rielaborare successivamente immagini (deboli, instabili) per giungere ad una di esse definitiva (forse stabile). La parola “ostacolo”, a livello semantico, significa qualcosa che si oppone ad un cammino e quindi costituisce un impedimento, un contrasto. Sembrerebbe, a questo punto, indicare qualcosa di prettamente negativo e, nel caso della conoscenza, sembrerebbe corrispondere a qualcosa che impedisce o tenta di impedire tale costruzione. Brousseau sostiene che un ostacolo non è necessariamente una mancanza di conoscenza ma bensì una conoscenza. L’ostacolo è generalmente un’idea che, al momento della formazione di un concetto, è stata efficace per risolvere dei problemi precedenti ma che si rivela fallimentare nell’affrontare un problema nuovo. Essendo risultato efficace una volta, però, si continua a conservare l’idea acquisita, nonostante il fallimento, facendo sì che l’idea si trasformi in barriera verso gli apprendimenti successivi. Oggi, nella vita di tutti i giorni, abbiamo accettato questo numero come cifra perché ci siamo resi conto essere molto utile, ma continuiamo a ritenere difficile la sua concezione in qualità di numero. Quando un oggetto nuovo entra nella lingua comune e nelle abitudini quotidiane, scattano meccanismi di accettazione semantica nuovi che presto o tardi ne determinano convenzioni d’uso che entrano a far parte della vita di tutti i giorni. Per questo motivo i bambini di oggi, entrano in contatto con questo oggetto mentale in modo spontaneo e se ne appropria no senza fatica. L’uso sempre più frequente del termine MISCONCETTO negli anni testimonia la crescente adesione al modello costruttivista dell’apprendimento ed al nuovo approccio all’interpretazione degli errori che tale modello comporta. Gli studi sui misconcetti riflettono anche il cambiamento di metodologia tipico di quegli anni: le interviste cliniche a pochi soggetti sostituiscono le analisi statistiche condotte con campioni numerosi. D’altra parte nel caso dei misconcetti la fonte privilegiata di informazioni sono gli allievi stessi, soprattutto nella fase in cui i ricercatori cercano di ricostruire i processi (di pensiero, o risolutivi, o di apprendimento) che hanno portato ad un dato errore. Come spesso accade con le nuove idee, a questo primo periodo di entusiasmo e popolarità segue un momento di riflessione e di approfondimento, e quindi anche di critica. Le contestazioni più recenti all’uso del termine ‘misconcetto’ sono basate sul rifiuto della connotazione negativa considerata implicita nel prefisso ‘mis’, ma anche sulla messa in discussione della possibilità di parlare di ‘correttezza’ (e quindi di scorrettezza) in termini assoluti. Secondo un punto di vista condiviso da molti ricercatori, e che d’altronde riflette l’epistemologia dell’errore su cui abbiamo riflettuto, i misconcetti sono infatti considerati un momento necessario nel passaggio da un certo livello di conoscenza ad uno superiore, in quanto l’apprendimento richiede continuamente una ricostruzione cognitiva che implica un periodo di conflitto e confusione. . Ma non si può ignorare o sottovalutare la svolta radicale che l’idea di misconcetto e l’approccio all’errore che essa veicola ha rappresentato nel momento e nel contesto in cui è nata, con il suo mettere l’allievo ed i suoi processi di pensiero al centro dell’attenzione del ricercatore e dell’insegnante. E’ questo spostamento di punto di vista che qui mi interessa, spostamento coerente con un modello d’apprendimento che riconosce al discente il ruolo di interprete dell’esperienza, e di soggetto attivo che costruisce la propria conoscenza. Più precisamente mi interessa sottolineare come questo modello metta in crisi l’interpretazione tradizionale degli errori, che li vede semplicemente prodotto di conoscenze insufficienti. L’allievo infatti interpreta l’esperienza con la matematica, in particolare i messaggi che l’insegnante continuamente manda: messaggi che hanno come