Assistenti Sociali Professionisti PDF

Title Assistenti Sociali Professionisti
Course Metodi e tecniche del servizio sociale
Institution Università del Salento
Pages 60
File Size 1.3 MB
File Type PDF
Total Downloads 87
Total Views 139

Summary

Riassunto completo del libro Assistenti sociali professionisti. Ottimo per superare l'esame con voto eccellente. ...


Description

ASSISTENTI SOCIALI PROFESSIONISI Metodologia del lavoro sociale Annamaria Zilianti Beatrice ROVARI CAPITOLO 1

1. Quali elementi legano nel tempo l’evoluzione del servizio sociale professionale? Esiste un filo rosso che guida gli assistenti sociali e si snoda continuamente per avviare nuovi percorsi. La creatività, la flessibilità, il desiderio di contribuire alla costruzione di una società più giusta e solidare sono i dati caratteristici di una professione che anche oggi afferma la sua forza strategica rinnovando la sua missione e la sua capacità di agire. 2. Quali sono le definizioni che differenziano il servizio sociale professionale, i servizi sociali e i servizi alla persona? Il servizio sociale professionale è il complesso di attività fondato su principi, conoscenze, tecniche, metodi, abilità, comportamenti dell’assistente sociale volto ad affrontare i bisogni delle persone, delle comunità di un determinato sistema sociale per migliorare le condizioni di vita e per promuovere l’adeguata realizzazione. Per servizi sociali si intende organizzazioni semplici o complesse, strutture tecnico amministrative di pubblica utilità rivolte alla generalità dei cittadini e preposte al loro sostegno e tutela, essi possono essere di natura pubblica o privata e possono avvalersi di strumenti specifici, di professionisti e operatori di appartenenza diversa a seconda dell’ambito cui sono preposti Qualora si rivolgono alla persona, i servizi sociali assumono il titolo di “servizi alla persona” I servizi alla persona che sono presenti nei moderni welfare, sono la risultante di politiche integrate destinate agli individui e alla comunità di un determinato territorio. L’enfasi posta al termine “persona” focalizza il bersaglio che i servizi hanno, ovvero la persona come tale e il suo contesto di vita, intendendo quindi porsi come supporto, integrazioni, strategie che, insieme, producono effetti di appartenenza e cittadinanza sociale. L’assistente sociale è un operatore sociale che, svolge la propria attività nell’ambito del sistema organizzato delle risorse messe a disposizione della comunità, a favore degli individui, gruppi e famiglie, per prevenire e risolvere situazioni di bisogno, aiutando l’utenza nell’uso personale e sociale di tali risorse, organizzando e promuovendo prestazioni e servii per una maggiore rispondenza degli stessi alle particolari situazioni di bisogno e alle esigenze di autonomia e responsabilità delle persone. L’attenzione degli assistenti sociali verso la persona, trova testimonianza nella ricerca continua di modelli e metodologie idonee a salvaguardare l’integrità ed enfatizzare la peculiarità e i valori, per concretizzarli in interventi operativi.

