Analisi dei testi - Manzoni PDF

Title Analisi dei testi - Manzoni
Author Roberta La Face
Course Letteratura Italiana quinto anno
Institution Liceo (Italia)
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Lettera a Cesare D’Azeglio “Sul Romanticismo” Questa lettera scritta da Manzoni nel 1823 a Cesare d’Azeglio pone le basi e fornisce la definizione di ciò che per lui fosse il romanticismo, inteso come “positivismo romantico”. Manzoni quindi entra all’interno del focoso e acceso dibattito tra classicisti e romantici a cui alcuni anni prima avevano partecipato intellettuali come Berchet, Borsieri, e Leopardi. Nel considerare il “positivismo romantico” Manzoni afferma che la letteratura in generale debba proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto, e l’interessante per mezzo. Così dicendo egli afferma che l’arte debba essere UTILE agli uomini sia in senso morale che pratico, quindi chiunque voglia comprendere i problemi di un’altra persona deve prima calarsi nei panni di colui che ha sofferto vivendone in prima persona il dolore (vero morale) e per essere utile ai cittadini necessita che la letteratura non tragga più elementi dal mito, ma dalla storia, in quanto il primo è diventato ormai un mondo troppo distante per quest’epoca * (vero storico). Quindi l’arte deve fondarsi sul VERO storico, per Manzoni l’obbedienza a due caratteri fondamentali della storia ovvero HIC et NUNC. Ma per far si che tutto questo possa realizzarsi c’è bisogno che la letteratura sia INTERESSANTE ovvero deve servirsi di argomenti e di una struttura linguistica che interessino il maggior numero possibile di persone e che la gente ne parli. *Cicerone definisce “Quod vero sunt” il vero storico Manzoni afferma che il suo “utile per iscopo” agisce come un disinfettante per una ferita, ossia debba bruciare, così come l’incarico dell’intellettuale attraverso la letteratura, la quale deve far scuotere e far bruciare l’animo e la coscienza dei lettori grazie all’operato del poeta. Lettera a Chauvet: rapporto fra poesia e storia In questa lettera Manzoni indica il rapporto fra storia e poesia, affermando che il ruolo del poeta non è quello di inventare, ma attenersi a fatti realmente accaduti storicamente e aggiungervi ciò che lo storico non può fare, ossia i sentimenti e le proprie considerazioni personali. Egli inoltre dichiara che la poesia fondata sull’immaginazione e sul sentimento senza impegnarsi nella rappresentazione del vero è la più facile e comune, dal momento che non richiede alcuno sforzo intellettuale. Alla ricostruzione dei fatti fornita dalla storia la poesia aggiunge quegli aspetti ignorati dalle indagini storiografiche ma indispensabili per la comprensione della verità morale. Per Manzoni l’unico genere narrativo che possa esprimere un modello di verità poetica è il romanzo storico → passaggio cruciale della poetica manzoniana In sostanza, la lettera può essere suddivisa in quattro nuclei tematici: - la poesia vera è quella che si basa su fatti realmente accaduti - l’esempio della letteratura greca che si è basata su fatti storici tramandati dalla collettività, ma che ha cercato sempre di narrare i fatti senza aggiunta di pathos. - la differenza fra il compito dello storico che è quello di narrare esclusivamente i fatti storici, e quello del poeta il quale deve capire i sentimenti e le emozioni che gli eventi della storia hanno causato negli uomini. - il rischio da parte del poeta di narrare il falso, descrivendo cioè situazioni create artificialmente e senza un fondamento storico: l’unico genere che possa esprimere un modello di verità storica è il romanzo storico. L’uso della lettera per esprimere il proprio pensiero in merito ad un argomento non deve sembrare inappropriato, non solo poiché Manzoni la rese pubblica ma anche perché era una pratica molto diffusa fra gli intellettuali illuministi e romantici. Inoltre, questa lettera è anche un esempio di testo argomentativo: Manzoni prima enuncia la sua tesi, la sostiene, emana un antitesi ed infine una conclusione nella quale ribadisce il proprio pensiero. Un’altra discussione che questa lettera suscita è l’estrema semplicità della lingua usata da Manzoni per esprimere concetti di una certa valenza. Infatti la naturalezza dello stile, la semplicità della sintassi, servono per essere trasparenti in modo tale che non venga mascherato, attraverso una retorica imponente, il vero significato del testo.

