Serge Moscovici - Le rappresentazioni sociali PDF

Title Serge Moscovici - Le rappresentazioni sociali
Author Gaetano Fiore
Course Sociologia della comunicazione
Institution Università di Bologna
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Serge Moscovici – Le rappresentazioni sociali Capitolo 1 - Il pensiero come ambiente 1.1)

Pensiero primitivo, scienza e comprensione quotidiana

La credenza su cui si basa il pensiero primitivo è il credere nel potere della mente di determinare lo svolgimento degli eventi; la credenza su cui si basa il pensiero scientifico moderno è esattamente l’opposto, vale a dire il credere nel “potere illimitato degli oggetti” di dar forma al pensiero. Nel primo caso si ritiene che il pensiero agisca sulla realtà, nel secondo lo si concepisce come reazione alla realtà. Tuttavia, poiché questi due atteggiamenti sono simmetrici, possono avere solo una stessa causa, ovvero la paura istintiva dell’uomo nei confronti delle forze che non può controllare. La psicologia sociale è ovviamente una manifestazione del pensiero scientifico e, quindi, quando studia il sistema cognitivo, essa postula che: a) l’individuo normale reagisce ai fenomeni; b) la comprensione consiste nell’elaborazione delle informazioni. In altre parole, noi percepiamo il mondo, e tutte le nostre percezioni sono risposte a stimoli provenienti dall’ambiente fisico o quasifisico. Esistono però tendenze cognitive, distorsioni soggettive e tendenze affettive, e ci sono dei fatti comuni che contraddicono questi postulati: a) in primo luogo, l’osservazione che non riusciamo a vedere quello che sta proprio di fronte a noi: è come se la nostra percezione si fosse alterata cosicché una certa classe di persone diventano invisibili. Questa invisibilità non è dovuta ad alcuna mancanza di informazioni provenienti dall’occhio, ma solo ad una classificazione delle persone e delle cose della realtà; b) in secondo luogo, osserviamo che spesso, alcuni fatti che davamo per scontati, tutto ad un tratto si rivelano essere pure illusioni; c) in terzo luogo, le nostre reazioni agli eventi, le risposte agli stimoli sono rapportate ad una certa definizione, comune a tutti i membri della comunità cui apparteniamo. In ciascuno di questi casi intervengono rappresentazioni di ciò che è visibile e a cui dobbiamo rispondere; a volte ci troviamo in situazioni in cui abbiamo bisogno di un segno di qualche tipo che ci aiuti a distinguere una rappresentazione da un’altra. In realtà non ci arrivano mai informazioni che non siano state distorte da rappresentazioni “sovraimposte” che conferiscono ad oggetti e persone una certa vaghezza rendendoli in parte inaccessibili. Gli oggetti che percepiamo costituiscono solo uno degli elementi in una reazione a catena di percezioni, opinioni, nozioni e persino di vite. 1.2) La natura convenzionale e prescritti a delle rappresentazioni Se accettiamo che in qualunque ambiente esiste sempre una certa quantità sia di autonomia, sia di costrizione, possiamo dire che le rappresentazioni hanno esattamente due ruoli: 1. in primo luogo,messe convenziona lizzano gli oggetti, le persone e gli eventi, fornendo loro una forma precisa, assegnandoli ad una data categoria. Queste convenzioni ci permettono di sapere cosa sta per che cosa; esse ci aiutano a risolvere il problema generale di sapere quando è necessario interpretare un messaggio come significativo in relazione ad altri; ciascuna esperienza va ad aggiungersi ad una realtà predefinita dalle convenzioni che ne stabiliscono chiaramente le frontiere. Nessuna mente è libera dagli effetti del condizionamento precedente, imposto attraverso le rappresentazioni, il linguaggio e la cultura che le sono proprie. Siamo in grado di sottrarci ad alcuni vincoli che la percezione convenzionale della realtà impone, ma non dobbiamo pensare che riusciremo mai ad essere liberi completamente da convenzioni o pregiudizi. "La realtà, per un individuo, è in grande misura ciò che è socialmente accettato come realtà." (Lewin, 1948);

