Decadentismo e autori (Pascoli, pirandello e molti altri) PDF

Title Decadentismo e autori (Pascoli, pirandello e molti altri)
Author ale laera
Course Italiano
Institution Liceo (Italia)
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Decadentismo...


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Decadentismo Il Decadentismo è una corrente letteraria e di pensiero che si sviluppa fra fine 1800 e inizio 1900, a cavallo fra i due secoli. Fra gli esponenti principali troviamo alcuni poeti francesi come Baudelaire e Verlaine. Quest’ultimo, in particolare, ispirò la corrente dicendo che si sentisse vuoto, abulico, proprio come se si fosse tornato al periodo in cui l’Impero Romano stava per volgere al termine, stesse per crollare, e ovviamente non aveva voglia di fare nulla ed era preso da un senso di noia tremenda. La corrente si sviluppa quasi parallelamente al verismo ma si oppone alle correnti positiviste, che generalmente dicevano che la realtà era spiegabile attraverso una serie di formule matematiche. I positivisti inneggiano al progresso e alla razionalità, mentre i decadentisti credono che una mente scientifica e razionale non possa in realtà inquadrare una realtà così complessa e articolata. La realtà è avvolta in una foschia, nel mistero totale, e per rivelarla bisogna far ricordo a mezzi empatici. In effetti, i decadentisti sono poeti in generale molto esaltati, al limite delle emozioni. Questo tema è detto vitalismo. Secondo il vitalismo, appunto, gli uomini devono puntare all’esaltazione, anche tramiti mezzi artificiali quali l’alcool o le droghe. Vi è la ricerca del piacere eterno, persino in ambiti lussuriosi ma come sempre spinti all’eccessivo (masochismo, sadismo). Al fine di comprendere la realtà, inoltre, viene effettuato un profondo studio dell’io, dell’inconscio, che rappresenta una dimensione interiore, segregata in noi stessi, ma profondamente empatica e che dunque possa rivelare il mondo circostante. Ai temi vitalisti si affianca anche il superominismo, che descrive appunto il superuomo, un uomo che è al di là degli altri e ha caratteristiche superiori. Nietzsche credeva che gli uomini greci fossero effettivamente spinti da uno spirito detto dionisiaco, grazie al quale presentavano una straordinaria forza interiore, che permetteva loro di vivere vite incredibili e originali. L’uomo odierno, invece, alienato dalla società sempre più schematica e razionale, è perturbato dallo spirito apollineo, che lo rende abulico e annoiato. Secondo Nietzsche la colpa era anche della religione, che schiavizzava gli uomini. Egli credeva in un superuomo, una figura in grado di ergersi al di là degli altri e sviluppare vite originali, come quelle greche. Altri temi affrontati riguardano invece concetti più macabri, che si contrappongono a quelli esposti qui sopra. Troviamo per esempio il tema della morte, o quello della malattia e della pazzia. La malattia, in particolare, viene percepita come una vera e propria metafora di decadenza. In effetti, la corrente si poggia molto sui simboli e sulle metafore (simbolismo). I decadentisti negano dunque i principi razionali del mondo odierno, e si oppongono (anticonformismo) allo sviluppo di modelli burocratici rigidi, di fabbriche alienanti, di metropoli sempre più affollate. Molti poeti sono addirittura nichilisti (negano la realtà). I personaggi presi in esame dai poeti decadentisti sono molteplici, ma in particolare l’inetto è il più importante. Si tratta di una figura profondamente incapace, che pur se mostra la voglia di cambiare qualcosa della sua vita miserabile, non vi riesce proprio perché è un inetto totale. L’inetto più famoso è Zeno (Italo Svevo). In ultima analisi, come scrive il poeta decadentista? Ebbene, in poche parole non punta a mandare messaggi tramite le sue poesie ma semplicemente vuole che se ne apprezzi il bello, il gusto del leggere parole che suonano bene (musicalità). I messaggi ci sono e non ci sono, e sostanzialmente non si capisce proprio niente delle poesie, che sono al limite del comprensibile. Le frasi sono ambigue e volutamente allusive, senza un chiaro significato. Sono molto usati i simboli.

