22 - - In determinate ipotesi la risoluzione opera di diritto (ipso iure) e cioè PDF

Title 22 - - In determinate ipotesi la risoluzione opera di diritto (ipso iure) e cioè
Author Nicola Ferruccio
Course Diritto Privato Comparato
Institution Università degli Studi Niccolò Cusano - Telematica Roma
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- In determinate ipotesi la risoluzione opera di diritto (ipso
iure) e cioè automaticamente, al ricorrere di determinati presupposti. Tratto comune è il
riconoscimento ai privati del potere di realizzare la risoluzione del contratto senza l’intervento del
giudice. I...


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12. Segue. La risoluzione di diritto. - In determinate ipotesi la risoluzione opera di diritto (ipso iure) e cioè automaticamente, al ricorrere di determinati presupposti. Tratto comune è il riconoscimento ai privati del potere di realizzare la risoluzione del contratto senza l’intervento del giudice. Il ricorso all’autorità giudiziaria ha solo funzione di accertamento dei presupposti della risoluzione: l’azione di risoluzione del contratto tende dunque ad una sentenza dichiarativa dell’avvenuta risoluzione per inadempimento. Le ipotesi generali di risoluzione di diritto sono la diffida ad adempiere, la clausola risolutiva espressa e il termine essenziale. a) Diffida ad adempiere. In realtà tale figura integra un rimedio di autotutela in senso stretto, in quanto è attribuito a uno dei contraenti il potere di realizzare unilateralmente la risoluzione del contratto. Rimanendo una parte inadempiente del contratto, è accordata alla controparte il diritto potestativo di realizzare la risoluzione del contratto senza l’intervento del giudice. In particolare è un atto unilaterale negoziale che la parte non inadempiente indirizza alla controparte con lo scopo di determinare la risoluzione “ipso iure” del contratto. Deve essere formulato per iscritto e contenere la intimazione ad adempiere in un congruo termine che non può essere inferiore a 15 giorni salvo diversa pattuizione o salvo che il contratto preveda diversamente e l’avvertimento che decorso il termine, il contratto si intenderà risoluto. Decorso il termine senza che il contratto sia adempiuto, questo è risoluto di diritto (1454). La diffida ad adempiere ha una duplice funzione: da un lato pone le basi per la successiva risoluzione del contratto allo scadere del termine assegnato, dall'altro vale a costituire in mora il debitore. Una mera intimazione di adempire in un congruo termine non accompagnata da un'espressa dichiarazione che il decorso del tempo comporterà la risoluzione del contratto non vale come diffida ad adempire ma solo come costituzione in mora, con gli effetti propri di questa. Anche la diffida ad adempiere è esercitabile in presenza di un inadempimento della controparte di non scarsa importanza (1455). b) Clausola risolutiva espressa. È un meccanismo di risoluzione che deve essere espressamente previsto dalle parti: è in facoltà delle stesse convenire che il contratto si risolva nel caso in cui una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite (1456). Risponde all’esigenza di rafforzare l’adempimento di specifiche obbligazioni ovvero l’osservanza di particolari modalità di adempimento, verso cui una parte nutre uno specifico interesse. In quanto sono le parti stesse a valutare il ricorso dell’inadempimento, è presunta l’importanza dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455. E’ necessario che la mancata esecuzione della prestazione dovuta sia imputabile al debitore e che

perciò ricorra tecnicamente un “inadempimento”. Se non è imputabile al debitore si è in presenza di condizione risolutiva negativa (1353). L’inadempimento di per se non determina l’automatica risoluzione del contratto. E’ la parte beneficiaria a valutare la convenienza o meno della risoluzione e dunque decidersi se avvalersi o meno di tale clausola: la parte beneficiaria potrebbe anche essere interessata a ricevere un adempimento tardivo e dunque a non avvalersi della clausola. Perciò la operatività della clausola risolutiva è rimessa alla iniziativa della parte nel cui favore la clausola stessa è destinata ad operare. La risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva (1456). c) Termine essenziale. Ricorre tale figura quando il termine di adempimento dell’obbligazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra (1457) sicché un adempimento tardivo non procura le utilità perseguite. Ciò può essere esplicitamente pattuito tra le parti o dedursi implicitamente nel contenuto e dalle circostanze del contratto. Diversamente dalla clausola risolutiva espressa, la risoluzione opera di diritto e perciò automaticamente con la scadenza del termine (1457). Se però la parte beneficiaria, nonostante la scadenza del termine essenziale, vuole egualmente esigere la prestazione, salvo patto o uso contrario, deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni (1457). Unico presupposto è che l’inadempimento sia imputabile alla parte inadempiente: la legge poi presume l’importanza dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto (1455). 13. Il risarcimento del danno. - L’art. 1453, nell’accordare alla parte non inadempiente i due strumenti di tutela dell’adempimento e della risoluzione, fa “salvo in ogni caso il risarcimento del danno”. E’ dunque un rimedio ulteriore accordato, aggiuntivo dei due specifici riconosciuti. L’entità è diversa a seconda che il risarcimento accompagni l’adempimento coattivo, limitandosi a reintegrare gli eventuali danni aggiuntivi, o sostituisca l’adempimento procurando l’intero risultato perseguito con il contratto oltre i danni aggiuntivi. Con riguardo alla risoluzione del contratto, quando il risarcimento del danno, operando in sostituzione della prestazione originaria, deve coprire il c.d. interesse positivo, cioè comprensivo sia della “perdita subita” dal contraente che del “mancato guadagno” in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta. Il ricorso a tale rimedio deve avvenire nel rispetto del principio di buona fede. Si tende a ritenere che la domanda di risarcimento del danno possa essere autonomamente proposta ed accolta. 14. II. Impossibilità sopravvenuta. - Si è già visto come la impossibilità originaria di una prestazione, comportando un oggetto impossibile del contratto, è causa di nullità dello stesso

