Capitolo 16 - Riassunto Psicologia dell\' invecchiamento e della longevità PDF

Title Capitolo 16 - Riassunto Psicologia dell\' invecchiamento e della longevità
Author eloisia de pasquale
Course Psicologia dell'Invecchiamento
Institution Università degli Studi di Padova
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riassunti del libro di psicologia dell'invecchiamento ...


Description

CAPITOLO 16: IL CAREGIVING NELL’INVECCHIAMENTO E NELLA MALATTIA DI ALZHEIMER L’aumento della durata di vita media ha portato a un corrispettivo incremento di patologie degenerative tipiche della vecchiaia, tra cui le demenze, nonché per l’elevato numero di anziano non autosufficienti a molti problemi legati all’assistenza. La famiglia costituisce un importante risorsa. Il caregiving informale per gli anziani è un tema molto attuale sia per chi si occupa di politiche sociali e sanitarie sia per la letteratura scientifica. 1. “Caregiving” informale e “caregiver burden” I Caregivers si distinguono formali, adeguatamente formati che operano professionalmente e hanno un ruolo pubblico, e informali, per lo più familiari che forniscono assistenza a persone con difficoltà cognitive, fisiche ed emotive e agiscono in un ambiente privato (non sono ricompensati finanziariamente) . Questo tipo di assistenza copre il 90% delle necessità domiciliari degli adulti. Il caregiving può essere considerato un capitale sociale. I caregivers dedicano mediamente 6 ore al giorno all’assistenza diretta (cure igieniche, alimentazione, farmaci) mentre altre 7 sono dedicate alla sorveglianza del malato. Proprio a causa di questa esposizione prolungata sono soggetti a stress cronici. Caregiver burden: è il grado in cui la salute fisica e psichica, la vita sociale e o status economico del cargiver entrano in uno stato di sofferenza a causa dell’attività di cura. Questa definizione emerge da strumenti che hanno permesso di misurare il burden (carico) dei caregiver. Uno degli strumenti è il Caregiver Burden Inventory di Novak e Guest, costituito da 5 sottoscale che suddividono in carico del caregiver in: carico di tempo, evolutivo, fisico, sociale ed emotivo. (costrutto multidimensionale) La percezione di burden si ha anche in chi ha il familiare istituzionalizzato. 2. L’attività di caregiving porta a: • Problemi di salute fisica: l’esposizione a fattori di stress cronici porta a problemi di salute fisici, al mettere in atto stili di vita e abitudini negative che portano a un alteramento del funzionamento cognitivo. • Problemi psicologici: è stato dimostrato più volte che i caregivers mostrano maggiori sintomi depressivi rispetto alla popolazione generale • Problemi a livello del funzionamento cognitivo: i caregivers mostrano difficoltà a riconoscere i vocaboli e un peggioramento del pensiero astratto “Caregiving” e salute fisica Il caregiving ha un impatto sui valori fisiologici del caregiver con conseguenti esiti patologici. Lo stato di salute fisica si collega al burden che a sua volta è correlato a un più alto rischio di mortalità. I vari studi sono arrivati a delle conclusioni sul modo in cui il caregiving produce effetti negativi sulla salute: - aumenta l’ormone dello stress  controllo inefficiente delle risposte fisiologiche dopo un’attivazione ripetuta. - lo stress porta a comportamenti rischiosi per la salute come una dieta povera, uno stile di vita sedentario e abuso di sostanze patologiche. - disturbi del sonno del malato (questi spesso fanno optare per un’istituzionalizzazione a causa dell’impatto psicofisico sul caregiver). “Caregiving” e benessere psicologico i cargiver hanno punteggi peggiori dei non caregivers rispetto a diversi indicatori di benessere psicologico. Sono più stressati, depressi, e hanno livelli più basso sia di benessere soggettivo che di self-efficacy. Maggiori sintomi depressivi rispetto alla popolazione generale, tuttavia sembra che l’effetto non sia diretto ma mediato da fattori di diversa natura. Inoltre sembra che il benessere psicologico del C sia legato principalmente a elementi che hanno a che fare con la relazione con l’assistito, la sintomatologia che quest’ultimo presenta e aspetti relativi all’assistenza fornita. “Caregiving” e funzionamento cognitivo i caregivers mostrano livelli inferiori sia di attenzione complessiva che di velocità di elaborazione delle informazioni. Il declino è influenzato anche da stress e da fattori psicofisiologici.

