Analisi dei medicinali - CTF unimi prof Bolchi PDF

Title Analisi dei medicinali - CTF unimi prof Bolchi
Author Luca Raiola
Course Analisi dei medicinali
Institution Università degli Studi di Milano
Pages 83
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Summary

ANALISI DEI MEDICINALIL’analisi chimico-farmaceutica si occupa della: identificazione e riconoscimento di un principio attivo determinazione e dosaggio di un farmaco o di un suo metabolita separazione di miscele nei singoli componenti Analisi qualitativa : riconoscimento di uno o più componenti del ...


Description

ANALISI DEI MEDICINALI L’analisi chimico-farmaceutica si occupa della: -

identificazione e riconoscimento di un principio attivo determinazione e dosaggio di un farmaco o di un suo metabolita separazione di miscele nei singoli componenti

Analisi qualitativa: riconoscimento di uno o più componenti del campione Analisi quantitativa: determinazione di quanta sostanza è presente nel campione (concentrazione) Campione: porzione del materiale in oggetto che viene analizzata Analita: sostanza che si vuole identificare o determinare quantitativamente Matrice: Costituenti del campione diversi dall’analita (interferenti) L’analisi chimico-farmaceutica si applica a molecole inorganiche, organiche e metallo-organiche e può implicare: -

Metodi chimici: basati su reazioni chimiche che avvengono in modo specifico con l’analita Metodi fisici: basati sulle proprietà fisiche dell’analita determinate con tecniche strumentali

In questo corso → analisi qualitativa di composti inorganici che sostanzialmente può essere ricondotta all’analisi di anioni e cationi in fase acquosa. Si basa su reazioni chimiche che consentono di identificare un composto perché, se avvengono, implicano variazioni ben evidenti.

Le reazioni che possono dare effetti evidenti si possono dividere in: •gravimetriche: implicano la formazione (o la dissoluzione) di un precipitato •colorimetriche: implicano la formazione (o la scomparsa) di una soluzione colorata •gasometriche: implicano la produzione di un gas. Queste reazioni verranno impiegate per effettuare un riconoscimento qualitativo, ma possono essere utilizzate, con opportuni accorgimenti, anche a scopo quantitativo. Inoltre nell’analisi qualitativa inorganica si possono usare tre tipi di reazioni chimica: 1) Salificazione (reazione diretta anione + catione): Ag+ + Cl- → AgCl (s) 2) Formazione di ioni complessi: AgCl + 2NH3 → [AgCl(NH3)2]+ + Cl3) Reazioni di ossido riduzione: 3CuS + 2NO3- + 8H+ → 3Cu 2+ + 3S + 2NO + 4H2O

Specificità e selettività Riferita ad un metodo analitico, la specificità è la capacità del metodo di determinare esclusivamente il componente o i componenti che si debbono misurare. Non ha valore numerico, è valutata in base alle informazioni disponibili sui componenti che contribuiscono al risultato e al grado con cui essi vi contribuiscono. In sintesi, è la capacità di un metodo di misurare solo il o i componenti desiderati. La selettività di un metodo analitico indica quanto il metodo stesso sia libero da interferenze causate dalle altre specie presenti nella matrice del campione. Sfortunatamente, nessun metodo analitico rimane imperturbato, in qualche misura, dalle altre specie presenti: bisogna invece prendere frequentemente delle precauzioni per minimizzare gli effetti di queste interferenze. È possibile definire e calcolare dei coefficienti di selettività che sono cifre di merito utili per descrivere la selettività dei metodi analitici. LOD (limite di identificazione): è la minima quantità di analita che può essere rivelata, ma non necessariamente dosata con una particolare tecnica. Nel corso, la quantità minima di sostanza da mettere nella provetta, per ottenere reazione positive, è dell’ordine di qualche mg (punta di spatola). Se si inserisse meno sostanza, le reazioni non avverrebbero, se la concentrazione fosse eccessiva si svilupperebbero reazioni interferenti. LOQ: è la minima quantità di analita che può essere dosata con accettabile precisione e accuratezza. Altri parametri qualitativi nell’analisi chimico-farmaceutica: LINEARITA’: la capacità di un metodo di fornire risultati che siano direttamente proporzionali alla concentrazione dell’analita nel campione. Presente solo in alcuni range di concentrazione. PRECISIONE: è una misura dell’errore casuale durante l’analisi ed è definito come la misura del grado di concordanza tra misure individuali replicate più volte con la stessa metodologia analitica → rappresenta lo scarto e la dispersione delle misure attorno al valore centrale o valore medio e si esprime in termini di deviazione standard: ripetibilità (intra-assay) → la dispersione di valori ottenuta usando gli stessi strumenti, con gli stessi operatori, nelle stesse condizioni ed in un breve intervallo di tempo riproducibilità riproducibilità (inter-assay) → la dispersione ottenuta compiendo le stesse misurazioni con strumenti ed operatori differenti e/o su un tempo relativamente lungo ACCURATEZZA: è il grado di concordanza tra il valor medio di una serie di misure e il relativo valore vero (valore assunto come riferimento), ossia la differenza esistente tra valore vero e valore misurato ROBUSTEZZA: capacità di un metodo analitico di non risentire degli effetti delle variazioni operative deliberatamente introdotte. Quindi può considerarsi come la capacità del metodo di non essere significativamente influenzato da modeste variazioni delle condizioni analitiche.

