Dislessia e autismo saggio apprendimento linguistico PDF

Title Dislessia e autismo saggio apprendimento linguistico
Course Apprendimento linguistico
Institution Università degli Studi di Napoli L'Orientale
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saggi si apprendimento linguistico 2021/2022 su dislessia e alzheimer...


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Lezione 19

Definizione di dislessia: La dislessia evolutiva è un disturbo specifico dell’apprendimento, di origine neurologica. È contraddistinto da difficoltà di riconoscimento di parole a livello di accuratezza e o fluenza e da scarse abilità di spelling e di decodifica. Queste difficoltà, sono tipicamente il risultato di un deficit nella competenza fonologica del linguaggio. La competenza fonologica, riguarda la capacità, non solo di individuare i fonemi e le sillabe all’interno del flusso di parlato, ma anche di saperli manipolare. Perciò dei task per valutare la competenza fonologica, molto semplici, che prevedono lo spostamento dei fonemi e sillabe, o quello di trovare delle rime, per una persona dislessica sono difficili, poiché hanno una scarsa competenza fonologica (quindi non sanno manipolare fonemi e sillabe). Questa scarsa competenza fonologica, è legata nella dislessia, anche ad un deficit ortografico, quindi nella decodifica e scrittura dei segni grafici. Per cui la dislessia è spesso associata alla disgrafia e alla discalculia ovvero difficoltà nel fare i conti. Queste difficoltà sono il risultato di un deficit nella componente fonologica del linguaggio, che spesso risulta (il deficit) inaspettato in relazione alle altre abilità cognitive e alla qualità dell’istruzione scolastica. Quindi la dislessia, non è una conseguenza né di un deficit cognitivo, né dell’istruzione scolastica, cioè non può essere conseguenza di un ingegnante non bravo. Però ci può essere un’istruzione più attenta a riconoscere e ad avere a che fare con la presenza di disturbi dell’apprendimento in una classe. La dislessia può però essere causa di uno scoraggiamento del soggetto dislessico: il non riconoscimento del disturbo, fa in modo che i docenti scambino il disturbo con una svogliatezza, con il non voler studiare, portando a dei rimproveri, quando in realtà il non saper svolgere delle attività, è legato a un suo disturbo. Il non riconoscere il disturbo porta a delle conseguenze gravi nell’individuo, poiché crescerà credendo di essere svogliato, di non essere all’altezza degli altri. Tra le conseguenze secondarie, si possono riscontrare problemi nella comprensione scritta (perché nel leggere si spende molta energia nel riconoscimento dei grafemi e si perde il senso del contenuto) e un contatto ridotto con i testi scritti (se non so leggere bene, non mi viene la voglia di leggere) che impediscono l’espansione del bagaglio lessicale e delle conoscenze sul mondo. (quest’ultime si acquisiscono infatti con la lettura dei testi scritti) La dislessia evolutiva è il contrario della dislessia acquisita, e riguarda quei casi in cui la dislessia, emerge in maniera naturale nella persona; la dislessia acquisita riguarda invece i casi in cui la dislessia emerge in seguito a un trauma. La dislessia, è un disturbo spesso inaspettato: spesso infatti si capisce che il bambino è dislessico, quando inizia ad andare a scuola, poiché è in quell’ambito che deve mettere in atto delle abilità, che in un altro ambito non metterebbe in atto. In realtà si può capire anche prima della scolarizzazione: quando il bimbo fa capire ad associare un segno a una corrispondente fonica, es.: il disegno orso=parola orso.

La dislessia… • La dislessia è generata da una neurodiversità, quindi è un modo diverso di apprendere, ma non è un deficit cognitivo. • Provoca una generale difficoltà nell’automatizzazione di alcuni compiti di natura: o Linguistica, decifrazione dei fonemi; o Mnemonica, perché se faccio fatica a leggere, non riuscirò a usare bene la mia memoria a breve, che mi aiuta a mantenere, man mano, quello che ho letto, per poi completare, alla fine della lettura, il senso della frase che ho letto. Quindi non riesco a comprendere quello che leggo; o Motoria, quindi nell’ortografia e in carattere spaziale, come il riconoscere la destra e sinistra. • La dislessia conduce alla formazione di uno stile di apprendimento alternativo. Quindi lo stile di apprendimento di una persona dislessica, è diverso da quello di una persona non dislessica. L’insegnante, di questo, ne deve tenere conto: se non se ne accorge valuterà negativamente i suoi esiti, svalutando la persona. • Può correlarsi a difficoltà nella dimensione psicologica interpersonale e personale. Se una persona è etichettata come svogliata e non capace, crea danni alla sua persona.

