Adone e Secchia rapita - Lecture notes Tutte PDF

Title Adone e Secchia rapita - Lecture notes Tutte
Author Greta Valicenti
Course Letteratura Italiana
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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Appunti completi del secondo semestre di Letteratura italiana (corso magistrale) a.a. 2019-20...


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LETTERATURA ITALIANA (CORSO MAGISTRALE) A.A. 2019-20 IL POEMA DEL SEICENTO: L’ADONE DI MARINO E LA SECCHIA RAPITA DI TASSONI LEZIONE 1 La storia del genere poema all’interno della letteratura italiana è una storia abbastanza lunga e illustre. Il poema vero e proprio di tipo narrativo (che porta con sé l’adozione in ottava) trova esempi importanti già nel ‘400: Morgante, Orlando Innamorato. Il ‘500 offre i capolavori del genere poema della letteratura italiana, uno collocato in ciascuna metà del secolo (prima metà → Orlando Furioso; seconda metà → Gerusalemme Liberata). Le due opere e i due autori vengono subito messi a confronto: fin dalla prima pubblicazione della Gerusalemme Liberata (1581) nasce una fortissima polemica fra sostenitori di Ariosto e sostenitori di Tasso; il principale argomento (oltre a quello linguistico, in questa polemica entra anche l’Accademia della Crusca) si concentra sul rispetto delle norme aristoteliche: Tasso vuole che la Liberata sia un poema aristotelico, che segua i dettami della Poetica (pur non adattandosi in modo pedissequo alle regole di Aristotele, ma interpretandole in maniera elastica), dall’altra parte l’Orlando Furioso non è un poema aristotelico (non rispetta il verosimile, non è caratterizzato da un’unità ma una molteplicità di azione…). Il nostro modo di vedere la storia della letteratura italiana oggi non è lo stesso modo dei periodi precedenti: questo vale per tutte le discipline, ma in particolare la storia letteraria del ‘600. Nessun altro secolo ha così tanto cambiato faccia → la storia letteraria del ‘600 ci appare in una prospettiva molto diversa da quella che appariva ad esempio alla fine dell’Ottocento con De Sanctis. Dopo l’età di Ariosto e di Machiavelli, per De Sanctis iniziava un vuoto che arrivava fino alla fine del ‘600, con l’unica eccezione di Galileo Galilei (anche se è uno scienziato, non un letterato in senso stretto). Nella Storia della Letteratura di De Sanctis ci sono due capitoli molto interessanti: uno dedicato a Marino, l’altro dedicato alla Nuova scienza, e vertono entrambi sul ‘600. Nel secondo capitolo si parla di Galilei, Paolo Sarpi, Tommaso Campanella e Giordano Bruno, nonostante l’unico scienziato propriamente detto sia Galilei. Il denominatore comune di questi quattro personaggi non è quindi la scienza, ma il fatto che essi – nella visione di De Sanctis – sono i martiri del libero pensiero, coloro che hanno professato delle idee nuove e libere e per questo sono stati perseguitati (l’unico intoccabile dall’Inquisizione era Paolo Sarpi, il quale era al servizio della Serenissima). Il capitolo intitolato “Marino” incomincia parlando dell’Aminta di Tasso, il che è un segno di intelligenza critica da parte di De Sanctis → si rende conto che quei fenomeni che chiamiamo letteratura barocca e che vedono l’ingresso massiccio del materiale retorico all’interno del testo letterario non comincia con Marino, ma con le generazione precedenti, con Tasso e l’Aminta. C’è un legame molto stretto dal punto di vista stilistico fra questa fase tardo cinquecentesca e la fase di sviluppo del ‘600. Per De Sanctis, l’età della Controriforma e del predominio spagnolo erano viste come epoche di decadenza morale e conseguentemente culturale dell’Italia. Una prospettiva critica di questo genere era influenzata dalle idee politiche del risorgimento italiano → quando finisce la libertà politica degli stati italiani, finisce anche la letteratura di valore, che rinascerà solo quando ci sarà una riscossa morale (Alfieri, Parini, quindi in piano XVIII secolo). Luigi Settembrini definiva il seicentismo come il “gesuitesimo dell’arte”, ossia ipocrisia → era un’arte che era pura forma, esteriorità, e non corrispondeva a nessun contenuto significativo. De Sanctis a sua