Architettura Post-Decostruttivista - Mario Coppola PDF

Title Architettura Post-Decostruttivista - Mario Coppola
Author Edoardo Donzellini
Course Storia dell'architettura
Institution Università degli Studi di Firenze
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Università degli Studi di Napoli “Federico II” DiARC - Dipartimento di Architettura Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica e ambientale

- Dottorando: arch. Mario Coppola - Tutor: prof. arch. Alberto Cuomo

- Titolo della ricerca:

Architettura Post-Decostruttivista Zaha Hadid e le nuove generazioni dai campi di continuità alla biomimesi parametrica

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Indice

1. Obiettivi e contenuti della ricerca________________________________________________________________3 L'emergenza di un movimento globale e la necessità di una lettura critica attuale 2. Stato attuale della ricerca nel panorama internazionale______________________________________________6 Da "Folding in architecture" di G. Lynn a "The autopoiesis of architecture" di P. Schumacher

3. Introduzione: la necessità di un'architettura oltre il paradigma cartesiano______________________________8 Il ruolo dell'architettura nell'occidente odierno tra "liquidità" e catastrofe ecologica dell'iper-antropizzazione, dalle prospettive teoriche dei pensatori contemporanei verso una ricomposizione di soggetto e oggetto

4. L'incognita Zaha Hadid, contraddittoria tessitrice dei due mondi_____________________________________20 4.1 La sensibilità organica nelle radici arabe e il cinismo della scuola di Rem Koolhaas_________________23 4.2 Il Suprematismo come espressione della continuità dinamica di spazi, architettura e città_____________32 4.3 La contraddizione di una complessità come parte del progresso tecnico occidentale_________________41 5. Un tentativo di ricucitura degli elementi__________________________________________________________47 5.1 Una rivertebrazione attraverso un' ibridazione col naturale: continuità e spazio di mediazione_________52 5.2 La forma negoziata degli stormi di frammenti, campi di continuità e relazionalità___________________57 5.3 La fluidità e il problema della tessitura bio-antropomorfa delle molteplicità________________________62 5.4 I progetti verso una complessità divisi per temi espressivi 5.4.1 Alcuni progetti dello studio Zaha Hadid Architects_________________________________________83 5.4.2 Alcuni progetti delle nuove generazioni_________________________________________________144

6. L'eccesso di deterritorializzazione e la deriva neo-cartesiana________________________________________151 6.1 La continuità nel distacco: dal tappeto urbano al missile in decollo______________________________153 6.2 Architettura d'intrattenimento, cosmesi del capitale tra eccentrico e monumentale__________________159 6.3 Una bio-mimesi priva di umano, macchinazione totalitarista per una iper-produttività_______________163 6.4 I progetti dell'alienazione digitale________________________________________________________174 6.4.1 Alcuni progetti dello studio Zaha Hadid Architects________________________________________175 6.4.2 Alcuni progetti delle nuove generazioni_________________________________________________178 7. Conclusioni: dall'architettura post-decostruttivista all'architettura vivente dell'ultra-moderno___________183 7.1 Etologia ed espressione interindividuale: simbiosi di spazio, architettura, città ed ecosistema_________188 7.2 Caratteri genetici della figurazione bio-antropica: continuità, dinamismo e leggerezza______________190 7.3 Alcuni temi espressivi: Emergenza, Radicamento, Apertura, Interconnessione, Slancio______________193

8. Appendici 8.1 Intervista a Patrik Schumacher (traduzione in italiano)_______________________________________197 8.2 "Manifesto del Parametricismo" di P. Schumacher (inglese)___________________________________206 8.3 Bibliografia essenziale_________________________________________________________________210

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1. Obiettivi e contenuti della ricerca