Per valutare il livello cognitivo è stata utilizzata la Shipley Institute of living Scale (SILS) suddivisa in due sottoscale: - VIQ riconoscimento vocaboli - AR ragionamento astratto (significativo peggioramento di questa scala per i caregivers) I cargivers presentano più alti livelli di ansia, vital exhaustion e depressione e punteggi inferiori alle prove cognitive. Lo stress di tipo cronico porta a decrementi in memoria, velocità percettiva e attenzione. La bassa performance sulla memoria verbale è correlata all’aumento dei problemi comportamentali, soprattutto all’iper-attività, del care-recipient. La ragione di questo dato potrebbe risiedere nel fatto che i caregivers con problemi di memoria utilizzano strategie di caring meno efficaci. Le strategie utilizzate sono connesse alle capacità cognitive del caregiver che deve gestire sia i propri bisogni sia quelli del carerecipient. Inoltre la bassa performance nella memoria ha profonde implicazioni personali poiché è associata anche al decremento della competenza percepita del caregiver stesso. Gli aspetti che più peggiorano all’aumentare dello stress sono velocità di elaborazione e memoria. 3. DISAGIO DEL CARGIVER E LA PATOLOGIA DELL’ASSISTITO L’aumento delle responsabilità può condurre alla fatica cronica e al declino nella qualità delle cure. Hanno un ruolo importante anche le caratteristiche psicologiche del caregiver (depressione, ansia, ipervigilanza notturna) perché sono fattori che possono portare allo sviluppo di un suo disturbo del sonno. Inoltre maggior consapevolezza ha il malato delle proprie condizioni, maggiore è l’effetto negativo sulla salute di chi lo assiste. 4. CAREGIVING STRESS E SALUTE: MODELLI TEORICI Gli stressor del caregiver possono essere: -primari (deterioramento cognitivo del malato, comportamenti problematici, ore spese a fornire assistenza, porsi come intermediario tra malato e strutture sanitarie) e – secondari, legati ai cambiamenti nella relazione tra malato e caregiver e ai conflitti interpersonali che sorgono tra caregivers familiari principali e altri membri della famiglia. Tra quelli primari uno dei più forti predittori del burden e sintomi depressivi è costituito dai problemi comportamentali del care-recipient. Il caregiving è uno stressor mutevole che si sviluppa e cambia al cambiare delle condizioni e delle circostanze. Per definire in che modo gli stressor agiscono sulla salute del caregiver Vitaliano, Zhag e Scanlan (2013) hanno proposto un modello teorico di riferimento in grado di mettere in relazione i fattori di stress dei caregivers, il disagio psicosociale, le abitudini rischiose per il benessere fisico e gli indicatori fisiologici con i conseguenti problemi di salute. Il modello include differenze individuali come la vulnerabilità e le risorse; mentre le prime si riferiscono a caratteristiche stabili come età, genere, etnia, temperamento e storia familiare, le risorse sono caratteristiche mutabili e soggette alle interazioni della persona con l’ambiente. Secondo questo modello gli effetti principali dell’esposizione allo stress, delle vulnerabilità e delle risorse sono direttamente associati al disagio psicosociale e agli stili di vita rischiosi per la salute. Il punto più difficile da capire è quali siano, specificamente, le differenti risorse e quali i fattori di vulnerabilità che mediano il rapporto stress e conseguenze sulla salute; questo aspetto è cruciale per interventi di natura psicologica. 5. I MEDIATORI TRA IL CAREGIVING E LE CONSEGUENZE SULLA SALUTE I mediatori tre i caregiving e le conseguenze sulla salute sono di due tipi:

