3. Morfologia PDF

Title 3. Morfologia
Course Informatica
Institution Università di Pisa
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G. Berruto, N. Cerruti, La linguistica. Un'introduzione...


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3. Morfologia Parole e morfemi Prendiamo in considerazione il piano del significante in quanto portatore di significato (prima articolazione). Il livello di analisi si chiama morfologia (dal greco “morphè” =forma + “logìa”= studio, da “logos”=discorso) l’ambito d’azione della morfologia è la forma o meglio la struttura della parola  la minima combinazione di elementi minori dotati di significato, i morfemi, costruita attorno a una base lessicale, che funzioni come entità autonoma della lingua e possa quindi rappresentare da sola un segno linguistico compiuto. Fra i criteri che ne permettono una definizione vi sono:  Il fatto che all’interno della parola l’ordine dei morfemi che la costituiscono è rigido e fisso: i morfemi non possono essere invertiti o cambiati di posizione (gatt-o e non o-gatt)  Il fatto che i confini di parola sono punti di pausa nel discorso  Il fatto che la parola è di solito separata nella scrittura da spazi di separazione  Il fatto che foneticamente la pronuncia di una parola non è interrotta ed è caratterizzata da un unico accento primario. Tutte le parole variano e sono modificabili Vi sono le parti invariabili del discorso, parole che sono indeclinabili anche in lingue che hanno declinazioni. In queste arieta di modificazione ne distinguiamo due: • di ordina sintagmatico orizzontale  trovo possibilità di combinazione come: “benefacente”- “benefattore” / “fare” –“contraffare” • paradigmatico verticale trovo i paradigmi: “faccio”, “farò”, “farebbe”, “fecero”… Entrambe sono l’oggetto della morfologia. Le differenti variazioni/modifiche possibili di una parola sono almeno di tre tipi principale: • Flessioneentrano nell’ambito paradigmatico: sono il “dico”, “dice”… Entrano in quell’ambito di studio che si chiama morfologia flessionale • Derivazione tavolo, tavolino… attraverso una suffissazione, da una parola ne deriva un’altra. Anche questo rientra nell’ambito della modifica sintagmatica. • Combinazionestudia come due parole già esistenti si combinino tra di lor a forare una terza entità nuova, una parola che prima non esisteva. Non sappiamo se appartiene all’ambiente di modifiche sintagmatiche o paradigmatiche, in quanto riguarda entrambe. Esempio: “capostazione” – “pescecane”

Se proviamo a scomporre prole in pezzi più piccoli di prima articolazione, che siano dotati ancora di significato, troviamo allora dei morfemi  unità di significato grammaticale. Esempio: la parola “dentale” è formata da 3 morfemi di cui dent- (con il significato “organo della masticazione”), -al (col significato “aggettivo” – è un morfema che serve a ricavare aggettivi partendo dai nomi), -e (col significato “singolare”). Morfema: unità minima di prima articolazione, il più piccolo pezzo di una lingua portatore di un significato proprio; il morfema è l minima associazione di un significante e un significato. Il significato di una parola è dato dalla somma e dalla combinazione dei significati dei singoli morfemi che la compongono. Un sinonimo di morfema è “monema”. Esistono due grandi classi di monemi:  Semantemi: quando si tratta di elementi (morfemi) lessicali  Morfemi: quando si tratta di morfemi grammaticali Con il suffisso –ema in linguistica si designano le unità minime fondamentali viste come unità astratte di langue; con il suffisso –o si designano le corrispondenti unità concrete di parole  fonema, morfema vs fono, morfo.

Il morfo è la parte fonetica di un morfema, cioè il suo significante L’allomorfo è la variante formale di un morfema che realizza lo stesso significato di un altro morfo, con le stesse funzioni. È ciascuna delle forme diverse in cui si può presentare uno stesso morfema, che può comparire sotto forme diverse. - L’allomorfia riguarda i morfemi lessicali: Esempio: il verbo venire appare in italiano sotto le 5 forme –ven ( in venire, venuto, veniamo, veniva, venimmo ), venn- (in venni, vennero), veng- (in vengo, vengano), vien- (in vieni, viene), ver- (in verrò, verrebbe)  ciascuna di esse è un allomorfo dello stesso morfema che indichiamo con la forma più frequente ven-.

