\"De Interpretatione\" - Aristotele PDF

Title \"De Interpretatione\" - Aristotele
Course Storia della filosofia antica
Institution Università degli Studi di Catania
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Riassunto completo del libro, edizione BUR...


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“De Interpretatione” – Aristotele I.

POSIZIONE DEL “DE INTERPRETATIONE” NELL’ORGANON

All’interno dell’Organon, il De Interpretatione, secondo la maggior parte degli studiosi si inserisce prima degli Analitici portando a compimento le indagini iniziate nei Topici e nelle Categorie  teoria accettata da Gohlke e Bochenski secondo i quali l’opera era priva di sillogistica e di simbolismo logico. Sainati compie una svolta: accusa Gohlke di aver posticipato la dialettica dei Topici alla logica delle Categorie e dello stesso De Interpretatione, mentre di Bochenski rifiuta l’ipotesi dell’inautenticità delle idee. Dunque secondo S. il De Intepretatione costituirebbe il momento conclusivo di un discorso che aveva le sue radici già nella topica più antica e nelle assunzioni delle Categorie. II.

CAPISALDI DELLA DOTTRINA

1. La natura logico-linguistica della ricerca

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All’interno della materia trattata vi è la teoria dell’enunciazione di cui Aristotele chiarisce i suoi elementi costitutivi, cioè il nome e il verbo, e il genere di cui è la specie più importante, il discorso. A. si interessa della teoria logica del linguaggio ovvero studia le verità logiche e i valori di verità sussistenti tra le parole; la genesi dei segni linguistici e il loro rapporto con i contenuti psicologici aiutano a delineare solo la definizione del valore logico del linguaggio Nome e verbo sono suoni vocali e in quanto costituenti del discorso, anche quest’ultimo sarà strutturato tramite suoni. Ai suoni vocali corrisponde la scrittura; questi sono “simboli” di contenuti psicologici e noetici dell’anima dunque spetta alla psicologia indagarne i contenuti mentre alla logica interessa rilevare che sia le cose che le relative immagini sono uguali per tutti invece i suoi vocali che vi rimandano variano da parlante a parlante e da scrivente a scrivente Il loro valore logico consiste nella loro capacità simbolica ovvero nel fatto che sia la voce che la scrittura rimandano all’affezione psichica grazie alla loro capacità di significare (espressa dell’essere simbolo)

2. Il carattere convenzionale del significare - Definire nome e verbo come simboli, significa anche che la loro capacità di significare è per convenzione e non per natura, a cui invece è funzionale l’articolazione della voce - Il carattere strutturale del rapporto tra la simbolicità del nome e del verbo, la sua capacità semantica e l’articolazione della voce si riscontra dal confronto con i suoni degli animali - Questi essendo inarticolati, non possono essere simboli e dunque non indicano nulla per convenzione ma significano per natura - Nei suoni delle bestie non si possono dividere unità foniche primarie ma essi sono costituiti da un’unica voce che può variare per tono, volume o intensità, ma non per la composizione di voci diverse. Ogni specie emette un proprio suono ma ogni abbaiare o ululare è identico

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ad ogni altro abbaiare o ululare, varia soltanto il timbro o il volume o l’intensità  inarticolazione Il suono inarticolato manifesta ad es. nel cane la presenza di uno sconosciuto, ma non piò essere simbolo per significare la cosa quando questa è assente Caratteristica del simbolo è dunque quella di rinviare ad un intero che sussiste solo nell’intenzione del parlante ma che in realtà non si dà. Dunque per essere simboli, è necessario che i suoni vocali significhino qualcosa nella sua assenza quando cioè questa non è presente per provocare la reazione fonica (come appunto succede negli animali) Per fare questo è necessario che suoni diversi indichino cose diverse: la simbolicità del suono si connette costitutivamente con la convenzionalità del significare Affinchè i suoni siano diversi, devono essere costituiti da unità foniche elementari qualitativamente diverse = articolatezza del suono a cui si connette la convenzionalità di significare del simbolo

