Barbero - Il viaggio di Krafft von Dellmensingen PDF

Title Barbero - Il viaggio di Krafft von Dellmensingen
Author Francesco Pollaro
Course Storia
Institution Liceo (Italia)
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Il viaggio di Krafft von Dellmensingen Sia come sia, la gita del barone von Waldstätten a Kreuznach il 29 agosto è certamente il momento in cui Hindenburg e Ludendorff vennero messi di fronte alla scelta definitiva, se venire o no in aiuto degli austriaci. Nessuno dei due ne aveva molta voglia; perciò decisero che bisognava rifletterci ancora qualche giorno, e prendere informazioni di prima mano sulla reale situazione del fronte dell’Isonzo, mentre sul piano diplomatico il Kaiser Guglielmo si incaricava di prendere tempo tranquillizzando Carlo e i suoi generali. Il 2 settembre arrivò a Baden il colonnello von Estorff per portare a Carlo la risposta dell’imperatore tedesco, redatta in termini concilianti. Guglielmo si dichiara d’accordo col “fedele amico”: la pressione sul fronte dell’Isonzo può essere alleggerita solo con una robusta offensiva. Il Comando Supremo e l’esercito tedesco non desiderano niente di più che assestare all’Italia un colpo mortale per vendicare il suo tradimento. Se la cosa sia realizzabile, però, si vedrà dagli sviluppi sugli altri fronti: in particolare l’offensiva di Riga in calendario proprio in quell’inizio di settembre, da cui ci si riprometteva grandi cose contro l’esercito russo ormai in dissoluzione. “Capisco anche il tuo desiderio che l’offensiva, se possibile, sia condotta solo con truppe austro-ungariche”, continuava Guglielmo. Ma purtroppo era nell’impossibilità di accedere a quel desiderio e trasferire truppe sul fronte orientale per liberare quelle austriache. Le otto divisioni cui aveva alluso Arz costituivano l’unica riserva operativa per entrambi i fronti e non potevano essere impegnate senza grave rischio. Dopo che l’offensiva di Riga si sarà conclusa con successo, si potrà invece decidere se le truppe impegnate lì possano essere impiegate in seguito con più efficacia in Moldavia o sull’Isonzo. Il Kaiser analizzava a questo punto i vantaggi delle due alternative, per concludere che l’offensiva contro gli italiani poteva anche rivelarsi fattibile. “Puoi star sicuro che non solo il mio esercito, ma tutta la Germania giubilerà, se truppe tedesche insieme con i valorosi combattenti dell’Isonzo daranno addosso alla spergiura Italia. Dio voglia che anche quel giorno si stia avvicinando”. Arz interpretò questa lettera, con un po’ di ottimismo, come un segnale che i tedeschi avevano accettato la proposta, anche se non volevano ancora impegnarsi sul calendario: e quello stesso 2 settembre diramò il primo ordine all’arciduca Eugenio, comandante del Fronte Sud-Ovest, preannunziando l’offensiva sull’Isonzo73.

