Analisi \"Allegria\" di Ungaretti PDF

Title Analisi \"Allegria\" di Ungaretti
Course Istituzioni di letteratura italiana
Institution Università degli Studi Roma Tre
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Summary

Analisi di gran parte delle poesie di Ungaretti contenute nella raccolta "Allegria"....


Description

L’Allegria è una raccolta di poesie che fanno riferimento alla prima guerra mondiale, la I edizione era intitolata il Porto sepolto ( Il titolo fa riferimento una leggenda che narrava l’esistenza ad Alessandria di un porto sepolto dal mare , ciò è indice della componente simbolista di Ungaretti che allude al significato nascosto delle cose) del 1916. Nel 1923 ci fu una seconda edizione ampliata con una presentazione di Mussolini. Nel 1919 la raccolta si amplia con nuove poesie ed è intitolata L‘Allegria dei naufragi (Il titolo allude alla strage della guerra dove il naufrago rappresenta la condizione esistenziale dell’ uomo moderno). L’ ultima edizione , quella definitiva risale al 1931 con il titolo L’Allegria, con questo titolo elimina la contraddizione o ossimoro allegria/naufrago per rintracciare nella condizione disperata dell’ uomo uno spiraglio di vitalità. Ungaretti realizza una vera e propria rivoluzione poetica filtrata attraverso la disgregazione della sintassi, teorizzata in quegli anni dall’Avanguardia futurista. Egli intraprende una ricerca di essenzialità e di concentrazione nell’esprimere i temi della solitudine e della precarietà della vita, che lo conduce alla frantumazione del verso libero (chiamato versicolo), alla sinteticità del contenuto e alla ricerca formale della parola evocativa, strumento di rilevazione del mistero. Ungaretti compone poesie che rappresentano un’evidente rottura con la tradizione (ci si riferisce a verso postpascoliano, dannunziano, crepuscolare). Sarà il maggiore esponente della poesia pura da cui si svilupperà l'Ermetismo. L'Allegria va interpretata come la vitalità che vince la morte ed energia che abita i nostri giorni.

ULTIME: Nonostante il titolo, Ultime è il gruppo di poesie ungarettiane più antiche fra quelle riportate in Vita d'un uomo. Composte a Milano e pubblicate in genere per la prima volta a più riprese su "Lacerba" nel 1915, sono state largamente corrette e variate in occasione delle successive edizioni. In Ultime al paesaggio milanese si alterna quello favolosamente riferito, della sua terra natia; Milano è colta in quel nebbioso aspetto invernale che oggi, nel centro, non conosce quasi più, e meglio si riscopre nella periferia. In ben tre composizioni figure umane sono collettivamente rappresentate: cosa rara nel resto d L'allegria. Suggestioni decadenti s'intravedono nel ritorno del compagno arabo suicida o nel senso di solitudine suggerito dal colore del Tappeto; il tono prevalente è malinconico, anche se la volontà di reazione si sforza di palesarsi con il rifiuto di " vivere di lamento come un cardellino accecato " e la morte che il poeta dichiara di preferire non risponde a miti eroici, bensì al lasciarsi morire (come la quaglia che non ha più voglia di volare).

Eterno: Il fatto che questo testo sia di apertura alla prima raccolta, Allegria, nella prima sezione, Ultime, indica che è il componimento con il quale l’ autore sceglie di presentarsi ai lettori. La forma ed il linguaggio sono essenziali e scarni, la lirica si compone di soli due versi, che spiccano sul candore della pagina. Il primo verso è occupato da un’ immagine concreta, che svolge, contemporaneamente, la funzione di delimitare il tempo e lo spazio intercorsi tra i due semplici movimenti di cogliere e di donare. Il secondo verso, invece, introduce un’ immagine astratta, cioè “l’ inesprimibile nulla”, ovvero una dimensione di vuoto e silenzio, che non può essere comunicata agli uomini. Il significato del componimento è imposto dal valore metaforico del primo verso: l’immagine del fiore è metafora della poesia, che il poeta prima raccoglie e poi dona ai suoi lettori. Il secondo verso aggiunge l’ evocazione del luogo-tempo da cui la poesia viene: il nulla. Il testo, che apre l’ Allegria, introduce con sintesi estrema uno dei temi che pervadono più profondamente l’ intera raccolta: il motivo del tempo. A esso fa riferimento la dialettica temporale che, nel passaggio dal primo al secondo verso, oppone i singoli momenti o frammenti del tempo vissuto, sentiti come relativi ed effimeri, il momento del raccogliere e del donare, e l’ assolutezza dell’eterno nulla. Si parla di un gesto, un fiore colto e donato, espressione figurata della vita umana e delle sue azioni, che si fonde con l’immenso, di cui l’uomo è parte integrante. Allora in questo ambito il nulla non è assenza ma inevitabilmente presenza inesprimibile. Certamente s’avverte la necessità interiore del Poeta di ambire ad evocare la totalità dell’universo, entro il quale permane il senso del Mistero.