volta parla di letteratura vuota di idee e di sentimenti, chiamandola “gioco di forme”, “semplice esteriorità”, e tale letteratura secondo lui “denota la passività dello spirito, naturale conseguenza di una teocrazia autoritaria, sospettosa di ogni discussione e di una vita interiore esaurita e impaludata”. In quest’epoca c’è verso la letteratura del ‘600 un pregiudizio di tipo ideologico, è una letteratura rifiutata perché disimpegnata sul piano politico e morale (sarà lo stesso tipo di pregiudizio che nutre verso la letteratura italiana di quest’epoca la critica di ispirazione marxista). Si arriva poi all’epoca della critica neo-idealistica, che in Italia si identifica con Benedetto Croce. Egli non cambia il giudizio fondamentale di De Sanctis, ma poiché non è solo un estetologo, ma anche uno storico, studia gli autori e le opere del ‘600, pubblicando nel 1911 i Saggi sulla letteratura italiana del ‘600, nel 1929 la Storia dell’età barocca in Italia e nel 1931 i Nuovi Saggi sulla letteratura italiana del ‘600. 1

Anche Croce considera questa un’età di decadenza, attribuendo la causa di quest’ultima alla mancanza di entusiasmo morale → riconosce nella Controriforma un carattere politico che fa sì che in quest’epoca non nascano nuove forme di vita intellettuale e morale. Tali posizioni critiche oggi non sono più sostenute, ma sono utili per una prospettiva storico-critica. Le cose iniziano a cambiare negli anni ’50 del ‘900 e un contributo importante è stato dato da studiosi stranieri, che indagavano questo periodo della letteratura italiana senza essere influenzati dall’ideologia e dalle passioni più libere; gli studiosi inglesi ad esempio riconoscevano che un autore come Baldassarre Castiglione aveva assunto con la propria opera un ruolo di guida culturale per l’Inghilterra della sua epoca, o che il petrarchismo italiano del ‘500 – che in Italia era stato giudicato negativamente – era servito da modello per i lirici inglesi dello stesso secolo, così come Torquato Tasso era stato molto importante per gli autori inglesi di epoca elisabettiana. In Francia, Marino e i poeti italiani del primo ‘600 hanno ispirato la lirica francese di quell’epoca, e in Spagna Cervantes si nutre costantemente di cultura italiana. I secoli che De Sanctis e Croce definiscono di decadenza, erano in realtà epoche in cui la cultura italiana esercitava un fortissimo influsso sulle altre letterature europee → la direzione dello scambio, fino almeno alla metà del ‘600, non è dai paesi stranieri verso l’Italia, ma al contrario. Solo dopo la freccia si inverte e l’influsso va in direzione contraria. LEZIONE 2 Fernand Braudel, storico francese, nel 1974 pubblica un saggio molto lungo e importante nella Storia d’Italia di Einaudi: Due secoli e tre Italie → i due secoli presi in esame sono quelli che vanno dalla metà del ‘400 alla metà del ‘600, mentre le tre Italie sono: • Quella della prima metà del ‘400: un paese fiorente e in pace, il cui garante è Lorenzo il Magnifico, mentre il resto dell’Europa è in guerra. • Quella della prima metà del ‘500: la visione si inverte, l’Italia è devastata dalle guerre combattute dalle potenze straniere che si contendono il controllo degli stati italiani. • Quella che va da metà ‘500 fino a metà ‘600: come data di inizio si può assumere il 1559, anno della pace tra Francia e Spagna sancita dal trattato di Cateau-Cambrésis. A partire da questa pace, per l’Italia ci sarà una pace di lunga durata. È anche un periodo di floridezza economica, soprattutto per Genova, che trasforma la propria vocazione da mercantile a finanziaria, e di vivacità culturale: si sviluppano i grandi centri universitari, in particolare Padova, in cui inizia la riflessione sistematica sulla letteratura → critica letteraria. In campo religioso c’è il Concilio di Trento, che ha una funzione difensiva in opposizione alla riforma protestante, e in campo ecclesiale si avvia un rinnovamento della disciplina e della spiritualità; nel ‘600 Roma diventa un punto di attrazione per gli artisti di tutta Europa. Una panoramica di questo genere dell’Italia fra 1550 e 1650 è in aperto contrasto con la visione storiografica ottocentesca e neo-idealistica