Appunti Etica e deontologia PDF

Title Appunti Etica e deontologia
Author Francesca Fruzzetti
Course Etica e deontologia professionale
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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appunti completi delle lezioni del professor Olianti ...


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ETICA E DEONTOLOGIA PROFESSIONALE – PROF. OLIANTI L’etica precede e forma la deontologia, essa è una branca della filosofia che si occupa di filosofia pratica (prima in Grecia la filosofia era tutta pratica; i presocratici e gli storici si occupavano di etica essi si chiedevano come fare una vita buona, giusta). Etica e deontologia sono parole che derivano dal greco etica (da esos) vuol dire tante cose: costume, usanze, abitudini… (si può interpretare anche in modi diversi; deontologia (da deon che significa doveri/ciò che è necessario/conveniente + logos che significa discorso) si occupa delle questioni sui doveri (SCIENZA DEI DOVERI) ed è seguito dalla parola professionale (ambito lavorativo). L’etica da delle basi che rimangano abbastanza invariate del tempo, mentre la deontologia cambia in relazione ai nuovi contesti che si creano (ieri era inimmaginabile pensare di lavorare dal computer per lo psicologo oggi invece si fanno colloqui online). Il comportamento volontario richiede morale e volontàrichiede libertà. (Uno dei punti che affronteremo in seguito) Il tema delle virtù è stato sistematizzato da Aristotele che ha scritto 2 etiche la più celebre è la nicomachea composta da 12 libri l’altra è la eutimia. Ha scritto di metafisica di logica e di etica parlando di virtù etiche e dianoetiche. Nel medioevo San Tommaso d’acquino con il suo linguaggio esoterico tratta le 4 virtù etiche e le trasforma nelle 4 virtù cardinali: 1) Saggezza: Fronesis, arte del discernimento e sta alla base di tutte le altre virtù, per Aristotele la felicità è la “euidamonia” è vivere una vita secondo “aretè” virtù, vivere per il fine della sua intrinseca natura umana; 2) Giustizia: che regola i rapporti tra gli uomini; 3) Fortezza: (“andreia”) fortezza e coraggio erano caratteristiche prettamente maschili in quanto lottavano corpo a corpo e andavano in guerra. Oggi in psicologia si è recuperata con la resilienza e la forza d’animo; 4) Temperanza: morigeratezza, equilibrio negli appetiti. Si vive “catametron” ovvero secondo misura nel trovare un equilibrio tra le forze che spingono l’anima, essenziale per vivere con gli altri in quanto non si può sovrastare o prevaricare sugli altri per appagare i propri appetiti, dal punto di vista politico fa riferimento al vivere comune. La scienza dei doveri è data da doveri: giuridici, ossia norme che vietano determinate condotte; deontologici, derivanti dai precetti del codice deontologico; etici, che derivano dai valori superiori di ordine morale. Possiamo dunque compiere azioni che sono in linea con doveri giuridici e deontologici ma non morali. La deontologia professionale è espressione dell’etica professionale traduce in norme le istanze morali in relazione alle situazioni. Questa è l’insieme di norme e regole di comportamento morale della condotta professionale, espressione dei valori propri di una professione, generalmente raccolte in un codice deontologico, vero e proprio dettato normativo o raccolta di indicazioni all’agire del professionista. La deontologia è l’insieme dei doveri del professionista, degli obblighi cui egli deve corrispondere nel suo agire professionale. Il dovere implica obbligatorietà morale; il professionista non agisce per seguire un ordine esterno o per evitare, disattendendo un ordine, una sanzione. Il professionista riconosce in sé il dovere di agire conformemente ad un modello o a un insieme di regole con cui tale condotta viene regolamentata. Agire con senso del dovere significa agire avendo come scopo il benessere e la cura della persona. Riconoscere una valenza morale all’agire deontologico, significa riconoscere all’agire professionale un ampio spazio di autonomia. Es. lo psicologo può scegliere metodi e tecniche ma deve assumersene la responsabilità. Solo comprendendo il legame tra libertà e