2. In secondo luogo, le rappresentazioni sono prescrittive, cioè si impongono a noi con forza irresistibile; forza che è la combinazione di una struttura che è presente addirittura da prima che noi cominciamo a pensare. Tutte le rappresentazioni che attraversano la nostra mente non sono pensate da noi, ma piuttosto ripensate, ricitate e ripresentate. La rappresentazione di qualcosa non è diretta,ente connessa al nostro modo di pensare ma, viceversa, ciò che pensiamo dipende da tali rappresentazioni. Esse ci sono imposte, trasmesse e sono il prodotto di un'intera sequenza di elaborazioni e cambiamenti occorsi col tempo. Le nostre esperienze passate continuano ad essere attive; per molti versi, il passato è molto più attivo del presente. Queste rappresentazioni sono entità sociali, dotate di vita propria, che comunicano tra loro, si oppongono e cambiano in armonia col corso della vita; tuttavia, se si verificasse un mutamento nella .pro gerarchia, il nostro intero universo ne sarebbe turbato.

1.3) L'era della rappresentazione Qualunque interazione umana presuppone tali rappresentazioni, e di fatto è questo che le caratterizza; le interazioni umane, d'altronde, sono degli accadimenti sociali psicologicamente rappresentati in ciascuno dei partecipanti (Asch, 1952). Ciò che conta davvero è la natura del cambiamento, in base a cui le rappresentazioni divengono capaci di influenzare il comportamento dell'individuo; di conseguenza, certe rappresentazioni ci appaiono quasi come oggetti materiali nella misura in cui sono il prodotto delle nostre azioni e interazioni. Questo però non incide sull'autonomia delle rappresentazioni in rapporto sia alla consapevolezza dell'individuo, sia a quella del gruppo. Le rappresentazioni non sono create da individui isolati; tuttavia, una volta create esse si diffondono autonomamente, circolano, si fondono, e danno origini a nuove rappresentazioni, mentre le vecchie scompaiono. La rappresentazione costituisce una realtà sociale sui generis: tanto più la sua origine è ignorata, tanto più essa è fossilizzata nell’immaginario sociale.

Capitolo due – Cos’è una società pensante? 2.1)

Il comportamentismo e lo studio delle rappresentazioni sociali

Noi nasciamo, cresciamo e viviamo costantemente in un mondo behaviorista. Lo studio delle rappresentazioni sociali deve andare al di là di tale concezione, e lo deve fare perché questo studio deve prendere in considerazione l’uomo per quanto egli tenta di conoscere e comprendere le cose che lo circondano e si sforza di risolvere gli enigmi banali della sua nascita, della sua esistenza, delle sue umiliazioni; enigmi che lo occupano e lo preoccupano fino alla nascita. Per lui, pensieri e parole sono reali. Che cos’è una società pensante? Questo è il problema che ci si pone quando studiamo: a) le circostanze in cui i gruppi comunicano, prendono decisioni, ecc. e b) le loro imprese, le loro credenze, le loro ideologie e, in fondo, le loro stesse rappresentazioni. Comprendere è la più comune delle facoltà umane, derivante dalla stessa comunicazione sociale. Quando ci chiediamo cosa sia una società pensante, di contrasto, neghiamo la concezione, prevalente nelle scienze umane, che la società non pensi, o che se lo faccia, che questo non sia il suo attributo principale. Il rifiuto che la società “pensi” può assumere due forme differenti: a) attraverso la dichiarazione che i nostri cervelli siano piccole scatole nere, contenuti all’interno di un enorme

scatola nera che riceve informazioni per trasformarli in gesti, opinioni e giudizi; b) affermando che i gruppi e gli individui sono sempre e completamente sotto l’influenza dell’ideologia dominante, prodotta e imposta dai vari frame che l’individuo vive e di cui è parte attiva. Questo, come l’ideologia di Le Bon, secondo il quale le masse non pensano né creano, sono solo le élite culturali a farlo, non è ancora provato, poiché le scienze sociali sinora si sono concentrati principalmente sulla struttura sociale in sé più che sulle credenze e i simboli. 2.2)

