Analisi Catullo 5 Carmina PDF

Title Analisi Catullo 5 Carmina
Course Letteratura latina
Institution Università della Calabria
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SEZIONE AMORE CARMINA 5 Endecasillabo falecio Vìvamùs, mea Lèsbia, àtque amèmus, rùmorèsque senùm sevèriòrum òmnes ùnîus aèstimèmus àssis. Sòles òccidere èt redìre pòssunt; nòbis, cùm semel òccidìt brevìs lux, nòx est pèrpetua ùna dòrmiènda. Dà mi bàsia mìlle, dèinde cèntum, dèin mille àltera, dèin secùnda cèntum, dèinde usque àltera mìlle, dèinde cèntum. Dèin, cum mìlia mùlta fècerìmus, cònturbàbimus ìlla, nè sciàmus, àut nequìs malus ìnvidère pòssit, cùm tantùm sciat èsse bàsiòrum. TRADUZIONE

ANALISI Mea Lesbia: apostrofe di Catullo alla donna amata, Lesbia, pseudonimo letterario con cui il poeta nasconde la reale identità della destinataria del testo. Il nome è strettamente connesso a Saffo, poetessa greca VII-VI secolo a.C. originaria dell’isola di Lesbo, nota per le poesie erotiche e amorose . Se Saffo è quindi figura centrale per la lirica d’amore il nome Lesbia evoca qui grazia, bellezza, fascino e intelligenza. La donna, il cui vero nome era Clodia, apparteneva all’aristocrazia romana, e venne coinvolta in diversi scandali dell’epoca. Era la moglie di Quinto Metello Celere, morto nel 59 a.C., forse avvelenato dalla donna stessa, che divenne poi amante di Celio Rufo. Catullo, a quanto sembra, iniziò con Clodia una relazione basata sulla passione e l’eros che si evolve e per il poeta diventa un rapporto esclusivo, basata su un vincolo matrimoniale (in latino, foedus). Per questo, quando Lesbia abbandona il poeta per un’altra relazione, Catullo parla di doloroso tradimento del foedus d’amore, come emblematicamente espresso nel carme VIII (Miser Catulle, desinas ineptire) e nel carme 85 (Odi et amo). Vivamus e amemus: si tratta di due congiuntivi esortativi (da vivo, vivis, vixi, victum, vivere e amo, amas, amavi, amatum, amare) che, già nel primo verso, evidenziano le due parole-chiave del componimento: “vivere” ed “amare”, per il Catullo innamorato, sono sostanzialmente la stessa cosa. V.2 è arricchito dalle allitterazioni di “m”, “s”, “r” vuole riprodurre sul piano fonico le chiacchiere e i pettegolezzi dei vecchi; gli antagonisti dell’amore di Catullo e Lesbia sono sia gli anziani, sia chi fa il conservatore moralista. Foneticamente il timbro ricade sul suono RUM posto proprio ad inizio verso ma anche alla fine, in questo modo ancor di più viene sottolineata la centralità dei RUMORES, le chiacchiere. Assis: “asse”; si trattava di una moneta originariamente del valore d’una libbra, ma il cui valore si andò riducendo nel tempo, diventando quindi termine popolare per indicare una moneta di poco valore. Catullo sembra essere il primo a usare questa espressione Soles: i “soli” sono una metonimia classica per i dies, cioè i "giorni” Nox: la “notte” metafora della mors, la “morte”. Da notare l’antitesi tra fine del v. 5 ( lux) e l’inizio del v. 6 (nox), segnati da due diversi momenti del giorno e dell’esistenza. Nei versi 46 viene espresso il topos molto caro ai poeti latini del godere e approfittare della breve vita che è concessa all’uomo, che si ritrova ad esempio anche in Orazio, nel famoso componimento del Carpe diem (Odi, I, XI). est dormienda: la costruzione perifrastica passiva dà una sfumatura di inevitabilità al destino di morte che attende l’uomo; tanto più vale allora godere delle gioie dei baci di Lesbia. Basia: si tratta di una delle prime attestazioni letterarie della parola basium, di origine ignota, probabilmente popolare, da cui deriva la parola italiana “bacio”. Catullo preferisce il termine popolare a quello più formale osculum. Nel commento a Catullo di Merrill 1951 viene ipotizzata un’origine germanica della parola basium, a causa dell’assenza di termini simili in latino e in greco e la presenza in inglese antico della parola “buss”, mantenuta in alcuni dialetti della Germania del sud e in Austria.

