Canto XI Purgatorio PDF

Title Canto XI Purgatorio
Author Anonymous User
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Milano
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Canto XI Purgatorio. 20/21...


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Canto XI del Purgatorio Argomento del Canto Ancora nella I Cornice. I superbi recitano il Pater noster. Virgilio chiede dove sia l'accesso alla Cornice successiva. Incontro con Omberto Aldobrandeschi. Colloquio con Oderisi da Gubbio. Oderisi indica l'anima di Provenzan Salvani e predice l'esilio a Dante. È la mattina di lunedì 11 aprile (o 28 marzo) del 1300, alle undici. I superbi recitano il Pater Noster (1-30) Dante, appena entrato nella I Cornice, sente i superbi che recitano il Pater noster : essi invocano il Padre che è nei cieli; ogni creatura deve lodare il suo nome, la sua potenza e lo Spirito Santo. I superbi invocano la pace, che essi non possono ottenere senza l'aiuto della grazia; gli uomini devono sacrificare la loro volontà a Dio, come fanno gli angeli. Chiedono al Padre la manna quotidiana, senza la quale si torna indietro quanto più si cerca di avanzare; perdonando il male subìto, pregano affinché Dio perdoni i loro peccati. Chiedono al Padre di non mettere la loro virtù alla prova con la tentazione diabolica, ma di liberarli da essa: quest'ultima preghiera non è per i penitenti, ma per i vivi che sono rimasti sulla Terra. Le anime recitano la preghiera, camminando piegate sotto i pesanti massi, mentre procedono più o meno curve in tondo lungo la Cornice, purificandosi dai mali del mondo. Ammonimento ai vivi. Virgilio chiede per dove si possa salire (31-45) Se le anime del Purgatorio sono sempre pronte a pregare per i vivi, anche questi devono fare qualcosa per i morti, ovvero pregare a loro volta per aiutarli a purificarsi dei peccati e salire in Paradiso. Virgilio si rivolge poi ai penitenti, augurando loro di riuscire a liberarsi dei peccati prima possibile, e chiedendo di indicar loro da quale parte si trovi la scala che conduce alla Cornice successiva. Se c'è più di un varco, aggiunge, gli mostrino quello che sale in modo meno ripido, poiché Dante è ancora in possesso del corpo mortale e quindi è più lento a salire, benché ciò sia in contrasto con la sua volontà. Incontro con Omberto Aldobrandeschi (46-72) Una delle anime risponde a Virgilio, anche se Dante non può vedere chi stia parlando, e dice che l'accesso percorribile da una persona viva è a destra, per cui i due poeti devono seguirli. Il penitente aggiunge che se il macigno che porta sulle spalle e punisce la sua superbia non lo costringesse a tenere il viso basso, alzerebbe gli occhi e guarderebbe Dante per capire se lo conosce e renderlo pietoso verso di sé. Egli è stato italiano e figlio di un grande toscano: il padre fu Guglielmo Aldobrandeschi e il suo nobile lignaggio, unito alle grandi opere dei suoi antenati, lo resero in vita così superbo da disprezzare tutti gli uomini e dimenticare che siamo tutti figli della stessa madre. La sua arroganza gli procurò la morte, che avvenne come ben sanno i Senesi e come sanno anche i bambini a Campagnatico. L'anima si presenta infine come Omberto Aldobrandeschi, la cui superbia danneggia i suoi parenti ancora vivi, e che qui in Purgatorio dovrà scontare la pena per tutto il tempo che piacerà a Dio, visto che non lo ha fatto quand'era sulla Terra. Incontro con Oderisi da Gubbio (73-117) Mentre ascolta le parole di Omberto, Dante china la faccia verso il basso e un altro penitente si piega sotto il peso del masso e lo guarda, riconoscendolo e chiamandolo per nome, tenendo a fatica lo sguardo fisso sul poeta. Il poeta fiorentino lo riconosce a sua volta e gli chiede se sia Oderisi, l'onore di Gubbio e il maestro dell'arte della miniatura. Il penitente risponde che sono più apprezzati i codici miniati da Franco Bolognese, col quale deve condividere la gloria di quell'arte; egli non sarebbe stato così pronto ad ammettere la sua inferiorità mentre era in vita, dato il grande desiderio di fama che sempre lo animò. Ora sconta la pena per la sua superbia. Oderisi critica la gloria effimera degli uomini, che è destinata a durare poco se non è seguita da un'età di decadenza: cita l'esempio di Cimabue, superato nella pittura da Giotto, e di Guido Guinizelli, superato nella poesia da Guido Cavalcanti, mentre forse è già nato chi li vincerà entrambi (Dante medesimo).