Apprendente dislessico e lingue straniere: Se queste difficoltà esistono già nella lingua materna, affrontare una lingua straniera sarà difficile, però anche molto motivante se affrontata con i mezzi giusti. Se però non vengono usati i giusti testi e i professori non sono sensibili, ci può essere un calo della motivazione, portando a una frustrazione nell’affrontare la lingua straniera. Gli apprendenti dislessici hanno spesso un’ansia linguistica, relativa sia alla lingua materna, ma anche alle lingue straniere. È un’ansia non caratteriale, ma è un’ansia situazionale, determinata dallo svolgimento di compiti in cui è richiesta una notevole automatizzazione dei processi linguistici, come compiti in cui è richiesta una lettura veloce, compiti di riassunto orale. La memoria di lavoro, memoria esplicita, memoria implicita, sono tutte memorie usate nelle produzioni linguistiche, e che dono deficitarie in una persona dislessica.

La dislessia differenziale: La dislessia differenziale ha a che vedere con le differenze tra le lingue, differenze non di carattere tipologico, ma differenze nella trasparenza ortografica. Quindi, a seconda se si tratta di una lingua opaca o trasparente, la dislessia può manifestarsi in maniera differente, con diversi gradi: l’italiano è trasparente quindi il grado di dislessia sarà lieve, e addirittura si potrà non riconoscere la sua dislessia, ma si scambierà per una semplice lentezza nell’apprendimento. Quando invece dovrà imparare

l’inglese, in quanto lingua opaca, si capirà subito che è dislessico. Quindi l’italiano è più facile da imparare per una persona dislessica. Il grado di dislessia non dipende solo dalla trasparenza ortografica, ma anche dall’affinità linguistica: per cui, se un bambino dislessico, impara una lingua che ha affinità linguistiche con la sua lingua materna, sarà avvantaggiato nell’apprendimento, ma se ci spostiamo verso lingue più lontane dalla sua lingua materna, potrebbe avere più difficoltà.

L’analisi dei bisogni: Cosa si fa quando nella classe si pensa ci sia un bambino dislessico: l’insegnante per prima cosa, deve osservare bene, con attenzione e cauzione, mai in maniera avventata, e deve raccogliere dati sull’abilità linguistiche del bambino, per arrivare a un’ipotesi che poi sarà confermata dai dottori. L’insegnante deve rivelare la presenza o assenza di prestazione atipiche, non tipiche, nelle classi di lingua: quindi lavorando sull’oralità, sulla scrittura, sul lessico, sulla morfosintassi, usando un gruppo di controllo, come un gruppo di studenti, come la classe, come termine di paragone (rispetto alla classe, il bambino, dimostra delle differenze, quindi bisogna controllare), e l’indagine deve essere fatta a più riprese, non può essere una sola osservazione. Si usano degli strumenti, che sono tutte osservazioni che si fanno per capire se il bambino è dislessico, prima di comunicare ai genitori del bambino, che è dislessico. Ritorno all’articolo sulla dislessia: L’articolo presenta uno studio su studenti cinesi con dislessia, per valutare l’apprendimento dell’inglese come L2. I risultati hanno dimostrato che i bambini dislessici presentavano delle prestazioni inferiori al gruppo di controllo, sia per la L1 che L2. Quindi lo studio indica che apprendere la L2 per chi ha un disturbo di apprendimento diagnosticato nella L1, è un compito difficile, e che la distanza tra le lingue, non modifica il quadro delle criticità, che si osservano addirittura parallele tra lingue molto diverse come inglese e cinese. Un altro studio mette in evidenza come i bambini dislessici sono più bravi a leggere le non parole nella lingua seconda inglese, piuttosto che le parole vere. Questo perché le non parole, non facendo parte del lessico, le posso pronunciare come voglio. Riescono a leggere le non parole, usando le regole senza eccezioni. 4° articolo, Articolo sull’Autismo: L’autismo è un disordine di carattere neurologico che si manifesta in un’interazione sociale alterata, in una comunicazione alterata, in comportamenti limitati, e in una dipendenza eccessiva sulle routine e un focus su elementi specifici, quasi delle ossessioni. Si parla di disturbi dello spettro autistico, perché ci possono essere diversi gradi di autismo, più lievi e più gravi.