Deinde: l’anafora dell’avverbio, anche in forma ridotta dein, serve a sottolineare lo scambio continuo di baci tra il poeta e la donna amata. Conturbabimus: futuro indicativo del verbo conturbo, composto da con- e turbo(turbo, turbas, turbavi, turbatum, turbare); il significato di “turbare, sconvolgere, mettere in disordine” in questo caso assume una sfumatura ironica e giocosa: Catullo vuole rimescolare e scombinare i conti dei baci tra lui e Lesbia. Invidere: i significati del verbo invideo, invides, invidi, invisum, invidere sono molti (“fare il malocchio”, “avere sentimenti ostilità”, “invidiare”, impedire”), ma qui Catullo privilegia il significato originario di “gettare la sfortuna contro qualcuno” per sottolineare la malevolenza di chi invidia la felicità di Catullo e Lesbia. COMMENTO Nel carme 5 del Liber catulliano assistiamo al trionfo dell’amore tra Catullo e Lesbia; anzi, nell’ordinamento dell’opera, è questo il primo componimento che celebra la forza delle passioni in maniera spensierata e gioiosa (con toni antitetici a quelli, ad esempio, del carme 85). La poesia si costruisce così su due perni fondamentali: la celebrazione dell’equazione vita-passione - così che le critiche dei benpensanti siano da paragonarsi ad un assis, cioè ad una moneta di pochissimo valore e la consapevolezza della fugacità dell’esistenza: se quest’ultima è breve come un giorno, allora conviene non perdere nemmeno un istante di possibile felicità. Il corpo centrale del testo è allora occupato dall’accumulo dei baci scambiati con Lesbia, che il poeta si diverte a contare ed enumerare sotto forma di elenco. Il tutto si risolve, negli ultimi versi, nella “beffa” nei confronti di chi augura il peggio ai due amanti felici: Catullo e Lesbia gettano all’aria le somme dei baci, per non far sapere a nessuno quanti essi davvero siano. Dal punto di vista stilistico, il carme 5 si caratterizza per uno stile semplice e colloquiale, come se si trattasse di un invito, un po’ scanzonato, rivolto a Lesbia stessa.

CARME 7 Quaèris quòt mihi bàsiàtiònes tùae, Lèsbia, sìnt satìs supèrque. Quàm magnùs numerùs Libýssae arènae làsarpìciferìs iacèt Cyrènis, òraclùm Iovis ìnter aèstuòsi èt Battì veterìs sacrùm sepùlcrum, àut quam sìdera mùlta, cùm tacèt nox, fùrtivòs hominùm vidènt amòres, tàm te bàsia mùlta bàsiàre vèsanò satis èt supèr Catùllo est; quaè nec pèrnumeràre cùriòsi pòssint nèc mala fàscinàre lìngua.