3. Il nome - “Il nome è una voce capace di significare per convenzione” (2, 16 a 19) e aggiunge due condizioni: a. L’indipendenza dal tempo: uno dei caratteri che distingue il nome dal verbo e che gravita nell’ambito della simbolicità (> specifica una caratteristica costitutiva di una determinazione simbolica) b. L’insignificanza delle parti del nome separatamente prese: es. il suono vocale “topo” rinvia all’affezione del topo presente nell’anima ma la sola sillaba “to” o “po” non realizza tale rinvio dunque non è simbolo, è un mero suono e dunque è insignificante - È proprio sull’insignificanza della parte che A. fa la distinzione fra: a. Nome semplice: la parte non significa nulla b. Nome composto: la parte ha significato solo nello stesso nome composto, “vuole significare, ma non è capace di significare nulla se presa singolarmente” (2, 1 a 25) Es. “kalos” + “ippos” = nome “Callippo” , è quest’ultimo che rinvia all’uomo Callippo, mentre i primi due elementi non rimandano ad una determinazione della persona in questione e dunque non significano nulla Contrariamente in “nave” + “pirata” = “brigantino”, ovvero la nave pirata, le due parti considerate isolatamente come nome semplici non significano nulla, dal momento che quello che significano non ha nulla a che vedere con il brigantino, ma come parti sono significanti perché denotano le caratteristiche della cosa significata - Dunque mentre la parte del nome semplice non riporta a nulla e quindi manca della condizione per essere significante, le parti del nome composto sono simboli di caratteristiche della cosa significata (significano come parti del nome) - Sulla base del riferimento simbolico, A. parla di nomi indefiniti: es. “non uomo”, il suo è un riferimento simbolico indefinito dato che ciò che non è uomo comprende determinazioni che rientrano sia nelle altre specie dello stesso genere (animali) e negli altri generi della medesima categoria alla quale appartiene l’uomo (sostanza), sia in tutte le altre categorie - Dall’ambito dei nomi vengono esclusi le flessioni o casi del nome che sono significanti solo in quanto tali, es “di Filone” o “a Filone”. Con questi tipi di nome non è possibile dare luogo a verità o falsità con “è” o “non è”

4. Il verbo - Anch’esso è un nome nel momento in cui ha un significato concettuale ma a differenza di questo: a. il verbo aggiunge al significato il tempo dunque temporalizza b. predica di qualcosa di diverso da sé (“è segno delle cose che son dette di altro”, 3, 16 b 7), “mangiare” o “camminare” ha senso attribuirli all’uomo che è qualcosa di diverso - Il predicarsi definisce una relazione di appartenenza e comprende: a. Predicazione infracategoriale o “dirsi di un soggetto” (< Categorie) b. Predicazione intercategoriale o “essere in un soggetto” - Il verbo dunque è “segno delle cose che appartengono” (3, 16 b 10) ovvero è una voce che rinvia simbolicamente ad una determinazione e per questo è significante, ma al tempo stesso rinvia ad una determinazione che appartiene ad altro - Il verbo temporalizza proprio il momento in cui la determinazione appartiene ad altro in un dato tempo ma non la significa come effettivamente appartenente, ossia nella sua relazione di appartenenza, bensì come determinazione che deve appartenere - Nell’appartenere ad una cosa, la determinazione, da significanza diventa esistente. Se dunque il verbo non indica anche l’esistenza della determinazione stessa, tale esistenza è garantita dall’”è” poiché questo consente la connessione del verbo col nome la quale indica l’esistenza della determinazione. - Il verbo essere oltre ad essere copula, assume anche la funzione esistenziale (es. “Socrate è malato” = “esiste Socrate malato”); essere non è segno della cosa ma “significa in più una certa congiunzione” (3, 16 b 23-24) - A. attua altre due puntualizzazioni in merito all’analogia del verbo col nome: a. “non sta bene” o “non è malato” sono verbi indefiniti poiché in essi comprendono sia tutte le determinazioni rientranti nelle altre specie e negli altri generi della medesima categoria a cui appartengono “sta bene” e “è malato”, sia tutte quelle che cadono sotto tutte le altre categorie b. Il tempo che il verbo aggiunge al significato è quello presente, mentre le voci che esprimono gli altri tempi sono flessioni del verbo 5. Il discorso - È costituito dal nome e dal verbo e A. lo definisce come “voce capace di significare”. Le sue parti separatamente sono capaci di significare come locuzioni e non come affermazioni o negazioni - La significanza è per convenzione cui si contrappone la significanza al modo di uno strumento che assume qui il significato di un mezzo che la natura ha messo a disposizione per dire che cosa sono gli oggetti - A. polemizza contro Platone nel cui Cratilo affermava la connessione tra la significanza per natura e la significanza al modo di uno strumento, precisando inoltre che il nome è lo strumento naturale atto a nominare le cose; il primo invece nega che la significanza (condizione essenziale per ogni discorso) sia al modo di uno strumento e ribadisce che la significanza è per convenzione - Ma A. indirizza la sua indagine sull’enunciazione ossia la specie del discorso che ha come sua prerogativa l’essere vero o falso. Già trattato nell’analisi della filosofia prima o metafisica come significato dell’essere insieme agli altri significati di sostanza e categorie, di potenza e atto e di