dovere si comprende il senso più profondo della responsabilità. Agire deontologicamente non vuol dire eseguire comandi ma avvertire la doverosità morale di atti e azioni. Sono dunque i professionisti a darsi delle regole del proprio agire professionale (il codice deontologico è fatto dai professionisti stessi). Le regole deontologiche hanno come obiettivo: identificare il patrimonio di valori e finalità di una professione, di renderlo manifesto e di tutelare la professione da interferenze esterne; regolamentare la professione alla luce di un’etica condivisa. Nel momento in cui stabiliscono dei limiti al comportamento, le regole consentono al soggetto di agire con autonomia ma assumendosi la responsabilità dei confronti dei soggetti alla quale si riferisce l’agire. Tali regole esprimono un patto che la società stipula con la professione a cui quest’ultima risponde in termini di: trasparenza, competenza e fiducia. Queste tre componenti caratterizzano il lavoro educativo e psicologico. In sintesi, le regole di una professione hanno una valenza etica e sociale. Servono allo scopo sociale per valorizzare e tutelare la professione e promuovere l’autonomia e la responsabilità dei suoi membri. Nel caso della professione infermieristica, i suoi e le sue regole di comportamento vengono esplicitati dall’unica fonte legittimata a farlo, cioè la federazione nazionale dei collegi IPASVI. La lex naturalis ovvero la legge naturale scritta nell’essere umano per il semplice fatto di essere uomo, un esempio è il precetto cristiano di non uccidere un altro essere umano, o quello buddista non togliere alcuna forma di vita. Un altro precetto che si trova nella tradizione giudaico cristiana riguarda l’adulterio non usando la propria sessualità per ferire

l’altro. I codici etici di tutte le grandi tradizioni spirituali hanno molti precetti in comune tra questi non mentire, non dire falsa testimonianza, nel buddismo non usare la lingua in modo inutile… Emerge quindi che alla base dell’umano vi sia la percezione di ciò che è accettabile e ciò che non lo è, è la legge naturale che governa la coscienza e decreta cosa si deve dare e cosa no. Bunus facendum male evitandum: secondo San Tommaso si deve evitare il male e perseguire il bene. La coscienza è un sensore dentro, una voce interiore, di noi che decreta ciò che è giusto o sbagliato e lo fa attraverso il rimorso o il senso di colpa. 1. Che cos'è l’etica? - 1.1. Perché occuparsi di etica. L'etica filosofica (detta anche "filosofia morale") viene comunemente intesa come la scienza che indica ciò che l'uomo deve fare per essere buono, cioè degno della propria umanità. Ma forse sarebbe più opportuno definire tale disciplina come la scienza di ciò che l'uomo deve essere, poiché la vita morale non consiste solo nel fare in senso stretto, ma nell'orientare tutta la nostra attività in un determinato modo verso un determinato ideale umano. Come dobbiamo essere per realizzare pienamente la nostra personalità umana? Questa è la questione principale da cui parte la ricerca morale. Il senso di colpa è una cosa sia positiva che negativa (hai fatto qualcosa di male ma te ne sei reso conto), se non hai il senso di colpa vuol dire che la tua coscienza è sufficientemente formata. Etica è qualcosa di molto completo che riguarda le scelte che facciamo. La coscienza è come un sentore interno che suona come allarme quando agisci come un comportamento non morale. 1.2. Non basta la fede? A questo punto potrebbe presentarsi un interrogativo: Dal punto di vista morale, non basta la legge dell'Antico e del Nuovo Testamento? Che cosa può aggiungervi la filosofia? Certamente la filosofia non può "aggiungere" nulla alla Rivelazione. Può tuttavia aiutarci a capirla meglio. La tradizione cristiana a questo proposito, ha insegnato che la filosofia e "al servizio" della teologia. Si tratta di un servizio reso su due fronti: da un lato la filosofia scopre alcune verità che facilitano l'accoglienza del Vangelo; dall'altro lato la filosofia smaschera alcuni errori che impediscono l'accoglienza del Vangelo. Fare filosofia significa indagare sull'uomo, sul mondo e su Dio, cercando di conoscere la verità. La