-

L’allomorfia riguarda i morfemi grammaticali: Esempio: -abil-, -ibil-, -ubil-, sono allomorfi di uno stesso morfema col valore funzionale di formare aggettivi mangiabile, leggibile, solubile…

Paradigma dei verbi in italiano sono esempi di allomorfia. Morfema “rompere”  morfemi che rimandano a questa allomorfia: “romp-“, “rupp-“ (io ruppi), “rott-“ (io ho rotto) “venire”  “veng.”, “venn-“, “venut-“, “ven-“ Analizziamo il verbo essere, vi sono molti casi di allomorfia {andare}  “vad-“, “and-“ Perché si possa parlare di allomorfia occorre che ci sia sempre una certa affinità fonetica tra i diversi morfi che realizzano lo stesso morfema. Tale vicinanza fonica è normalmente dovuta alla stessa origine, da un punto di vista diacronico. Esempio: in- in inutile e il- in illecito sono allomorfi dello stesso morfema; il prefisso con valore di negazione in- davanti a una vocale la [n] finale del prefisso rimane invariata, mentre davanti a consonanti laterali, vibranti e nasali la [n] si assimila alla consonante iniziale della parola, quindi in- + lecito= illecito. Esistono casi in cui un morfema lessicale in certe parole derivate viene sostituito da un morfema dalla forma totalmente diversa, ma ovviamente con lo stesso significato: nome acqua e aggettivo idrico  acqu- e idr- il primo deriva dal latino e l’altro dal greco, ma si riferiscono entrambi all’acqua: in questo caso parliamo di suppletivismo il nome di una città del Piemonte per esempio è Ivrea, ma il nome dei suoi abitanti eporediesi. Caso estremo di allomorfia  suppletivismo quando nello stesso paradigma cambia la radice, il lessema. Abbiamo a che fare con più morfi lessicali differenti Esempio: “io” – “a me” Funziona anche nel lessico: possiamo dire “acquoreo” – “acquoso”, ma anche “idrico” anche se lo diciamo con differenti con diverse sfumature e in contesti diversi, ma si tratta dello stesso suppletivismo.

Tipi di morfemi Esistono die punti di vista principali per individuare differenti tipi di morfemi: 1. Classificazione funzionale: in base alla funzione svolta, al tipo di valore che i morfemi recano nel contribuire al significato delle parole 2. Classificazione posizionale: basata sulla posizione che i morfemi assumono all’interno della parola e sul modo in cui essi contribuiscono alla sua struttura Tipi funzionali di morfemi La prima distinzione riguardo i morfemi è tra:  Morfemi lessicali: stanno nel lessico di una lingua e costituiscono una classe aperta, in quanto continuamente arricchibile di nuovi elementi  Morfemi grammaticali: stanno nella grammatica e costituiscono una classe chiusa, in quanto non accolgono nuove entità. A sua volta si dividono in: • Morfemi derivazionali (derivativi):la derivazione dà luogo a parole regolandone i processi di formazione. Essa agisce prima della flessione, in quanto prima costruiamo parole e poi applichiamo le dovute flessioni. Questo ha una conseguenza: i morfemi flessionali stanno più lontani dalla radice lessicale rispetto ai morfemi derivazionali, che invece tendono ad essere contigui alla radice: can-il-e in ordine abbiamo: radice lessicale-morfema derivazionalemorfema flessionale. La derivazione non è obbligatoria perché non tutti i morfemi lessicali che si possono combinare con un certo morfema derivazionale si combinano con esso. • Morfemi flessionali (flessivi): riguarda la flessione di una parola mediante un’altra. La flessione è obbligatoria, cioè si applica a qualunque base lessicale ad essa soggetta. In lingue come l’italiano, la forma di parola corrispondente alla radice lessicale nuda, per esempio can- non esiste, esistono sempre le forme di parola generata dalla flessione. In inglese, invece, al singolare dog costituito dalla radice nuda si oppone il plurale dog-s Non sempre la distinzione fra morfemi lessicali e morfemi grammaticali è del tutto chiara: in italiano questo è il caso di molte parole funzionali (o parole vuote), come gli articoli, i pronomi personali, le preposizioni, le congiunzioni che formano classi grammaticali chiuse, a che difficilmente possono essere definiti morfemi grammaticali; alcuni di questi elementi possono essere scomposti i morfemi, esempio: l’articolo lo = l-o, con la, le; uno = un-o, con una.