accidente, A. lo emargina per configurarlo come un’affezione della mente giacchè il vero e il falso esistono solo nella nostra mente

6. L’enunciazione e la sua unità - Il discorso enunciativo può essere: 1. Unitario; a sua volta si divide in due specie: a. E. semplice: esprimente una sola cosa o “una sola cosa detta di una sola cosa”; di questo tipo fanno parte:  Affermazione: consiste nell’“attribuire qualcosa a qualcosa” > “è” (è prioritaria rispetto alla negazione perché quest’ultima è nota grazie all’affermazione)  Negazione: consiste nel “sottrarre qualcosa da qualcosa” > “non è” Non sono ulteriormente scomponibili in altre enunciazioni, potendolo essere solo nei loro termini che sono definiti locuzioni b. E. composta: “molte cose dette di molte cose” cioè è propria del composto ed è dovuta al fatto che le singole enunciazioni semplici sono collegate tra loro tramite collegamento o “sundesmoi” così da avere una parvenza di unità 2. Molteplice: discorso enunciativo composto privo di collegamenti e congiunzioni, come “Socrate cammina, Isidoro canta, Alcibiade cavalca” > mancando di “sundesmoi”, esso manca dei requisiti dell’unitarietà e dunque corrisponde a più enunciazioni, “significa molte cose”. Ciò succede quando o il soggetto o il predicato sono omonimi cioè designano cose diverse per definizione (es. “drappo” = uomo o cavallo; “il drappo è bianco” = “l’uomo è bianco” o “il cavallo è bianco”) - Mentre nei capitoli 5° e 8° A. attenzionava l’enunciazione precisando che essa è unitaria se i suoi termini significano una cosa sola, nel capitolo 11° l’attenzione si fissa sui termini dell’enunciazione o meglio sulle determinazioni predicate: quando (a) una determinazione è affermata o negata di più cose, o (b) più determinazioni sono affermate o negate di una sola cosa, l’enunciazione corrispondente è unitaria solo se (a) quelle cose molteplici si fondono assieme in un’unica cosa > l’universale che secondo A. è “ciò che per natura si predica di più cose”, (b) dette determinazioni configurano una cosa sola - Quando invece queste condizioni non si verificano ma (a) le cose non costituiscono un’unità, oppure (b) un’unica cosa si dice di molte cose che però non si fondono in un’unica nozione, l’enunciazione è molteplice - La predicazione di una determinazione a più cose dà luogo a: 1. Un’enunciazione unitaria se di tutte si predica essenzialmente 2. Enunciazioni molteplici se vi si predica: a. Omonimamente: predicazione di due determinazioni accomunate dal solo fatto di essere designate con un medesimo nome b. Accidentalmente: questa circostanza prescinde dal fatto che le cose di cui la determinazione è predicata appartengano ad un medesimo genere categoriale o a più generi categoriali diversi; es. “bianco” e “musico” si dicono accidentalmente dell’uomo > “l’uomo è musico bianco” = “l’uomo è bianco” e “l’uomo è musico”

