Purgatorio - Canto II PDF

Title Purgatorio - Canto II
Author Tinotina ..
Course Critica Dantesca
Institution Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
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Introduzione al Canto II Luogo: spiaggia della montagna del Purgatorio Tempo: circa le sei del mattino di domenica 10 aprile 1300 (Pasqua)

➢ La perifrasi astronomica iniziale Nel proemio del Purgatorio Dante aveva manifestato il proposito di innalzare lo stile, perché fosse più consono alla nuova materia da trattare («Ma qui la morta poesì resurga, / o sante Muse, poi che vostro sono; / e qui Calїopè alquanto surga», Purgatorio, I, vv. 7-9). L’apertura del II canto è perfettamente corrispondente a questo proposito: l’articolata perifrasi astronomica, che occupa le prime tre terzine, è paragonabile a un’overture maestosa e solenne; segna un innalzamento di tono, di stile, di registro. Secondo le concezioni geografiche e astronomiche del tempo, l’emisfero abitato della terra si estendeva dalle colonne d’Ercole (l’attuale stretto di Gibilterra) alla foce del Gange per 180 gradi di longitudine e la città di Gerusalemme era collocata in mezzo a questi due punti estremi. Dante afferma che il sole era giunto all’orizzonte a Occidente, cioè al tramonto, nell’emisfero in cui il meridiano sovrasta col suo punto più alto Gerusalemme; mentre la notte, che gira intorno alla terra nell’emisfero opposto a quello in cui gira contemporaneamente il sole, sorgeva dal Gange. In altre parole, nella Spagna era mezzogiorno, nell’India mezzanotte, a Gerusalemme l’ora del tramonto. Nel purgatorio è l’alba, in quanto esso si trova al centro dell’emisfero australe ed esattamente agli antipodi di Gerusalemme, dove il sole sta tramontando.

Secondo la concezione tolemaica, il sole girava intorno alla terra, che era immobile. Inoltre, secondo tale concezione, il sole, nel suo moto intorno alla terra, entrava in congiunzione con le costellazioni dello Zodiaco. Nell’equinozio di primavera la notte si trova così in congiunzione con quella della Bilancia, mentre il sole è in quella dell’Ariete; nell’equinozio di autunno (quando la durata della notte supera quella del giorno) la notte esce dalla costellazione delle Bilance (che appunto le cadono di mano) e vi entra il sole. Il riferimento alle Bilance (cioè alla costellazione zodiacale della Bilancia) indica la stagione: in primavera la mezzanotte ha alle spalle (tecnicamente è in congiunzione con) tale costellazione (invece in autunno, quando la notte si allunga, la Bilancia si allontana dalla mezzanotte). In questi sei versi tutto l’universo terrestre e celeste si apre davanti ai nostri occhi, e il sole, la notte, la Bilancia, l’aurora son come vive persone sullo scenario del mondo. Più volte Dante indica il tempo con questo procedimento della fantasia, sempre misurandolo nello spazio, e in forma drammatica. Queste perifrasi, che per noi sono difficili a intendere, ma che basta un minimo soccorso di nozioni astronomiche per decifrare, sono in realtà un elemento essenziale del tessuto narrativo proprio del poema, dove il tempo, l’ora del giorno, non è mai un fatto privato o contingente (e mai è indicato come tale: era sera, era mattina, erano le sei, o le nove), ma sempre un fatto cosmico, che accade cioè nell’intero universo, e visto nella sua complementarità (se qui è sera, là è mattina…), cioè nel suo valore di perenne relatività, come il movimento stesso degli astri sotto lo sguardo di Dio. Questo è il senso di tali figurazioni, che Dante varia di volta in volta, non sempre con la stessa felicità o riuscita, ma sempre con questo profondo valore di richiamo universale, quello stesso per cui il singolo destino dell’uomo è iscritto, nella Commedia, nell’intera storia dell’umanità in cammino verso l’ultimo giorno.