oggetto algoritmi, termini, simboli, proprietà, concetti. L’allievo dà un senso a questi messaggi, senso che dipende naturalmente dalle conoscenze che egli ha ma anche da tanti altri elementi meno ovvi. Quell’algoritmo, quel termine, quel simbolo, quella proprietà, quel concetto, verranno interiorizzati secondo il senso attribuito dall’allievo, e può accadere che tale senso non coincida con quello che l’insegnante intendeva comunicare. Esempi di misconcezioni nella scuola dell’infanzia è il giudizio di valore, ovvero l’insieme dei tanti e dei pochi, il lungo e il corto, il vicino e il lontano Sappiamo dalla letteratura che la formazione prematura di un modello concettuale di moltiplicazione quando si ha a disposizione solo l’insieme N dei numeri naturali genera spesso misconcezioni quando si passa ad analisi semantica e didattica dell’idea di “misconcezione”: una proposta 19 un altro insieme numerico, tra le quali la più conosciuta e difficile da superare è quella segnalata da noi in questo stesso articolo: il prodotto è

maggiore dei fattori. Ad esempio, il tentativo di continuare ad applicare tale modello quando la moltiplicazione viene eseguita sull’insieme Q dei numeri razionali si rivela fallimentare. Risulterebbe allora utile didatticamente lasciare immagini in continua evoluzione cercando di non creare troppo presto modelli forti e stabili. Per entrare più in dettaglio, consideriamo l’insieme N dei numeri naturali; sia × l’ordinaria moltiplicazione definita in N (interna). L’immagine concettuale che viene proposta per tale operazione si fonda su due specifici riferimenti espliciti: • formale: la moltiplicazione è definita come un’addizione ripetuta (cioè 5×3 è 5+5+5) • grafica: la moltiplicazione è rappresentata graficamente da un rettangolo di punti-unità (per esempio 5×3 è rappresentata da 3 file di 5 punti-unità). La moltiplicazione in N, qualora dovesse limitarsi ad N e non dovesse essere estesa a Q, non crea le tipiche misconcezioni segnalate da decenni dai ricercatori a questo proposito; ad esempio, la misconcezione più diffusa, così come noi l’abbiamo espressa, in N è una concezione vera: effettivamente, in N, il prodotto è sempre maggiore dei fattori (a parte il caso in cui siano coinvolti numeri assai speciali come 0 ed 1). Come abbiamo già evidenziato, questa misconcezione è basata principalmente sul fatto che la peculiarità più evidente ed intuitiva della moltiplicazione in N, cioè il fatto che il prodotto è maggiore dei singoli fattori, viene meno in Q. Negli ultimi anni l’attenzione della didattica della matematica si è rivolta e concentrata sullo studio delle misconcezioni. Per capire che cosa si intende con questo termine, riportiamo le seguenti parole di D’Amore: «Una misconcezione è un concetto errato e dunque costituisce genericamente un evento da evitare; essa però non va vista sempre come una situazione del tutto o certamente negativa: non è escluso che per poter raggiungere la costruzione di un concetto, si renda necessario passare attraverso una misconcezione momentanea, ma in corso di sistemazione». Le immagini deboli e instabili che uno studente si fa di un concetto, possono essere in certi casi delle vere e proprie misconcezioni, cioè interpretazioni errate delle informazioni ricevute. Essendo in continua evoluzione nella complessa scalata verso la costruzione di un concetto, non sempre risultano di ostacolo all’apprendimento futuro degli allievi, a meno che esse non diventino forti e stabili modelli erronei di un concetto. In questo caso, la stabilità del modello costituisce di per sé stessa un ostacolo ai futuri apprendimenti. E’ molto difficile per l’allievo costruire un concetto, soprattutto quando il modello che si forma rappresenta solo un’immagine-misconcezione che avrebbe dovuto essere stata ampliata per riuscire a contemplare i diversi aspetti del concetto stesso. Dal punto di vista didattico, quando un insegnante propone un’immagine