La Pentecoste É l’ultimo degli Inni Sacri, composto nel 1817 e ultimato nel ‘22, e per questo rappresenta una delle fasi artistiche più mature della poetica manzoniana. La Pentecoste è il momento in cui lo Spirito santo scende sugli apostoli (dal verbo greco apostello, ovvero una persona che viene mandata da qualcuno per compiere qualcosa), ovvero sui discepoli. L’Inno come forma poetica è intesa come la lode di un personaggio sacro accompagnato da un canto. In essa Manzoni basandosi sugli eventi storici che hanno caratterizzato il cristianesimo si interroga sugli effetti che la Pentecoste ha avuto e avrà sugli uomini. Questo approccio può essere considerato come un esempio di “politica militante”, poiché l’autore esprime il suo pensiero senza aver paura di essere giudicato dagli altri. Formata da otto settenari (sdruccioli, piani, e tronchi), possiede un ritmo costante, poiché come tutte le preghiere è pensata da Manzoni per essere imparata a memoria e recitata liricamente in un’assemblea, ed anche per questo motivo l’Io del poeta è celato dalle voci del coro. Essa può essere schematicamente divisa in tre parti: - la prima in cui Manzoni narra l’avvenimento della Pentecoste, in cui lo Spirito Santo scese sugli apostoli e quindi la loro conseguente capacità di farsi capire in un’unica lingua dagli ascoltatori - la seconda, dove si narrano le conseguenze dell’episodio ed il rinnovamento dell’umanità che esso ha apportato - la terza, che è una preghiera per lo Spirito Santo affinché scenda di nuovo sugli uomini. Per quanto riguarda il lessico Manzoni scrive secondo un linguaggio classicheggiante, tipico della struttura dell’Inno, e con un tono che riflette la tradizione liturgica. Tuttavia l’autore raggiunge un punto di mediazione unendo elementi che apparentemente sembrano essere contrastanti fra loro: ad esempio, all’iniziale invocazione e al relativo uso di aggettivi sublimi susseguono numerosi verbi e immagini che però sono concrete, vigorose, reali; alla storia atemporale della divinità si contrappone quella temporale della Chiesa, evidenziata dall’uso di avverbi di tempo, dallo scorrere dei secoli, dalle settimane che dividono la Resurrezione alla Pentecoste, ed anche dall’uso del passato remoto. All’interno dell’Inno sacro si possono notare due similitudini molto importanti (41-48/103-112) che ricordano quelle del Paradiso dantesco: esse traducono i concetti in immagini, mantenendo l’astrazione teologica ma declinandola in situazioni concrete, verificabili attraverso le esperienze giornaliere di ognuno. La tecnica della ripetizione calca il tono liturgico dell’opera, a parlare è la comunità dei fedeli, uniti dalla fede, che aprono un dialogo fatto di esortazioni e di appelli, sia con i non credenti che con lo Spirito Santo. La preghiera è fortemente aulica e ritualizzata, ma ciononostante essa possiede una grande forza comunicativa esercitata anche dalla presenza di domande retoriche e antitesi. Il parallelismo, presente nella Pentecoste, è una sorta di ripetizione involontaria impiegato ad esempio nell’uso degli avverbi di tempo (quando) e dalle domande retoriche (dov’eri?). Un altro parallelismo a livello stavolta metrico e sintattico, è dato dalla sequenza nella prima strofa di tre aggettivi collocati sempre dopo il sostantivo a cui si riferiscono e sempre a fine verso; oppure dalle due invocazioni che aprono la seconda strofa poste entrambe ad inizio verso. Il parallelismo è fortissimo nelle due strofe finali suddivise al loro interno da coppie di versi separate da un punto e virgola aperte sempre da un verbo all’imperativo. Questi artifici retorici servono oltre che a dare compattezza ed unità stilistica al testo, anche a potenziarne il valore comunicativo e ad esaltarne la funzione didattica ed ideologica. In sintesi, l’ideologia cristiana in Manzoni viene espressa secondo due aspetti fondamentali: quello della Chiesa militante, che obbedisce ad un Dio che non è concepito soltanto come “buono”, ma che sa essere anche “bufera” capace di incutere terrore ai violenti, e quello dell’uguaglianza fra gli uomini in quanto tutti figli di Dio. Il primo unisce all’immaginario comune, tipico del cristianesimo, del Dio mite e pacificatore quella tragica tipica del giansenismo, del Dio giustiziere: il mondo appare quindi scisso fra bene e male. Il secondo aspetto ricollega il cristianesimo alla cultura illuministica e ai suoi ideali di eguaglianza