Pirandello (1867-1936) Pirandello si può definire uno dei poeti decadentisti, anche se in un certo senso andò oltre la corrente in quanto mentre i decadentisti, come già accennato, puntavano a studiare l’inconscio, Gigi era profondamente convinto che ciò non servisse in quanto l’empatia non fosse effettivamente un mezzo per arrivare a comprendere la realtà. Secondo Gigi, la realtà era complessa, e assumeva tanti significati diversi in base all’osservatore, e pertanto l’io si frantuma, l’individuo diventa un nessuno. Pirandello nacque ad ex-Agrigento (il nome fu dato sotto regime fascista) da una famiglia che viveva in condizioni alquanto agiate, in quanto il padre dirigeva delle miniere di zolfo (solfatare) che generavano profitti cospicui. Pirandello studiò in tre diverse università, laureandosi infine all’estero, a Bonn. Tornò poi a Roma, perché il padre aveva i big money per finanziarlo, e qui cominciò a produrre con frequenza opere letterarie. Nel 1903 la miniera di zolfo si allaga e la famiglia, che aveva sempre vissuto nell’alta borghesia, viene declassata a causa di una crisi economica. La madre di Pirandello impazzisce, e più tardi sarà costretto a mandarla in cura. Pirandello scopre cosa significa subire un declassamento economico. Da qui, Gigi comprende quanto triste e grigio sia il mondo visto dalla prospettiva borghese. Al tempo era docente, e dovette attivarsi sulle opere letterarie per cercare di non subire troppo la crisi economica familiare. Pirandello comincia da qui a capire che la società vincola i singoli individui come se fosse una trappola, e li obbliga ad assumere dei comportamenti artificiosi, che altrimenti non si paleserebbero (maschere). L’individuo si sente dunque triste e sofferente, al comprendere che in realtà non è nessuno. Gigi crede che la realtà sia incredibilmente complessa, e soprattutto in continuo cambiamento, senza mai assumere conformazioni stabili. Pertanto è convinto che sia impossibile riassumerla o semplificarla in degli schemi, da qui il rifiuto del positivismo. Le leggi matematiche non possono spiegare la realtà, perché essa nasconde diversi punti di vista, e ognuno ha il proprio. Ciascuno si contrappone a questa realtà in modo diverso, e viene obbligato ad indossare una maschera, sotto la quale non vi è nessuno di concreto. L’io si frantuma in tanti esseri diversi, e quindi ogni soggetto è profondamente incoerente, mai coeso. Ognuno si comporta diversamente in base alle situazioni e a chi gli si pone dinanzi. Questo è anche colpa della società industriosa e artificiosa odierna, con lo sviluppo delle metropoli, delle fabbriche eccetera. Pirandello usa il suo particolare umorismo per ribaltare la realtà, per smentirla e ridicolizzarla. In particolare, per ridicolizzarne le convenzioni, quelle certezze che l’uomo non vuole vedere smentite. Secondo Gigi, infatti, la realtà è così assurda che vista da lontano (filosofia del lontano) diventa palesemente, incredibilmente assurda e priva di senso. Per rispondere alle trappole (come la famiglia, tanto che lui fu obbligato a sposarsi da questa, o il lavoro. Notare la differenza con Verga, che invece credeva che questi fossero ideali da seguire attentamente) con cui la realtà ingabbia l’individuo si può rispondere con l’immaginazione profonda (vedasi Belluca) o con la follia. Pirandello usa la follia come strumento per ridicolizzare alcuni aspetti della realtà odierna, mettendoli sotto una luce che faccia comprendere quanto privi di senso siano. L’umorismo di Pirandello, comunque, non è solamente volto al comico. L’esempio del libro chiarirà tutto. Se vedo una vecchia signora con i capelli tinti e tutta truccata, avverto che è il contrario di ciò che una vecchia signora dovrebbe essere. Questa assurdità, data dall’avvertimento del contrario, provoca ilarità (tratto comico). Nel teatro di Pirandello, però, interviene anche la riflessione: se ci penso bene, forse capisco che quella vecchia signora si vergogna ad andare in giro così e magari lo fa perché suo marito la obbliga. A