Nel 1988 il MOMA (Museum of Modern Art) di New York ospita la mostra intitolata "Deconstructivist Architecture", organizzata e curata insieme da Philip Johnson e Mark Wigley, nella quale espongono le proprie opere sette architetti: Peter Eisenman, Zaha Hadid, Daniel Libeskind, Frank Gehry, Bernard Tschumi, Coop Himmelb(l)au e Rem Koolhaas. A partire da questo evento, la cosiddetta “architettura de costruttivista” (o decostruzionista) irrompe nello scenario internazionale, diffondendosi a macchia d'olio come nuovo "linguaggio" compositivo non solo negli studi di architettura più consolidati ma soprattutto nelle nuove generazioni di architetti, ponendosi fin dal principio in netta antitesi e contrapposizione con l'architettura dell'International Style e soprattutto con l'architettura minimalista. Il nome di tale "movimento" o frangia stilistica è la prima fonte di contraddizioni interne e di discussione a partire dagli stessi protagonisti della mostra del 1988, il cui nome fu deciso dai curatori della mostra al fine di stabilire una accattivante connessione tra l'architettura presentata nella mostra, l'ultimissima ricerca filosofica del tempo (quella decostruzionista, appunto), e l'architettura costruttivista dell'avanguardia sovietica del primo ventennio del 1900: di tutti i partecipanti però solamente Eisenman e Tschumi riconosceranno il legame tra la loro ricerca architettonica e la ricerca filosofica "decostruzionista" del filosofo francese Jacques Derrida, e solamente Hadid riconoscerà appieno la connessione tra la sua opera e l'architettura costruttivista sovietica degli anni '20. Il concetto espresso da Johnson e da Wigley nella scelta del nome Deconstructivist Architecture resta però evidente nel fatto che, malgrado i riconoscimenti o le negazioni da parte dei protagonisti, tutte le opere esposte erano effettivamente - e apparentemente, sottolineiamo noi - accomunate da una medesima cifra stilistica, un minimo comune multiplo che era la volontà di rompere con l'architettura della fine degli anni '80, evidenziando con forza una netta discontinuità con la ricerca architettonica moderna ed anche postmoderna, il cui linguaggio, con le dovute differenze e declinazioni personali di ciascun architetto, viene letteralmente fatto a pezzi. In seguito a questa esposizione, e alle successive prese di posizione della gran parte degli stessi partecipanti rispetto alla questione del legame con la filosofia decostruttivista, non soltanto la ricerca di questi architetti viene costituendo negli anni un linguaggio chiaramente leggibile e affatto inedito (tanto è vero che si continuerà per molti anni a parlare di architettura decostruttivista per indicare sia il lavoro dei suddetti autori che quello di moltissimi altri giovani emergenti), ma è riscontrabile anche una "mutazione" interna a questo linguaggio, operata da molti degli stessi architetti della mostra del MOMA, un cambiamento costante negli anni che a partire dai segni contraddittori, disarmonici e per certi versi "misteriosi" delle opere esposte nel 1988 porterà nel tempo a un'architettura nuovamente "unitaria", nuovamente espressiva di una chiara coerenza linguistica compositiva, che soprattutto negli ultimi anni ha di fatto coinvolto ogni giovane progettista nel panorama internazionale. Questa nuova logica compositiva dimentica la frammentarietà delle opere della fine degli anni '80, e prefigura un nuovo scenario compositivo che, all'opposto, sembra essere caratterizzato dall'uso di spazialità continue, conformate da superfici che attraverso la loro complessità definiscono ambienti fluidi e capaci di entrare in relazione con il contesto e con l'ambiente fisico, per quante variabili, direzioni e irregolarità questi possano presentare. Tale linguaggio diventa negli ultimi anni di gran lunga predominante soprattutto tra le nuovissime generazioni, e acquisisce all'interno di sè diverse correnti, che muovono in diversi rami di ricerca: le superfici complesse vengono intese come morbide e flessuose "coperte spaziali" a doppia curvatura, oppure come mesh poligonali spigolose. Greg Lynn, nella pubblicazione "Folding in architecture", edita nel 1993 su "Architectural Design", connette questa ricerca formale al libro "La piega Leibniz e il Barocco" di Gilles Deleuze, filosofo allievo di Derrida e quindi, proprio per questo, diretto discendente del pensiero decostruzionista: sfuggendo insieme alla norma della pura rappresentazione storicista e alla perpetua de-composizione decostruttivista, il nuovo linguaggio ibrida quello architettonico tradizionale con quello biologico, delle strutture naturali e delle forme di vita – richiamando così da vicino la “nuova armonia” di cui parla Deleuze e che negli ultimi anni il filosofo napoletano Esposito ha nominato con il nome di “ultra-moderno” – e dà vita a involucri spaziali nei quali 3 