Altra distinzione che possiamo fare è fra: 1. Morfemi liberi: morfemi lessicali, possono costituire una parola da soli 2. Morfemi legati: morfemi grammaticali, non possono mai presentarsi da soli, ma solo in combinazione con altri morfemi. Questa distinzione valida anche per altre lingue, come l’inglese, dove i morfemi lessicali possono costituire da soli una parola: cat, boy, good. In italiano i morfemi lessicali, invece sono morfemi legati: gatto, buono, correre Tipi posizionali di morfemi Dal punto di vista della posizione, i morfemi grammaticali si suddividono in classi diverse a seconda della collocazione che assumono rispetto al morfema lessicale o radice, che costituisce la testa della parola. Una parola piena deve contenere un morfema lessicale. Le parole vuote sono parole funzionali che sono costituite da un solo morfema e sono prive di significato. I morfemi grammaticali possono essere chiamati anche affissi  un affisso è ogni morfema che si combini con una radice. Gli affissi si dividono in:  Prefissi: gli affissi che nella struttura della parola stanno prima della radice  Suffissi: gli affissi che stanno dopo la radice  Desinenze: i suffissi che stanno nell’ultima posizione della parola, dopo la radice e gli eventuali suffissi derivazionali.  Infissi: gli affissi che sono inseriti dentro la radice. Esempio: cuoricino Altro tipo di morfemi sono i circonfissi  affissi che sono formati da due parti, una che sta prima della radice e l’altra che sta dopo la radice, e che quindi contengono al loro interno la radice In alcune lingue esistono anche degli affissi che si incastrano alternativamente dentro la radice, dando luogo a discontinuità sia dell’affisso che della radice. Essi sono chiamati transfissi (esempio: la morfologia dell’arabo. Le parole dell’arabo si formano infatti a partire da una radice di solito triconsonantica discontinua e da un morfema grammaticale costituito da uno schema vocalico discontinuo). Può essere fatta una trascrizione morfematica in cui la forma dei morfemi si può scrivere tra graffe { } indicando nella riga sottostante il loro significato e valore. Altri tipi di morfemi Esistono morfemi i cui morfi non sono isolabili (segmentalmente). Essi sono i morfemi sostitutivi perché si manifestano con la sostituzione di un fono ad un altro fono. Questi morfemi consistono infatti in mutamenti fonici della radice e quindi sono inseparabili da essa, esempio: plurale in inglese foot – feet, dove il valore plurale è reso dalla modificazione della vocale della radice. In alcuni casi parliamo anche di morfema zero, quando una distinzione obbligatoriamente marcata nella grammatica di una certa lingua non viene rappresentata in alcun modo nel significante. Esempi sono i plurali invariabili nelle lingue, come l’italiano, che normalmente hanno una marcatura del numero  sing. città/caffè plu. città/caffè; oppure in inglese sing. sheep plu. sheep. Esistono anche morfemi soprasegmentali, chiamati superfissi o sopraffissi in cui un determinato valore morfologico si manifesta attraverso un tratto soprasegmentale come l’accento e il tono. Ad esempio la diversa distribuzione dell’accento in coppie di parole inglesi: record [‘reko:d] = registrazione e record [ri’ko:d] = registrare. Certi valori morfologici in certe lingue vengono affidati a processi, per esempio la reduplicazione che consiste nella ripetizione della radice lessicale (o di una sua parte): anak “bambino” / anak-anaka “bambini”. Morfemi cumulativi  morfemi flessionali che recano contemporaneamente più di un significato o valore/sono morfi che rimandano a più morfemi.  singolare, maschile/femminili, presente indicativo: contenuti del morfema e insieme costituiscono il pacchetto morfemico di questo morfema. Esso è un morfo cumulativo. Le parole presentano caratteri comuni, che sono i morfemi, che si realizzano concretamente nei morfi.