del ‘900. Questi sistemi culturali avevano costruito il mito di una controriforma capace di azzerare qualsiasi vitalità culturale in Italia. I primi a riconoscere l’importanza di Padova per la nascita della critica letteraria, sono stati gli studiosi anglosassoni, fra cui Bernard Weinberg, che nel 1961 pubblica un’opera intitolata Una storia della critica letteraria nel Rinascimento italiano → è una cosa rivoluzionaria, riconoscere che la critica letteraria moderna nasce in quel periodo proprio in Italia, che nasce la coscienza letteraria moderna → la letteratura non è più solo produzione spontanea di testi, ma diventa anche un’operazione riflessa, ovvero la riflessione dei letterati sul proprio operare letterario. Questo è molto importante perché in base agli studi più recenti, il concetto di Rinascimento è diverso rispetto alla periodizzazione tradizionale → viene ampliato, prolungato all’indietro (il primo grande umanista è stato Petrarca, inventore del metodo filologico di cui si approprieranno gli umanisti in senso stretto) e in avanti; non è soltanto quel breve periodo dei primissimi decenni del ‘500 (Machiavelli e Ariosto), fino almeno alla metà del ‘600. Se si concepisce il Rinascimento in questo nuovo modo, si elimina una sfasatura cronologica fra l’Italia e il resto delle culture europee (il Rinascimento inglese coincide con l’età elisabettiana, quindi inizio del ‘600, quello francese coincide con il ‘600, così come quello spagnolo). Parlare di Barocco come qualcosa di opposto rispetto al Rinascimento propriamente detto è un’operazione impropria. 2

Tra Rinascimento e Barocco non esiste nessuna frattura, ma esiste una sostanziale continuità (=/= identità, significa evoluzione e trasformazione nel tempo). Bisogna quindi capire in cosa consiste questa evoluzione nel poema del ‘500 e nel poema del ‘600. Torquato Tasso, negli anni della maturità, entra in polemica con Jacopo Mazzoni, docente all’Università di Pisa, che nel 1587 pubblica la seconda edizione di una sua opera che si intitola Difesa di Dante: Dante è sempre stato apprezzato in tutti i secoli, ma il suo momento di fortuna più bassa coincide con il ‘500 e il ‘600, sia per un motivo linguistico (Dante non era un autore che poteva funzionare per le regole di lingua che dà Bembo nelle Prose della volgar lingua, non è uniforme), sia per un motivo relativo alla teoria della letteratura (da metà ‘500 in avanti si afferma la Poetica di Aristotele, che proponeva norme per la scrittura dei testi letterari a cui Dante non si era attenuto, prima fra tutte la verosimiglianza). In quest’opera – sulla scorta del Sofista di Platone – Mazzoni identifica due tipi di imitazione poetica: l’imitazione icastica (il poeta imita icasticamente quando imita un oggetto realmente esistente) e l’imitazione fantastica (il poeta imita fantasticamente quando crea un oggetto nella propria mente e che non esiste nella realtà); tra i due tipi di imitazione quella preferibile era l’imitazione icastica, in quanto era quella che deformava di meno la realtà. Mazzoni ripropone questo quadro, ma ribalta il giudizio di valori: l’imitazione fantastica è superiore a quella icastica, perché il poeta può inventare e creare di più. Così facendo, Mazzoni avvicina la figura del poeta a quella del sofista, eliminando però la connotazione negativa della parola. Per i letterati del ‘500, la poesia rimane ancorata alla sua funzione mimetica e referenziale; Tasso – che sta terminando i Discorsi del poema eroico – riapre il testo già concluso e inserisce delle pagine di risposta e di confutazione alle teorie di Mazzoni. Ciò che Tasso rifiuta è che la poesia possa occuparsi del falso, in quanto il falso è il nulla e la poesia non può occuparsi del nulla → la poesia deve dire il vero. La poesia del ‘600 su che linea si muove? Su quella fissata da Tasso o su quella proposta da Mazzoni? La soluzione vincente è quella di Mazzoni e dell’imitazione fantastica, sarà una poesia che si stacca sempre di più dalla imitazione degli oggetti e che perde sempre di più la propria funzione referenziale. LEZIONE 3 Gli scrittori del ‘500 si facevano all’idea aristotelica dell’arte come mimesi, dunque la rappresentazione