➢ L’angelo nocchiero Lo stilema «Ed ecco» introduce il primo colpo di scena, distogliendo il lettore dal precedente atteggiamento contemplativo. Ritorna una similitudine astronomica (quella con i rossastri vapori di Marte) per dare l’idea di una luce intensa. Il fenomeno luminoso non viene però precisato subito, e la sua approssimativa descrizione va avanti per parecchie terzine. La tecnica di presentazione è quella della zoomata su di un oggetto lontanissimo, che viene progressivamente avvicinato. Nella lontananza l’oggetto stesso non viene colto nei suoi contorni, che restano confusi: si esso si percepisce solo la velocità e il biancore. Il senso della velocità è ribadito anche foneticamente dalla

rima ricca dei versi 17-19, nella quale l’aggettivo “ratto” (=veloce) è contenuto in «ritratto» e dalla rima quasi ricca del verso 21, in cui compare lo stesso aggettivo, seppur spezzato («maggior fatto»). Solo quando sono distinguibili e riconoscibili le bianche ali, Virgilio capisce di chi si tratta e si affretta, premuroso e preoccupato di non far brutte figure, a far inchinare il proprio discepolo in segno di reverenza. Si tratta dell’angelo-nocchiero, che ha il compito di condurre le anime, destinate al secondo regno, dalla foce del Tevere, dove si raccolgono dopo morte, alla spiaggia del purgatorio. Questa immagine richiama, sia per parallelismo che per contrapposizione, quella del traghettatore infernale Caronte. L’angelo ha anche una sua simbologia evidente: il bianco dominante è ovviamente l’allegoria della purezza, le ali dritte verso il cielo indicano la meta del cristiano. Egli appartiene alla sfera dell’assoluto. Quando la creatura celeste si avvicina, Dante è costretto ad abbassare lo sguardo. Il gesto ha un significato allegorico: nello splendore luminoso dell’angelo si riflette quello divino e il pellegrino Dante, all’inizio della sua ascesa purificatrice, non è ancora in grado di sostenere direttamente la visione di Dio, sotto forma di Grazia. Solo al termine del suo cammino, nell’ultimo canto del Paradiso potrà sopportare, seppur per breve tempo, la visione diretta del creatore.

➢ Il canto delle anime Le anime che sbarcano dalla nave dell’angelo sono diverse nell’atteggiamento da quelle traghettate da Caronte: se queste ultime bestemmiano, le prime innalzano un dolcissimo canto all’unisono (“In exitu Istrael de Aegypto”) per sottolineare la coralità, l’armonia che contraddistingue questo secondo regno, in contrasto con l’individualismo rissoso e la disarmonia del primo. Si tratta di un salmo che ha un alo valore allegorico, come ricorda Dante stesso nell’Epistola a Cangrande, nella quale precisa i molteplici significati dell’episodio biblico: •

Letterale: l’uscita dall’Egitto del popolo d’Israele, guidato da Mosè;



Allegorico: la redenzione del genere umano compiuta da Cristo;



Morale: il passaggio dell’anima dalla condizione di peccato a quella di grazia;



Anagogico: la condizione di libertà e santità dell’anima, una volta che abbia abbandonato la corruttibilità terrena per raggiungere la gloria eterna.

Si allude, con questo salmo, al nuovo stato delle anime del purgatorio, che hanno ritrovato la propria libertà. Il canto è un motivo predominante dell’intera seconda cantica: il canto sacro è una delle forme attraverso le quali si loda la divinità e si manifesta solennemente la gioia che da questa lode deriva.

Le anime appena giunte riflettono quella stessa incertezza che abbiano riscontrato nei due poeti per la novità del luogo. Esse sono colte in una dimensione psicologica ancora terrena, che è quella della curiosità e dell’inesperienza. Virgilio, a cui si rivolgono come a un esperto di quel territorio, rivela a sua volta la propria inesperienza e impossibilità a rispondere, che è la stessa, sotto l’aspetto allegorico, della ragione umana ormai insufficiente, da sola, a condurre l’uomo verso Dio senza l’aiuto della grazia. Tale dimensione psicologica sottolinea il loro legame, seppur parziale, con la vita terrena, in quanto il cammino di redenzione è appena agli inizi e i ricordi mondani sono ancora freschi e allettanti. Questo comportamento di naturale curiosità per le novità induce istintivamente alla facile distrazione, che distoglie dai gravi doveri da compiere: si riproduce, nel comportamento in questione, l’instabilità e l’incostanza tutta umana, conseguenza della limitatezza propria di tale natura.