verità conosciuta apre la strada" per conoscere altra verità. Ma è altrettanto chiaro che l'errore "sbarra la strada alla conoscenza della verità e conduce fatalmente verso altri errori. Il filosofo è un pensatore che cerca di fondare razionalmente i propri giudizi, senza fare appello a miti, fedi o opinioni della maggioranza. Finché i suoi giudizi sono fondati su argomenti razionali, il suo discorso è scientifico. Per fare questo, non si richiede che il filosofo metta "tra parentesi" la propria fede ma si richiede soltanto che non tragga argomenti da verità di fede che mantenga la discussione su un piano rigorosamente razionale. Pertanto, il cristiano può essere filosofo. E noto, quindi, che esiste una disciplina chiamata "teologia morale" o "etica teologica". Bene, l'etica filosofica è una disciplina autonoma rispetto alla teologia morale: può essere integrata in quest’ultima ma possiede una propria validità che la teologia stessa deve riconoscere: è signora in casa propria. 1.3. Metodi filosofici. Dopo aver definito i rapporti tra filosofia e teologia morale occupiamoci più da vicino del metodo della ricerca filosofica. Come dobbiamo condurre il nostro studio per essere dei veri filosofi? E’ anzitutto necessario coltivare determinati atteggiamenti di fondo, delle "virtù". Queste ci consentono di disporci in modo consono al lavoro filosofico-morale, tre attitudini sono indispensabili: lo stupore, il rispetto e il desiderio. 1.3.1. Lo stupore. Molti filosofi dell'antichità greca hanno insegnato che la filosofia nasce dallo stupore nei confronti dell'essere. I fenomeni naturali (l'ordine del cosmo, il miracolo della vita ecc.) ad esempio, suscitano meraviglia. L'esperienza dello stupore è esaltante, ma, alla lunga, può causare uno stress eccessivo. Stupirsi vuol dire non esser capaci di spiegarsi il perché ed il come di certi fenomeni. L'ignoto, il misterioso, attrae e spaventa allo stesso tempo. A questo livello, la tentazione più grossa è quella di addomesticare l'angoscia prendendo delle "scorciatoie mentali", ossia riducendo la realtà a qualcosa di già noto. "Scorciatoie mentali" sono gli schemi precostituiti sulla base dei quali cerchiamo di spiegare tutto, anche quel che non conosciamo. In questo modo evitiamo il confronto con la realtà, che è pur sempre un confronto "duro" e forse evitiamo l'angoscia. Così facendo, però, smettiamo di fare filosofia e ci dedichiamo alla più pericolosa delle attività mentali umane: l'ideologia. Per ideologia si intende uno schema di pensiero, elaborato sulla base di una teoria prestabilita, in forza del quale si pretende di interpretare l'intera realtà. Una caratteristica del pensiero ideologico è che si preferisce piuttosto far violenza alla realtà, anziché ammettere che lo schema possa essere inadeguato. Se la domanda filosofica scaturisce dalla meraviglia, la risposta non può essere trovata fuggendo o rifiutando la meraviglia stessa: è necessario rimanere nello stupore. 1.3.2. Il rispetto. Per rendere possibile lo stupore, dobbiamo coltivare in noi stessi la virtù del rispetto nei confronti della realtà. Il rispetto implica la disponibilità ad ascoltare fino in fondo, lo sforzo di tacere per comprendere (e non per

preparare il proprio discorso mentre l'altro sta ancora cercando di parlare). Il filosofo deve mantenersi in un atteggiamento di delicato e sensibile rispetto per la realtà in se stessa. 1.3.3. Il desiderio. Strettamente collegata allo stupore ed al rispetto, appare la terza virtů che dobbiamo coltivare in noi stessi per educarci alla filosofia: l'amore di desiderio per la verità. I greci parlavano di eros filosofico. Intendiamo una "sete" di verità, di un "anelito" interiore, quasi viscerale, verso il messaggio misterioso racchiuso nella realtà. 