Questa particolarità ha rappresentato il suo punto di forza e, allo stesso tempo, il suo punto di debolezza. Il punto di forza sta nella capacità di concretizzare in interventi pratici principi apparentemente solo filosofici. Il punto di debolezza risulta essere proprio quello stesso agire pratico che, per la sua concretezza nella realizzazione di interventi immediatamente operativi, ha offuscato la forza di teorie fondate su un profondo apparato valoriale. L’assistente sociale è quindi un professionista che trae spunto da un corpo disciplinare e si realizza in azioni operative, entrambi fondati su valori che, nel corso del tempo, hanno poi trovato difficoltà per la loro concreta affermazione. Il centro di interesse dell’azione professionale dell’assistente sociale è comunque rimasto la persona non considerata isolata, bensì collegata all’ambiente, al territorio. CRISI DEL WELFARE STATE E POLITICHE SOCIALI Nel corso degli anni, le politiche sociali hanno dovuto ricostruire gli antichi modelli di servizio sociale su un approccio burocratico assistenziale. La rapida crescita del welfare state sia in Italia che in Europa non era stata accompagnata da una “ri-progettazione” organica delle politiche sociali. Il welfare state denunciava così la sua crisi: la frammentazione dei servizi e degli interventi alimentava una spesa sociale in maniera incontrollata, mentre gli utenti reclamavano forme di soggettività. Lo stato pertanto erogava servizi, gli utenti ricevevano prestazioni e gli assistenti sociali, si “affannavano” a definire interventi il più possibile adeguati alle persone. La crisi del welfare state e le modalità per il suo superamento sono stati al centro di un ampio dibattito e di scelte differenziate di molti governi. La risposta pubblica non è più adeguata e le tendenze degli ultimi decenni hanno dato ragione a soluzioni più aderenti ai bisogni, più attenente alle nuove fragilità e alle disuguaglianze sociali. La politica sociale apre nuovi scenari, teatri di sfida per le nuove generazioni di operatori che, ancora una volta, dovranno rivedere le proprie capacità di agire rimodellando la propria identità. LA PROFESSIONE NEL NUOVO WELFARE SYSTEM COMUNICATIVO Questo processo di cambiamento, pone oggi nuove sfide alle professioni sociali cosiddette “dell’aiuto” e in particolare agli assistenti sociali, che, per la loro collocazione accanto ai bisogni delle persone, si trovano ad affrontare la complessità con strumenti che richiedono rinforzo e rinnovamento. DUCCI Le considerazioni di Ducci si possono sintetizzare in tre punti: • Si ha la presa in carico di problemi e bisogni di singoli come di gruppi a rischio; • Gli operatori si correlano e si confrontano costantemente con il monto politico della comunità locale; • È svolta un’azione di promozione di forze sociali disposte ad assumersi responsabilità nel miglioramento dei livelli di benessere. L’intento dell’autore era quello di suggerire alla professione di uscire da una dimensione settoriale per sviluppare una coerente dimensione comunitaria. L’assistente sociale nelle nuove organizzazioni è in grado di cooperare ed accompagnare meccanismi di crescita.

3. Cosa sono i mandati istituzionale, sociale e professionale? E’ possibile comprendere le forme di mandato che investono l’assistente sociale e le interdipendenze con i principi etici e deontologici della professione. Il mandato risulta dunque un’autorità, un incarico che si distingue in tre sensi. Bartolomei e Passera descrivono compiutamente le tre forme di mandato e ne delineano le implicazioni. •

MANDATO ISTITUZIONALE: il complesso delle funzioni che un professionista è tenuto a svolgere sulla base della normativa generale e specifica che informa l’organizzazione alla quale appartiene ed alla quale deve rispondere nel suo operato; indica le competenze, i contenuti, e le modalità attraverso i quali può e deve operare a favore dei fruitori del servizio che eroga.



MANDATO PROFESSIONALE: i contenuti della professione (principi e valori, metodologia e modelli di riferimento, livelli di competenza, deontologia) storicamente definiti nella comunità professionale di riferimento nelle sue diverse espressioni(comunità scientifica, associazioni, ecc).



MANDATO SOCIALE: le indicazioni che provengono (e che devono essere colte) da ciò di cui la comunità necessita e ciò che la comunità richiede attraverso la domanda esplicita o implicita, recepita nel sistema normativo fondato sui principi Costituzionali, che può essere rappresentata piu o meno adeguatamente dalle istituzioni preposte e che si rivolge direttamente ad esse, oppure alle istituzioni politiche, oppure alla comunità scientifica, alle comunità professionali, con ciascuno dei quali esercita un ruolo attivo.