➢ L’incontro con Casella L’episodio di Casella è improntato all’amicizia e all’affetto. Questo incontro è inserito in una dimensione umana e terrena, a cui fa da contrappunto la nuova condizione di Casella. L’avanzarsi spontaneo e inatteso da parte dell’amico e il conseguente tentativo dell’abbraccio, quale concreto gesto di un antico affetto, sono la prima nota umana, che risveglia sentimenti non sopiti di profonda amicizia. La vanità dell’analogo gesto di Dante, che per tre volte (numero sacro e simbolico) ripete l’abbraccio, ribadisce subito il nuovo stato ultraterreno e immateriale dell’amico. Il muoversi dell’uno verso l’altro è la naturale manifestazione motoria di un profondo sentimento di amicizia, è il linguaggio gestuale in cui si concreta il sentimento che, preso il sopravvento sui doveri morali imposti dalla ragione, si traduce anche in una richiesta reciproca di interruzione del cammino, in una sosta che consenta loro un colloqui. Casella era un noto musico e cantore; non ci sono subbi sulla storicità del personaggio: non sappiamo nulla di preciso della sua vita, se non che fu amico di Dante. Le frasi che si scambiano Casella e Dante sono ricche di pronomi personali di prima e seconda persona, a indicare la familiarità, la dimestichezza tra i due, ma anche il ruolo di protagonisti di questo episodio, che lascia sullo sfondo i restanti personaggi, Virgilio compreso. La nuova condizione di anima purgatoriale di Casella ci riporta alla realtà del luogo di purificazione in cui siamo. Attraverso la spiegazione del ritardo con cui egli è giunto sulla spiaggia del monte, viene chiarito il percorso di tutti gli spiriti che si avviano verso la salvezza.

Il ritardo di Casella: un enigma insoluto Dante, incontrando Casella, si stupisce di vederlo sbarcare proprio in quel momento, essendo l’amico morto presumibilmente da più di tre mesi, e gli chiede perché la sua venuta in purgatorio è stata ritardata. Casella non dà una risposta precisa né del tuto convincente: si limita ad affermare che è l’angelo-nocchiero a stabilire chi e quando deve salire sulla barca, tra le anime convenute alla foce del Tevere, e naturalmente tale decisione riflette la volontà divina. Dopodiché aggiunge: «veramente da tre mesi elli [cioè l’angelo] ha tolto / chi ha voluto intrar, con tuta pace»; dunque l’angelo, per effetto del Giubileo indetto da Bonifacio VIII – Giubileo che estende i benefici dell’indulgenza in maniera retroattiva anche per chi, già morto, si trova in attesa alla foce del Tevere – ha fatto salire tutte le anime senza difficoltà. Perché Casella ha dovuto attendere più di tre mesi? Il viaggio non avrebbe potuto certo durare tutto questo tempo, visto che la velocità dell’imbarcazione dell’angelo è tale che «’l muover suo nessun volar pareggia». I commentatori più antichi avanzano l’ipotesi che il ritardo sia dovuto al fatto che Casella si sarebbe pentito solo in punto di morte; secondo altri moderni il cantore avrebbe dovuto attendere per aver troppo amato le cose belle della terra e non avrebbe perciò potuto staccarsene subito; oppure, non essendo tutte le assoluzioni perfette, l’angelo, per certe anime, farebbe sì che attraverso la preghiera e il desiderio si rimediasse a tale imperfezione. L’interpretazione più convincente, anche se non scioglie del tutto l’enigma, è quella secondo qui Dante avrebbe tenuto presente l’episodio virgiliano di Palinuro, il pilota della nave di Enea che, come narrato nel V libro dell’Eneide, addormentato dal dio del sonno, cade in mare senza poter ricevere sepoltura e perciò non fu subito traghettato da Caronte. In altre parole, Dante avrebbe fatto arrivare Casella sull’isola del purgatorio, dopo tre mesi, perché fosse possibile incontrarsi con lui e rievocare affettuosamente la loro amicizia.