IL LABORATORIO CHIMICO Strumentazione Becher: bicchieri dotati di beccuccio con lo scopo di travasare e contenere dei liquidi. Si sfruttano per recuperare prodotti di filtrazione o contenere acqua da riscaldare successivamente (bagnomaria). La loro capacità è variabile, le loro tarature risultano indicative non adatte per misurazioni volumetriche accurate (se si misurassero 60 mL di H2O nel becher sarà una misura grossolana e non precisa). Sono spesso impiegati anche per sciogliere una quantità di soluto solido in un solvente.

Beute: becher che finiscono in maniera conica, in quanto la chiusura della parte superiore permette di ridurre l’evaporazione, si impiegano infatti per contenere solventi organici che evaporano a T basse, vicine alla T ambiente. Hanno un volume variabile dai 25 ai 500 mL Vetrini di orologio: dischi di vetro leggermente ricurvi di varie dimensioni. Si usano come contenitori per trasportare solidi in laboratorio o per eseguire particolari reazioni (riconoscimento degli anioni acetati) Imbuti: a gambo corto o lungo, delicati, adoperati per filtrare (supporto di una membrana filtrante) o per travasare liquidi e non avere perdite. Palloni: contenitori sferici dotati di uno o più più colli cilindrici (a tre colli per reazioni in atmosfere inerti come d’azoto), di varia capacità (25-50-500.. mL). Si usano per portare all’ebollizione un solvente o una miscela di solventi e per condurre reazioni chimiche. Provette: fragili, sono tubi di vetro di varia misura, con o senza scala graduata. In esse avvengono le reazioni di riconoscimento. Una punta di spatola della sostanza incognita è depositata in provetta con acqua. Due tipi: -

A fondo conico: reazioni generali, da usare inoltre quando bisogna eseguire reazioni di centrifugazione; A fondo cilindrico: reazioni generiche;

Capsule o crogioli: contenitori bassi e larghi di porcellana o materiali nobili (come nichel o Pt) di vario diametro e capacità. Vengono sfruttate per riscaldare delle sostanze raggiungendo temperature elevate. Mortaio: contenitore basso e largo in vetro o agata (materiale nobile poiché inerte), dotato di un pestello, usato per sminuzzare sostanze solide Spatole: per trasferire i solidi fra due contenitori. Le reazioni non prevedono una pesata precisa, il laboratorio risulta di analisi qualitativa, bisogna essere precisi ma non in modo minuzioso. Si usa la “quantità punta di spatola” tra i 10/30 mg, se fosse in eccesso si rintracciano numerosi falsi positivi Propipetta: in gomma o plastica, si usa per trasferire liquidi da un contenitore all’altro Lo strumento impiegato per trasferire i liquidi o misurarli è la pipetta, che sulla sua testa deve avere uno strumento che aspiri i liquidi, appunto la propipetta. Essa ha tre valvole A, S ed E. utilizzo: 1) Inserire la propipetta sulla pipetta che si vuole impiegare per il prelievo di liquido; 2) Svuotare l’aria comprimendo l’ampolla e tenendo premuta la valvola A; 3) Aspirare il liquido nella pipetta premendo la valvola evitando che il liquido raggiunga il bulbo della propietta; 4) Scaricare il liquido premendo la valvola laterale E Tutte le operazioni di prelievo o travaso devono essere sempre eseguite sotto cappa aspirante Pipette: sono tubi cilindrici di vetro per trasferimento e misurazione di liquidi servono per trasferire quantità precise di solvente, possono essere: -