Le rappresentazioni sociali

‘E’ chiaro che il concetto di “rappresentazione sociale” ci è provenuto da Durkheim. Ma la psicologia sociale deve considerarla da un’angolatura differente. La sociologia vede la rappresentazione come un’entità irriducibile, la loro funzione teorica era simile a quella dell’atomo nella meccanica tradizionale: era noto che le rappresentazioni ricorrevano nella società, ma nessuno si preoccupava della loro struttura o delle loro dinamiche interne. Ciò che necessita di essere compiuto è di considerare fenomeno ciò che prima era stato visto come concetto. Inoltre, dal punto di vista di Durkheim, le rappresentazioni collettive descrivevano una gamma completa di forme intellettuali: ciò presenta un problema reale poiché risulta impossibile coprire una così ampia gamma di conoscenze e credenze. Di conseguenza bisogna aggiungere due qualificazioni importanti: a) Le rappresentazioni sociali dovrebbero essere considerate come un modo specifico di comprendere e di comunicare ciò che già sappiamo. Esse occupano una posizione singolare tra i concetti e i percetti; inoltre, posseggono due facce: quella iconica e quella simbolica. Sappiamo, cioè, che rappresentazione = immagine1significato; in altre parole essa fa corrispondere ogni immagine ad un’idea e viceversa. Fin dall’inizio del secolo il linguaggio verbale ordinario costituiva un mezzo di comunicazione di conoscenza; al giorno d’oggi, il linguaggio non verbale destinato alla sfera della scienza, ha sostituito i segni con le parole. Lo studio del linguaggio deve la sua fortuna al fatto che esso, escluso dalla sfera della realtà materiale, inesorabilmente riemerga in quella della realtà storica e convenzionale; b) Durkheim ha una concezione piuttosto statica di queste rappresentazioni. Di conseguenza, nella sua teoria, le rappresentazioni sono come un ispessimento della nebbia, che potrebbero tagliarsi con il coltello. Ciò che risulta singolare per l’osservatore contemporaneo è il carattere mobile e plastico delle odierne rappresentazioni. Le rappresentazioni attuali non sempre hanno nemmeno il tempo sufficiente per consentire la necessaria sedimentazione per trasformarle in tradizioni radicate; e la loro importanza è direttamente proporzionale all’eterogeneità ed alla fluttuazioni dei sistemi unificanti. La caratteristica specifica di queste rappresentazioni è che esse trasmutano le idee in esperienze collettive e le interazioni in comportamento e possono essere, più vantaggiosamente, paragonate ad opere d’arte che a reazioni meccaniche. Quasi come un’alchimia concettuale in grado di trasformare, come era consapevole chi scrisse la Bibbia, “le parole in carne”. 2.3)

Scienze sacre e scienze profane; universi consensuali e universi reificati

Interessiamoci ora al posto che le rappresentazioni occupano in una società pensante. Tempo addietro questo posto sarebbe stato determinato dalla distinzione tra una sfera sacra e una profana. Questi mondi opposti determinano le sfere delle forze dell’individuo e delle forze esterne, l’opus proprium e l’opus alienum. Questa distinzione è ormai in disuso. Essa è stata sostituita da un’altra distinzione, fondamentale, ovvero quella tra universo consensuale e universo reificato. Nel primo, la

società è una creazione visibile, continua, permeata di significato e finalità; l’uomo, in altre parole, è a misura di tutte le cose. In quello reificato, invece, la società è trasformata in un sistema di entità

solide, fondamentali, invarianti, che sono indifferenti alla individualità e prive d’identità. L’uso che facciamo dei pronomi “noi” e “loro” può chiarire questa distinzione. Categorie quali questi universi consensuali e reificati si trovano solo nella nostra cultura. In un universo consensuale la società è vista come un gruppo di individui uguali e liberi, ciascuno qualificato a parlare in nome del gruppo e sotto la sua egida; nessun membro possiede una competenza esclusiva, ciascuno agisce come un “osservatore curioso”. Un tale stato di caso richiede una certa complicità. In un universo reificato la società è vista come un sistema caratterizzato da ruoli differenti e da ineguaglianza di classe; solo l’acquisizione di una determinata competenza determina il loro grado di partecipazione; ci confrontiamo l’un l’altro all’interno di sistemi predefiniti, esiste un comportamento appropriato per ogni circostanza, una formula linguistica per ogni confronto; siamo vincolati dalle regole dell’organizzazione; ogni situazione contiene in sé una potenziale ambiguità, una vaghezza, due possibili interpretazioni, ma le loro connotazioni sono negative, rappresentano gli ostacoli che dobbiamo superare prima che ogni cosa diventi chiara ai nostri occhi. Il contrasto tra questi due universi ha un impatto psicologico. La linea che li demarca divide in due la realtà collettiva e, soprattutto, la realtà fisica.