tutti gli elementi dell'architettura tradizionale (solai, coperture, pareti perimetrali, solette varie fino a scale e elementi di arredo interno) vengono "sciolti" per riformarsi attraverso una singola superficie, o uno “sciame ordinato” di superfici, che di volta in volta si trasformano, curvando e flettendo, per assumere le caratteristiche richieste da questioni legate al contesto spaziale, sia esso antropico o naturale, alle risorse e alle caratteristiche energetiche dell’ambiente esterno (sole, acqua, biomassa, eccetera), alle attività da insediare, ai fattori umani percettivi psico-somatici. Tra i primissimi architetti a sperimentare questa nuova coerenza complessiva, Peter Eisenman si stacca dalla ricerca propriamente decostruzionista, che si avvaleva di un linguaggio disarticolato da piani e superfici inclinate, attraverso distorsioni e fratture, e nel 1992, con il progetto "Nordliches Derendorf Masterplan" per Dusseldorf, propone per la prima volta un edificio che non è conformato dalla composizione di volumi platonici o dalla giustapposizione di diverse geometrie, bensì da un'unica superficie triangolata, una mesh poligonale che attraverso la propria configurazione assume le caratteristiche volumetriche e spaziali dell'edificio finale. Da questo progetto in poi, la nuova tendenza internazionale si muoverà sempre più verso un linguaggio architettonico nel quale struttura, involucro esterno, solai interni, partizioni e ogni altro "pezzo" dell'edificio convergano in una sola "pelle" architettonica, divenendo un solo organismo che si apre, si chiude, si allinea o si sfrangia a seconda delle necessità, e che a seconda del budget a disposizione può avvalersi di più o meno ricchezza superficiale (quelle che in gergo digitale vengono chiamate "textures" o "patterns", che danno vita alle aperture verso l'esterno che sostituiscono definitivamente le finestre tradizionali, moderne e postmoderne) o di più o meno libertà di movimento (dalle superfici a doppia curvatura appunto, definite da funzioni matematiche complesse alle superfici definite da "scaglie" planari come triangoli, quadrilateri o poligoni irregolari). A Eisenman, Hadid, Tschumi, Libeskind, Gehry, Koolhaas e Himmelb(l)au lentamente si aggiungono nuovi nomi: Tom Wiscombe, Eva Castro, Roman Delugan sono solo alcuni dei giovani protagonisti di tutto il mondo che interpretano in maniera diversa ma coerente il nuovo "stile" post-decostruzionista, che, come l'International Style successivo al Movimento Moderno, ha la medesima aspirazione alla globalità e alla internazionalità, avvalendosi soprattutto di internet per la propria auto-diffusione e comunicazione, e degli ultimissimi strumenti di modellazione e rappresentazione digitale per la propria definizione. E' imprescindibile leggere e comprendere a fondo i diversi esiti attuali di questo "stile" (dal momento che un linguaggio - architettonico o meno che sia - ha la capacità di proporre attraverso una stessa grammatica e sintassi costrutti diversi per significato) nel tentativo di comprendere se nel codice genetico, nelle diverse espressioni e declinazioni, sia presente un vero e proprio sistema semantico, da cui emerga un determinato contenuto politico, che sia fautore e promotore di un preciso e voluto cambiamento sociale, di un "progresso" come accadeva nel Movimento Moderno e nelle altre avanguardie passate, oppure se questa ultima deriva linguistica sia del tutto priva di qualunque sfera semantica, di qualsivoglia sistema di valori di riferimento da esprimere e da ispirare nelle persone che interagiscono con gli spazi proposti, generando semplicemente una rosa di forme spaziali accattivanti ai più, oggetti di pura "cosmesi" per le megalopoli contemporanee. Alla luce di quanto descritto, la presente ricerca si propone quindi di riconoscere, distinguere e leggere il "movimento" contemporaneo che segue quello decostruttivista, valutandone i caratteri e gli apporti attraverso la prospettiva teorica del pensiero contemporaneo, volto a una complessità in grado di sostenere la ricomposizione di soggetto e oggetto. La volontà di operare tale lettura critica trova le sue ragioni proprio nella forza e nella velocità con cui soprattutto nell'ultimo decennio questo "movimento" va traducendosi in un linguaggio architettonico, per certi versi inedito e di grande impatto visivo e quindi commerciale, in tutto il mondo, coinvolgendo insieme l'Occidente europeo, americano, la Cina e i paesi del medioriente, innescando profonde trasformazioni nei tessuti urbani esistenti, e quindi insieme nell'ambiente umano e in quello naturale dell'intero pianeta. La massiccia diffusione di questo "stile" su scala internazionale, con l'aumentare delle approvazioni ottenute dalla critica (si pensi alle giurie del Pritzker Price o dello Stirling Prize, ma anche dell'UNESCO in riferimento alla recente nomina di Zaha Hadid come artista per la pace nel 2010) e dalla committenza in tutto il mondo, influenza a macchia d'olio giovani architetti e pratiche professionali avviate, che spinte dalla necessità di restare sulla cresta dell'onda trasformano progressivamente il loro linguaggio d'origine, mirando alla coerenza generale del movimento in esame: ciò naturalmente implica una impellente necessità, di cui questa ricerca vuole farsi carico, anzitutto di comprendere a fondo un fenomeno architettonico che con buona probabilità, vista la velocità attuale di diffusione, in crescita da circa un ventennio, sarà predominante nei prossimi anni. 4 