La fama mondana è solo un alito di vento, che soffia ora da una parte e ora dall'altra, sempre pronto a cambiare nome. Se uno muore da piccolo, non avrà fama più ampia di uno che muore vecchio, prima che siano trascorsi mille anni: questo tempo è brevissimo se paragonato all'eternità, meno di un batter di ciglia rispetto al movimento del Cielo delle Stelle Fisse (360 secoli). L'anima che cammina lentamente davanti a lui ne è un esempio: un tempo era noto in tutta la Toscana, ora a malapena si bisbiglia il suo nome a Siena, di cui pure era signore al tempo della battaglia di Montaperti, quando la rabbia fiorentina fu distrutta. La fama degli uomini è come il colore verde dell'erba, che va e viene ed è cancellato dallo stesso sole che l'ha fatta spuntare dalla terra. Provenzan Salvani (118-142) Dante risponde a Oderisi che le sue parole gli ispirano grande umiltà e abbassano il suo orgoglio, poi chiede chi sia l'anima di cui ha parlato prima. Il miniatore spiega che si tratta di Provenzan Salvani, costretto in questa Cornice perché volle essere signore e padrone di Siena. Dal giorno in cui è morto cammina sotto il peso del masso, scontando la giusta pena per chi osa troppo mentre è in vita. Dante chiede ancora come sia possibile che Provenzano sia già in Purgatorio, dal momento che chi attende a pentirsi in punto di morte deve poi attendere nell'Antipurgatorio tanto tempo quanto visse, a meno che qualcuno non preghi per lui. Oderisi spiega che quando era all'apice della potenza, Provenzano volle riscattare un amico dalla prigionia di Carlo I d'Angiò, quindi andò a chiedere l'elemosina in piazza del Campo, a Siena, umiliandosi di fronte ai suoi concittadini. Fu quel gesto ad ammettere Provenzan Salvani in Purgatorio. Oderisi non aggiunge altro, pur sapendo di parlare in modo oscuro, ma fra poco i concittadini di Dante faranno sì che lui stesso possa provare la stessa esperienza. Interpretazione complessiva Il Canto si apre con la preghiera del Pater noster recitata dai superbi, che rappresenta una sorta di parafrasi e ampliamento rispetto al testo originale, finalizzato ad vitare gli uomini ad essere umili e a non cadere nel peccato di superbia: esso è il più grave, quello che maggiormente rischia di privare l'uomo della salvezza, il che spiega anche perché il poeta vi insista per ben tre Canti. Ogni parola della preghiera è infatti un invito perentorio all'umiltà: gli uomini devono lodare la potenza di Dio, invocare la sua pace alla quale non potrebbero mai arrivare con le loro forze, sacrificare a Dio i loro desideri come fanno gli angeli, chiedere a Lui il cibo quotidiano, perdonare le offese subìte. L'ultima parte della preghiera (il verso Ne nos inducas in tentationem, sed libera nos a malo) non è rivolto dai penitenti a se stessi, visto che essi sono ormai immuni alla tentazione diabolica, ma ai vivi rimasti sulla Terra, per cui essi si mostrano tanto umili da rivolgere ogni pensiero al destino altrui e non al proprio, come fecero invece quand'erano in vita. Dante mostra poi i penitenti della I Cornice (dopo aver ammonito i vivi a pregare a loro volta per le anime del Purgatorio) e ci illustra la loro pena attraverso tre esempi, due dei quali parlano direttamente (Omberto Aldobrandeschi e Oderisi da Gubbio) e il terzo (Provenzan Salvani) è soltanto citato; quest'ultimo personaggio è assai affine a Omberto, dal momento che entrambi morirono violentemente e furono uomini nobili, peccando di superbia proprio a causa della loro attività politica. Omberto riconosce apertamente la propria arroganza in vita, che derivava dall'appartenere a una nobile famiglia e di avere avuto come padre un gran Tosco, quel Guglielmo Aldobrandeschi che fu aspro nemico dei senesi come lo fu anche il figlio. Omberto parla della sua cervice... superba, si definisce arrogante e ammette di aver disprezzato tutti gli uomini non pensando alla comune origine, tanto che finì per morire violentemente per mano dei senesi (Dante non scioglie i dubbi sulla sua morte, che potrebbe essere avvenuta in battaglia o per mano di sicari assoldati dai senesi, il che però non cambia la sostanza del suo destino). Anche i suoi parenti sono superbi come lo fu lui sulla Terra, e poiché non ha scontato la pena della sua arroganza in vita deve farlo da morto, per tutto il tempo che piacerà a Dio. Il suo esempio è molto simile a quello di Provenzan Salvani, citato alla fine del Canto da Oderisi per mostrare quanto è effimera la fama terrena: egli è stato signore di Siena, proprio la città rivale di Omberto, e fu tanto presuntuoso da voler essere il padrone assoluto della città. A differenza di Omberto, tuttavia, egli seppe in un'occasione umiliarsi di fronte ai concittadini, chiedendo l'elemosina per riscattare un amico fatto prigioniero da Carlo d'Angiò (forse un Bartolomeo Saracini, catturato dopo la battaglia di Tagliacozzo e per cui fu chiesta l'enorme somma di 10.000 fiorini); quell'opera buona gli ha permesso di non sostare