NOIA: La lirica vive tre momenti staccati tra di loro, divisi dalla spaziatura, come frammenti di impalpabile condizione esistenziale: la noia. “Questa” rende con immediata evidenza realtà indeterminate (notte e solitudine). I versi 2 e 3 sono caratterizzati dall'analogia: l'idea della solitudine è suggerita dall'ombra dei fili tranviari in cui si raccoglie l'immagine di realtà inconsistente e

incorporea. I “fili” segnano un'esile e inafferabile direzione spaziale che attraversa la profondità dell'ambiente circostante (in giro), raccogliendosi nell'immagine visiva dell'umido asfalto. Il punto di vista si ritrova nell'ultima terzina nella prima persona, che scorge figure oscillanti: il “tentennare” (occupa verso conclusivo) riprende “titubante” del verso 3 (t e n associate con vocali a ed e). Ungaretti ha operato, per giungere alla redazione definitiva, un processo di riduzione e semplificazione, eliminando ogni cadenza di tipo crepuscolare → es. a posto di “faccioni” che appariva stonato usa “teste”. Ungaretti sceglie come argomento centrale della poesia la condizione esistenziale della noia; questa nasce dall’idea della solitudine che c’è intorno, nell’ombra dei fili dei tram che attraversano uno spazio vuoto e si stagliano sull’umido asfalto. L’immagine della noia per il poeta, si concretizza nella figura dei brumisti, vetturini di piazza, che vacillano nel sonno.

LEVANTE: Questi versi raccontano il viaggio di Ungaretti da Alessandria a Parigi. Il poeta è sempre sul bastimento verniciato di bianco e guarda in avanti, verso Parigi, sebbene nel suo cuore sia forte la "nostalgia" di Alessandria (scomparsa in lontananza in Silenzio). Non c'è altro che il mare: la linea vaporosa (è l'effetto del vapore acqueo nell'aria) del mare finisce laggiù, lontano, dove si confonde con la linea del cielo. In questo vuoto sta solamente la nave (lo stacco è ancora una volta segnalato dalla riga vuota) la cui presenza è rivelata dal suono di picchi di tacchi e picchi di mani, dei ghirigori striduli (straordinario questo verso suggestivo ancora più che onomatopeico: le note acute e dolci al tempo stesso di un clarino che sembrano disegnare nell'aria un arabesco). All'impressione sonora si somma la visione del mare cinerino che si increspa, quasi fosse inquieto, ma è un'inquietudine dolce, come quella del piccione. Sulla nave il poeta annota due situazioni contrastanti e separate, anche fisicamente, nella realtà come sulla carta: a poppa emigranti siriani ballano, a prua sta un giovane, da solo. Solo con i suoi pensieri: a quest'ora di sera, in un sabato come questo, laggiù, nella città che egli si è lasciato alle spalle (il giovane è a prua), Ebrei seppelliscono i loro morti (dopo il tramonto, perché prima è proibito, agli Ebrei, di fare qualsiasi lavoro). La seconda immagine è quella dei lumi tentennanti nei vicoli scarsamente illuminati. Nell'ultimo strofa avviene lo svelamento: "che io odo". Dunque quel giovane a prua altri non è che il poeta Ungaretti.

La poesia è costituita di sei strofe ognuna di diversa struttura e di varia misura, e spesso formate di una sola parola che, isolata e "nuda", acquista tutto il suo valore poetico e semantico.