grazie all’operato dello Spirito Santo. Inoltre il tema della discesa dello Spirito Santo sugli apostoli affronta anche la delicata questione del rapporto fra cielo e terra: Manzoni crede in una provvidenza attiva nella storia, ma sente tuttavia anche il peso tragico del male che dilaga nelle vicende umane. Le ingiustizie e le sofferenze sembrano annullare l’operato dello Spirito Santo, quindi l’ideologia di Manzoni deve fare i conti con il suo pessimismo. Inoltre, dal momento che in questo periodo egli stava lavorando anche ai Promessi Sposi troviamo all’interno del Romanzo numerosi parallelismi con quest’ultimo significato della Pentecoste: alcuni personaggi sembrano infatti incarnare il rapporto fra cielo e terra, fra la Provvidenza e la storia umana. É per questo che soprattutto nella seconda parte della Pentecoste Manzoni adopera un invito incalzante rivolto allo Spirito Santo affinché si manifesti in tutte le forme della vita umana. Il Cinque Maggio Napoleone muore sull’Isola di sant’Elena il 5 maggio del ‘21 e la sua notizia non si conosce immediatamente ma con circa due mesi di ritardo, e verrà pubblicata sulla Gazzetta di Milano il 16 luglio 1821. Manzoni riceve la notizia così, ma la legge il giorno successivo, scrivendo l’ode di getto e ultimandola in tre giorni. Manzoni ci dà tutte queste informazioni poiché è consapevole dell’importanza di questo periodo storico e dell’intensità culturale che si stava vivendo. Questo testo viene presentato subito alla censura Austriaca la quale nega la pubblicazione, tuttavia grazie alla circolazione manoscritta dell’opera essa fu conosciuta anche all’estero (sarà tradotta in tedesco da Goethe già nel 1822). Manzoni aveva mantenuto sino ad allora un atteggiamento di silenzio nei confronti della figura di Napoleone, non scrivendo né a favore né contro di lui. Il tema dell’ode non è la morte di Napoleone, poiché questa è la sollecitazione, ma il tema è l’interiorizzazione dell’ideale cristiano. Egli infatti dopo aver appreso la notizia della conversione cristiana di Napoleone decide di rivedere il suo operato secondo un’altra prospettiva più religiosa che politica. Manzoni fa vero un ideale già presente nell’antica cultura greca, secondo cui una persona può esprimere un giudizio su un’altro individuo solo quando questo cessa di vivere (perché nessuno può giudicare prima che qualcosa sia stata portata a compimento). Quindi Manzoni ci fa comprendere che solo alla morte di Napoleone si può iniziare a giudicarlo senza paura, ma con rispetto. Il genere letterario a cui appartiene quest’opera è l’Ode, la quale risale al mondo greco, ed è per questo che manzoni (come aveva già fatto nella Pentecoste) si rifà a questa tradizione per quanto concerne la struttura linguistica; cambiandone tuttavia il contenuto e l’ideologia. L’Ode fa un excurcus oscillante tra passato e presente: Presente → Morte, la fine di una storia umana che Napoleone ha vissuto ma che rappresenta anche un momento di decisione, di svolta, per l’Europa. Napoleone ha svolto un ruolo molto importante al pari di Carlo Magno, Annibale, ed altri; marchiando per sempre la storia e l’immaginario di tutti. Passato → rievocazione velocissima della vita di Napoleone Manzoni seguendo la sua ideologia riguardo al rapporto fra storia e poesia, ci vuol far capire cosa questo personaggio di grandissimo spessore culturale ha lasciato all’umanità. Per questo egli adopera una schematizzazione dell’Ode: da una parte vi è una ricostruzione sintetica del momento della storia, dall’altra vengono narrate le conseguenze e le relative riflessioni sull’eredità che Napoleona ci ha trasmesso. Questa oscillazione è presente anche nella sintassi stessa dell’Ode, la quale rallenta ogni qualvolta si passa dal passato al presente. Figure retoriche e analisi del testo: Ei fu. → Inizio anomalo, soprattutto per un verso poetico. Questo “Ei fu.” è la condizione per cui la poesia esiste (bisogna interpretarlo come un perfetto greco, infatti