questo punto, percepisco la sofferenza dell’individuo, vincolato dalle trappole e dal suo sentirsi nessuno (tratto tragico). Gigi pensava che comico e tragico andassero sempre a braccetto, che uno fosse l’ombra dell’altro. Il treno ha fischiato (dalle novelle per un anno), come già menzionato, parla di un impiegato di nome Belluca che si aliena nel suo lavoro e lo vede come una trappola. Il capo lo tratta sempre male, sfogandosi sempre con lui. Belluca è anche imprigionato dalla trappola familiare, dato che è costretto a far da balia a tre cieche (la moglie, la suocera e la sorella di quest’ultima). In questo marasma, ad un certo punto Belluca sente il fischio di un treno. Questo fischio è ovviamente un elemento comune, quasi quotidiano, che non dovrebbe suscitare granché in un individuo. Belluca, tuttavia, così alienato dalle trappole della società, percepisce il fischio come un richiamo ad altri mondi, e si immedesima nel viaggio del treno, verso le foreste, i mari e i monti. Comprende che la vera vita è un’altra, libera da quelle trappole, e pertanto decide di ubriacarsi e presentarsi a lavoro in quel modo. Subito, il boss e gli amici impiegati lo credono matto, perché Belluca aveva sempre avuto i paraocchi ed era un tipo tranquillo e subordinato. Questa presa di coscienza di Belluca si traduce nel far comprendere al suo capo che ogni tanto Belluca andrebbe lasciato in pace, almeno per qualche momento di sfogo, per farlo rinsavire dai ritmi e dalle oppressioni del lavoro e della famiglia. Altro racconto molto importante è il Fu Mattia Pascal. Parla di un bibliotecario, appunto Mattia Pascal, che si trova, al solito, oppresso da una società fatta di trappole e profondamente inibitoria. Sia il matrimonio, stressante per via della moglie e della suocera, sia il lavoro (lavorava in una biblioteca scapestrata e rovinosa: decadentismo), gli impediscono di vivere al meglio la sua vita. Mattia medita di partire dunque per l’America, ma sorprendentemente vince alla roulette di Montecarlo una somma alquanto cospicua. Nel frattempo, sul giornale, scopre di essere morto. Infatti, un suo sosia era stato riconosciuto dai suoi conoscenti e parenti. A questo punto, Mattia capisce di non avere più alcun vincolo: può costruirsi una nuova vita, lontano dalle oppressioni della precedente, e ha anche i fondi monetari per poterlo fare. Mattia adotta però una nuova identità (maschera), tramuta il suo aspetto per non farsi riconoscere e diventa Adriano Meis. Ben presto, tuttavia, Adriano trova la sua nuova vita completamente vuota e triste, in quanto comunque vincolato dalla sua falsa identità. Gli mancano i rapporti sociali, che non può sostenere pena il suo smascheramento, e pertanto decide di tornare al suo paese Natale, dove però nessuno lo riconosce. Proprio questa è la frantumazione dell’io di cui prima. Infatti Mattia scopre, una volta tornato, che a nessuno importa più di lui, e tutti si sono ricostruiti nuove vite dove fanno a meno di lui. Scopre di essere nessuno. La morale, data dal prete Eligio (l’unico che riconosce subito Mattia), è che è impossibile rinunciare alla propria identità, pur se essa comporta novità belle o brutte. Nel romanzo uno, nessuno e centomila il protagonista, Moscarda, si spinge ancora oltre. Moscarda scopre infatti, nel pieno del pensiero pirandelliano, di non essere una sola persona, ma di esserne in realtà centomila (in base a come ognuno lo percepisce). Non solo, proprio perché ciascuno non lo vede come quell’unica persona che Moscarda crede veramente di essere, si sente nel contempo anche nessuno. Per rimediare a questa situazione di sconforto, datagli dalla paura di soffrire come un nessuno, ma anche da quella di essere dipinto come qualcuno che non è, Moscarda ricorre ad azioni quanto più estreme. Per esempio, per togliersi di dosso il nominativo di usuraio, vende la banca datagli dal padre. Quindi Moscarda, a differenza di Mattia, risponde al suo essere nessuno (o meglio alla presa di coscienza di esserlo) con uno slancio vitale, azioni esaltanti tipiche del vitalismo.