TRADUZIONE (Mi) chiedi quanti baci tuoi, Lesbia, siano per me più che sufficienti [lett.: sufficienti e di troppo]. Quanto (è) grande il numero (dei granelli) di sabbia libica (che) si stende a Cirene produttrice di silfio, tra l’oracolo di Giove infocato e il santo sepolcro dell’antico Batto, o quante (sono) le stelle (che), quando tace la notte, vegliano/spiano gli amori furtivi degli uomini, tanti sono i baci che tu devi baciare perché a Catullo pazzo (di amore) sia sufficiente e di troppo, (tanti) che i maligni non possano contarli, né la lingua maligna (possa) gettarvi il malocchio

Il carme è una sorta di rivisitazione colta del tema già trattato nel carme 5, come si nota dalla presenza di allusioni sia letterarie che contenutistiche: Cirene è infatti la città natale di Callimaco (il poeta alessandrino cui si ispira la poetica dei poëtae novi) e Batto il suo progenitore; basia è accusativo dell'oggetto interno di basiare; mala... lingua (letteralmente singolare = "una malalingua") è soggetto

CARME 8

TRIMETRI GIAMBICI SCAZONTI

Misèr Catùlle, dèsinàs inèptìre, et quòd vidès perìsse pèrditùm dùcas. Fulsère quòndam càndidì tibì sòles, cum vèntitàbas quò puèlla dùcèbat, amàta nòbis quàntum amàbitùr nùlla. Ibi ìlla mùlta tùm iocòsa fíèbant, quae tù volèbas nèc puèlla nòlèbat. Fulsère vère càndidì tibì sòles. Nunc iam ìlla nòn vult: tù quoque, ìmpotèns, nòli, nec quaè fugìt sectàre, nèc misèr vìve, sed òbstinàta mènte pèrfer, òbdùra. Valè, puèlla, iàm Catùllus òbdùrat, nec tè requìret nèc rogàbit ìnvìtam. At tù dolèbis, cùm rogàberìs nùlla. Scelèsta, vàe te! Quàe tibì manèt vìta? Quis nùnc te adìbit? Cùi vidèberìs bèlla? Quem nùnc amàbis? Cùius èsse dìcèris? Quem bàsiàbis? Cùi labèlla mòrdèbis? At tù, Catùlle, dèstinàtus òbdùra.

TRADUZIONE Povero Catullo, smetti di vaneggiare, e ciò che vedi essere morto, considera(lo) perduto. Brillarono un tempo per te giornate radiose [soli splendenti], quando venivi più volte (ventitabas) dove (quo) la ragazza (ti) conduceva, (la ragazza) amata da noi quanto nessuna sarà amata. Un tempo (tum) là accadevano quei molti continui giochi (d’amore) che tu volevi, e lei non rifiutava. Brillarono davvero per te giornate radiose [soli splendenti]. Ora ormai lei non vuole più: anche tu, non padrone di te, non volere. e non inseguire colei che fugge, e non vivere infelice, ma con animo risoluto resisti, tieni duro. Addio, ragazza. Ormai/Alla fine Catullo tiene duro, e non ti cercherà, e non pregherà (te) che non lo vuoi (invitam) ma tu soffrirai, quando non (nulla) sarai più pregata. Sciagurata, guai a te! Che vita ti rimane? Chi ora si avvicinerà a te? A chi sembrerai bella? Chi ora amerai? Di chi si dirà che sei [sarai detta essere]? Chi bacerai? A chi morderai le labbra? Ma tu, Catullo, risoluto tieni duro.

