Docsity compendio di diritto costituzionale onida 33 PDF

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Course Diritto Costituzionale 
Institution Università degli Studi di Brescia
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Compendio di dirittocostituzionale, OnidaDiritto Costituzionale Università degli Studi di Brescia 144 pag.Document shared on docsityCOMPENDIO DI DIRITTO COSTITUZIONALEValerio Onida Maurizio Pedrazza GorleroCAPITOLO IPROFILO STORICODEL DIRITTO COSTITUZIONALE ITALIANO1. Le origini dello Stato italiano...


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Compendio di diritto costituzionale, Onida Diritto Costituzionale Università degli Studi di Brescia 144 pag.

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COMPENDIO DI DIRITTO COSTITUZIONALE Valerio Onida Maurizio Pedrazza Gorlero

CAPITOLO I PROFILO STORICO DEL DIRITTO COSTITUZIONALE ITALIANO 1. Le origini dello Stato italiano: le vicende territoriali Lo Stato italiano nasce come Regno d’Italia nel 1861 per la trasformazione del presistente Regno di Piemonte e Sardegna. Il territorio della penisola italiana, all’inizio del secolo XIX, dopo le guerre napoleoniche e la Restaurazione in Europa (Congresso di Vienna, 1815) era diviso in numerosi Stati, in particolare: 1. Il Regno di Piemonte e Sardegna, sotto la casa regnante dei Savoia, con capitale a Torino comprendeva le attuali Regioni del: Piemonte; Valle d’Aosta; Liguria; Sardegna; Savoia. 2. Facevano parte dell’Impero austro-ungarico: Lombardia; Veneto; Trentino – Alto Adige; Friuli Venezia Giulia. 3. Ducato di Parma; 4. Granducato di Toscana; 5. Stato pontificio, che comprendeva i territori attuali delle Regioni Emilia-Romagna per la parte non compresa nel Ducato di Parma: Marche; Lazio; Umbria. 6. Regno delle due Sicilie, sotto la casa regnante dei Borboni, con capitale Napoli. I moti rivoluzionari liberali del 1821 e del 1848 avevano dato luogo in varie parti d’Italia alla costituzione di governi provvisori, ma solo nel Regno di Piemonte e Sardegna lo Statuto, concesso dal re Carlo Alberto nel 1848 (c.d. Statuto Albertino- flessibile), sopravvisse alla contemporanea sconfitta liberale. Nelle aspirazioni politiche dei liberali c’era la realizzazione dell’unità politica della penisola, in nome del principio nazionale, pur confrontandosi programmi molti diversi fra loro, come quello dei Repubblicani seguaci di Giuseppe Mazzini o l’idea di coloro che pensavano alla costituzione di una federazione degli Stati esistenti sotto la presidenza del Pontefice romano, come sovrano dello Stato pontificio. Le condizioni politiche dell’Europa e dell’Italia alla metà dell’Ottocento fecero sì che il programma di unificazione politica della penisola si realizzasse attraverso l’espansione del Regno sabaudo, al quale, a seguito delle guerre di indipendenza, furono annessi progressivamente gli altri territori italiani. Di seguito si elencano le varie fasi storiche: 1. Con la seconda guerra di indipendenza (1859) vennero annessi la Lombardia, il Ducato di Parma, il Granducato di Toscana, quasi tutto il territorio dello Stato pontificio ad esclusione di Roma ed infine, a seguito della spedizione dei Mille capeggiata da Giuseppe Garibaldi, i territori del Regno delle due Sicilie. Veniva, invece, ceduta la Savoia alla Francia. In quasi tutti i territori furono organizzati plebisciti che ratificarono l’annessione degli stessi territori al Regno sabaudo. Si comprende, quindi, come quasi tutto il territorio della penisola, ad esclusione di Roma e delle due Venezie (queste ultime ancora sotto il dominio dell’Impero austro-ungarico) fosse parte del Regno sabaudo. Infatti, il Parlamento di Torino, il 17 marzo 1861, proclamò il Regno di Italia. 2. Con la terza guerra di indipendenza (1866) ci fu l’annessione di Venezia e del Veneto. Nel 1870 venne occupata Roma. La capitale già spostata per un breve periodo a Firenze venne