(1346). Se l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si verifica per causa imputabile al debitore, la situazione è assimilata all’inadempimento, sicché la controparte ha diritto a chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, oltre il risarcimento dei danni (1453). Se la impossibilità sopravvenuta si verifica per causa non imputabile al debitore, la stessa determina la estinzione dell’obbligazione (1256). La impossibilità deve essere oggettiva e definitiva e può anche riferirsi alla impossibilità di utilizzazione della prestazione della controparte, secondo la causa concreta del contratto; può essere invocata da entrambe le parti. L’impossibilità può essere di vario modo (parziale, temporanea, etc). Nei contratti con prestazioni corrispettive, il modello di impossibilità sopravvenuta dell’una prestazione si riverbera sulla vita dell’altra, influenzando il nesso di causalità che tiene unite entrambe le prestazioni. a) In presenza di sopravvenuta impossibilità totale della prestazione, si determina la estinzione dell’obbligazione (1256); e il soggetto che non ha eseguito la prestazione dovuta non è tenuto neppure all’obbligo di risarcimento del danno. La estinzione di una prestazione comporta anche l’estinzione dell’altra corrispettiva, perciò la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già ricevuto (1463). Trattasi di una risoluzione di diritto del contratto, perciò senza l’intervento dell’autorità giudiziaria (eccetto funzione di accertamento). In presenza di un contratto plurilaterale con comunione di scopo, l’impossibilità della prestazione di una parte non importa scioglimento del contratto rispetto alle altre, salvo che la prestazione mancante debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale. b) Ricorrendo una sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione, di regola il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile (1258): disposizione applicabile anche in caso di deterioramento o parziale perimento di cosa determinata (1258,2). L’altra parte ha sia diritto a una riduzione della prestazione o ha anche diritto di recesso dal contratto quando non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale. c) Nell’ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione dovuta, l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla (1256), in tale caso si deve riconoscere alla

controparte un potere di recesso dal contratto. d) Grave problema è quello della impossibilità parziale della prestazione per causa imputabile al creditore, per non essere la figura regolata dalla legge. Assodato che l'impossibilità della prestazione comporta dunque la risoluzione del contratto per la inattuabilità del rapporto contrattuale programmato, c'è da stabilire le conseguenze della imputabilità della impossibilità del creditore. Si può configurare una risoluzione del contratto per inadempimento contrattuale imputabile al creditore, con obbligo di risarcimento del danno a suo carico, per essere venuto meno al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (1453 ss.) 15. Segue. Sopportazione del rischio. - Trattandosi di contratti a prestazioni corrispettive, c’è l’esigenza di individuare il soggetto che, in definitiva, risente delle conseguenze della impossibilità della prestazione: c’è cioè da stabilire su quale patrimonio concretamente gravi la perdita economica della impossibilità sopravvenuta della prestazione. a) Principio generale per i contratti obbligatori è che il rischio cade sul debitore la cui prestazione è divenuta impossibile. Per l’art. 1463, nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può richiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già ricevuto, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito. In tal guisa la perdita economica per la impossibilità della prestazione si colloca nel patrimonio della parte debitrice della prestazione divenuta impossibile, in quanto perde il bene dovuto senza avere diritto alla controprestazione (deve anzi restituire la prestazione eventualmente ricevuta). La controparte, è vero che non riceve la prestazione divenuta impossibile, ma nulla perde per tale evento in quanto è liberata dall’obbligo della controprestazione. In sostanza la peculiarità della sopportazione del rischio nei contratti obbligatori sta nel fatto che l’impossibilità dell’una prestazione, determinando la estinzione dell’obbligazione, comporta la liberazione della controparte dall’obbligo di eseguire la controprestazione. Si pensi al classico esempio dell'incendio dell'immobile dato in locazione: il locatore a seguito dell'incendio è liberato si dalla obbligazione di far godere l'immobile, ma perde il bene e non ha diritto ai canoni locativi. Viceversa il locatario è vero che non consegue il godimento dell'immobile, ma non paga i canoni e quindi non perde nulla. Anche qui però troviamo i principi relativi alla mora. Se il debitore è in mora, non è liberato dall’obbligazione ed è tenuto al risarcimento per equivalente della prestazione non eseguita: il debitore può liberarsi solo provando che l’oggetto della prestazione sarebbe egualmente perito presso il creditore, salvo che si tratti di cosa illecitamente sottratta (1221). Se ad essere in mora è il creditore, è a suo