In realtà, Ludendorff si era rassegnato solo a metà. Nel settore da Plezzo a Tolmino, in cui secondo Waldstätten il nemico era debole e non si aspettava un attacco, il terreno presentava difficoltà quasi insormontabili, e le comunicazioni dietro il fronte, da cui dipendevano l’ammasso delle forze d’attacco e il loro rifornimento durante l’offensiva, erano scarse. D’altra parte, se l’attacco fosse riuscito si poteva arrivare attraverso le montagne a Cividale e perfino a Udine, e allora l’intero fronte italiano sarebbe saltato. Nel dubbio, la conferenza del 29 agosto si concluse con la decisione di effettuare un supplemento d’indagine. Il generale Krafft von Dellmensingen, che aveva partecipato all’incontro, venne incaricato di partire per il fronte dell’Isonzo74. In un Reich dove esistevano tuttora i vecchi regni di Prussia, di Sassonia, di Baviera e del Württemberg, Krafft era suddito bavarese, ma un bavarese anomalo: la sua famiglia era uno dei lignaggi più antichi del patriziato di Ulm, città sveva e non bavarese, ed era protestante e non cattolico (qualcuno lo descriverà senza simpatia come “un bavarese prussianizzato”, ein verpreusster Bayer). Cinquantacinquenne, Krafft era stato capo di Stato Maggiore dell’esercito bavarese fino allo scoppio della guerra; dal maggio 1915 al febbraio 1917 aveva comandato l’appena formato Alpenkorps, la speciale divisione di truppe da montagna, combattendo fra l’altro in Tirolo contro gli italiani e sbaragliando i rumeni sui Carpazi, prima di diventare capo di Stato Maggiore di un gruppo d’armate75. Esperto di guerra alpina come nessun altro nell’esercito tedesco, Krafft era l’uomo adatto per andare a ispezionare il fronte dell’Isonzo. Ma il fatto che fosse stato scelto lui aveva anche un’altra implicazione. Nei periodi in cui anziché comandare sul campo aveva svolto lavoro di Stato Maggiore, Krafft si era applicato in modo particolare allo studio delle battaglie di sfondamento: che erano allora una novità, perché l’ortodossia strategica del Grande Stato Maggiore aveva sempre predicato l’aggiramento come unico modo per realizzare l’annientamento strategico del nemico – salvo poi non riuscire a realizzarlo, come accadde nel 1914 col famoso piano Schlieffen, che i francesi fecero fallire sulla Marna. Krafft era un teorico del Durchbruch, lo sfondamento, al punto che il suo eccellente e dettagliatissimo libro su Caporetto, uscito nel 1926, porta proprio questo titolo, Lo sfondamento dell’Isonzo; nel 1937, poi, il vecchio generale pubblicò uno studio di 463 pagine su altri grandi sfondamenti della guerra mondiale, intitolato appunto Der Durchbruch76. Che proprio lui sia stato mandato a valutare le possibilità di

riuscita dell’offensiva sul fronte italiano la dice lunga sul tipo di operazione che Hindenburg e Ludendorff avevano in mente. L’uomo che studiava gli sfondamenti portò con sé in Italia il capo del suo Ufficio operazioni al gruppo d’armate, il maggiore barone von Willisen, che era con lui già dai tempi dell’Alpenkorps, e che in seguito verrà considerato in Germania il vero pianificatore dell’offensiva di Caporetto, tanto che il 1° novembre 1917 anche lui sarà decorato con l’inevitabile Pour le Mérite. Nel dopoguerra Willisen sarà attivissimo in politica, garantendo l’appoggio dell’esercito alla classe dirigente conservatrice della repubblica di Weimar, e tenendosi peraltro alla larga da Hitler (che descriverà come “un maniaco… prendeva soldi da tutti”). L’allora capo dei sindacati cattolici e futuro cancelliere del Reich, Brüning, ricorderà Willisen in termini ammirativi che paiono tracciare il ritratto del perfetto capo Ufficio operazioni: Quando parlava, cominciava balbettando leggermente, per poi uscirsene con affermazioni insolitamente chiare, brevi e precise. Il volto con la fronte alta e lo sguardo franco e aperto, così come l’espressione intensa, personificavano un’estrema, fresca energia. Willisen di suo aveva poche idee costruttive, ma la cosa importante è che dopo breve riflessione era capace di mettere insieme le concezioni degli altri77. A giudicare dalle fotografie, fisicamente Krafft e Willisen si assomigliavano: due uomini robusti coi baffetti, la testa grossa e rotonda che gli scienziati del loro tempo avrebbero definito tipica della razza alpina – benché Willisen fosse in realtà prussiano, e non bavarese. La coppia visitò il fronte italiano dal 2 al 6 settembre, negli stessi giorni in cui l’esercito di Cadorna si dissanguava attaccando il San Gabriele. Krafft parlò con i generali austriaci, e ispezionò le linee portando in testa un berretto austriaco per evitare di dare nell’occhio. Wetzell, impaziente, tempestava Willisen di telegrammi: quali risultati stava dando la ricognizione? Il concetto aveva probabilità di attuazione? Forse sì, rispose Willisen il 4; salvo aggiungere prudentemente che i sopralluoghi erano tuttora in corso, e le difficoltà notevoli. L’indomani, Krafft preavvisò che il suo parere sarebbe stato favorevole; c’erano però, aggiunse, delle condizioni, di cui non si poteva parlare in un telegramma, per cui pregava di aspettare il suo ritorno prima di chiudere il negoziato con gli austriaci. Ma Hindenburg e Ludendorff avevano fretta, e il 6, prima di aver ascoltato Krafft, informarono Arz che l’offensiva era decisa, col nome in codice,