COMMENTO Il carme VIII, posto tra i primi componimenti del liber catulliano, descrive, in modo paradigmatico, il variegato sentimento che il poeta prova nei confronti di Lesbia e della loro relazione: da un lato c’è l’amore (messo in evidenza al v. 5 dal poliptoto “amata [...] amabitur”), che ormai è finito (v. 2), dall’altro ci sono l’autocommiserazione (Catullo si definisce “miser”al v. 1 e poi ancora al v. 10) e il rimpianto per la felicità passata (insistente il “ritornello” dei vv. 3 e 8), che lasciano però posto all’esortazione a resistere(vv. 9, 11 e 19) e alla rabbia (v. 15), infine si trova l’autoconvincimento che la ragazza non troverà più nessuno che l’amerà come ha fatto lui (vv. 16-18). In tale senso, il tono è ben diverso da quello trionfante del carme V (Vivamus, mea Lesbia, atque amemus) e si avvicina piuttosto agli accenti drammatici e allo scavo psicologico del celeberrimo Odi et amo (carme LXXXV). Il carme può essere bipartito: dal v. 1 al v.11 il poeta si rivolge a sé stesso e alterna sapientemente l’uso della seconda persona a quella della prima (si noti l’uso di “nobis”a v. 5), in un gioco letterario che ben dimostra il suo travaglio interiore; dal v. 12 al v. 18, invece, l’autore si rivolge alla ragazza che lo fa soffrire per augurarle un futuro in solitudine; il componimento, infine, si conclude - secondo il principio della Ringkomposition* - con la seconda persona e con una nuova apostrofe, per nome, a se stesso (“Catulle” del v. 19 rispecchia, anche per posizione metrica, il vocativo “Catulle” del primo verso). *Parola tedesca che significa «composizione ad anello» e indica una struttura compositiva circolare, in cui gli elementi iniziali sono ripresi alla fine.

Anche sul piano formale il carme mira a rappresentare lo stato d’animo tormentato del poeta: il ritmo metrico è quello “zoppicante” del coliambo. Abbondano ripetizioni (persino di interi versi, come vv. 3 e 8) e poliptoti, indice di un’insistenza “maniacale” su alcuni concetti. Tutto il componimento è giocato sull’alternanza di esortazioni(all’imperativo o al congiuntivo esortativo) e interrogative (al futuro), che rendono l’andamento del carme tutt’altro che piano ed equilibrato.

ANALISI Coliambo è termine greco che significa propriamente “giambo zoppo” ed è usato in alternativa a “trimetro giambico scazonte”, parola che vuol appunto dire “zoppicante”. Il metro differisce dal trimetro giambico puro per la presenza di una lunga - anziché una breve in undicesima posizione; si ha così un sesto piede con un’inversione ritmica che crea l’effetto di uno zoppicamento della metrica. L’inventore di questo metro era considerato il giambografo Ipponatte di Efeso (VI secolo a.C.) e per questo il metro prende anche il nome di “ipponatteo”. perisse perditum: si tratta di un poliptoto, che insiste sull’idea di perdita dell’amata Lesbia. L’espressione si trova anche nella commedia Trinummus di Plauto. soles:è una metonimia per dies, e quindi per il giorno.

amata [...] amabitur: poliptoto che celebra l’altezza irripetibile dell’amore tra Catullo e Lesbia. Si noti la ripetizione del nec, come se il poeta volesse ribadire ossessivamente sulla pagina quasi per convincere se stesso in un fitto monologo interiore - di non correr dietro alle illusioni. obdurat: in poliptoto con l’imperativo “obdura” (obduro, obduras, obduravi, obduratum, obdurare) del verso precedente. Lo stesso imperativo chiude anche l’intero carme, che è quindi interamente percorso dall’autoesortazione a resistere alla tentazione di ricadere nelle grinfie dell’amore per Lesbia. rogaberis: in poliptoto con “rogabit” (da rogo, rogas, rogavi, rogatum, rogare) del verso precedente. Inizia qui una serie di interrogative dirette retoriche tutte introdotte dal pronome interrogativo, in casi differenti, secondo la figura retorica del poliptoto (che diventa così caratteristica stilistica del ragionamento nevrotico di Catullo). At tu:a inizio verso si riprende l’“at tu”del v. 14, che era però riferito a Lesbia.

CARME 85 Distici elegiaci Ōdi ĕt ămō. Quāre īd făcĭām, fōrtāssĕ rĕquīrīs? Nēscĭŏ, sēd fĭĕrī ‖ sēntĭo ĕt ēxcrŭcĭōr.

TRADUZIONE Odio e amo. Forse ti chiedi come io faccia. Non lo so, ma sento che accade e mi tormento.