Tarate: formate da una bolla centrale e due tubi cilindrici, per prelevare in modo preciso ed accurato un determinato volume di solvente. Prelevo solo il volume per cui è adibita la pipetta tarata;

-

Graduate: sottili tubi di vetro tarati, permettono misurazioni intermedie rispetto al volume totale della pipetta tarata stessa (volumi da 0-10 di liquido);

i due tipi di pipette si suddividono ulteriormente in: -

A scaricamento totale: per dosare la corretta quantità di liquido bisogna scaricarle fino alla punta; A scaricamento parziale: per dosare la corretta quantità di liquido bisogna scaricarle fino alla tacca posta in prossimità della punta della pipetta, si mantiene una quantità di liquido nella punta;

Cilindri graduati: sono dotati di una base di appoggio e di un beccuccio che consente di versare liquidi(acqua, acidi basi, soluzioni tampone) con facilità. Misurano in maniera precisa il volume di solvente, anche se rispetto ad altri strumenti risultano approssimativi, dato che il loro diametro interno è piuttosto grande. La capacità totale varia da 5 a 2000 mL. Matracci tarati: palloni a fondo piatto, con collo lungo e sottile, con capacità dai 5/10 mL anche fino ai 2 L. Vengono adoperati per misurazioni molto precise di volumi di soluzione liquido e per preparare soluzioni a titolo noto, se introduco sodio cloruro e aggiungo acqua e la porto a volume, riempiendolo fino alla tacca indicata, la quantità di liquido corrisponde alla quantità indicata dal matraccio stesso. Si preparato quindi sperimentalmente una soluzione a titolo noto di NaCl (a concentrazione nota, si pesa una quantità definita e precisa del sale). È lo strumento più impiegato in analisi quantitativa, le misurazioni sono precise. Si ottengono volumi precisi e definiti, utilizzato per preparare soluzioni a concentrazione nota. Come leggo il menisco (=tacca): il liquido risale fino al menisco, per capillarità il liquido appare concavo fino alla tacca. Per capire quanta sostanza bisogna aggiungere per giungere al limite indicato, si deve aggiungere fin quando la parte inferiore del menisco (indicata dalla freccia) arriva a toccare la tacca riportata sul collo del matraccio. Poi, per avere una lettura ottimale, la posizione dell’occhio deve essere alla stessa altezza della gradazione che devo controllare. Occhio troppo in basso o in alto commetto l’errore di parallasse, con soluzione non precisa (si aggiungerà liquido in quantità maggiore o minore). Stufe: per essiccare o riscaldare a T controllata Ph-metro: misura del pH Bilance: per pesare sostanze solide, ad almeno due cifre decimali Sostegno ad asta: su cui si infilano e si avvitano morsetti ad anelli. Quando lo si monta, il supporto va posizionato non verso l’alto, ma verso il basso, per eventuali cadute da evitare Becco Bunsen: per riconoscimento allo stato secco, per riconoscere la sostanza incognita inorganica si riconosce mediante il riconoscimento di anione e catione, di solito avviene per via umida (sciogliendo la sostanza solida campione ed eseguendo opportune reazioni). Altre sostanze, come i cationi, si riconoscono con il saggio alla fiamma, in stato secco sfruttando la sostanza solida tal quale. Sulla fiamma, scaldo la sostanza incognita e solida, per avere la fiamma si adopera appunto il Bunsen. Lo strumento sembra un “fornelletto da campeggio”, dispone di una cartuccia che contiene gas, che genera la fiamma, depositato in un porta cartuccia, avvitato sulla parte superiore del Bunsen con una ghiera filettata. Se la cartuccia fosse terminata, si svita il porta cartuccia, si toglie la cartuccia vecchia, si mette una nuova e si avvita il tutto, si avvita dritto non storto, altrimenti si perde il gas. Si apre la valvola di apertura del gas per mettere in comunicazione la parte superiore del Bunsen e la parte inferiore della cartuccia. Si preme sulla valvola di sicurezza, si accende l’accendino, si posiziona vicino all’imboccatura dove esce il gas e si incendierà. Si mantiene la valvola di sicurezza premuta per secondi (come per i fornelli di casa), in modo che la termocoppia si riscaldi e giunga alla T adeguata (30 min). se non si compisse questa operazione, la fiamma si spegnerebbe, perché la termocoppia bloccherebbe l’afflusso di gas, in quanto non si è giunti alla T di utilizzo. La T di esercizio è 300/400 gradi, se si rilascia troppo presto la fiamma si spegne (termocoppia non sufficientemente calda). Le fiamme hanno vari colori e ne esistono :