Bambini autistici: Se un bambino è riconosciuto come autistico, e vive in un contesto bilingue, i dottori danno il consiglio di non esporre il bambino a due lingue. Questa scelta, dice l’autore dell’articolo, non è fondata su dei dati certi, quindi l’autore si pone delle

domande e cerca di dare delle risposte: la privazione della seconda lingua porta veramente a dei vantaggi nel bambino autistico? Perché decidono di dare questo consiglio? Quando nel bambino viene diagnosticato l’autismo, la prima domanda che viene posta è: come svilupperà la lingua questo bambino? Decidere quale lingua usare con il bambino autistico è problematico, soprattutto se la prima lingua dei genitori, non è la lingua predominante della scuola o dei servizi clinici. Molti dottori hanno paura che l’esposizione a due lingue, possa contribuire a ulteriori ritardi nello sviluppo linguistico. Ma questo timore è fondato? Il primo segnale che ci fa capire che il bambino è autistico, è la presenza nel ritardo nello sviluppo della lingua. Se dopo un anno, il bambino non dice niente potrebbe essere autistico. Nell’articolo vengono menzionati vari studi, su famiglie bilingue, nei quali i genitori, su consiglio dei dottori, evitano di parlare in cinese, ma parlano in inglese, perché hanno paura che imparare due lingue sia troppo difficile. Altri studi però, hanno riscontrato che i bambini autistici si trovano di più a utilizzare i modelli linguistici dei genitori: nelle famiglie di immigrati, i bambini sviluppano i modelli del parlato dei compagni di classe. Nel caso dei bambini autistici, invece, questi adottavano i modelli linguistici dei genitori, invece di quelli che si riscontrano fuori casa. L’uso dei modelli linguistici dei genitori, è una cosa critica per lo sviluppo linguistico nei bambini autistici. Tutto dipende anche dai mezzi terapeutici, cioè in quale lingua vengono offerte le terapie. La predominanza globale, sia come prestigio sociale della lingua inglese, sia come uso massiccio della lingua inglese, in ambiente anglofono, per tutto quello che riguarda le terapie per l’autismo, fa in modo che i genitori si sentano in difetto, se non fanno in modo che il bambino non apprenda l’inglese, poiché riconoscono il potere dell’inglese. L’autore dell’articolo, mette in evidenza che è importante per il bambino autistico, sviluppare il proprio bilinguismo. In uno studio del 2005, viene riportato che tutti i genitori di origine diversa, avevano ricevuto il consiglio di parlare ai loro bambini, solo in inglese, anche se non loro non lo sanno parlare bene. Succede che la relazione tra il genitore e il bambino con cui bisogna parlare solo in inglese, è negativamente influenzata da questa restrizione: questo perché, non sapendo bene l’inglese, non posso dire per bene quello che voglio dirti, le cose che ti posso dire son poche, e non posso avere una conversazione emotiva, perché la lingua dei sentimenti è la lingua materna, e creare una connessione emotiva è molto importante. Quindi in queste famiglie, questo consiglio incideva negativamente nella loro relazione: quando i membri della famiglia si parlavano tra loro in cinese, il bambino si isolava, si sente escluso. Le ricerche che hanno osservato il modo in cui i bambini bilingui autistici, sviluppano il proprio linguaggio, non dicono che c’è un maggiore ritardo, ma anzi, che può essere

vantaggioso addirittura, perché imparando altre lingue è come se significasse avere più modi di comunicare. Le ricerche sui bambini bilingui autistici, ci dicono che non ci sono differenze tra autistici bilingui e monolingui, non hanno deficit in più. I bilingui autistici hanno un vocabolario più ampio, rispetto ai monolingui. Quindi oltre a non portare ritardi, l’imparare altre lingue, i bambini autistici sono capaci di diventare bilingui. Conclusione articolo: la conclusione ci dice che molti falsi miti sul bilinguismo sono ancora molto diffusi. I bambini con autismo hanno bisogno di spazi in cui possono imparare; bisognerebbe sviluppare un sistema di trattamento dei pazienti autistici, in tutte le lingue, fare in modo che si possano esprimere anche nelle lingue materne e non solo in inglese; le scuole dovrebbero avere più insegnanti di sostegno bilingui, e specialisti che lavorino con bambini provenienti da famiglie bilingue. La mancanza di ricerca su bambini autistici bilingui con l’ASD, è problematica. Riflette un clima educativo, in cui il bilinguismo è ancora considerato uno svantaggio, piuttosto che una risorsa. La responsabilità dei ricercatori è quella di aiutare gli individui ad offrire il trattamento più efficace per i bambini bilingui autistici....


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