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spostata definitivamente a Roma. 3. Con la prima guerra mondiale (1915-1918) è entrato a far parte del Regno di Italia il Trentino, il Friuli Venezia Giulia e l’Alto Adige (o Sud Tirolo). Ci fu, poi, l’annessione di Fiume e la Dalmazia. Avvenne l’occupazione dell’Albania nel 1939. 4. A seguito della seconda guerra mondiale (1940-1945) ci fu la perdita dei territori di cui ai punti sub 5 e 6. Inoltre, ci fu una perdita di una parte della Venezia Giulia, come Trieste, dapprima costituita in territorio libero sotto amministrazione alleata è tornata sotto la piena sovranità italiana solo nel 1954. Interessanti sono da ricordare le conquiste avvenute in virtù dell’espansione coloniale: Eritrea (1890); Somalia italiana (1892-1896); Libia (1911); Etiopia (1936). Dopo la seconda guerra mondiale tutti i territori d’oltremare furono sottratti alla sovranità italiana: solo la Somalia italiana fu affidata dall’ONU all’Italia con mandato fiduciario, cessato poi nel 1960 con l’indipendenza somala. 2. Il sistema costituzionale del Regno d’Italia Il Regno d’Italia, anche dopo il trasferimento della capitale a Roma (1970), rimase fondamentalmente, nelle sue strutture costituzionali e giuridiche, null’altro che il Regno di Piemonte e Sardegna attorno al quale si erano realizzate le varie annessioni territoriali. Il nuovo Regno continuò a far capo alla monarchia dei Savoia e allo Statuto Albertino. La nascita dello Stato italiano non coincise, dunque, con un processo costituente vero e proprio: lo Statuto Albertino divenne la prima costituzione dello Stato italiano e continuò a reggerlo, formalmente immutato, per quasi 100 anni. Le leggi civili, penali, amministrative del Regno di Piemonte furono estese ai nuovi territori. La struttura amministrativa del Regno sabaudo, modellata su quella francese, fortemente accentrata, divenne senza sostanziali mutamenti la struttura del Regno d’Italia. In altri termini, si diede vita a una completa uniformità legislativa e amministrativa. I territori del nuovo Stato venivano da esperienze politiche e istituzionali diverse, ma quasi mai di autogoverno, bensì di assoggettamento a regimi autocratici spesso legati ad altri Stati europei. Perciò, il nuovo Stato non si trovò a fronteggiare nostalgie o resistenze di tipo autonomistico collegate alle esperienze politiche pre-unitarie, anzi il nuovo Regno veniva avvertito, almeno dalle élites politiche e culturali del Paese, come realizzazione della aspirazione di un regime di libertà oltre che dell’Unità d’Italia. La politica molto attenta a prevenire pericoli di disgregazione dell’unità appena conquistata realizzò timidi progetti di regionalizzazione amministrativa (progetti Minghetti nel 1862) per evitare il rischio che fosse messa in crisi la suddetta unità. L’Italia si diede, sul modello francese, codici unitari (codice civile, codice penale, codici processuali). Da un punto di vista costituzionale lo Stato, dopo la concessione dello Statuto Albertino, era una tipica monarchia costituzionale (secondo la definizione dell’art. 2 St. Alb. “un governo monarchico rappresentativo), modellata sull’esempio della Costituzione francese orléanista del 1830 e di quella belga del 1831. È possibile fare dei brevi cenni sui principali organi costituzionali: Parlamento: aveva il compito di deliberare le leggi, dietro l’assenso (chiamata tecnicamente “sanzione”) da parte del re e la promulgazione, ugualmente, da parte di quest’ultimo. Nella prassi, tuttavia, era frequente il ricorso alle leggi-delega che demandavano il potere legislativo al Governo e a decreti-legge, cioè provvedimenti legislativi adottati per ragioni di •