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Il predicato non è unitario nemmeno se le determinazioni si predicano accidentalmente l’una dell’altra: ciò che in esse viene predicato, viene predicato di una determinazione sostanziale a cui quella accidentale è unita. Es. “l’uomo è calzolaio buono” è un’enunciazione molteplice > “l’uomo è calzolaio” e “l’uomo è buono”, solo accidentalmente “buono” si dice di “calzolaio” e non “per sé” Più determinazioni non danno luogo ad una connessione unitaria neanche se contenute l’una nell’altra, come “bipede” e “animale” lo sono in “uomo”. Sarebbe inutile dire “uomo animale” o “uomo bipede” perché ripeterei la medesima determinazione

7. L’opposizione tra le enunciazioni A. procede in due momenti: a. Concetto di opposizione: consiste nell’affermazione e nella negazione della medesima cosa intorno alla medesima cosa - Affermare vuol dire “attribuire” qualcosa a qualcosa e quindi dichiarare alcunchè come sussistente, e negare vuol dire “sottrarre” qualcosa da qualcosa e quindi dichiararlo come non sussistente - Si può dichiarare sussistente sia ciò che è sussistente sia ciò che non lo è, e si può dichiarare non sussistente sia ciò che non è e sia ciò che è = possibilità di negare sempre ciò che si è affermato e di affermare ciò che si è negato - L’affermazione e la negazione danno luogo alla contraddizione ed in essa consiste l’opposizione - A. dimostra poi che di una sola affermazione vi è una sola negazione poiché bisogna negare lo stesso soggetto che precedentemente era stato affermato

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b. I differenti tipi di opposizione tra le enunciazioni 1. La quantificazione delle enunciazioni Precisare le quantità delle enunciazioni permette ad A. di definire i diversi tipi di opposizione di cui indica le caratteristiche proprie Un termine può denotare o un individuo o una molteplicità di individui aventi in comune un carattere ossia un universale; questo può essere assunto: o in forma universale: in tutta la sua estensione in modo che con il termine si indicano tutte le determinazioni di cui si dice (“tutti gli uomini” o “ogni uomo” indica tutti gli individui della classe uomo) o nessuna di tali determinazioni (“nessun uomo” denota la totalità della classe uomo) > i quantificatori universali sono “tutti” o “ogni” e “nessuno” o in forma non universale: per una parte soltanto della sua estensione in modo che con il termine si indica solo un certo numero di determinazioni delle quali si dice (“uomo” denota una parte degli individui della classe uomo) > i quant. particolari sono “non ogni” e “qualche” o in forma indefinita: il numero degli individui non è precisato nella sua estensione (“uomo” non indica a quanti individui della classe degli uomini ci si riferisce) Nell’enunciazione il termine quantificato può essere solo il soggetto poiché A. non ammette la quantificazione del predicato, dunque: o Sono individuali (affermative o negative) le enunciazioni il cui soggetto è un individuo; o Sono universali (//) le enunciazioni il cui soggetto è un universale assunto in forma universale;

o Sono particolari (//) le enunciazioni il cui soggetto è un universale assunto in forma non universale, nel senso di particolare; o Sono indefinite (//) le enunciazioni il cui soggetto è un universale assunto in forma non universale, nel senso di indefinita