COMMENTO Il carme 85 di Catullo non è solo una pagina fondamentale del suo Liber, ma anche un testo emblematico per tutta la poetica catulliana; qui il poeta condensa in due soli versi l’intera esperienza amorosa con Lesbia. Odi et amo , che compare nella sezione degli “epigrammi” (la terza e ultima della raccolta catulliana) riassume infatti i temi centrali che attraversano l’opera di Catullo (e che ritroviamo anche nel carme 1 proemiale o nel celebre Vivamus, mea Lesbia, atque amemus , oltre che nel ciclo dei carmina docta): l’importanza assoluta assegnata al mondo privato dell’amore e della passione in contrapposizione con il mos maiorum della società romana, il disinteresse per l’impegno politico e pubblico (in antitesi con i doveri del buon civis romanus), la scelta per la letteratura colta ed estetizzante dell’alessandrinismo, in accordo con il modello del poeta greco Callimaco (310 ca. - 240 ca. a.C.). Soprattutto, il carme 85 si impone nella storia letteraria (non solo latina) perché nel suo ossimoro in incipit prende corpo uno dei topoi di maggior successo di tutta la cultura occidentale, ovvero quello del confronto irresolubile tra amore e odio, tra slanci della passione e tormenti del rifiuto da parte dell’amata, o di sofferenza per i suoi continui tradimenti 2. È un tema, già noto alla letteratura greca, e che poi si diffonderà in tutta la cultura antica e moderna, fino al Romanticismo e ai giorni nostri; all’interno del Liber , si tratta del passo estremo dell’amante disperato, che da un lato riconosce la differenza tra amare e bene velle (carme LXII, Dicebas quondam solum te nosse Catullum) e dall’altro cercherà una cura alla sua sofferenza (si vedano il carme VIII, Miser Catulle, desinas ineptire e il carme LXXVI, Si qua recordanti benefacta priora voluptas). L’epigrammaticità del testo concede però spazio anche ad una sottile raffigurazione della psicologia dell’autore, nonostante il termine nugae (“sciocchezze, frivolezze”) che Catullo usa per i propri componimenti nel carme I: l’esperienza totalizzante dell’amore sconvolge il mondo interiore del poeta, che “sente” qualcosa che non sa né può identificare, e si tormenta in una passione che insegue e da cui fugge al tempo stesso. L’emersione del dualismo odioamore non altera tuttavia la scrupolosa cura formale della poetica dei neoteroi (o poetae novi). Catullo infatti gioca con la disposizione sintattica dei predicati (la poesia è composta

di frasi brevi o brevissime), sfruttando un’inversione rilevata in quello che è il periodo centrale della poesia (“Quare id faciam, fortasse requiris”) e la coordinazione di predicati verbali semanticamente discordanti tra loro. Precisa anche la scelta lessicale: “sentio” e “nescio” (v. 2) sono verbi tipici per la percezione sensoriale o per l’attività della ragione, mentre “excrucior” ha valore drammatizzante, in quanto deriva da crux, crucis (e la condanna alla croce, nel mondo romano, era la condanna a morte più umiliante, e come tale riservata solo a schiavi e rivoltosi, e non applicabile ai cittadini romana). Il filtro della cultura letteraria di Catullo traduce così nei versi del carme 85 “l’amoroso odio verso la vita” del poeta