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urgenza dal Governo e successivamente ratificati dal Parlamento. • Governo: aveva il compito di dettare i regolamenti di esecuzione delle leggi. Inoltre, come è già stato indicato, provvedeva ad emanare decreti-legge e decreti-legislativi. • Re: godeva dei poteri inerenti ai rapporti internazionali, salvo il necessario assenso della Camere per i trattati che comportassero oneri finanziari o variazioni territoriali. Inoltre, il re nominava e revocava i Ministri i quali, a differenza del re che era “persona sacra e inviolabile”, erano “responsabili”. Nella prassi, fin dall’inizio si instaurò un sistema di governo “parlamentare” di stampo inglese, cioè la carica di Presidente del Consiglio, primus inter pares nel Gabinetto, veniva affidata ad un esponente politico che godeva del consenso della maggioranza della Camera alla quale rispondeva e a lui spettava, di fatto, la direzione dell’Esecutivo. In caso di dissenso tra re (e Governo) e la maggioranza parlamentare, la Camera dei Deputati poteva essere sciolta anticipatamente. La composizione del Parlamento: entrambe le Camere avevano, più o meno, gli stessi poteri: • Camera dei deputati: era elettiva. All’inizio era eletta a suffragio assai ristretto (votavano circa il 2% degli abitanti) più tardi, fino a raggiungere nel 1919, il suffragio universale maschile. L’elezione avveniva con un sistema maggioritario a collegio uninominale. Per un breve periodo si adottò un sistema di voto limitato in piccoli collegi plurinominali. Solo nel 1919 fu introdotto un sistema elettorale proporzionale a scrutinio di lista. •

Senato del Regno: era di nomina regia. Di fatto, era di nomina governativa. La sua maggioranza non era determinante per il sostengo al Governo.

L’amministrazione pubblica: l’amministrazione era dipendente dal Governo. Era organizzata al centro in Ministeri e in periferia era affidati ai Prefetti che erano rappresentanti del Governo in circoscrizioni provinciali ed altri organi decentrati. L’amministrazione autonoma era, inizialmente, solo quella dei Comuni retti da sindaci e da consigli elettivi dotati di limitata autonomia e controllati dai prefetti del Governo. Più tardi, si aggiunsero nell’amministrazione autonoma anche le Province rette da organi elettivi, ma dotate di scarse funzioni. La Magistratura: il potere giudiziario era esercitato da magistrati di carriera (giudici ordinari e giudici amministrativi) nominati dal re in base alla legge. I magistrati non fruivano di complete garanzie di indipendenza dall’Esecutivo- il sistema delle garanzie si fondava sui compiti dei giudici ordinari e più tardi (dopo la riforma del 1889) dei giudici amministrativi, davanti ai quali i cittadini possono impugnare gli atti illegittimi delle amministrazioni. La legge approvata dal Parlamento e sanzionata e promulgata dal re era la fonte del diritto per eccellenza e non incontrava limiti sostanziali, cioè rispetto al suo contenuto, in norme superiori, nemmeno in quelle dello Statuto Albertino, poiché mancava qualsiasi istituto che consentisse di far valere l’incostituzionalità della legge per vizi non di procedura, non ritenendosi i giudici competenti a sindacare la volontà legislativa. Perciò, si è parlato dello Statuto Albertino di una “costituzione flessibile”, cioè modificabile o derogabile con una legge ordinaria, anche se in realtà lo Statuto non contemplava alcun procedimento speciale per la revisione espressa delle sue disposizioni che, infatti, non intervenne mai. Lo Statuto attribuiva ai cittadini i tradizionali diritti di libertà civile (come la libertà personale, di domicilio, di stampa, di riunione, ma non di associazione) e di libertà economica (attraverso la garanzia del diritto di proprietà).