I tre mandati devono trovare una sintesi che recuperi il giusto equilibrio tra il sé professionale, l’autonomia operativa degli assistenti sociali, e le aspettative di utenti sempre più stretti dall’incalzare di bisogni ed esigenze nuove nel confronto con la limitatezza di risorse e un ordine istituzionale che deve disciplinare l’aiuto. PROFESSIONI DI AIUTO E SERVIZIO SOCIALE PROFESSIONALE Le professioni sociali sono parte delle professioni di aiuto e come queste sono rivolte sia ai singoli sia ai gruppi sia alla comunità. Il servizio sociale professionale, riconosciuto nella sua competenza e funzione anche a livello accademico, trova oggi la piena affermazione nella legge 328/2000 che lo definisce “livello essenziale”. Alcuni elementi caratterizzanti la professione sono i seguenti: • La dimensione collettiva; • L’adesione a principi e valori rintracciabili nel codice deontologico; • La capacità di agire entro margini di autonomia e discrezionalità; • Il rispetto responsabile del mandato nella sua triplice committenza; • L’identità professionale fondata sulla consapevolezza di avere un’operatività competente, di essere capace di modellarsi e ridefinirsi sulla base di cambiamenti, trasformazioni sociali e rinnovamento per l’accesso di nuovi professionisti e soggetti titolari di competenze; • La cultura professionale quale esito di elaborazioni teoriche, conoscenze specifiche.

Gli assistenti sociali possono essere strategici, riscoprendo il proprio profilo etico, per promuovere processi di cambiamento volti al miglioramento. L’ETICA DEL LAVORO CON LE PERSONE Che cosa rappresenta l’etica del servizio sociale professionale? Per “deontologia” si intende l’insieme delle norme relative a doveri strettamente inerenti l’attività professionale. Certamente, i doveri inerenti le professioni sociali d’aiuto non sono solo quelli sanciti dai codici, dalle leggi nazionali e/o regionali, ma anche e, soprattutto, quelli morali, ispirati a un’etica su cui si fonda il lavoro sociale. Se, dunque, la deontologia fa riferimento a un codice scritto, parlare di etica riguarda la soggettività del professionista, la sua coscienza e i suoi convincimenti individuali. L’etica riguarda i valori e i principi su cui si fonda la condotta dell’assistente sociale . Da un punto di vista deontologico, l’assistente sociale è chiamato ad assumersi responsabilità rispetto alle azioni in virtù di un membro conferito da un ente; dal punto di vista etico, invece, la responsabilità è definita in senso motivazionale e psicologico. L’intervento dell’assistente sociale deve sempre privilegiare l’aiuto della persona in quanto il lavoro sociale è per eccellenza al servizio dell’uomo e come sosteneva Blondel (si legge BLO’NDEL) gli assistenti sociali sono “specialisti dell’umano”. L’etica quale riflessione critica sul comportamento morale è considerata uno dei capitoli più importanti del pensiero filosofico, ambito tradizionale in cui il discorso etico è nato e si è sviluppato. Gli sviluppatori dell’etica si collocano sullo sfondo di mutamenti che intervengono nei grandi quadri di riferimento culturale, nelle concezioni del mondo, della natura, del posto dell’uomo nella società e nella storia, ma anche in parallelo con lo sviluppo di nuovi modi di conoscenza e di nuove configurazioni storicamente determinate nell’organizzazione dei rapporti sociali. Gli atteggiamenti e i comportamenti professionali propri nel professionista assistente sociale sono: •

IL RISPETTO: ogni individuo ha diritto a un’eguale offerta di opportunità.



L’ACCETTAZIONE: consiste in un “sentire professionale” che favorisce nella persona una crescita di fiducia in se stessa liberandola dai timori di non essere compresa e/o di essere danneggiata.



L’AUTODERMINAZIONE: è il rispetto della facoltà della persona di decidere e scegliere secondo i propri parametri culturali e sociali.



L’INDIVIDUAZIONE: è il riconoscimento dell’unicità dell’individuo. L’uomo non sarà mai né un numero né una categoria, bensì un individuo, soltanto quel preciso individuo.