Capitolo tre – Il familiare e il non familiare 3.1) Gestire l’ignoto Innanzitutto possiamo dire che a) le rappresentazioni sociali devono essere viste come un “ambiente” in relazione all’individuo e al gruppo e b) esse sono, sotto certi aspetti, specifiche della nostra società. Perché creiamo le suddette rappresentazioni? Ci sono tre ipotesi tradizionali che prendiamo in considerazione: a) ipotesi della desiderabilità: un individuo o un gruppo creano immagini, opinioni che sono una distorsione soggettiva di una realtà oggettiva; b) ipotesi dello squilibrio: tutte le ideologie e i concetti del mondo sono mezzi per risolvere tensioni psichiche dovute al fallimento o alla mancanza di integrazione sociale; c) ipotesi del controllo: i gruppi creano rappresentazioni allo scopo di filtrare l’informazione derivata dall’ambiente e così controllare il comportamento individuale. Le rappresentazioni sociali potrebbero di fatto rispondere ad un dato bisogno, rispondere ad uno stato di squilibrio, e inoltre favorire l’impopolare ma inesorabile dominio di una parte della società sull’altra; ma queste conclusioni hanno il comune difetto di essere troppo generali. Così dobbiamo cercare un ipotesi differente: lo scopo di tutte le rappresentazioni è quello di rendere qualcosa di inconsueto, o l’ignoto stesso, familiare: il cambiamento è accettato solamente in quanto dà una sorta di vivacità ed evita che il dialogo soffochi sotto il peso della ripetizione; in complesso, la dinamica delle relazioni è una dinamica di familiarizzazione dove oggetti, individui ed eventi sono percepiti ed intesi in relazione ad incontri o paradigmi precedenti. Una cosa è accettare e comprendere ciò che è familiare, per abituarsi progressivamente ad esso e fare in modo che rientri nella routine, altra cosa è preferirlo come standard di riferimento; infatti, per il nostro “uomo della strada”, la maggior parte delle opinioni derivate dalla scienza, dall’arte e dall’economia che si riferiscono ad universi reificati, differiscono