Pascoli (1855-1912) Pascoli fu un altro degli esponenti decadentisti più importanti, sebbene inizialmente di stampo positivista. Pascoli nacque da una famiglia patriarcale (cioè, un grande nucleo familiare guidato da una sola persona, il patriarca). Quando aveva appena 12 anni, il padre Ruggero viene ucciso a fucilate, senza in realtà un movente ben preciso. Ciò provoca in Pascoli una crisi, che verrà aggravata anche dai seguenti lutti (la madre, una sorella, due fratelli). Inoltre, cala anche la situazione economica (proprio come successe a Pirandello). Nonostante le ristrettezze economiche, riesce a proseguire gli studi. Nel mentre, viene attratto dalla matrice socialista e manifesta contro il governo, in quanto intellettuale si sentiva minacciato dal progresso. Secondo pascoli la società odierna non funzionava, vi era qualche meccanismo rotto, dimostrato anche dall’assassino del padre. Durante una manifestazione viene però arrestato, il che lo porta a ripromettersi di non fare mai più nulla di simile. Riprende poi gli studi e si laurea, intraprendendo in seguito la carriera di insegnante. A questo punto, ricostruisce, richiamando a sé le due sorelle Ida e Mariù, ciò che per lui è più importante di tutto: il nido familiare (questa volta, similitudine con Verga). Il nido di Pascoli è un ambiente di conforto e può, a parere del poeta, sostenere la fragilità dell’essere umano, che da solo è forzato a scivolare nell’oblio. Pascoli ha un atteggiamento fortemente protettivo nei confronti delle due sorelle, attraverso legami di gelosia reciprochi (non gli garbava, ad esempio, il matrimonio di Ida; al contempo, lui fu costretto a rinunciare a sposarsi per non lasciar sola Mariù). La poetica di Pascoli è in un certo senso anche la riflessione della sua vita. Ha una matrice base positivista (che si vede, ad esempio, dalla cura e meticolosità con cui descrive le piante botaniche nei suoi scritti, vedasi myricae) ma viene travolto presto dalla corrente decadentista, dalla quale arriva alla conclusione che la scienza non possa effettivamente spiegare la realtà, che è avvolta in un mistero. Nella poetica pascoliana, vengono spesso usati i simboli (simbolismo, vedi prima), e uno di questi è appunto il mistero della vita, individuato da una nebbia, una foschia impossibile da rivelare se non attraverso la poesia, o attraverso la percezione onirica (Freud). Dopo la vita, secondo Pascoli, vi è il vuoto, che perlomeno non è spiegabile attraverso le teorie cristiane. Pascoli crede che il cristianesimo sia una religione che trasmette messaggi di giustizia e profondamente umani, ma non rivela la verità. Uno degli ideali pascoliani consiste nel fanciullino, che esercitò, al tempo, la funzione di padre nel nucleo familiare con Ida e Mariù. Il fanciullino è una voce potenzialmente udibile da tutti, ma che l’uomo contemporaneo spesso si ritrova ad ignorare per via del trambusto della società odierna, e dell’alienazione causatagli dal lavoro o dagli schemi burocratici. Il fanciullino viene però udito da Pascoli, così come da tutti coloro che conservano un animo sensibile, nonostante gli sviluppi esterni. Questa voce appartiene ad un fanciullo, ovviamente non reale, che in quanto tale vede il mondo con occhi diversi, con quelli innocenti di un bambino. Secondo Pascoli, il fanciullo riesce a percepire elementi e verità che un uomo adulto, a causa di tutti i pensieri instillatigli dalla società, non riesce a vedere. Pertanto il fanciullino può rivelare il mondo circostante, scoperchiare la nebbia da cui è avvolta la realtà, a patto che gli uomini prestino orecchio alla sua voce, mostrandosi, come Pascoli, sufficientemente sensibili. Pascoli era profondamente pessimista, e credeva che tutti gli uomini soffrissero, provassero dolore. Però questa loro condizione li rendeva al contempo in grado di perdonare più facilmente. La felicità, secondo Pascoli, andava trovata nelle piccole cose, nell’umiltà: per questo adorava la realtà dei piccoli proprietari terrieri, e ripugnava quella società che stava distruggendo con le proprie industrie quel mondo contadino puro e innocente. Solo nel piccolo è possibile conservare intatto il nido familiare. Una società così evoluta e in grande portava alla sofferenza, perché allontanava dal nido, anche a causa dei fenomeni di migrazione.