1.4. Partire dall'esperienza. Dunque, lo stupore di fronte alla realtà, il rispetto per la realtà stessa e l'amore di desiderio per la verità costituiscono le attitudini fondamentali della ricerca filosofica. Dobbiamo ora chiederci: Da dove "comincia" la filosofia? Forse comincia dai libri dei filosofi? La filosofia non può partire che «dal dato immediato, cioè dagli elementi dell'esperienza». Primum vivere, deinde philosophari. Ciascuno di noi ha un'esperienza di vita e un'esperienza morale, personale eppure comune a tanti altri. E ciascuno di noi, sin da ragazzino, ha cominciato a riflettere sulle proprie esperienze ed ha cominciato a formarsi delle idee circa ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è bello e ciò che è brutto, sul bene e sul male, sull'uomo, sul mondo, su Dio. 1.5 Consapevolezza dei condizionamenti. Abbiamo detto che dobbiamo lasciarci guidare dallo stupore, dal rispetto e dal desiderio: abbiamo detto che bisogna partire dall’esperienza e che dobbiamo rielaborare quel “minimo di filosofia che ciascuno di noi porta con sé”. È chiaro che noi non conosciamo la nostra riflessione etico filosofica come delle tabule rase o dei fogli bianchi su cui non è scritto nulla. Nel formarsi quel “minimo di filosofia, ciascuno è condizionato dalla propria formazione culturale in senso ampio: dall’educazione che ha ricevuto, dai modelli sociali che gli sono stati proposti dalle tradizioni religiose, dalla lingua che parla dalle situazioni economiche in cui è vissuto. [Il fatto che una certa posizione sia ritenuta "ovvia non è un criterio per ammetterla come vera (o rifiutarla come falsa). II sapere diventa degno di questo nome quando abbandona le ovvietà e si volge alle evidenze. Mi è "evidente" ciò che è presente al mio conoscere e, quindi, ciò che io conosco in quanto mi è presente. Si parla di determinismo, chi è nato in luogo rispetto ad un altro ha più probabilità di essere una certa persona rispetto ad una altra, oggi si tratta anche di determinismo genetico in riferimento alla funzione dei geni. Determinismo sociale, politico negli anni 60 e 70. Il determinismo sociale è la radicalizzazione di ciò che diceva Watson “datemi due gemelli uno lo determinerà talmente da farlo diventare un santo e un altro un terrorista”. Bisogna essere consapevoli dei condizionamenti e liberi dai determinismi]. Tali condizionamenti sono tanto più forti quanto meno li si riconosce. Se uno si illude di esserne totalmente libero, di avere un'intelligenza pura e vergine delle cose così come sono... ebbene, costui è inevitabilmente destinato a restare schiavo di pregiudizi, ideologie e mitologie che non riconosce ma che operano in lui. Platone descrive la condizione di un uomo del genere con l'immagine di un prigioniero incatenato in una caverna che vede alcune ombre proiettarsi sul fondo della sua prigione e crede che il mondo sia tutto lì. Nessun prigioniero può liberarsi se prima non capisce di essere prigioniero! Se ci si vuole liberare dai condizionamenti bisogna prima ammettere di essere condizionati Bisogna anzitutto riconoscere le tradizioni in cui siamo vissuti. Chi è consapevole del rischio di essere condizionato è già potenzialmente libero dai condizionamenti. Grazie a una tale consapevolezza saremo in grado di trasformare la negatività del "condizionamento" nella positività dell’"orientamento". In questa prospettiva i "pregiudizi" dai quali partiamo possono trasformarsi in risorse positive, giacché orientano il nostro sguardo sulla realtà, rendendoci possibile l'incontro con essa. Le tradizioni diventano cosi il tessuto connettivo che ci permette di dialogare tra noi e con il passato. 1.6. Ovvietà ed evidenza. Per un dialogo fecondo con le tradizioni e le culture, per una saggia azione di autocritica e, al contempo, di messa in opera dei pregiudizi, per liberarci dai condizionamenti ed approssimarci il più possibile all'obiettività è necessario distinguere tra due concetti che molto spesso si confondono e ci confondono: ovvietà ed evidenza. In ogni tradizione vi sono elementi che vengono dati solitamente" per scontati" sono le cosiddette ovvietà, che vengono ammesse comunemente, in modo acritico, senza ragionarci su, senza nemmeno chiedersi se sono frutto di conoscenza, di fantasia o di pregiudizio.. Per gli uomini vissuti prima di Copernico, ad esempio, era "ovvio" che il sole girasse intorno alla terra. Ovvio per loro, ma errato in sé! Il fatto che una certa posizione sia ritenuta "ovvia non è un criterio per ammetterla come vera (o rifiutarla come falsa). II sapere diventa degno