- Gialla o riducente: risulta a bassa T, è quindi “fredda”, non adatta per il saggio da compiere. Il saggio alla fiamma necessita di una fiamma calda, ossia ossidante. Presenta due coni, come tutte le fiamme, è visibile solo il cono centrale. Più il cono esterno è difficilmente visibile, più la T della fiamma è calda. La fiamma arancio è generata in una miscela povera di aria, di ossigeno, il gas che arriva mantiene particelle che rimangono non combuste, non viene completamente bruciato: la colorazione arancio scaturisce dal fatto che il gas che genera la fiamma non è bruciato/decomposto completamente a CO2 e H2O. Tutte le sostanze organiche vengono decomposte completamente a CO2 ed H2O. Se il processo non risulta completo e si arresta a stati intermedi carboniosi il C non è ossidato completamente a CO2, essi conferiscono la colorazione arancio (fredda=povera di aria) non danno una temperatura massimale. -Fiamma ossidante: ha due coni uno esterno ed uno centrale, più il cono esterno è invisibile, più la T è calda, in condizioni ottimali la fiamma arriva a 1000 gradi. Il cono esterno è il più caldo, la fiamma si ottiene in una miscela di aria, fiamme sono poco alte, ci si può scottare perché non la si vede (per evitare si acquistano camici ignifughi). Il punto più alto della fiamma risulta la parte più calda, il filo di platino va posto infatti nella parte alta della fiamma. Per ottenere una fiamma più calda, si gira la manopola dell’aria e bisogna aumentare il flusso dell’aria che giunge alla fiamma quindi si ruota la ghiera Piastra riscaldante: alcune reazioni sono a T ambiente, altre a caldo. Per riscaldare ottengo piastre riscaldanti, per ottenere il riscaldamento a bagnomaria. La manopola sinistra indica la T, il pulsante ON/OFF 0,1 serve per accendere lo strumento. Sulla piastra si posiziona il bagnomaria, poi si accende la piastra (termostato attorno a 150°, T della piastra in alluminio, non T di quello che si posiziona sopra nonostante essa risulti inferiore ma comunque vicina). Le piastre sono collegate alla tensione elettrica con un filo di gomma nero. Quando si accende la piastra, il cavo elettrico in gomma deve essere posizionato lontano dalla piastra, perché potrebbe fondersi a T di 150°, altrimenti salta la corrente.

PROCEDURE DI LABORATORIO: Le analisi qualitative risultano di tre tipologie: 1) Macro-analisi: 100-500 mg 2) Semi-micro analisi (usate in questo laboratorio): si lavora attorno ai 10/20 mg circa (=quantità punta di spatola) inseriti in una soluzione di 1 o 2 mL. Se si lavorasse con quantità inferiori le reazioni non sono selettive e non sensibili a sufficienza (i processi di identificazione non sono affidabili se non è presente almeno 5 mg di sostanza). Se si usassero invece concentrazioni maggiori, la soluzione risulterebbe eccessivamente satura. 3) Micro-analisi: < 10 mg Bagnomaria: costituito da un becher di vetro su cui si inserisce un disco di metallo inferiore (diametro minore rispetto al 2r del becher poiché deve poter entrare nel becher stesso) collegato attraverso un tubo di metallo ad un disco superiore (con 2r maggiore rispetto al 2r del becher). Per ¾ il becher è riempito con acqua, sistema riscaldante. Il disco superiore presenta quattro fori, per l’alloggiamento di provette da reazione. Il bagnomaria con acqua (senza H2O il vetro si romperebbe) si posiziona sulla piastra, si scalda con una T vicino all’ebollizione inserendo la provetta nel bagnomaria, in 1 o 2 minuti la si porta ad una T desiderata. Non bisogna mai inserire le provette direttamente su fiamma, perché potrebbero rompersi in quanto le provette risultano non in pyrex ma di materiale economico. Si ricorre al riscaldamento a bagnomaria per solubilizzare una sostanza poco solubile a freddo o evaporare il liquido da una soluzione: se è evaporato COMPLETAMENTE → a SECCHEZZA se è evaporato SOLO IN PARTE → a CONCENTRAZIONE