• Variabili sociodemografiche: il genere, l’età, il grado di parentela, la scolarità e l’etnia • Fattori individuali: caratteristiche personologiche, stili di coping e self-efficacy In Italia il caregiving è svolto prevalentemente da donne tra i 46 e i 60 anni che per la maggior parte sono figli dei malati. Le figlie sono le più attive, ma l’essere donna è un fattore di rischio maggiore per la vulnerabilità allo stress (riportano con più frequenza burnout e utilizzano maggiormente strategie di coping basate sull’emozione rispetto agli uomini). Per quanto riguarda l’età, i giovani mostrano maggiore loss of self. Per quanto riguarda il grado di parentela è stato dimostrato che i caregivers coniugi riportano livelli di burden superiori rispetto ai caregivers figli. Un elevato livello di scolarità porta a un basso livello di burden. Caregivers di etnia caucasica mostrano livelli più bassi di burden rispetto a quelli di etnia afroamericana. La cultura comporta delle diversità sia rispetto ai valori, sia rispetto ai vissuti  strumenti valutativi standardizzati su target culturalmente specifici. La personalità: Fattore di rischio NEVROTICISMO Particolarmente reattivi al cambiamento giornaliero. Molto sensibili a fluttuazioni del benessere riportato in rapporto alle richieste poste loro e ai cambiamenti che possono avvenire da un giorno all’altro. Meno flessibili al cambiamento.

Fattori protettivi ESTROVERSIONE COSCIENZIOSITA’ Caregiver con alti livelli di Essere organizzati, buoni estroversione oltre che a godere pianificatori e lavorare duro permette di attenuare l’impatto di un un maggior benessere in generale, sono anche più flessibili negativo del caregiving. e capaci di richiedere sostegno Al contrario essere disorganizzati sociale quando ne hanno bisogno può esacerbare gli aspetti e di mantenere spazi di vita negativi. propri e attività piacevoli.

Self-efficacy, mastery, resilience. 1. Autoefficacia (self-efficacy): si riferisce alla percezione di riuscire ad agire efficacemente nei diversi compiti a cui sono tipicamente chiamati i caregivers per poter aiutare i propri familiari. A parità di gravità del pz o di età del caregiver, la rilevanza della sintomatologia depressiva presentata da quest’ultimo dipende dal suo livello di autoefficacia. Gli interventi sui caregivers mirati a ridurre burdene sintomi depressivi non possono prescindere da trattamenti e programmi volti sia a incrementale la self-efficacy sia a diminuire la sintomatologia depressiva. 2. Resilience: resistenza allo stress. Uno studio longitudinale ha indagato le differenze individuali sulla capacità di tollerare le richieste dell’assistito e sulle reazioni successive alla sua morte. I caregiver meno resilienti erano coloro i quali avevano maggior possibilità di istituzionalizzare il familiare. Al contrario, chi aveva livelli di resilience mostravano maggiori capacità di gestione e di adattamento continuo alle richieste di cura, nonché maggior fiducia e sicurezza circa le proprie competenze rispetto alla cura del malato in casa. 3. Sense of mastery: “senso di padronanza”. Mostra somiglianze con i concetti di autoefficacia e locus of control: come l’autoefficacia di riferisce all0dea dell’individuo di poter ottenere un risultato, ma il mastery non è riferito a un compito specifico bensì ad una percezione di competenza globale. Inoltre a differenza del locus of control con contempla la distinzione tra origi del controllo interne o esterne. Questa risorsa tende a diminuire con l’età e con l’aumentare degli anni di caregiving. Stili di coping. Il coping è stato concettualizzato come la risposta a situazioni specifiche e stressanti. Lazarus e Folkman hanno definito le strategie di coping come pensieri e azioni reali e flessibili che risolvono problemi e così facendo riducono lo stress, affermando che i processi di coping possono essere divisi in due gruppi: • Strategie centrate sul problema: cambiando o gestendo la situazione in modo attivo; • Strategie centrate sull’emozione: basate sull’impiego di specifici pensieri volti a ridurre l’impatto emotivo delle situazioni stressanti. I caregivers utilizzano soluzioni che le comprendono entrambe. Nelle prime fasi della malatia evitamento e negazione sono efficaci, ma lo sono meno quando la malattia si aggrava.