La punteggiatura è sostituita da spazi bianchi i quali, oltre a scandire i periodi separandoli uno dall’altro, le parole acquistano respiro e, così isolate, esprimono a fondo il loro significato. Inoltre la poesia è costituita da un certo numero di ellissi come "picchi di tacchi picchi di mani e il clarino ghirigori striduli" e da un’analogia "trema dolce inquieto" (il mare è dolce ma trema come gli inquieti piccioni). Le allitterazioni "linea ... lontano" e "cerchio ... cielo" conferiscono al contesto una sonorità soffusa, cui si contrappone la violenza sonora dei due versi successivi. I versi sono liberi e non c’è nessuna rima.

TAPPETO: Poesia breve, 3 versi, interpretabile in modi diversi come tutte le poesie di Ungaretti. Il lettore diventa come un “poeta virtuale”, la poesia può vivere attraverso i nostri occhi. 1. “Ogni colore si espande e si adagia negli altri colori, per essere più solo se lo guardi” In mezzo a tutti i colori isolando ad esempio un rosso, il colore appare sotto. Il colore siamo noi uomini e il tappeto è l'umanità intera → concetto antirazzista, l'uomo significa qualcosa solo in mezzo agli altri. Vivere insieme migliora la propria esistenza. Tuttavia ogni tanto è come se gli altri non ci capissero e talvolta non ci capiamo nemmeno noi, sentendoci così soli. Questa è una concezione malinconica. 2. “Ogni colore si espande e si adagia negli altri colori per essere più! Solo se lo guardi” Le prime due strofe suonano quasi positive, l'ultima ribalta la questione. Siamo costretti tutti i giorni a stare nel tappeto, nei ritmi che la società ci impone, negli schemi. Però, se la gente inizia a considerarci più di un numero o una persona qualunque, diventiamo grandi e il nostro colore si adagia e si espande.

Nessuna delle due interpretazioni è giusta, perché è tutto molto soggettivo essendo la poesia priva di punteggiatura.

NASCE FORSE: Possiamo immaginare un paesaggio cancellato dalla nebbia, dove tutto è possibile e la realtà appare sotto una diversa forma: la percezione dei sensi è tradita, le

morgane ingannano, potrebbero esserci le Sirene nell’ombra. È il momento in cui il poeta, chiuso nella sua solitudine, diventa consapevole della propria funzione. La poesia ci chiama con voce soave, ma – a differenza delle Sirene – non ci vuole distruggere: al contrario, ci arricchisce.

AGONIA: PARAFRASI morire come le allodole in cerca di acqua su un panorama immaginario o come la quaglia oltrepassato il grande argine dei primi cespugli perchè non vuole più volare ma non vivere neanche di lamento come un cardellino accecato.

Ungaretti nomina tre specie di uccelli: le allodole che, scambiando la luce riflessa dagli specchi per un luccichio d’acqua, cadono nell’inganno degli uomini e vanno incontro alla morte, la quaglia, uccello migratore che, a volte, dopo aver superato il viaggio, si accascia sfinita alla meta e il cardellino, piccolo uccello che gli uomini talvolta accecavano affinché meglio si adattasse alla vita in gabbia. Il poeta sostiene che è preferibile morire come le allodole o le quaglie, piuttosto che condurre una vita come quella del cardellino in gabbia. La poesia è composta di tre strofe, rispettivamente di due, cinque e due versi irregolari. Nonostante inizino con la lettera maiuscola, le tre strofe non terminano con il punto fermo, consuetudine tipica di questo periodo della poesia ungarettiana. E’ presente una rima (quarto e sesto verso: “are”); inoltre al terzo, quinto e settimo verso si notano delle consonanze (gli). Vi è un richiamo tra l’ultima parola del primo verso (assetate) e dell’ultimo (accecato): oltre alla somiglianza del suono, si noti che sono entrambi participi passati che denotano “mancanza”. Come sempre, nelle poesie di questo autore, grande importanza ha il titolo: “Agonia”, che, in una sorta di circolarità, ben sintetizza la condizione del cardellino. In ogni strofa è sottintesa la proposizione principale, che potremmo indicare con “E’ meglio, è preferibile, bisogna.” E’ presente un’inversione ai vv. 7-8: “di volare non ha più voglia”. Le tre specie di uccelli formano ciascuna una similitudine: “morire come…” e “non vivere…come…” I termini usati sono di immediata comprensione, ma va chiarito che, al v. 7, “voglia” va tradotto con “forza, energia”. L’uso degli infiniti “morire”e “vivere” esprime, nell’intenzione dell’autore, una verità universale, che deve valere per tutti gli uomini e che, per essere meglio compresa, va letta alla luce del contesto storico e umano in cui è stata composta la lirica. Nel 1914-1915 in Italia è forte il dibattito circa l’opportunità di intervenire nella guerra da poco scoppiata; molti sono gli irredentisti, che considerano l’intervento come l’unica possibilità di entrare in possesso delle terre italiane ancora dominate dall’Austria (Trento e Trieste).