in vario modo dalle opinioni familiari, a portata di mano. Così egli potrebbe sperimentare questo senso di non familiarità qualora le frontiere e\o le convenzioni scomparissero, qualora le distinzioni fra l’astratto e il concreto si confondessero: egli non trova ciò che si aspettava di trovare e resta con un senso di incompletezza e confusione. Successivamente, ciò che avevamo reputato fantasia diventa realtà proprio d’innanzi ai nostri occhi; il non familiare costringe gli individui e le comunità a rendere esplicite le implicite assunzioni che sono alla base del consenso; la paura di ciò che è estraneo (e degli stranieri) è profondamente radicata. Questo avviene perché il timore di perdere i punti di riferimento consueti, di perdere il contatto con ciò che fornisce un senso di continuità, di reciproca comprensione, è decisamente insopportabile. L’atto di rappresentazione è un mezzo per trasferire ciò che ci disturba, ciò che minaccia il nostro universo, dall’esterno all’interno; il trasferimento viene effettuato separando concetti e percezioni normalmente collegati e ponendoli in un contesto dove l’inconsueto diventa consueto. Il pensiero sociale è tributario più della convenzione e della memoria che della ragione, delle strutture tradizionali piuttosto che delle correnti strutture intellettuali o percettive. Nei nostri universi consensuali la tensione di base tra il familiare e il non familiare si risolve sempre in favore del primo: prima di vedere ed ascoltare una persona, noi l’abbiamo già giudicata, classificata e ce ne siamo creati un’immagine. 3.2) Rappresentazioni sociali e senso di estraneità Tutto sommato, le rappresentazioni sono sempre il risultato di uno sforzo costante di rendere consueto e reale qualcosa di inconsueto o che ci dà un senso di estraneità; attraverso loro noi dominiamo questo qualcosa, integrandolo nel nostro universo mentale e fisico. Comunque, nella fase della creazione, siamo sempre consapevoli delle nostre intenzioni, dal momento che le immagini e le idee con cui affrontiamo l’inconsueto finiscono sempre per riportarci sempre al conosciuto, al consueto. E’ come se, ogni volta che si verifica una frattura, le nostre menti cicatrizzassero la ferita e rimodellassero dall’interno ciò che era al di fuori; tale processo restituisce un senso di continuità nel gruppo o nell’individuo. Il contrasto con la scienza è straordinario: la scienza procede nel modo opposto, dalla premessa alla conclusione, specialmente nel campo della logica: essa, inoltre, deve stabilire certe leggi, che non sono mai completamente applicate. Essa crea un ambiente completamente artificiale per rendere possibile la permutazione di entrambi i termini dell’argomento. Da quando è entrata ne processo di modernità, la scienza si è occupata con successo di demolire costantemente la maggior parte delle nostre percezioni ed opinioni correnti; in altre parole, il suo progetto è di rendere il familiare non familiare nelle sue equazioni matematiche così nei suoi laboratori.

Capitolo 4 - Ancoraggio e oggettivazione 4.1) Scienza, senso comune e rappresentazioni sociali Le scienze e le rappresentazioni sociali sono così differenti tra loro, e tuttavia così complementari, che dobbiamo pensare e parlare in entrambi i registri. I nostri mondi reificati aumentano col proliferare delle scienze; quando le teorie, l'informazione e gli eventi si moltiplicano, essi sono trasferiti all'universo consensuale. Nel passato, la scienza era completamente basata sul senso comune; ora come ora, è la scienza a dettare le basi per la costruzione di un senso comune. Per citare Baudelaire: "Può qualcosa essere più, più fecondo e piu eccitante di un luogo comune?

4.2) I due processi alla base delle rappresentazioni sociali Per dare una fisionomia familiare a ciò che non lo è, è necessario mettere in moto i due meccanismi di un processo di pensiero basato sulla memoria e sui risultati scontati. Il primo meccanismo si sforza di ancorare le idee insolite, di ridurle a categorie e immagini ordinarie; scopo del secondo meccanismo è di oggettivare queste idee, cioè di trasformare qualcosa di astrato in qualcosa di quasi concreto, di tradurre ciò che è nella mente in parte del mondo fisico. Questi meccanismi rendono l’inusuale usuale, il primo trasferendolo nella nostra sfera, il secondo riproducendolo fra le cose che noi possiamo vedere e toccare. Ancoraggio  E’ un processo che porta qualcosa di estraneo e disturbante che ci riguarda nel nostro particolare sistema di categorie e lo confronta con il paradigma di una categoria che riteniamo adatta. Nello studio di Denise Jodelet, per gli abitanti del villaggio i malati mentali collocati in mezzo a loro furono immediatamente giudicati mediante standard convenzionali, comparati con gli idioti, i barboni, chiamati nel dialetto locale “rogues”. Anche se siamo consapevoli di una certa discrepanza, noi aderiamo alla nostra approssimazione, se non altro per preservare un minimo di coerenza tra sconosciuto e conosciuto. Ancorare è, quindi, classificare e dare un nome a qualcosa. Il primo passo per superare la resistenza nei confronti dello sconosciuto è porlo in una data categoria: classificando ciò che non è classificabile, noi siamo in grado di immaginarcelo, di rappresentarlo nel nostro mondo fisico: la denotazione proibisce logicamente la neutralità del sistema in cui ciascun oggetto ed essere deve avere un valore positivo o negativo ed assumere un dato posto in una gerarchia chiaramente graduata. Di fatto, una delle lezioni dell’epis...


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