suggerito da Ludendorff, di Waffentreue, “Fedeltà d’armi”; il barone von Waldstätten era invitato a tornare a Kreuznach l’8 per ascoltare il rapporto di Krafft e discutere insieme i particolari78. Per capire fino in fondo questa accelerazione dei tempi, bisogna aggiungere che mentre Krafft von Dellmensingen ispezionava il fronte italiano, nella lontana Russia era scattata la prevista offensiva, e fin dal primo giorno si era rivelata un clamoroso successo: già il 4 settembre le truppe tedesche entravano a Riga. Adesso era davvero possibile trasferire a sud qualche divisione, e riprovare lo stesso gioco ai danni di un altro avversario considerato di qualità scadente: Riga aveva dimostrato “l’importanza della sorpresa, della concentrazione di forze superiori contro i punti deboli del dispositivo nemico e della penetrazione in profondità in questi punti deboli, al fine di accerchiare un settore delle forze nemiche”79, e il fronte italiano pareva fatto apposta per confermarla. Il successo dell’offensiva tedesca in Russia aveva fatto cadere anche l’ultimo ostacolo: l’amor proprio dell’imperatore Carlo. Il 5 settembre l’imperatore santo scrisse al suo collega Guglielmo un’imbarazzante lettera, in cui oltre a congratularsi per la presa di Riga affermava d’essere “pieno di gioia” perché il Kaiser capiva la sua esigenza di intraprendere l’operazione italiana solo con truppe austro-ungariche. Dopodiché Carlo dichiarava di comprendere, a sua volta, le esigenze strategiche che obbligavano i tedeschi a ignorare i suoi desideri, imponendo la partecipazione delle loro divisioni all’offensiva contro l’Italia. Spero che le nostre forze riunite vinceranno, proseguiva il giovane imperatore, e aggiungeva, in omaggio alle note preoccupazioni di Ludendorff: forse Dio concederà che dopo il colpo mortale all’Italia ne segua uno alla Romania80. Probabilmente ignaro di tutto questo, Krafft raccontò il suo colloquio con Hindenburg e Ludendorff, avvenuto l’8 settembre a Kreuznach alla presenza di Willisen e Waldstätten, in toni drammatici, come se davvero la decisione fosse dipesa da quel che lui avrebbe detto. Nel suo libro sottolineò di non aver nascosto le difficoltà dell’impresa, che erano enormi. La conca di Tolmino “offre tuttora un utile punto di partenza per un attacco”, ma permette di ammassare al massimo 4 o 5 divisioni, sotto gli occhi del nemico e soprattutto sotto il tiro dei suoi cannoni: perciò “lo schieramento dell’artiglieria e il concentramento della fanteria sulle basi di partenza per l’attacco, si presentano come un’impresa complessa e straordinariamente pericolosa”. Segue la