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2. Contrarie, contraddittore, subcontrarie La determinazione della quantità delle enunciazioni consente di precisare la natura dell’opposizione tra esse sussistente:  L’opposizione per contrarietà L’opposizione (affermazione e negazione) esprime contrarietà quando le enunciazioni sono entrambe universali ovvero quando esse ad una o da una medesima determinazione universale assunta in forma universale (soggetto) attribuiscono o sottraggono una medesima determinazione (predicato) Se le enunciazioni sono indefinitamente quantificate, se cioè il termine che funge da soggetto è un universale assunto in forma non universale, allora non ha luogo la contrarietà A. rifiuta l’ipotesi che due enunciazioni affermative vertenti su determinazioni contrarie possano essere contrarie (“l’uomo è giusto” o “l’uomo è ingiusto” dove i due aggettivi sono determinazioni contrarie), per ribadire che invece sono tali l’affermazione e la negazione Per provarlo, A. sposta l’attenzione sul piano delle opinioni, sul presupposto della simbolicità dei segni linguistici rispetto alle affezioni dell’anima, dimostrando che “le opinioni sono contrarie per il fatto di comportarsi in modo contrario” ossia di contrapporsi come affermazione e come negazione Se dunque è così nelle opinioni, all’affermazione è contraria la negazione che verte intorno alla medesima cosa assunta in forma universale LE ENUNCIAZIONI CONTRARIE NON POSSONO ESSERE ENTRAMBE VERE ANCHE SE POSSONO ESSERE ENTRAMBE FALSE  L’opposizione per contraddittorietà L’opposizione è di contraddittorietà quando una stessa cosa viene affermata e negata di una stessa cosa universale assunta una volta in forma universale ed una volta in forma non universale  sono contraddittorie l’universale affermativa e la particolare negativa (“ogni uomo è bianco” e “non ogni uomo è bianco” [= “qualche uomo non è bianco”]), e l’universale negativa e la particolare affermativa (“nessun uomo è bianco” e “qualche uomo è bianco”) L’enunciazione singolare costituisce il caso-limite dell’opposizione espressa dalla particolare e quindi si oppone all’universale in termini di contraddittorietà > se la particolare esibisce “alcuni” casi che smentisce quello che l’universale enuncia, la singolare esibisce “un solo” caso in cui non è come l’universale enuncia: essa smentisce che “tutte le cose” sono in un certo modo alla stessa maniera in cui lo smentisce, secondo il rapporto di opposizione, il dichiarare che “alcune” non stanno in quel modo La prerogativa delle enunciazioni contraddittorie è di essere tali che necessariamente l’una è vera e l’altra è falsa, distinguendosi dalle contrarie che possono essere entrambe false Allora si oppongono contraddittoriamente anche l’individuale affermativa e l’individuale negativa poiché anch’esse sono necessariamente l’una vera e l’altra falsa A. segnala l’impossibilità di assegnare all’opposizione delle contraddittorie quella delle enunciazioni con soggetto universale indefinito come “l’uomo è bello”-“l’uomo non è bello”

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Le contraddittorie infatti non possono essere entrambe vere, l’indeterminatezza di tali enunciazioni consente di intenderle: - sia come asserenti intorno all’universale assunto in forma universale (“tutti gli uomini sono belli” - “tutti gli uomini non sono belli” ossia “nessun uomo è bello”), e in questo caso anch’esse non possono essere contemporaneamente entrambe vere; - sia anche come asserenti intorno all’universale assunto in forma particolare (“qualche uomo è bello” – “non ogni uomo è bello” ossia “qualche uomo non è bello”), e in tal caso possono essere al tempo stesso entrambe vere e questo può succedere in due circostanze: o se esistono alcuni uomini brutti ossia non belli (> allora è vero tanto che alcuni uomini non sono belli quanto che alcuni uomini sono belli) oppure se alcuni uomini diventano brutti ossia non belli ma non lo sono ancora (> è vero sia che alcuni uomini sono belli, sia che alcuni uomini non sono belli) Dunque l’affermazione e la negazione con soggetto universale indefinito possono essere entrambe vere e la loro opposizione non è assimilabile a quella delle enunciazioni contraddittorie  L’opposizione per subcontrarietà Sono “opposte delle contrarie” ossia la particolare affermativa (“qualche uomo è bianco”, opposta dell’universale negativa “nessun uomo è bianco”) e la particolare negativa (“non ogni uomo è bianco”, opposta dell’universale affermativa “tutti gli uomini sono bianchi”) Tali enunciazioni possono essere entrambe vere

8. Enunciazio...


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