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Sanciva, altresì, l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge senza distinzioni di “titolo o grado”. Riconosceva e tutelava l’accesso alle cariche civili e militari, salve le eccezioni stabilite dalla legge. La disciplina specifica dei diritti sanciti dallo Statuto era rimessa alla legge, dunque, la garanzia effettiva di essi consisteva essenzialmente nella riserva di legge, cioè nella competenza riservata al legislatore per stabilire le norme relative. Lo Statuto stabiliva che la religione cattolica apostolica romana fosse la religione di Stato, mentre gli altri culti erano “tollerati conformemente alle leggi”. Di fatto, dopo l’occupazione di Roma, la “questione romana”, cioè la controversia con la Santa Sede che non aveva accettato l’esautoramento del suo potere temporale, rimase aperta per decenni. Lo Stato italiano approvò nel 1871 una legge, c.d. legge delle guarentigie, con cui assicurava, sul piano del diritto interno, la libertà della Chiesa, ma nell’ambito di un regime di commistione fra Stato e Chiesa. In particolare, lo Stato manteneva un certo controllo, ad esempio sulla nomina dei Vescovi, ma in compenso garantiva alle istituzioni ecclesiastiche un regime di privilegio. La Santa Sede mantenne a lungo un’opposizione di principio rispetto allo Stato “usurpatore” consigliando anche ai cattolici la non partecipazione alla vita politica del Regno (c.d. non expedit). La “conciliazione” è stata consacrata con i Patti Lateranensi del 1929 stipulati tra la Santa Sede e il Governo fascista dell’epoca. Con essi si chiuse la “questione romana”. Nello specifico, è possibile richiamare tre documenti che fanno parte dei Patti Lateranensi: 1. Trattato: venne riconosciuto un piccolo territorio attorno alla Basilica di San Pietro in cui si costituì lo Stato del Vaticano. In tale territorio venne riconosciuta, altresì, piena sovranità allo Stato pontificio. Venne riaffermato, inoltre, il principio secondo cui religione di Stato era la religione cattolica; 2. Concordato: era un atto bilaterale analogo ai trattati internazionali. In tale atto, vennero consacrati i diritti e gli obblighi della Chiesa e dello Stato italiano (privilegi del clero, riconoscimento civile del matrimonio canonico, insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali, riconoscimento degli enti ecclesiastici, ecc.); 3. Convenzione finanziaria: si attribuirono alla Santa Sede dei risarcimenti finanziari per l’avocazione allo Stato dei beni ecclesiastici. Per quanto attiene agli aspetti del sistema politico costituzionale, degli anni venti del XX secolo, si possono ricordare i seguenti punti salienti: 7. Lento allargamento del suffragio; 8. La nascita, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, dei primi partiti di massa portatori di programmi politici e attivi sia nel proporre candidature alle elezioni parlamentari sia nel cercare di influire sulla politica nazionale; - Alle elezioni del 1919 primeggiarono il partito socialista e i cattolici democratici riducendo la rilevanza della vecchia classe politica liberale. 3. Il regime fascista Nel 1922 con l’affermazione del regime fascista ci fu il rifiuto e l’abbandono dei principi sui cui si fondava il costituzionalismo liberal-democratico europeo. Lo Statuto Albertino continuò a reggere formalmente lo Stato, ma le leggi e la politica del regime ne svuotarono quasi completamente la sostanza. In particolare: • I diritti e le libertà furono soppressi o fortemente ridotti dalla legislazione repressiva; • Il pluralismo politico fu abolito; • Venne posta in essere la detenzione o il confino dei dirigenti politici antifascisti non rifugiatisi all’estero; • Il Parlamento fu privato dei suoi poteri a favore del Governo e soprattutto del duce;

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La Camera dei Deputati venne prima sostanzialmente svuotata attraverso elezioni su lista unica e senza garanzia di segretezza del voto (1924); • La Camera dei Deputati venne formalmente soppressa e trasformata in Camera dei fasci e delle corporazioni espressione delle istituzioni create dal fascismo e di nomina sostanzialmente governativa (1939); • Venne creato un nuovo organo costituzionale: il Gran consiglio del fascismo; • La libertà sindacale venne soppressa con la costituzione di sindacati unici di Stato e il divieto penale dello sciopero; • Scomparvero le istituzioni elettive locali, sostituendo ai sindaci i podestà nominati dal Governo; • Vennero istituiti i Tribunali speciali per la difesa dello Stato che reprimevano le attività di opposizione. Continuava a sopravvivere la monarchia, anche se ridotta nella sua influenza dal Capo del Governo. A sua volta, era ancora più ridotta l’influenza del Senato. •