il perfetto indica un evento nel passato che si è concluso, ma rimangono tracce anche nel presente → aspetto resultativo) Il punto rappresenta sia il punto della vita che quello della frase. La sintassi appartiene al classico latino per eccellenza. orba → agg. latino, privo v. 6 → La morte di Napoleone crea uno stupore collettivo, benchè l’Europa abbia già cominciato un percorso nuovo mentre ancora egli era in vita. v. 7 → ultima ora, in cui si deve fare una sintesi della propria vita quindi l’estremo momento della vita v.8 → uomo fatale, si riferisce ad Enea, quindi Napoleone come Enea non solo incarna il proprio destino ma determina il destino degli altri e, per compiere ciò per cui è stato mandato, ne causa anche la morte Manzoni ha provato disprezzo solo per coloro i quali si accontentano, e quindi lui ammirava profondamente coloro che, sia nel bene sia nel male, erano o erano stati dei Grandi. Già alla terza strofa si nota il passaggio di sintassi, “fulmineo” perchè Napoleone ha saputo fare in poco tempo ciò che gli altri prima di lui non avevano fatto completamente. v. 17-18 → orgoglio dell’intellettuale il quale ha sempre sostenuto la medesima idea, essendo fedele ai propri principi morali v. 19-20 → Manzoni non ha voluto farsi schiavo di Napoleone quand’era in vita (adulazione a scopo di lucro, come gli ami d’oro di Astolfo sulla Luna), ma lo elogia alla sua morte quando tutti gli altri lo calunniano. v.22 → il raggio è la metafora per eccellenza di Napoleone da parte di Manzoni. Quinta strofa → ciò che si sta narrando era cronaca, mentre per noi è storia. Così come tutto ciò che ha a che fare con la luce riguarda Napoleone in vita, così la sfera semantica del buio rimanda al napoleone morto. lui era capace di battere in un batter d’occhio i suoi nemici, tant’è vero che un suo epiteto è “fulmineo”. v. 31 → la prima esegesi vera dell’ “Ei fu”. La domanda è lecita e soprattutto non retorica. Manzoni fa un tentativo di giudizio v.35 → grandezza di Napoleone, grandezza dell’uomo che presagisce una grandezza divina. procellosa → pioggia tempestosa v. 39 → l’ansia di voler diventare quello che è stato, di un cuore che non si piega ma che segue incessantemente lo scopo presagito. v. 49 → questa frase ha molte chiavi di lettura, “si diede il nome” cioè ha fatto diventare il proprio nome una sorta di categoria. due secoli → razionalismo illuministico /irrazionalismo romantico hanno finito con il dipendere, l’essere influenzati l’uno dall’altro. Questa lirica connubia il vero, l’interessante, e l’utile. Inoltre l’Europa costituiva un solo campo di battaglia, e non vi era ostacolo alla mente di Napoleone la quale produceva continuamente progetti e li realizzava. Tuttavia, come una sorta di contrappasso, Napoleone si trova in esilio quindi costretto a stare entro alcuni limiti, e non era neanche quindi capace di controllare il destino degli altri come aveva fatto quand’era in carica. ● Gli aggettivi che contraddistinguono il Napoleone politico sono la luce, la rapidità, l’essere fatale, il non avere confini; mentre il Napoleone esiliato ha a che fare con il buio, l’odio, (aggettivi con vocale chiusa) ● Il ritmo della sintassi fa notare estremamente questo passaggio di attività di Napoleone, dalla potenza sul campo all’esilio, ma anche la diversità fra la mancanza di tempo (poiché si è