QUESTE PREMESSE FANNO SI CHE: • • •

Il segreto professionale oltre che un obbligo giuridico e deontologico, sia anche la giusta corrispondenza verso la fiducia della persona/utente L’assistente sociale intraprenda una ricerca verso un’approfondita ricerca di se Vi sia un’effettiva disponibilità alla collaborazione con gli altri professionisti all’interdisciplinarità. L’etica che scoregge il servizio sociale si può definire



RAZIONALE: la morale è il regno del dialogo razionale tra individualità diverse che in quanto tali esprimono pensieri, argomenti e valori differenti



CATEGORICA: intendendola non vaga, ipotetica o impossibile



UNIVERSALE e IMMUTABILE: si rivolge a tutti e non si modifica secondo tempi e luoghi sebbene siano le persone a darne interpretazione diverse



OGGETTIVA: poiché definisce un arco di doveri cui tutti devono rispondere, infatti i principi dell’etica professionale riguardano tutti coloro che operano nei servizi alla persona.

Il professionista assistente sociale è legato da vincoli etici nei confronti di: •

PERSONA: disponibilità ad accogliere richieste d’aiuto prendendosi cura dell’individuo, offrire risposte appropriate, tutelare la riservatezza



ORGANIZZAZIONE: utilizzo di strumenti e tecnologie finalizzato all’attività professionale, rispetto delle norme e delle politiche organizzative, rispetto segreto d’ufficio



COMUNITA’/SOCIETA’: ricerca del buon uso risorse economiche disponibili mediante interventi efficienti ed efficaci, attuazione di forme di empowering sociali in grado di restituire forme di autonomia



PROFESSIONE: capacità di rinnovare il proprio approccio verso le trasformazioni, disponibilità a cooperare con altri soggetti e reti d’aiuto, conoscenza del proprio “se professionale” per gestire e controllare “saper essere” “saper fare”

Le qualità dell’etica professionale si possono così rappresentare: •

COMPETENZA: ossia formazione e aggiornamento



COSCIENZA DEI VALORI: riguardanti la persona la sua dignità e integrità



COERENZA DEL COMPORTAMENTO: valori e principi che si ispirano alla professione si realizzano nella pratica operativa; la pratica professionale deve rendere organico il percorso di aiuto evitandone la frammentazione attraverso progetti partecipati con gli interessati e con tutte le reti disponibili

L’etica del servizio sociale in definitiva sviluppa quel continuum che va dalla conoscenza/competenza (sapere) alla capacità di interpretarla (saper essere) e di tradurla in azioni professionali coerenti (saper fare) sostenendo una professione difficile poiché compie il non facile compito di intrecciare relazioni continue di scambio con le persone, con le loro differenze all’interno dei luoghi abituali di vita.

CAPITOLO 2 L’ ASSISTENTE SOCIALE E LA METOLOGIA 1. Cosa si intende per metodo e metodologia? METODO= MODO (UN PERCORSO STABILITO) [spiegazione prof] Per metodo si intende un insieme organico di regole e di principi in base al quale si svolge un’attività teorica o pratica; modo di procedere razionale pe raggiungere determinati obiettivi. Il metodo è dunque un modo di operare attraverso una strada, questo procederà per tappe coerentemente e logicamente collegate tra loro che permettono di agire razionalmente secondo un criterio e una norma. Operare secondo un modo significa procedere con un ordine logico sequenziale e razionale che non lascia spazio all’intuito e all’improvvisazione. METODOLOGIA= INSIEME DI PRATICHE CHE APPLICATE AD UN MODO DI OPERARE QUINDI AD UN METODO DANNO SENSO(il SENSO è il SIGNIFICAOTO) A UNNA RICERCA. [SPIEG.PROF] Per metodologia si intende la riflessione, il ragionamento intorno al metodo di una determinata scienza, e può essere definita come quel processo logico che orienta le procedure e le azioni finalizzate alla conoscenza scientifica o alla realizzazione di un azione. E’ un contenitore e precede il metodo. Nel corso dei primi anni del novecento, il servizio sociale come professione si basava su premesse debolmente scientifiche. Nel tentativo, infatti, di elaborare una modalità operativa con una valida “razionalità scientifica”, il servizio sociale approfondì le diverse teorie delle scienze sociali e i diversi schemi metodologici che si andavano ad affermando in quegli anni ed elaborò un metodo per la dimensione individuale (casework) dell’operatività che era considerata elemento fondamentale del servizio sociale soprattutto negli Stati Uniti d’America e nei paesi anglosassoni.