Esempio: “buone”  buon – e: noi notiamo che questo (“e”) morfo mi cumula 2 morfemi, il plurale e il femminile. Un esempio di morfema cumulativo è l’amalgama , o meglio il morfema amalgamato, cioè il morfema dato dalla fusione di due morfemi in maniera tale che nel morfema risultante non è più possibile distinguere i due morfemi all’origine della fusione. In italiano un esempio è i , articolo determinativo plurale in cui si trovano fusi il morfo dell’articolo determinativo l- e quello del plurale –i. Gli amalgami sono morfemi cumulativi, in quanto si trovano uniti su un solo morfema (o meglio morfo) i significati dei due morfemi da cui risulta l’amalgama. Morfo sostitutivo, o modulabile  è quando si ha una sostituzione di un fono con un altro fono. Essi si ritrovano nella lingua tedesca e nei dialetti italiani, molto spesso in quelli centro-meridionali. Esempio: in piemontese “gatto” si dice /gat/, ma il plurale di gatto si chiama /get/. L’utilizzo di morfi modulabili, serve non tanto a distinguere il numero, singolare da plurale, ma il genere maschile e femminile.

Derivazione e formazione delle parole I morfemi derivazionali mutano il significato della base in ci si applicano, aggiungendo una nuova informazione e modificando la classe di appartenenza della parola e la sua funzione semantica. I morfemi derivazionali svolgono la funzione di permettere, attraverso processi di prefissazione e suffissazione, la formazione di un numero infinito di parole a partire da una certa base lessicale. In ogni lingua esiste una lista di morfemi di derivazione che danno luogo a famiglie di parole. Una famiglia di parole derivate da una stessa radice lessicale, esempio: parole costruite a partire dalla base socio = socio – sociale – socializzare – socializzabile – socializzabilità. Nella maggioranza delle forme verbali e deverbali (=parole derivate da verbi) in italiano si pone la questione della vocale tematica  vocale iniziale della desinenza dell’infinito dei verbi: mangiare, vedere, partire. La vocale tematica ha un suo significato e indica l’appartenenza della forma ad una determinata classe di forme della lingua (a- verbo della 1^coniugazione, -e- 2^ coniugazione, -i- della 3^ con.). Prendiamo in considerazione due parole particolari: sociologia e nazionalsocialismo. Sociologia: questa parola è formata da due morfemi lessicali, soci- che è il capostipite della famiglia lessicale e log(i-a-) col valore di “studio di”. socio- è il morfema che sta per società e rappresenta una radice lessicale che si comporta come un prefisso, attaccandosi davanti a un’altra radice lessicale per modificarne il significato. Chiamiamo questi morfemi: prefissoidi. Esistono anche suffissoidi , cioè morfemi con significato lessicale, che si comportano come suffissi nella formazione delle parole: -logi (-a) può essere considerato un suffissoide, come –metr(-o) in cronometro. Prefissoidi e suffissoidi funzionano in sincronia come suffissi, cioè come morfemi derivazionali. Sono chiamati nel loro complesso “semiparole”. Nazionalsocialismo: equivale a tutti gli effetti a socialismo nazionale, due parole si sono agganciate fra loro per formare un’entità unica in cui i due membri sono riconoscibili e recano il loro significato lessicale normale. Si tratta di parole composte: esempi sono portacenere, lavavetro, asciugamano… [in alcune lingue troviamo parole formate da parecchie radici lessicali: in tedesco “fermata del tram” – letteralmente: “posto (Stelle) di fermata (Halt-e) della ferrovia (Bahn) della strada (Strabe-n)] l’italiano segue nella composizione delle parole principalmente l’ordine modificando-modificatore, cioè la seconda parola modifica la prima, che funziona da testa sintattica del costrutto: portacenere  in questo caso è “qualcosa” che porta la cenere. Ma esiste anche l’ordine inverso modificatore-modificando, come ad esempio bagnoschiuma: “schiuma per bagno”. Le unità lessicali plurilessematiche sono costituite da sintagmi fissi che rappresentano un’unica entità di significato, che non corrisponde alla somma dei significati delle singole parole che componenti, ma si comportano come se fossero un’unica parola: “gatto selvatico” (non è un gatto che è selvatico, ma è proprio una specie felina). Le unità plurilessematiche costituiscono una categoria molto ampia e variegata che può comprendere classi diverse di elementi, fra cui anche i verbi sintagmatici, come “andare via”, “mettere sotto”, “portare fuori”, oppure anche i binomi coordinati, come “sale e pepe”, “anima e corpo”, “usa e getta”.