forte, convincente, persistente, e in alcuni casi addirittura univoca di un concetto, l’immagine si trasforma in modello intuitivo. Si crea quindi una sorta di rispondenza diretta tra la situazione proposta ed il concetto matematico che si sta utilizzando; ma questo modello potrebbe non rispecchiare il sapere matematico chiamato in gioco, generando così un modello parassita che vincola l’apprendimento futuro. Più “forte” è il modello intuitivo, più difficile è infrangerlo per assimilare e accomodare una nuova immagine più comprensiva del concetto. In questi casi, le misconcezioni, che potrebbero non essere considerate in senso negativo, se viste e proposte come momento di passaggio, diventano forti ostacoli per i successivi apprendimenti difficili da essere superati.Nella ricerca in Didattica della Matematica avvertiamo la presenza di due categorie di misconcezioni che abbiamo chiamato: “inevitabili”, quando derivano solo indirettamente dalla trasposizione didattica, essendo imputabili alla necessità di dover partire da un certo sapere da dover comunicare, che non sarà mai inizialmente esaustivo dell’intero concetto matematico; “evitabili”, quando sono una diretta conseguenza della trasposizione didattica.Mi s c onc e z i oni“i ne vi t abi l i ”. Lo studente ha imparato negli anni a riconoscere il quadrato e il rettangolo tramite sollecitazioni scolastiche ed extra-scolastiche. Un giorno l’insegnante di scuola primaria analizza più a fondo da un punto di vista logico la definizione di quadrato a partire dal rettangolo. Quindi, dopo aver disegnato un quadrato alla lavagna sostiene che esso è un particolare tipo di rettangolo (visto che ha tutti i lati congruenti). La misconcezione che negli anni potrebbe essersi creata nell’allievo che l’immagine prototipo di rettangolo è una figura che deve avere i lati consecutivi di lunghezze diverse, potrebbe a questo punto creare un conflitto cognitivo con la nuova immagine proposta dall’insegnante. Tale possibile misconcezione iniziale è da noi considerata “inevitabile”, in quanto dipende dalla necessaria gradualità dell’introduzione dei saperi che, per

essere proposti, si devono ancorare a rappresentazioni semiotiche che spesso nascondono la totalità e la complessità del concetto. Risulta in effetti impensabile poter proporre inizialmente tutte le considerazioni necessarie per poter caratterizzare un concetto dal punto di vista matematico e questa scelta obbligata dipende soprattutto dagli ostacoli ontogenetici.Mi s c o nc e z i o ni“e vi t a bi l i ”. Molti insegnanti, non solo della scuola primaria, introducono la parola “base” nello spazio, affermando che è la faccia sulla quale “appoggia” il solido. Allo stesso tempo, ai solidi vengono dati particolari nomi, del tipo: “piramide a base quadrata”, “prismi a basi triangolari”. Queste scelte didattiche congiunte possono provocare misconcezioni “evitabili”, dato che vincolano la posizione che deve assumere il solido nello spazio. Eppure, ciò che si dovrebbe auspicare in ambito geometrico è che lo studente riesca ad osservare le proprietà matematiche dell’oggetto, invarianti rispetto alla posizione assunta. Ne consegue che, nella logica di ciò che gli insegnanti intendono per “base” nello spazio e dei termini che vengono comunemente utilizzati per parlare dei poliedri. Capita che dopo aver disposto un modello di piramide quadrangolare con una faccia triangolare appoggiata sulla cattedra, si è chiesto di quale solido si trattava. Una studentessa ha risposto immediatamente: «Non so che cosa sia, ma se lo rigiri diventa una piramide a base quadrata» (intendendo: con la faccia quadrata appoggiata sulla cattedra). Anche in questo caso la studentessa risulta coerente con ciò che le è stato insegnato: la base è la faccia sulla quale “appoggia” il poliedro, quel solido si chiama “piramide a base quadrata” solo se “appoggia” sulla faccia quadrata....


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