La nostra lettura prende le mosse dal background culturale e dall'esperienza di Zaha Hadid, considerata la protagonista cruciale della trasformazione del "linguaggio" decostruttivo in quello contemporaneo continuo e complesso, per mettere a fuoco anzitutto l'origine dello "stile" odierno, ritrovandone dal principio punti di forza e di debolezza, per poi spostare l'obiettivo sul lavoro delle giovanissime generazioni che "seguono" e sostengono il movimento, articolandolo e declinandolo in maniera diversa ma sempre in coerenza rispetto ai caratteri principali generativi. 

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2. Stato attuale della ricerca nel panorama internazionale

Il primo testo di riferimento, che delinea l'orizzonte teorico nel quale si muove l'architettura odierna "postdecostruttivista", è il testo edito su "Architectural Design" da Greg Lynn "Folding in architecture", pubblicato per la prima volta nel 1993. Il testo, come sarà approfondito in seguito, di fatto traccia un ponte tra le esperienze degli architetti di quegli anni, tra cui Eisenman, Coop Himmelb(l)au - protagonisti a loro volta della mostra al MOMA sull'architettura "decostruttivista" - e lo stesso Lynn, e il pensiero di Gilles Deleuze: la "piega" come strumento di continuità tra gli elementi in gioco, nel campo filosofico come nel campo architettonico, definisce un nuovo dominio linguistico, in cui il progetto non si articola più mediante la ripetizione di elementi separati tra loro ma per mezzo di strutture organiche interdipendenti e interconnesse, che di fatto interagiscono tra loro mutando forma, dimensioni e funzione. Il passaggio dalla ricerca riguardo la "tipologia" a quella riguardo la "topologia" viene definito come snodo cruciale per la trasformazione dell'architettura contemporanea: continuità, deformazioni, aggiunte senza strappi e senza intersezioni, ma fluidità e curvilinearità diventano termini d'uso comune che nella seconda metà degli anni '90 riempiranno il lessico architettonico. La pubblicazione, in primo luogo, pone l'accento sul fatto che il cambiamento di registro espressivo avvenuto in quegli anni non era affatto connesso agli strumenti digitali - che all'inizio degli anni '90 non erano ancora diffusi e utilizzati come strumenti morfo-generativi, e basta guardare il plastico fatto a mano per il progetto Rebstock di Eisenman per intenderlo - ma aveva strettamente a che fare con una volontà critica, che spingeva i confini architettonici verso una nuova forma di "complessità" e organicità, nella quale gli elementi del progetto non erano più identici tra loro e ripetuti all'interno di un corpo rigido, ma invece tutti differenziati ma in continuità rispetto alla forma complessiva. Come vedremo in seguito, nell'introduzione, la complessità a cui guarda Lynn, rimandando al testo di Deleuze, e la conseguente organicità "vitale" dell'architettura mostrata nella pubblicazione, è strettamente connessa al cambiamento "interno" del progetto: nonostante si parli anche di immersione nel contesto, di fusione con ambiente esterno, Lynn pone anzitutto l'accento sulle