Ungaretti ritiene che gli Italiani non debbano “vivere di lamento”, ma che debbano invece impegnarsi per la realizzazione delle proprie aspirazioni, anche se questo dovesse significare la morte. Egli stesso si comporta da allodola, da quaglia, e si arruola volontario, mettendo a repentaglio la propria vita in prima linea (anche se morirà solo molti anni più tardi, nel 1970). La poesia ha comunque assunto, nei decenni, un significato svincolato dalla situazione vissuta in prima persona dall’autore e continua ad essere apprezzata per l’universalità del suo messaggio: nella vita bisogna impegnarsi per realizzare degli ideali, delle imprese, anche se ciò comporta dei rischi, piuttosto che vivere prigionieri della propria stessa esistenza, privi di interessi e di entusiasmo.

RICORDO D'AFFRICA: In Ricordo d'Affrica, i nessi logici appaiono recisi, e quasi visivamente segnalati (e sostituiti) dagli spazi bianchi, nell’accostamento delle tre figurazioni per cui si realizza una sorta di cortocircuito semantico sottotraccia: la vertigine luminosa sembra quasi cancellare la città (“Il sole rapisce la città”), nell’abbaglio visivo (“Non si vede più”) che investe anche le tombe (“Neanche le tombe resistono molto”). I versi del poeta si caratterizzano non solo per la loro brevità – ma esistono pure liriche più lunghe – oltreché per la nuova tecnica grammaticale, sintattica e della punteggiatura; nella poesia tradizionale, infatti, esistevano sì liriche brevi, ma difficilmente di due versi.

CASA MIA: L’amore per la vecchia casa e per gli affetti che un tempo essa racchiuse fra le sue mura rinasce al ritrovarla, e ha il sapore d’una nuova scoperta. Così il poeta, dopo lunga assenza, tornando alla sua casa dei giorni primi, sente con commosso stupore che l’amore per essa non è morto. Tornano a ri-vivere nel cuore i ricordi cari che egli credeva d’aver disperso qua e là, sparpagliati (che pregevole metafora!) negli angoli del mondo dove la vita conduce. È quasi una rivelazione: la casa è lì, custode dei ricordi. È solo bastato un ritorno alla vecchia casa perché essi nuovamente riaffiorassero, intatti, senza aver nulla perso della freschezza di un tempo.

NOTTE DI MAGGIO: Questa poesia della raccolta Ultime del volume Allegria, che vuole dire ultime del periodo d’avanguardia del poeta, e parte finale proprio di questo periodo, prima cioè della sua maturità poetica. E già si manifesta la tendenza al linguaggio essenziale.

Vediamo subito l’economia del linguaggio, quella economia espressiva, qui all’inizio della sua vita creativa che contraddistinguerà la sua poetica. Ma qui è sbagliato parlare già di ermetismo, perché il margine di incomprensione è dato non tanto dal fondo segreto che la parola rivela, ma è dato dal non detto, dalla mancanza di un legame poetico con la realtà. Il poeta cela. Sappiamo che in una notte di maggio i minareti sono illuminati, ma ci sfugge il dato reale, quello che il primario titolo invece dava “Curban Bairam” che in persiano vuole dire “festa del sacrificio”.

IN GALLERIA: L'«acquario di sonnambula noia» come metafora della Galleria milanese (In Galleria) e un'osservazione eleganti della realtà, rilieva di un occhio prezioso e leggero. L’assenza di un’unica spiegazione, perché la validità di ogni spiegazione risiede nell’originale autenticità del sentire di ciascuno. Perché la parola del nostro poeta non è vincolante, ma evocante. Il fascino rivoluzionario di Ungaretti sta proprio nell’ avere smascherato il grande vizio “retorico” della poesia precedente, che credeva di potersi esprimere ed elevarsi solo tramite arcaismi o con l’insensata ed ostentata ricercatezza del linguaggio, futili segni di erudizione, ma non certo di arte. Ed acquista un sapore ancor più di rivoluzione se si pensa che, fra uno scontro armato e l’altro, trovò sempre la forza di versificare il suo dolore. E ancora, il tutto viene pervaso da un’aria magica se si pensa alla estrema brevità in cui condensa e glorifica il segreto stesso.