4. Il crollo del fascismo e la fase costituente Il 25 luglio 1943 con le truppe alleate già sbracate in Sicilia una fronda interna manifestatasi all’interno del Gran consiglio del fascismo diede al re il destro di destituire Benito Mussolini e di nominare un nuovo Governo capeggiato dal maresciallo Badoglio. Quest’ultimo stipulò un armistizio con gli alleati. Roma e tutto il centro-nord del Paese furono occupati dai tedeschi, mentre il re e il Governo si rifugiavano a Brindisi. Nel nord occupato dai tedeschi si costituì la Repubblica sociale italiana che riproponeva il fascismo in versione Repubblicana e sempre più strettamente legato al nazismo. Nelle aree del Paese non occupate dai tedeschi, dove sopravvivevano le istituzioni del Regno, sembrò dapprima profilarsi una sorta di restaurazione statutaria che, facendo perno sulla monarchia, si sarebbe limitata alla semplice eliminazione delle “incrostazioni” del fascismo. Ne fu espressione sul piano costituzionale il D.lgs. 2 agosto 1943, n. 705, che sanciva lo scioglimento della Camera dei fasci e delle corporazioni e prometteva una nuova elezione, alla fine della guerra, della Camera dei Deputati prevista dallo Statuto- linea che si rivelò presto impraticabile. Con il crollo del regime fascista ripresero attivamente la loro presenza i partiti antifascisti - sia quelli preesistente sia quelli nati allora anche ricollegandosi a tradizioni precedenti, come la Democrazia Cristiana (DC) e il Partito d’Azione - i quali posero con forza la loro candidatura a guidare la fase politica di transizione verso il nuovo sistema. Ne risultò la c.d. tregua istituzionale con cui il re e i partiti antifascisti convennero di rinviare a dopo la fine della guerra di liberazione la risoluzione della questione istituzionale, cioè la scelta fra la conservazione della monarchia o l’instaurazione di una Repubblica. Nel frattempo le funzioni regie vennero affidate ad un “luogotenente del Regno”, in particolare nella persona del figlio di Vittorio Emanuele III. Il monarca abdicò nel maggio del 1946 e fece salire al trono il figlio Umberto II (il c.d. “re di maggio”). Le funzioni di governo vennero affidate a Gabinetti provvisori. Dopo la liberazione di Roma il nuovo governo, presieduto da Ivanoe Bonomi, formato da esponenti antifascisti, riunitisi nel Comitato di liberazione nazionale (CLN) emanò il D.-L.Lgt. n. 151/1944 che rimetteva ad una Assemblea Costituente, da eleggersi da tutti i cittadini, la deliberazione sulle nuove istituzioni dello Stato. Quest’ultimo decreto citato si considera la “prima Costituzione provvisoria” dell’Italia. Si diede atto del definitivo superamento dello Statuto. Per la prima volta in Italia si sarebbe avviato un progetto costituente “dal basso”. Dopo la liberazione e la nomina di un nuovo Governo provvisorio capeggiato da Ferruccio Parri, presidente del CLN, sostituito nel 1945 da Alcide De Gasperi, leader della DC, e la costituzione di

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una “Consulta nazionale” come organo para-parlamentare, la “seconda Costituzione provvisoria” rappresentata dal D.lgs.Lgt. n. 98/1946 in cui, accettandosi la richiesta di parte monarchica, sostenuta anche da una parte degli Alleati, si convenne che la scelta fra monarchia e Repubblica, anziché essere affidata all’Assemblea Costituente, fosse rimessa a un referendum istituzionale da svolgersi a suffragio universale e contemporaneamente alla elezione dell’Assemblea. Il 2 giugno 1946 il referendum diede un risultato favorevole alla Repubblica (circa 12 milioni e mezzo di voti contro 10 milioni e mezzo a favore della monarchia) - netta differenziazione fra un centro-nord a maggioranza repubblicana e un centro-sud a maggioranza monarchica. Il 13 giungo 1946 il re Umberto lasciava l’Italia e le funzioni di Capo dello Stato furono provvisoriamente assunte dal Presidente del Consiglio De Gasperi. L’Assemblea Costituente, eletta a sua volta il 2 giugno 1946, con un sistema elettorale proporzionale, risultò formata come segue (in totale erano presenti 556 membri): - DC- 207 seggi - Partito socialista italiano- 115 seggi - Partito comunista italiano- 104 seggi - Unione democratica nazionale (partito di matrice liberale) - 41 seggi - Blocco nazionale della libertà (partito di matrice liberale) - 16 seggi - Partito d’Azione- 7 seggi - Uomo qualunque (avversa alla politica dei partiti antifascisti) - 30 seggi L’Assemblea Costituente lavorò per un anno e mezzo. La Costituzione provvisoria del 1946 prevedeva che es...


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