artistica era ancorata al reale e avveniva nel segno della verosimiglianza. Tasso faceva rientrare nel verosimile anche il meraviglioso, allargando quindi tale idea. Nel ‘600, l’alternativa fra vero e falso inizia ad essere identificata nell’alternativa fra reale e immaginario (ciò che esiste solo nella fantasia) → il reale diventa il campo di investigazione della scienza che si può esprimere in termini matematici, partendo dall’opera di Galileo. Da questo momento l’arte si differenzia in maniera sempre più accentuata dalle scienze naturali e inizia ad essere avvertita come una disciplina che si occupa dell’immaginario. I poeti concettisti del ‘600 fabbricano dei giochi verbali fini a sé stessi, che non rimandano più ad una realtà esistente al di fuori → non si interessano più della struttura del testo, ma si preoccupano del suo valore verbale. L’estetica barocca si fonda sul principio per cui il testo letterario è valido se parla un’altra lingua rispetto a quella quotidiana; l’artificiosità del testo è ciò che lo valorizza, diventa sinonimo di elaborato e quindi pregevole. I teorici della letteratura del ‘600 si servono della categoria dell’ingegno, che non è sinonimo di intelletto ma è una delle sue facoltà grazie a cui si possono congiungere degli elementi lontani fra loro. Tutto questo processo mentale si trova realizzato nella figura della metafora (figura nel quale si compie il passaggio dall’analogia alla identificazione). Il maggiore trattatista di retorica del ‘600 è Emanuele Tesauro, autore del Cannocchiale aristotelico (prima ed. 1654, seconda ed. 1670, ma l’elaborazione dell’opera risale agli anni ’20); è un trattato in cui viene approfondita la metafora. Tesauro propone la metafora “prata rident”: creandola si aboliscono le differenze fra un prato primaverile e un volto sorridente e si tiene conto dell’unico particolare in comune → come il prato in primavera si abbellisce grazie ai fiori, così il volto dell’uomo si ingentilisce quando sorride. Questo accostamento fra due elementi così lontani genera una novità, un incremento di conoscenza → per Tesauro la metafora ha un valore conoscitivo. 3

I teorici barocchi si rendono conto del fatto che il procedimento metaforico non è di tipo logico, ma di tipo analogico: si regge quindi su un’argomentazione che dal punto di vista logico è errata → es. “Le stelle sono lucciole”: è un sillogismo sbagliato dal punto di vista dialettico, ma corretto dal punto di vista retorico → è un entimema. Il procedimento metaforico è quindi un inganno, poiché genera una falsità: non è però dannoso, perché lo scrittore e il lettore sono consapevoli di questa falsità del testo letterario dal punto di vista letterale. Per definire questo processo, Tesauro parla di “cavillazione urbana”: la cavillazione è l’inganno, ma esso è urbano perché è gentile, nobile e innocuo (=/= cavillazione dialettica, fatta apposta per ingannare l’uditore). Questa consapevolezza della falsità del testo letterario da parte del lettore è quella che in termini moderni i teorici della letteratura chiamano “sospensione dell’incredulità” → il lettore sa che ciò che legge non è vero, ma accetta questa falsità. La sperimentazione letteraria e artistica dell’età barocca non può più essere considerata una serie di bizzarrie oziose e di cattivo gusto, ciò che sta alla base di questo processo è una volontà di capire più a fondo le relazioni che intercorrono fra le cose. LEZIONE 4 Giovanni Pozzi scrive un saggio intitolato Narrazione e non narrazione nell’Adone e nella Secchia rapita, che parla di Marino e Tassoni in rapporto al poema cinquecentesco e alla Gerusalemme Liberata. Il ‘500 è stato definito come il secolo dei trattati, poiché in questo periodo sono stati prodotti un gran numero di trattati, molti dei quali sono di poetica e parlano di ciò che Aristotele nella poetica definisce “μυθος”, ossia il racconto, il contenuto narrativo della tragedia e del poema eroico. Tale riflessione si sviluppa a metà ‘500, nel momento in cui i letterati si pongono il problema del poema eroico moderno che potesse essere un corrispettivo dell’Iliade e dell’Eneide. In epoca seicentesca succede che questa attenzione