carico la impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore (1207). b) Il discorso è più complesso con riferimento ai contatti con effetti reali, per operare il principio del c.d. consenso traslativo, per cui gli effetti reali si producono in virtù del consenso legittimamente manifestato. La sopportazione del rischio è organizzata sulla dinamica del trasferimento del diritto: gli eventi fortuiti che colpiscono il bene dopo il trasferimento del diritto gravano sull’acquirente in quanto già proprietario. Nei contratti in cui si ha il trasferimento di una cosa determinata oppure costituiscono o trasferiscono diritti reali, il perimento della cosa per una causa non imputabile all'alienante non libera l'acquirente dall'obbligo di eseguire la controprestazione ancorché la cosa non gli sia stata consegnata. Si considera cioè che, con il trasferimento del diritto è realizzato il risultato traslativo che è il risultato fondamentale del contratto e dunque l'acquirente è tenuto alla prestazione corrispettiva. 16. III. Eccessiva onerosità. - Si è visto come nei contratti ad esecuzione differita e nei contratti di durata la esecuzione è procrastinata o si svolge nel tempo. Può quindi accadere che, nel correre del tempo, l’equilibrio economico programmato nel contratto si incrini o addirittura venga meno, mutando l’originario rapporto di corrispettività: il sinallagma funzionale è distorto e compromesso. La legge attribuisce al soggetto obbligato ad eseguire una prestazione divenuta eccessivamente onerosa, il diritto a chiedere la risoluzione del contratto; ma circonda il rimedio di specifici limiti, al fine di evitare che lo stesso possa costituire un docile strumento di scioglimento del contratto quando è venuto meno l’interesse originario. Per l’art. 1467 devono ricorrere più presupposti. a) Deve trattarsi di contratti a esecuzione differita ovvero di durata (continuata o periodica) e cioè di contratti la cui esecuzione è differita o si protrae nel tempo: il divario di valore deve intervenire quando una prestazione è ancora dovuta. La sproporzione deve dunque intervenire dopo la conclusione del contratto, ma prima della esecuzione non è ammessa la ripetizione di una eventuale prestazione onerosa già eseguita. b) La prestazione di una delle parti deve essere divenuta eccessivamente onerosa rispetto all’altra. Ossia la prestazione deve essere eccessiva e cioè notevole. c) La eccessiva onerosità deve connettersi al verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili. Ricorrendo tali presupposti la parte che deve la prestazione divenuta eccessivamente onerosa può domandare la risoluzione del contratto (1467). Ciò significa che la risoluzione è giudiziale e la relativa sentenza ha efficacia costitutiva. La prescrizione (decennale) dell’azione decorre da quando si è determinata la sperequazione tra le prestazioni.