La raccolta più importante di Pascoli è Myricae. Il titolo riprende un verso di Virgilio in cui vengono nominati le tamerici (mirici = myricae), piante salmastre che nella poetica di Pascoli individuano l’umiltà, le piccole cose di cui parlavo prima. Nella raccolta sono comprese due poesie molto importanti. X Agosto parla dell’assassinio del padre. Il poeta dice che sa perché la notte di San Lorenzo è cosparsa di stelle cadenti: ebbene è il cielo che piange, per via dell’assassinio del padre Ruggero. L’omicidio viene posto in relazione ad una rondine che viene uccisa mentre torna al nido. Allo stesso modo, il padre torna al nido familiare e viene assassinato. Il parallelismo con la rondine continua: la rondine muore con gli insetti, cena per i suoi figli, tesi verso il cielo, mentre il padre muore con due bambole tese verso il cielo, che aveva comprato come regalo. La poesia si conclude con uno slancio di Pascoli nel considerare la terra il luogo dove si concentrano tutti i mali, pur se è solo un’infinitesima parte dell’universo. La seconda poesia importante è L’assiuolo, che parla del concetto di morte tramite un climax crescente di dolore. Infatti, attraverso una serie di immagini allusive, il poeta costruisce un clima teso e d’inquietudine, perturbato dal continuo suono dell’assiuolo, una sorta di gufo che emette un laconico suono, individuato tramite l’onomatopea chiù. Il verso dell’assiuolo è prima una voce nei campi, poi diventa un singulto che fa sussultare il poeta, e infine un vero e proprio pianto di morte. Attraverso l’immagine delle cavallette, che friniscono al pari dei sistri, strumenti egizi propri del culto di Iside, pascoli rievoca proprio questo culto, secondo cui fosse possibile la risurrezione. Ma poco dopo si ritrova a riflettere sul fatto che forse non vi sia ritorno dopo la morte, e che il lutto è destinato a rimanere tale. In ultima analisi, la poesia pascoliana riveste gli ideali descritti al termine del paragrafo sul decadentismo. Cioè, Pascoli scrive senza trasmettere un messaggio di stampo storico o politico (o, se tale messaggio viene fuori, non lo fa come prima intenzione) e punta alla musicalità dei suoni e al bello, alla poesia come arte pura di giochi fonetici fra parole.

Italo Svevo (1861-1928) Il suo vero nome era Hector Schmitz, ma scelse lo pseudonimo di Italo Svevo per via delle sue origini meticce (tedesco / italiano. In parte anche ebreo). Nasce a Trieste, che si trovava all’epoca sotto l’influenza dell’impero asburgico. Motivo per cui, la sua posizione era irredentista al momento dello scoppio della prima guerra mondiale (ovvero contava che, per via del principio del nazionalismo, l’Italia avrebbe dovuto ammettere il territorio di Trieste in quanto custodiva cultura italiana ed era abitata da italiani). Al solito, Svevo nasce da una famiglia agiata ma, a causa di un investimento errato, il padre fallisce e si ritrova faccia a faccia con il declassamento economico. C’è da dire che, a differenza degli altri autori analizzati qui in alto, Svevo non fu mai un letterato puro, ovvero non ebbe mai l’occasione di fondare la sua economia sui suoi scritti (i suoi romanzi venivano snobbati dalla critica, mentre le poesie di Pascoli venivano studiate alla scuola elementare. Pirandello ricevette il Nobel) e dovette sempre lavorare e, parallelamente, scrivere. La sua passione era la letteratura, ma si ritrovò a lavorare, per far fronte al dissesto economico, come impiegato. Questo è il tema comune del decadentismo: la società avvertita come una trappola, la noia e l’abulia data dal lavoro odierno. Svevo cerca rifugio nella letteratura. Nel 1896 si sposa. Questo è un grande passo avanti per l’inetto in cui si immedesimava: riusciva, infatti, a sfuggire dalla condizione di buono a nulla e a ritrovarsi nella figura patriarcale, nel padre di famiglia, dirigente del nucleo familiare. Inoltre, va a lavorare presso la ditta dei suoceri e viene a conoscenza del mondo della borghesia. Infatti, comincia a viaggiare in Francia e Inghilterra e a conoscere diversi ambienti, tanto che la sua opinione sulla letteratura cambia completamente. Difatti, comin...


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