descrizione puntuale, tratto per tratto, delle difese italiane, giudicate profonde e solide, e appoggiate nelle retrovie a una fitta rete stradale, di cui invece mancheranno completamente gli attaccanti che dalla valle dell’Isonzo cerchino di salire sul Kolovrat. Dalle prime linee italiane e dagli osservatori d’artiglieria ogni movimento degli attaccanti sarà perfettamente visibile: “Tutti i vantaggi stanno dunque dalla parte del nemico”. Inoltre gli attaccanti dovranno superare dislivelli di centinaia di metri in terreno roccioso prima di giungere a contatto col nemico, un’impresa impegnativa anche per dei buoni alpinisti. Bisognerà impiegare truppe con equipaggiamento da montagna e chiedere agli austriaci attrezzatura, muli, conducenti e guide. Le difficoltà logistiche appaiono a Krafft ancor più imponenti. Anche solo portare le truppe in prima linea sarà complicato: scese dai treni nelle zone di Villach, Klagenfurt, Veldes, Krainburg e Lubiana, avranno a disposizione solo due strade, che si arrampicano attraverso alti valichi alpini, battute dall’artiglieria nemica e continuamente sorvolate dall’aviazione italiana, che è padrona dei cieli. Le stesse strade dovranno essere impiegate per il trasporto di tutti i materiali e i rifornimenti, fino al fieno per i muli e i cavalli, perché Krafft ha visto con i suoi occhi che la siccità estiva ha bruciato tutti i pascoli. Insomma, “uno schieramento verso Tolmino pone i comandi davanti a problemi eccezionali che, secondo i princìpi stessi della logistica, risulterebbero irrisolvibili”. Ma nonostante tutto questo, Krafft concluse che l’offensiva si poteva fare: era “ai limiti del possibile”, e sarebbe stato comunque un grossissimo rischio, ma poiché era chiaro che gli austriaci ne avevano assoluto bisogno, la fanteria tedesca e gli ufficiali tedeschi potevano farcela. In Romania l’Alpenkorps aveva dimostrato di saper fare miracoli su terreno di montagna. La stagione e il tempo atmosferico potevano dare una mano. E soprattutto, davanti c’erano gli italiani, non gli inglesi o i francesi. Perciò Krafft, pur consapevole di assumersi una grave responsabilità, dopo aver descritto tutte le difficoltà dell’offensiva “si azzardò a consigliarla”81. Nel suo libro, Krafft conferma che Ludendorff era tutt’altro che contento di rinunciare all’offensiva in Romania, ma si piegò alla necessità di fare qualcosa per tenere in piedi gli alleati; Hindenburg concluse la discussione approvando definitivamente l’idea. Nei suoi diari, che lo storico italiano Francesco Fadini consultò più di trent’anni fa in casa dei discendenti, Krafft va più in là. Alla fine del suo rapporto, scrive, “non si sentiva volare

una mosca”. Se avessi concluso negativamente, aggiunge, è chiaro che non si sarebbe fatto nulla. Ludendorff intervenne per primo, sottolineando che l’impresa era “molto difficile e molto rischiosa”, ma che bisognava uscire di lì avendo preso una decisione, e alla fine era giusto provarci. Stabilì però un limite chiarissimo: se l’offensiva non fosse riuscita fin dal primo giorno secondo i piani, sarebbe stata immediatamente sospesa. A pranzo, Hindenburg tese la mano a Krafft e dichiarò: “Vedrà che ce la farete!”. Parlò così, alla seconda persona, perché era ovvio che Krafft, autore della ricognizione, avrebbe avuto un ruolo centrale nella preparazione dell’offensiva. A parte, Willisen si rivolse a Krafft e commentò: “Eccellenza, quando Lei era alla fine del suo discorso, mi sono venute in mente le parole dirette da Frundsberg a Lutero alla dieta di Spira: ‘Oh, monachino, oggi hai proprio fatto un passo difficile!’”82 In realtà la dieta era quella di Worms del 1521, e le parole del capo dei lanzichenecchi suonavano piuttosto qualcosa come “Monachino, monachino, ti sei messo su una strada difficile!”. Ma sia come sia, i due luterani s’intendevano, e il significato della citazione era lo stesso, che si riferisse alla strada già percorsa o a quella ancora da fare83...


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