L’orientamento del servizio sociale nella dimensione individuale utilizzò inizialmente un’impostazione di tipo psicoanalitico espressa dalla cosiddetta scuola diagnostica (richmond 1917). A metà degli anni cinquanta venne introdotto in Italia il groupwork, che inizialmente sembrò corrispondere alle esigenze dei nuovi servizi. Negli anni successivi in casework risultò inefficiente per la società che andava mutando, infatti vennero incorporate altre teorie che si andavano affermando in quegli anni, si valorizzò l’intervento sulle famiglie e gruppi (groupwork) sperimentando nuovi ruoli e servizi contribuendo così a costruire modelli teorici sempre più complessi. Alla fine degli anni 50 l’interesse metodologico si spostò verso la dimensione collettivista del lavoro sociale accogliendo il nuovo metodo community work. Questi tre modelli composero una sorta di ripetizione metodologica del servizio sociale. Ai tre modelli si affiancarono altri due modelli ovvero l’organizzazione dei servizi sociali (interessato al ruolo dell’assistente) e la ricerca sociale (approfondiva conoscenze utili per analizzare i bisogni).

2. Quando si è cominciato a parlare in Italia del metodo unitario? Intorno alla fine degli anni 60 in Italia iniziò una critica dei tre modi di servizio sociale orientandosi verso un approccio olistico e unitario con una metodologia propria il metodo unitario. Il metodo unitario viene consolidandosi durante tutti gli anni 80, la riflessione che ha accompagnato l’adozione di tale metodo è sostenuta soprattutto dal contenitore istituzionale (servizi territoriali) in cui operano gli assistenti sociali e dal ruolo svolto dagli stessi oltre che all’attenzione data al cittadino e dalla considerazione del rapporto indissolubile(indissolubile significa inseparabile) tra persona e ambiente. Con l’introduzione del metodo unitario si è inteso restituire all’arte dell’aiuto una valenza(valenza significa valore) scientifica, con l’apporto di schemi teorici per la pratica che permettano di effettuare interventi ripetibili, verificabili e soprattutto trasmissibili come le professioni. Il metodo unitario venne consolidandosi con il tempo e divenne al contempo sia un modo di interpretare la realtà sia una modalità operativa che in Italia trovò terreno particolarmente fertile e coerente con l’organizzazione territoriale dei servizi in cui l’assistente sociale si trovava ad operare.

3. Quali elementi organizzativi hanno influito sulla definizione di un metodo unitario nel servizio sociale e sulla globalità dell’intervento sociale? I principi del metodo unitario sono la globalità della persona, l’attenzione al contesto di tutte le dimensioni in gioco e l’azione dell’assistente sociale. Viene creata quindi una strategia per creare circuiti tra risorse separate e per costruire sistemi agenti istituzionali e misti, che si attivano insieme rispetto alla difficoltà. Alcuni di questi elementi hanno influenzato questo processo da un punto di vista sia epistemologico (PER SAPERE DI PIU’ DEFINIZIONE PRESA DA INTERNET: l'epistemologia può essere identificata con la filosofia della scienza, la disciplina che si occupa dei fondamenti e dei metodi delle diverse discipline scientifiche.) che operativo. Il decentramento amministrativo e il trasferimento delle competenze in materia dallo Stato alle Regioni hanno inserito definitivamente il servizio sociale sul territorio; il servizio sociale in quest’ottica diventa un punto di riferimento per i bisogni e le esigenze di tutta la popolazione residente in un Comune.

L’INTEGRAZIONE PROFESSIONALE Negli ultimi decenni si è affermata e sostenuta la necessità di una convergenza(convergenza=avvicinamento) di competenze professionali diverse, di una multidisciplinarietà e di una dimensione collettiva nell’approccio alle problematiche del territorio. L’assistente sociale che lavora nei servizi alla persona non può infatti affrontare in s...


Similar Free PDFs