sul μυθος viene meno, e i letterati si concentrano prevalentemente sullo stile, il linguaggio poetico (l’elocutio latina) → sono i primi a porsi così esplicitamente il problema della costruzione di una lingua poetica che sia diversa rispetto alla lingua d’uso comune. Da qui la grande attenzione del ‘600 per il concetto, ossia la distanza fra la lingua della poesia e quella quotidiana. In corrispondenza a questa mancata riflessione sul racconto, nel ‘600 avviene che entra in crisi il poema narrativo così come era stato realizzato nel ‘500 (Orlando Furioso e Gerusalemme Liberata). Tasso inoltre aveva accompagnato il suo poema con un’intensa riflessione teorica sull’unità di azione, e i poeti della generazione successiva infrangono questi meccanismi della narratività così come erano stati stabiliti nel ‘500. L’Adone e la Secchia rapita sono due poemi praticamente contemporanei (vengono alla luce ad un anno di distanza fra loro: il primo nel 1623 e il secondo nel 1622) ed entrambi vengono pubblicati a Parigi: la stampa dell’Adone a Parigi avviene perché Marino viveva in Francia ed era poeta di corte, quella della Secchia rapita perché per il suo contenuto è difficile da stampare in Italia → Tassoni aveva fatto dei tentativi, ma era andato incontro alla censura, in quanto l’opera ha un contenuto prevalentemente satirico (nei confronti del papa e della curia romana). N.B.: Giovanni Pozzi è attivo nel ‘900 ed è molto importante perché nel 1976 pubblica per Mondadori la prima edizione moderna e commentata dell’Adone di Marino e grazie ad essa si è risvegliato l’interesse critico intorno alla figura di Marino e alla sua opera.

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GIOVAN BATTISTA MARINO, ADONE L’Adone è un poema mitologico. Il mito di Adone comporta una storia molto breve: le fonti del mito sono molteplici, ma quella a cui si rifà Marino sono le Metamorfosi, in cui Ovidio racconta la vicenda mitologica di Adone in circa 40 versi, mentre L’Adone di Marino è il poema più lungo della letteratura italiana e conta più di 40mila versi. Adone è un giovane cacciatore di cui Venere si innamora; la coppia quindi si unisce finché Adone viene ucciso da un cinghiale durante una battuta di caccia. Venere, triste per la morte di Adone, lo trasforma in un anemone. Giovanni Pozzi riassume L’Adone di Marino in otto punti: 1) Incontro fra Venere e Adone e innamoramento reciproco. 2) Celebrazione del matrimonio fra i due. 3) Intervento di forze malefiche. 4) Separazione di Venere e Adone. 5) Nuovo incontro fra i due. 6) Adone, grazie a Venere, viene eletto re di Cipro attraverso un concorso di bellezza. Adone però non ha nessun interesse a diventare re, quindi rinuncia al trono (questa è un’invenzione di Marino, non c’è nelle fonti). 7) Nuovo intervento di forze malefiche. 8) Morte di Adone. Da questo riassunto si nota che – grazie ad alcuni elementi nuovi introdotti da Marino – la vicenda di Adone viene raddoppiata: due incontri, due funzioni conclusiva (matrimonio ed elezione a re), due interventi di forze malefiche e due separazioni di Venere e Adone (la prima temporanea, la seconda definitiva perché comporta la morte di Adone). Secondo Pozzi, questo schema dell’iterazione si ritrova anche in parti non narrative del poema e dunque diventa una cifra di tutta l’opera (ad esempio la duplice iniziazione di Adone alla conoscenza: prima del matrimonio con Venere, Adone è iniziato alla conoscenza dei sensi [il giardino di Venere, di cui ogni settore corrisponde ad uno dei cinque sensi], dopo il matrimonio Adone conosce una seconda iniziazione ad opera di Mercurio, quella intellettiva, realizzata mediante un viaggio attraverso i cieli). Sotto questo schema si cela un principio non narrativo, un gioco di relazioni fra due parti, che sono allo stesso tempo uguali e diverse → Pozzi utilizza una metafora geometrica: L’Adone non è una struttura a pianta circolare e rinascimentale (con un unico centro), ma a pianta ellittica (con due fuochi), tipicamente barocca poiché il lettore è continuamente rimandato ad uno dei due perni → legge del due. Il cosmo di Marino non è più quel...


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