nell'Antipurgatorio, come avrebbe dovuto fare tra i morti di morte violenta, ma di accedere subito alla I Cornice. Tra i due esempi di superbia in campo politico è posto quello di superbia artistica, rappresentato dal miniatore Oderisi da Gubbio che Dante conobbe forse a Bologna, e che infatti riconosce e apostrofa per primo il poeta (lui, a differenza di Omberto, può guardare Dante, quindi è meno curvo del suo compagno di pena). Attraverso Oderisi Dante fa un importante discorso relativo all'arte e alla poesia, che si collega a quello iniziato nel Canto X e che avrà un corollario nel Canto XII, con gli esempi di superbia punita: il miniatore respinge infatti il titolo di onor di quell'arte / che alluminar chiamata è in Parisi , riconoscendo umilmente la superiorità di Franco Bolognese che in vita fu suo concorrente. Oderisi dichiara che la fama mondana in campo artistico è effimera, poiché ogni artista è destinato ad essere superato da qualcuno che viene dopo, come è successo a lui (sopravanzato da Franco), a Cimabue (superato nella pittura da Giotto) e a Guinizelli (vinto da Cavalcanti, ed entrambi saranno superati da un terzo poeta che è concordemente interpretato come Dante stesso). Oderisi intende dire che in campo artistico la fama non è infinita e chi oggi viene celebrato come maggiore esponente di una scuola o di una corrente verrà presto surclassato da qualcun altro che farà dimenticare il suo nome, e così via; la vita umana è poca cosa rispetto alla dimensione dell'eterno, quindi meglio farebbero gli uomini a preoccuparsi della loro salvezza spirituale anziché a come saranno ricordati sulla Terra, perché presto o tardi il loro nome verrà dimenticato (e l'esempio di Provenzan Salvani, che Oderisi indica allusivamente a Dante, dimostra proprio questo: un tempo era famosissimo, ora a malapena si ricordano di lui a Siena). È sembrato strano che nel Canto dedicato alla superbia Dante citi indirettamente se stesso come colui destinato a vincere poeticamente i due Guido, ma in realtà ciò è coerente con il discorso di Oderisi: Dante vuol dire probabilmente che anche lui, come esponente dello Stilnovo, sarà a sua volta superato da qualcun altro, senza contare che all'epoca della Commedia la fase poetica stilnovista era per lui definitivamente chiusa. Dante è ora l'autore di un poema sacro al quale collaborano Cielo e Terra, dal momento che lui mette a disposizione la sua maestria poetica per dare forma alla visione cui è stato ammesso per un eccezionale privilegio, per un'altissima missione di cui la volontà divina lo ha investito. Dante è autore «ispirato» e componendo il poema può ben aspettarsi la fama eterna, ma ciò non deriva esclusivamente dai suoi meriti di scrittore: nel Paradiso ribadirà a più riprese di essere incapace di descrivere l'altezza delle cose vedute, ammettendo continuamente l'inadeguatezza della sua poesia e dei suoi strumenti retorici e invocando l'assistenza divina, senza la quale la composizione di quest'opera è impossibile. Viste le cose in quest'ottica è evidente che l'autocoscienza poetica di Dante si spiega perfettamente nel poema, così come l'orgoglio di chi percorre una strada mai compiuta prima di allora, senza che ciò contrasti con l'appello all'umiltà che caratterizza il Canto dei superbi; del resto alla fine dell'episodio Oderisi profetizza velatamente a Dante l'esilio, che lo costringerà a sperimentare la stessa umiliazione di Provenzano nel chiedere aiuto ai potenti, e Dante stesso nel Canto XIII dichiarerà a Sapìa di temere assai più la pena della I Cornice, ammettendo sinceramente la propria superbia intellettuale e politica....


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