parti interne al progetto e al tipo di relazione che le lega, più raramente sulla relazione che c'è tra il progetto come parte e il suo ambiente esterno come organismo collettivo (si pensi ai progetti, realizzati e non, di Lynn e alla loro tipica "oggettualità"), cosa che invece fa Hadid a partire dai suoi primissimi progetti degli anni '70, nei quali il progetto fin da subito non è visto come un organismo puntuale, che miri alla forma della vita indifferente a quanto accade all'esterno, ma invece, prima ancora di divenire involucro spaziale a sè, è una parte organicamente connessa al flusso osmotico in entrata e in uscita rispetto all'ambiente circostante. Riguardo l'esperienza di Zaha Hadid, e in particolare riguardo il passaggio al linguaggio fluido della fine degli anni '90, uno dei testi più recenti e interessanti è “Digital Hadid, Landscapes in motion” di Patrik Schumacher, edito da Basel nel 2004. In questo volume, Schumacher analizza dall’interno della pratica professionale l’evoluzione metodologica della progettazione di Zaha Hadid e del suo entourage, e la sua influenza in campo internazionale, partendo dalla considerazione dell’esistenza di un svolta netta, chiara ed inequivocabile nell’architettura d’avanguardia contemporanea internazionale e procedendo attraverso la lettura di una serie di progetti più o meno recenti. Schumacher ricostruisce l’itinerario della ricerca hadidiana fin dagli esordi "decostruttivisti", ponendo l’accento soprattutto sulla progressiva digitalizzazione del lavoro dell’architetta irachena; digitalizzazione che avvalendosi insieme degli strumenti propri della computer grafica (presi direttamente dal mondo dell’animazione cinematografica più avanzata) e di strumenti nuovi, appositamente progettati a partire dalle richieste di Zaha Hadid alle case produttrici di software come Autodesk – sulla base delle necessità dei progetti più recenti, a partire dal MAXXI – entrerà con un ritmo impressionante a far parte di ogni progetto di architettura (e non solo) dei giorni nostri. Secondo Schumacher, questo nuovo linguaggio in rapidissima diffusione si avvale innanzitutto di una complessa e dinamica curvilinearità in grado di organizzare e articolare progetti di complessità spaziale sempre maggiore, pur mantenendo una certa coerenza linguistica e “strutturale”, e si pone come una novità 6 

rispetto alla metodologia progettuale classica e moderna: addirittura, è l'ipotesi del tedesco, come nuovo paradigma per l’architettura internazionale. Questo nuovo linguaggio (o stile) architettonico sembra essere basato sull’adozione di una nuova generazione di strumenti per la modellazione 3D, tanto che moltissimi critici tendono a connettere tale nuovo paradigma direttamente con la rivoluzione informatica degli ultimi 20 anni che ha influenzato ogni campo della vita umana, a partire naturalmente da quello della progettazione. Secondo Schumacher, lo strumento non è mai neutrale ed esterno rispetto al risultato ottenuto, ma anzi costituisce e limita le problematiche affrontate dal progetto ...


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