Altre sono le unità lessicali bimembri: “scuola guida”, “parola chiave”, “ufficio concorsi”… sono unità lessicali in cui il rapporto tra le due parole costitutive non ha raggiunto il grado di fusione tipico delle vere parole composte e i due elementi vengono rappresentati separatamente nello scritto. Altri meccanismi che formano parole e che hanno aspetti in comune con la composizione sono le sigle (o acronimi), che sono formate in genere dalle lettere iniziali delle parole che costituiscono un’unità plurilessematica, la cui pronuncia è promossa a parola autonoma: CGIL (Confederazione Generale italiana del lavoro), FS (Ferrovie dello Stato), TG, SMS (Short Message Service), oppure vi sono parole che si pronunciano interamente come, NATO. L’unione con accorciamento dà luogo alle parole macedonia, come “cantautore (cantante+autore), ristobar (ristorante+bar) In italiano uno dei più importanti procedimenti di formazione di parola è la suffissazione. Fra i suffissi derivazionali più comuni vi sono: -zion- (con i suoi allomorfi –azion-, -izion-, -uzion-) e –ment- (con i suoi allomorfi –iment-, ument-) che formano nomi di azione o risultato a partire da basi verbali (es.: spedizione, spegnimento). Sono usati anche –ier-, -a(r)i-, -tor- che formano nomi di agente o di mestiere a partire da basi nominali o verbali (es.: barbiere, fornaio, giocatore…). In italiano è diffusa anche la prefissazione, dove al contrario di quello che avviene con la suffissazione, non cambia in italiano la classe grammaticale di appartenenza delle parole, mentre aggiungendo un suffisso, ad esempio –os- a “noia2, questo non è più un sostantivo, ma diventa un aggettivo “noioso”. Fra i prefissi più usati vi sono: in- (con i suoi allomorfi ottenuti attraverso l’assimilazione: in+legale=illegale), s-, dis- con il valore di negazione, ad- con valore di “verso”, con- con valore di “insieme”. Nella grande categoria della derivazione suffissale rientra un altro procedimento: l’alterazione con i suffissi alterativi si creano parole che aggiungono al significato della base lessicale un valore valutativo. Nell’insieme dei morfemi derivazionali sono presenti anche i casi di omonimia, ad esempio. in- come prefisso può avere valore di negazione, come in “immobile”: -che non si muove-, oppure di avvicinamento, come ad esempio: “immigrare” (ingresso). I verbi formati con una prefissazione, e suffissazione nella desinenza di una delle classi di coniugazione (-are, -ere, -ire), sono chiamati parasintetici  parole formate col simultaneo combinarsi a una base di un prefisso e di un suffisso (o di un processo di conversione), dove non esiste una parola che contiene o solo quel prefisso o solo quel suffisso: accoppiare, abbellire, impastare, innervosire, scaldare, in quanto non esiste né la loro forma nominale né aggettivale (*innervo, *accoppia, *impasta, intesi come nomi). Nei meccanismi della formazione di parole rientra la conversione (o derivazione/suffissazione zero), vale a dire a presenza di coppie di parole, un verbo e un nome o un aggettivo, aventi la stessa radice lessicale ed entrambi privi di suffisso: in questo caso non è possibile stabilire quale sia la parola primitiva e quale la parola derivata: lavoro, lavorare; stanco, stancare; fiore, fiorire. Invece, quando la coppia è costituita da un verbo e da un aggettivo si può intendere che il termine primitivo sia l’aggettivo, in quanto il verbo indica l’azione di (far) assumere lo stato dall’aggettivo: calmo, calmare. il meccanismo della conversione è attivo soprattutto in inglese: cut “taglio/tagliare”; shop “negozio/comprare”…


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