CHIAROSCURO: Contrasto tra la notte e il giorno. Si parte dalla notte, l'ombra cala da casa del poeta fino al cimitero e le tombe scompaiono. Mentre il poeta sogna rivede il suo compagno arabo morto, uccisosi qualche sera prima perché non riusciva a sopportare lo sradicamento della realtà. C'è quasi l'illusione che nulla sia accaduto. Torna il giorno, ritornano le tombe incastrate nell'erba ancora non del tutto al sole (verde tetro), visione inquietante. Poi con i primi chiarori, il verde diventa “torbido”, quindi comunque opaco e fosco. Nonostante la luce, la visione resta inquietante e il poeta torna alla realtà.

POPOLO: “Il popolo nostro è un popolo di fantastici; ha più di ogni altro, anzi questo è il suo carattere, il potere di transmutare la realtà in ebrezza; neppure qui gli mancano momenti di slancio e di spasimo vitale, che lo liberano e lo risarciscono di mille secoli di patimento; ma i mille secoli sono lunghi a doversi patire. Non siamo tedeschi, tutti fatti a immagine d’un solo «all man» «tutto un uomo»; siamo gente di cui ognuno anche fisicamente sembra esprimere una civiltà diversa; da noi il coraggio ha un senso di «fascino», non un senso di «sforzo di volontà»: sono lunghi mille secoli.” Lettera di Ungaretti a Giovanni Papini.

IL PORTO SEPOLTO Il porto sepolto che dà il titolo ad una sezione della raccolta è proprio l'Io del poeta sepolto dalla guerra, un Io da cui attingere attraverso la poesia. Il poetasoldato non è più l’eroe che trasforma la propria esperienza di guerra in qualcosa di eroico e spettacolare o in un’opera d’arte, ma è un individuo fragile che da tale esperienza trae pretesto per guardarsi dentro e rapportarsi al dolore e al mistero della vita e della morte. Ungaretti non parla della guerra per come si è oggettivamente svolta, non parla cioè di voglia di combattere o di vittorie esaltanti, ma della guerra descrive solo le proprie personali reazioni. Sono reazioni di isolamento, di sgomento e di smarrimento nel vedere lo spettacolo di distruzione che circondava l’uomo. Sotto il titolo di ogni poesia troviamo la data e il luogo di componimento. IN MEMORIA: In memoria è dedicato all’amico Moammed Sceab. L’amicizia risaliva all’adolescenza, Schea e Ungaretti furono compagni di studi ad Alessandria d’Egitto e successivamente emigrarono insieme a Parigi, dove vissero nello stesso albergo. A Parigi Sceab si suicidò, non sopportando più la propria condizione di nomade, privo di patria. Ungaretti ha sempre associato la figura di Sceab alla propria ricerca di identità letteraria. Questa lirica è dominata dal motivo dello sradicamento e della perdita d’identità, percepite anche da Ungaretti nel suo sentirsi estraneo al mondo. Ma il poeta al contrario dell’amico riesce ad esprimere attraverso la sua lirica il senso di lacerazione e di sradicamento ed inoltre attraverso la poesia riesce a far vivere il ricordo dell’amico e lasciare una testimonianza che duri nel tempo. La poesia è stata scritta mentre Ungaretti si trovava sul fronte di guerra (1916). Metrica: Otto strofe di versi liberi. I verbi oscillano tra passato e presente, fino ai versi finali dove i due tempi si incontrano nell’opposizione tra il passato della vita conclusa dell’amico e il presente del ricordo. L’uso di parole quotidiane e scarne, il ritmo prosastico, l’assenza di punteggiatura (l’inizio dei vari periodi è segnalato dalla presenza di lettere

maiuscole) contribuiscono alla ricercata rinuncia di ogni retorica. I versi brevi o brevissimi contribuiscono a dare il massimo risalto alle singole parole. IL PORTO SEPOLTO: Analisi del testo: Il poeta come un palombaro de...


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