ANALISI Odi: si tratta del perfetto indicativo del verbo difettivo odi, odisti, odisse; va quindi inteso come un “perfetto logico”, da tradurre con il presente. Odi et amo: è la prima delle contrapposizioni su cui si regge il componimento, come: faciam e fieri(vv. 1-2; da un lato c’è ciò che il poeta-amante fa razionalmente, dall’altro il volere cieco della passione) e sentio e nescio (v. 2; il primo verbo, da sentio, -is, sensi, sensum, -ire , indica una percezione oggettiva delle proprie passioni, mentre nescio, -is, nescii, nescitum, nescire allude al fatto che Catullo non sappia spiegarsi razionalmente le ragioni dal proprio agire). Il primo verso, composto di due frasi epigrammatiche, ha un forte valore programmatico: tutto il rapporto con Lesbia, ormai esaurito, si riduce ad una tragica opposizione bipolare. excrucior: il verbo ha una particolare valenza semantica, in quanto deriva dal verbo di forma attiva excrucio, -as, -avi, -atum, -are, “torturare, mettere in croce”. La sofferenza amorosa diventa così, nell’explicit del carme 85, una sofferenza fisica di natura violenta e umiliante. Si tenga poi presente che il secondo verso, letto secondo la pronuncia restituta (e non quella “ecclesiastica”, diffusa oggi nelle scuole), abbonda dei suoni consonantici duri ed aspri di “c”, “r”, “t”: nescio (da leggere quindi: “neskio”), sentio, excrucior (da leggere: “eskrukior”).

AMICIZIA E AFFETTI CARME 48 (Endecasillabi faleci)

Mēllītōs ŏcŭlōs tŭōs, Iŭvēntī, sī quīs mē sĭnăt ūsquĕ bāsĭārĕ, ūsque ād mīlĭă bāsĭēm trĕcēntă nēc nūmquām vĭdĕār sătūr fŭtūrūs, nōn sī dēnsĭŏr ārĭdīs ărīstīs sīt nōstraē sĕgĕs ōscŭlātĭōnīs. TRADUZIONE I tuoi occhi, o Giovenzio, dolci come miele, se qualcuno mi lasciasse liberamente baciare, io li bacerei migliaia di volte, ne mi parrebbe di essere mai sazio, anche se più fitta delle spighe mature fosse la messe dei miei sbaciucchiamenti. COMMENTO Il carme 48 è di argomento amoroso ed è dedicato a Giovenzio. Nella raccolta catulliana, infatti, i carmi d’amore non sono riservati alla sola Lesbia. A parte i pochi accenni ad amanti occasionali troviamo altri componimenti amorosi dedicati ad un ragazzo, Giovenzio appunto. Anche nei pochi versi a lui rivolti ricorrono motivi già incontrati nei carmi per Lesbia (in questo caso la richiesta di innumerevoli baci), per quanto il tono appaia meno appassionato. Di questo fanciullo, Catullo parla anche nei cc. 15, 24, 81, 99. Nel carme 15 raccomanda questo giovinetto ad Aurelio, il protagonista del carme 11. Troviamo informazioni più dettagliate nel carme 24, dove emerge che Giovenzio potrebbe essere di Verona e, venuto a Roma, sarebbe stato affidato a Catullo dai parenti. Il tema della gelosia ricorre nel carme 81 dove Catullo allude ad un pesarese che godeva dei favori di Giovenzio. Infine, nel carme 99, Catullo narra di aver scontato crudelmente un bacio rubato a Giovenzio. In questo carme il mondo agricolo-rurale è molto presente: l’amore è sempre accostato ad un elemento naturale. Al primo verso, infatti, gli occhi dell’amato sono paragonati alla dolcezza del miele, come in Saffo.

ANALISI L’aggettivo mellitus,di derivazione greca meilicos,era usato come vezzeggiativo nel linguaggio familiare (si trova anche in Cicerone, Ad Atticum I,18).Il verbo basiare si ricollega al sostantivo basia, forse di origine celtica, che compare per la prima volta in Catullo, probabilmente attinto dall’uso popolare.La fortuna di tale termine si estenderà quindi alle lingue romanze, fino a oscurare l’utilizzo dei sinonimi latini più usati,come osculum,con una sfumatura affettiva,e savium,dalla connotazione maggiormente erotica.

Nei due versi finali l’atto del baciarsi è assimilato all’immagine della messe attraverso una similitudine, ripresa da Virgilio (Eneide, 3,4...


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