➢ Le inside dell’arte Il canto è propalatore di gioia tra i presenti, ma anche di oblio, di dimenticanza di tutto il resto. Ha il potere di cancellare dalla mente ogni altro pensiero, ha la capacità miracolosa di rasserenare l’animo ma anche di distoglierlo dai doveri morali. Ci si bea in una condizione che rischia di riportare l’anima a essere incline alle lusinghe terrene dell’arte, al suo potere fascinatorio ma disgiunto da ogni prospettiva religiosa, morale, salvifica.

Questo è il pericolo che l’arte nella sua dimensione umana comporta, laddove non sia volta alla lode di Dio e alla salvezza dell’anima. Gli spiriti che sono da poco giunti alla montagna del purgatorio, compreso Virgilio nella dimensione allegorica di ragione umana, sono ancora troppo sensibili al fascino dei piacevoli aspetti mondani che hanno da poco lasciato e sono facili prede di quelle attrattive, che fanno volgere loro indietro lo sguardo anziché tenerlo fisso in avanti. Il canto laico intonato da Casella si contrappone poi all’altro religioso, già incontrato, che aveva invece funzione positiva, giacché innalzava il pensiero a Dio attraverso l’affrancamento dell’anima dal peccato; il volgersi indietro alle seduzioni del mondo significa compiere il percorso opposto, rivolgere la propria attenzione verso ciò che distoglie da Dio.

➢ Il rimprovero di Catone Il rapimento estatico che aveva tutti coinvolto è interrotto bruscamente, attraverso il ricorrente stilema «ed ecco», dal rimprovero del «veglio onesto», Catone: egli rappresenta la coscienza morale che riconduce al senso del dovere quelle anime per un momento traviate e distolte, dimentiche della scorza peccaminosa che ancora devono togliersi di dosso. Lo stesso Virgilio è significativamente coinvolto, poiché il ruolo della ragione umana si è indebolito ed essa è sempre più bisognosa dell’aiuto divino. La similitudine dei colombi ha connotazioni francescane, di tenerezza e di timidezza, volte a sottolineare l’ingenuo smarrimento, per cui è sufficiente il vigoroso richiamo di Catone e la sua perentoria esortazione affinché le anime si sciolgano dai pericolosi lacci delle blandizie terrene, per volgersi si nuovo alla meta celeste che sola assicura la beatitudine.

Canto 2 Lo sbarco delle anime purganti. Casella Già era 'l sole a l'orizzonte giunto

Già il sole era giunto a quell’orizzonte il cui meridiano sovrasta

lo cui meridïan cerchio coverchia

(coverchia) Gerusalemme con il proprio zenit (col suo più

Ierusalèm col suo più alto punto;

3

E la notte, che gira (cerchia) in direzione opposta al sole, usciva

e la notte, che opposita a lui cerchia,

dal Gange insieme alla costellazione della Bilancia, che non è più

uscia di Gange fuor con le Bilance, che le caggion di man quando soverchia;

alto punto);

in sua compagnia (che le cagion di man) quando la durata 6

della notte supera quella del giorno (soverchia)

sì che le bianche e le vermiglie guance,

Così che, là dove io mi trovavo, le guance prima bianche e rosse

là dov’i’ era, de la bella Aurora

(vermiglie) della bella Aurora diventavano color arancio

per troppa etate divenivan rance.

9

(rance) col passare del tempo (per troppa etate).

Noi eravam lunghesso mare ancora,

Noi eravamo ancora presso (lunghesso) il mare, come gente

come gente che pensa a suo cammino,

che pensa al cammino da compiere, la quale sente il desiderio di

che va col cuore e col corpo dimora.

12

andare (va col cuore) ma col corpo resta ferma (dimora).

Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,

Ed ecco, come (qual) il pianeta Marte, verso il mattino

per li grossi vapor Marte rosseggia

(sorpreso dal mattino), per i densi (grossi) vapori in cui è

giù nel ponente sovra ’l suol marino,

avvolto rosseggia giù a occidente (ponente) sopra l’orizzonte 15

(suol) marino,

cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia,

così mi apparve una luce, possa ancora rivederla di nuovo (s’io

un lume per lo mar venir sì ratto,

ancor lo veggia), venire così velocemente (sì ratto) sul mare,

che ’l muover suo nessun volar pareggia.

che nessun volo può uguagliare (pareggia) il suo movimento. 18

Come io ebbi un poco staccato (ritratto) l’occhio da quella luce

Dal qual com’io un poco ebbi ritratto

(dal qual) per chiedere chiarimenti alla mia guida, la rividi

l’occhio per domandar lo duca mio, rividil più lucente e maggior fatto.

subito dopo divenuta splendente e più grande. 21

Poi d’ogne lato ad esso m’appario

Poi mi apparve (m’appario) qualcosa di bianco da ambedue i

un non sapeva che bianco, e di sotto

lati di essa e progressivamente (a poco a poco) anche nella

a poco a poco un altro a lui uscìo.

24

parte inferiore (di sotto…un altro a lui uscìo).

Lo mio maestro ancor non facea motto,

Il mio maestro non parlava (facea motto) ancora, finché

mentre che i primi bianchi apparver ali;

(mentre che) le prime due macchie di bianco apparvero come

allor che ben conobbe il galeotto,

27

gridò: “Inginocchiati, inginocchiati (Fa, fa che le ginocchia

gridò: "Fa, fa che le ginocchia cali.

cali). Ecco l’angelo di Dio: congiungi le mani in atto di

Ecco l’angel di Dio: piega le mani; omai vedrai di sì fatti officiali.

ali; quando riconobbe distintamente il nocchiero (galeotto),

preghiera; d’ora in poi (ormai) di abituerai a vedere simili 30

ministri di Dio (sì fatti officiali).

Vedi che sdegna li argomenti umani,

Vedi come fa a meno di (sdegna) mezzi (argomenti) umani,

sì che remo non vuol, né altro velo

così che non si serve di (vuol) remo, né di altra vela (velo) se

che l’ali sue, tra liti sì lontani.

33

Vedi come le ha drizzate (dritte) verso il cielo, attraversando

Vedi come l’ ha dritte verso ’l cielo,

(trattando) l’aria con le penne eterne, che non sono sottoposte

trattando l’aere con l’etterne penne, che non si mutan come mortal pelo".

alla muta come quelle degli uccelli terreni (come mortal 36

pelo). Poi, man mano che (come) l’angelo di Dio (l’uccel divino) si

Poi, come più e più verso noi venne

avvicinava sempre di più a noi, appariva più luminoso (chiaro):

l’uccel divino, più chiaro appariva: per che l’occhio da presso nol sostenne,

non delle sue ali, tra lidi così lontani tra loro.

per la qua cosa (per che) gli occhi da vicino non riuscirono a 39

sostenerne la vista (nel sostenne),

ma chinail giuso; e quei sen venne a riva

ma fui costretti ad abbassarli (chinail giuso = li chinai giù); e

con un vasello snelletto e leggero,

l’angelo (quei) se ne venne a riva con una navicella (vasello)

tanto che l’acqua nulla ne ’nghiottiva.

42

veloce e leggera, tanto che l’acqua non inghiottiva alcuna parte (nulla) della barca.

Da poppa stava il celestial nocchiero,

Il timoniere divino (celestial nocchiero) stava a poppa, ed era

tal che faria beato pur descripto;

in atteggiamento tale che anche al sol descriverlo (pur

e più di cento spirti entro sediero.

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descripto), senza vederlo, renderebbe (faria=farebbe) beato ognuno e dento stavano seduti (sediero) molti spiriti. Tutti gli spiriti cantavano all’unisono (ad una voce): “In exitu

“In exitu Isräel de Aegypto”

Istrael de Aegypto” con quello che segue di quel salmo.

cantavan tutti insieme ad una voce con quanto di quel salmo è poscia scripto.

48

Poi fece il ...


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