La risoluzione ha effetto retroattivo tra le parti, con salvezza delle prestazioni già eseguite ne contratti di durata. La risoluzione però non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione e della domanda di risoluzione. In applicazione del principio di conservazione dei contratti, la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla mediante l’offerta di equa modifica della condizione del contratto: il contratto è rettificato con riconduzione ad equità dello stesso (1467). Il rimedio non è applicabile ai contratti aleatori, rientrando nella stessa causa del contratto la incertezza dell’esito.PARTE X FATTI ILLECITI E RESPONSABILITÀ CIVILE CAPITOLO 1 STRUTTURA DEL FATTO ILLECITO 1. Nozione e funzione. - È giusto iniziare a discutere di tale problematica partendo dalla nozione degli art. 2043 del c.c. ovvero, qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno, e dell'art. 1218, ovvero il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da una causa a lui non imputabile. Prima di analizzare, però, l'atto illecito è necessario riportare alcune distinzioni utili a farci comprendere l'esatta collocazione di tali atti. In primo luogo riportiamo la distinzione tra gli atti umani vietati e leciti. - atti vietati sono posti in essere in violazione di un obbligo di legge arrecando un danno ad un altro soggetto giuridico. La violazione dell'obbligo fa nascere nel soggetto danneggiato il diritto al risarcimento del danno. - atti leciti sono posti in essere in maniera conforme al diritto. Ci dobbiamo chiedere ora, che cos'è l'illecito civile, cioè come identificare la generale figura dell'illecito civile? Possiamo quindi affermare che è illecito civile qualunque fatto che provochi come conseguenza voluta dalla legge il risarcimento del danno. Il risarcimento del danno, però, può nascere da fatti o atti diversi, può nascere dalla violazione dell'art. 2043 c.c. o dell'art. 1218 c.c. Nel primo caso avremo illecito civile di natura extracontrattuale, mentre nel secondo vi sarà illecito di natura contrattuale, ma pur sempre di illeciti civili si parla. Sarà quindi illecito civile extracontrattuale la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. ,

mentre sarà illecito civile di natura contrattuale l'inadempimento di una obbligazione. Nell'ambito degli atti vietati distinguiamo ancora due categorie che fanno sorgere i due diversi tipi di responsabilità. - atti che danno vita a responsabilità contrattuale: sono quegli atti che violano obblighi che intercorrono tra soggetti determinati, come gli inadempimenti contrattuali - atti che danno vita a responsabilità extracontrattuale: sono gli altri atti illeciti (civili); la responsabilità nasce dalla violazione del generico obbligo di non ledere l'altrui sfera giuridica. Nel nostro ordinamento non sono previsti, però, solo gli illeciti civili; ricordiamo, infatti, che alcuni illeciti civili sono anche rilevanti per altri rami del diritto essendo anche illeciti penali e amministrativi. Occupiamoci della distinzione tra l'illecito penale e quello civile di natura extracontrattuale. - illecito penale nasce da un comportamento che contrastando con i i fini dello Stato esige come sanzione una pena criminale. Il comportamento vietato è detto reato ed è espressamente previsto dalla legge. - illecito civile nasce dalla violazione del generico obbligo di non ledere l'altrui sfera giuridica. Conseguenza della violazione sarà l'obbligazione di risarcimento del danno. Su questa distinzione sono opportune alcune osservazioni. In primo luogo i fatti che danno luogo ad illecito civile e penale possono anche coincidere; pensiamo, ad esempio, al caso in cui un sinistro provochi delle lesioni; qui avremo insieme un illecito penale, e cioè un reato (art. 590 c.p. lesioni colpose), e un illecito civile (art. 2043 c.c.). Accade, però, che i due illeciti operino su piani diversi, perché con la previsione dell'illecito civile si vuole ristorare la vittima del danno attraverso il risarcimento, mentre con la previsione di un fatto come reato, lo Stato vuole tutelarsi contro comportamenti da lui ritenuti contrastanti con i suoi fini. Il risarcimento è quindi secondario rispetto al fine primario (autotutela dello Stato) che si vuole ottenere attraverso la minaccia di una pena criminale. Ancora dobbiamo considerare che mentre un fatto è reato solo se viene espressamente previsto come tale dalla legge (art. 1 c.p. art. 25 Cost.), l'illecito civile, invece, può essere previsto anche in modo generico ("qualunque fatto", recita l'art. 2043); di conseguenza ci saranno dei fatti che possono essere rilevanti solo come illecito civile (es. responsabilità precontrattuale), ma non come reato, mentre, all'opposto, vi sono dei reati che possono non essere illeciti civili (es. spionaggio). 2. Fatto e nesso di causalità. - Riportando la definizione dell'articolo 2043, ovvero: qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il

fatto a risarcire il danno; possiamo individuare la struttura stessa dell'atto illecito che possiamo individuare in: - fatto; - colpevolezza; - nesso di casualità; - danno antigiuridico. Cominciamo con il fatto. Secondo l'art. 2043 "qualunque fatto" che provochi un danno ingiusto è fonte di responsabilità. Il "fatto" che c'interessa è un comportamento umano; questo può concretarsi in una azione o in una omissione, la seconda rilevante solo quando esiste uno specifico obbligo giuridico a compiere una azione poi "omessa", non compiuta. Passiamo al secondo elemento dell'atto illecito, la colpevolezza. Ai fini della responsabilità non interessa qualsiasi fatto umano, ma solo quello determinato da dolo o colpa, un atto. Di conseguenza per esserci responsabilità ...


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