Alti livelli di burden sono associati spesso a strategie basate sull’emozione, anche se la spiritualità è tipica di quei caregiver che hanno un buon livello di adattamento. Non vi è però un generale consenso su quale strategia di coping sia migliore per mantenere una buona salute mentale. Burnout: condizione che emerge quando una persona raggiunge uno stato di esaurimento fisico, emotivo e mentale dovuto a uno sforzo o a una tensione prolungati nel tempo, ovvero di tipo cronico. Fonti di maggior fatica fisica e dolore: - difficoltà di memoria del malato portano alla privazione della comunicazione verbale col proprio familiare rispetto a come faceva un tempo e addirittura non essere riconosciuto da lui. - cambiamenti comportamentali mettono il caregiver di fronte ad una situazione critica da gestire. - l’esperienza stessa del nuovo ruolo, senza averlo chiesto o previsto. I caregiver con alto burnout privilegiano strategie basate sull’emozione che hanno lo scopo di affrontare le situazioni attraverso i sentimenti: speranza, stoicismo, affiliazione, autoaccusa, accettazione. Il gruppo con più basso burnout utilizza maggiormente strategie incentrate sul problema. Le strategie di coping costituiscono un fattore molto importante nella promozione del benessere tanto che tra gli interventi psicologici mirati su questa popolazione, il favorire e l’insegnare le strategie più opportune permette di incrementare la salute psicologica del cargiver anche di fronte alla perdita dell’assistito. Sostegno sociale e sostegno sociale percepito. •



Il sostegno sociale corrisponde alla possibilità che l’individuo ha di accedere a diversi tipi di risorse attraverso gli altri individui e la comunità di cui fa parte. Si declina in diverse funzioni sostegno emotivo, strumentale e informativo e ha un effetto diretto sul benessere. È un fattore di protezione per lo stress e per gli eventi di vita stressanti. Il sostegno sociale percepito appartiene alla “macrocategoria” delle variabili soggettive ed è considerato un’importante risorsa per fronteggiare gli stressor derivanti dall’attività di caregiving tanto da essere oggetto di programmi di intervento volti a favorire il benessere psicofisico dei caregivers.

Ciò che influenza maggiormente la qualità di vita del caregiver non è la dimensione della rete sociale ma il livello soggettivo di soddisfazione di tale rete. Interventi per ridurre il caregiver burden. •

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Ricordare al caregiver che è inserito in un gruppo di cura. Spesso i caregiver primari si isolano e òa rete di supporto assistenziale è di difficile attivazione e spesso si interrompe. Un buon consulente deve cercare di mantenere una buona connessione con i vari nodi dell’assistenza. Incoraggiare il caregiver a prendersi cura di sé stesso e della propria salute. Fornire adeguate informazioni e competenze. Invitare a usufruire dei servizi presenti sul territorio e informare su quali sono (Sapad, Centri Diurni, caffè Alzheimer ecc.). Facilitare l’accesso alle tecnologie. Incoraggiare l’accesso ai programmi di sostegno. Il caregiver deve capire che non si tratta di un sottrarsi alle proprie responsabilità o di abbandoni temporanei, bensì di programmi capaci di fornirgli quel minimo di sollievo necessario....


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