occupati a fare molte cose) e la sensazione che il tempo non finisca mai. Quindi passa da un ritmo veloce ad uno molto lento, come se il discorso narrativo poetico volesse quasi fermarsi. v.62 = come un naufrago che sul suo capo le onde sorpassano e cerca di stare a galla aspettando una nave. ● “nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria” → Francesca che esprime a Dante il senso della sua gioventù, esattamente come se Napoleone dovesse ricordare in esilio i tempi in cui era felice, e quindi provare un forte dolore. ● Al vero storico (i fatti storici di Napoleone) Manzoni fa subentrare il vero simile (quello che verosimilmente può essere passato nella mente e nel cuore di questo personaggio, quindi Manzoni sceglie di prendere posizione in merito al Napoleone debole e sconfitto, che è costretto, in esilio, a fare un bilancio della propria vita). v. 74 = similitudine al tramonto, sembra come se tutti i giorni fossero uguali fra di loro. v.77 = enjambement chiuso tra due virgole, “stette”, molto forte e grave. ● Ciò che interessa a Manzoni è fare un’indagine all’interno dell’animo umano per poterne capire a pieno le cause, le ragioni, che spingono l’uomo a compiere alcune scelte piuttosto che altre, per il solo scopo di EDUCARE il pubblico di lettori, e per farci comprendere cosa sia bene e cosa non sia bene fare. (Vero morale) ● Manzoni deliberatamente sceglie di dar credito alla sua idea (in seguito accertata da documenti storici) secondo cui la conversione della fede abbia cambiato la prospettiva di Napoleone. V. 88 = “ma” avversativo; la religione, la fede, è una prospettiva di speranza, per cominciare a guardare oltre (oltre quello che lui vedeva ogni giorno senza senso). ● Napoleone inizia ad accettarsi per quello che era e per quello che è stato, ed è questa la condizione fondamentale per cui si debba entrare in una relazione con il mondo ma prima di tutti con se stesso. L’accettarsi ci fa dare il giusto valore alle cose, e accettandosi Napoleone alla fine comprende tutto, anche l’esilio. ● la prospettiva di fede capovolge tutto: adesso il panorama risulta caratterizzato da elementi opposti quindi doppio contrappasso. La struttura è quindi estremamente schematica, ed è divisa in tre parti: - la prima in cui si annuncia la morte di napoleone - la seconda, ovvero il corpus centrale dell’opera, ulteriormente bipartita, narra delle gesta eroiche e delle sconfitte dell’abile generale, e della sua morte a Sant’Elena. - la terza, rappresentata dalla parte finale, in cui l’autore esplicita il messaggio ideologicomorale dell’opera. Il componimento è formato da 108 versi settenari uniti in strofe di sei versi ciascuna, legate fra di loro dalla rima dell’ultimo verso che è sempre tronco. I versi sono collegati da una fitta rete di richiami fonici, che comprendono assonanze, allitterazioni, rime interne, e anafore. Le connessioni interne sono visibili anche fra la struttura sintattica e quella retorica, inoltre il tempo dell’azione conclusa allontana ulteriormente Napoleone dalla vita, e il verbo “posò” al verso 108 posto in chiasmo con l”Ei fu” del primo verso, ha per soggetto Dio non Napoleone. Napoleone non è stato mai nominato all’interno dell’opera, eppure egli si erge in tutta la sua grandezza che Manzoni finisce per riflettere con la grandezza di Dio, infatti al centro dell’Ode vi sta il tema dell’autorità, del potere umano, e della potenza divina. Ricordiamoci che il Dio di Manzoni è sia biblico che guerriero (Pentecoste), quindi la grandezza di Napoleone ha qualcosa a che fare con quella divina e questa faccenda viene espressa attraverso una sorta di parallelismo implicito. Tuttavia, a differenza della gloria di Dio la gloria di Napoleone così come quella di ogni altro uomo, perde di rilevanza e quindi ogni forma di eroismo diventa “silenzio e tenebre” nella prospettiva di eternità....


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