di questo nome quando abbandona le ovvietà e si volge alle evidenze. Mi è "evidente" ciò che è presente al mio conoscere e, quindi, ciò che io conosco in quanto mi è presente. Per esempio: "sulla Luna vi sono dei crateri è vero, ma a me non è evidente perché non ho mai avuto modo di osservarli; io "so" che sulla Luna vi sono dei crateri, perché mi fido di altri uomini che li hanno osservati”. L'evidenza può essere immediata o mediata. L'evidenza immediata è quella colta direttamente nella realtà, mentre l’evidenza mediata è quella raggiungibile grazie alla mediazione di una serie definita di evidenze immediate. Cosi, in filosofia, vi sono delle evidenze immediate, come - ad esempio che i valori morali possono essere realizzati soltanto da parte di persone; e vi sono delle evidenze mediate, come-ad esempio-che l'umiltà è una virtù (può essere dimostrato, ma abbastanza complesso) è necessario un ragionamento. Tuttavia, in ambito etico non è

affatto semplice distinguere "ovvietà" da "evidenza", e il sapere etico non è mai pienamente riducibile nei ranghi del "metodo" scientifico. In passato, a tal proposito, vi è stato il tentativo di ridurre l'etica nei canoni delle scienze matematiche o di quelle sperimentali ma nella filosofia e nelle scienze umanistiche, siamo in un sapere basato su facoltà e sensibilità il cui operare non è del tutto ricostruibile. La verità sta sempre nel concreto. L’evidenza morale e filosofica non coincide con l’evidenza matematica. In sintesi, per affrontare la nostra ricerca filosofico- morale abbiamo bisogno di aprirci allo stupore davanti all'essere, di rispettare la realtà, di desiderare con amore la verità l punto di partenza della nostra indagine non può essere altro che l'esperienza e quel minimo di filosofia che ognuno di noi porta con sé. Tuttavia, perché il nostro lavoro possa essere scientifico, c’è bisogno che prendiamo coscienza dei condizionamenti derivanti dalla nostra cultura e educazione: il compito della filosofia sarà quello di smantellare le ovvietà per accedere alle evidenze. Ma sarà necessario comprendere che l'evidenza filosofica non coincide con quella empirica o matematica, e che è necessario coltivare il nostro tatto, il nostro gusto spirituale per orientarci nelle situazioni concrete ed essere in grado di coglierne i valori autentici, nella loro infinità varietà. 1.7 Caratteristiche specifiche dell'etica filosofica. Abbiamo visto in che rapporti stia la ricerca filosofica con la fede ed abbiamo esplicitato le caratteristiche salienti del metodo filosofico. A questo punto dobbiamo applicare quanto detto alla ricerca specificamente etica che ci compete. Abbiamo detto sopra (1.4) che l'esperienza è l'oggetto di tutta la riflessione filosofica; ebbene, lo specifico della riflessione filosofico morale è dato dall'esperienza morale; sarà necessario enunciare anzitutto questo tema (1.7). Poi ci chiederemo se la nostra analisi debba limitarsi ad essere una descrizione di questa esperienza, oppure se ricaveremo delle indicazioni pratiche per il nostro modo di vivere, ossia delle prescrizioni, delle norme e, in questa seconda ipotesi, che tipo di norme saranno (1.7.2). 1.7.1. L’etica si occupa dell'esperienza morale. Il termine "etica" viene dal greco éthos, éthous che significa "uso, costume, modo di comportarsi, carattere" e corrisponde al latino mos, moris: per cui tra "etica" e "morale" noi non facciamo alcuna differenza e riteniamo i termini semplicemente come sinonimi. Ma cos'è l'ethos? L'ethos è per Aristotele il luogo di dimora abituale, e quindi I "abitudine" legata specificamente a ogni singolo luogo. L'ambito etico comprende dunque gli usi, i costumi, le consuetudini, le forme di comportamento giusto e conveniente nel senso delle virtù, ma anche le istituzioni che sorreggono queste forme di comportamento. L'esperienza morale si pone nell'orizzonte delle abitudini, consuetudini, tradizioni, stili di comportamento che costituiscono il contesto nel quale ci muoviamo e riflettiamo. Ogni riflessione etica si sviluppa a partire da un mondo di norme e di valori preesistenti. Nell'ethos comune...


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