TECNICHE DI SEPARAZIONE DI FASE Le reazioni di riconoscimento generano un cambiamento visibile ad occhio nudo, si può ad esempio ottenere un precipitato che si deve recuperare e analizzare, per confermare che il corpo di fondo sia effettivamente costituito dalle sostanze identificate. Le tecniche di separazione e di filtrazione servono per questa attività. La filtrazione è una separazione di miscele eterogenee solido-liquido. Il termine miscela allude a tutto, designa l’atto di mescolare sostanze differenti. Le miscele liquide in particolare possono essere omogenee o eterogenee. Le omogenee hanno componenti solidi o liquidi non identificabili, al contrario nelle miscele eterogenee parti solide e liquide sono invece ben visibili, identificabili a occhio nudo. Inoltre, le miscele eterogenee solido-liquido vengono definite anche sospensioni (=un qualcosa di solido è quindi sospeso in un liquido, ad esempio sabbia e acqua). La soluzione è composta da un qualcosa di solido disciolto in un liquido, non identificabile ad occhio nudo (acqua e sale). Essa presenta un aspetto limpido, non si vede un corpo di fondo. La colorazione della soluzione non c’entra nulla con la sua limpidezza, una soluzione limpida può essere colorata o non colorata (sono caratteri differenti). Una sospensione invece ha un aspetto torbido, diverso fortemente da quello di una soluzione limpida. La filtrazione risulta quindi una pratica di laboratorio si sfrutta per: -

Separare miscele eterogenee; Eliminare solidi (impurezze) Recuperare un solido precipitato o cristallizzato da una soluzione (differenza precipitato o cristallizzato);

Viene svolta in vari modi, nei lab viene eseguita per gravità (per separare il liquido e la fase solida) infatti non si applicano forze, la gravità è l’unica forza che porta avanti la filtrazione. Il solido si deposita sulla carta da filtro, mentre il liquido viene raccolto in un becher. Esistono due tipi di filtri: 1) Filtro semplice in cui un disco in laboratorio è piegato in quattro e successivamente aperto lungo il lembo. 2) Filtro a pieghe: con velocità di filtrazione elevata, perché l’area superficiale del filtro risulta estremamente più ampia di quella del filtro semplice. Esso è ottenibile per divisione del filtro tondo prima in quattro e poi successivamente in lembi piegati, in modo da ottenere un ventaglio che quando si apre dà luogo al filtro (filtro a pieghe non adatto per analisi QUANTITATIVE, tende a disperdere il liquido). Il filtro si deposita su un imbuto filtrante in vetro. Per filtrare: ➔ si sceglie un disco di filtro il cui diametro sia del 50% più grande rispetto al bordo superiore dell’imbuto; ➔ il filtro poi deve rimanere mezzo cm sotto l’orlo dell’imbuto, se si posiziona sotto o sopra l’orlo, quando si bagna si perde del liquido: per assicurare l’aderenza, bagnarlo con il liquido uguale a quello da filtrare; ➔ usare l’agitatore di vetro per traferire la sospensione (discesa più “dolce”), non versare il contenuto del becher direttamente il filtro (se il filtro si bucasse tutto viene precipitato nel becher di raccolta); ➔ filtro posizionato nel porta filtri; ➔ non riempire completamente il filtro; ➔ il precipitato trasferirlo sul filtro non deve andare a secco per evitare occlusione del filtro; ➔ filtro a PIEGHE: se non si deve raccogliere quantitativamente il precipitato separato e si operi con volumi di soluzione elevati (velocità di filtrazione elevata);. La centrifugazione risulta una tecnica più veloce della filtrazione, il solido e il liquido si separano nella provetta dove ho la sospensione, attraverso l’uso di cent...


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