Dora Markus, Montale PDF

Title Dora Markus, Montale
Course Letteratura Italiana
Institution Università degli Studi di Palermo
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Summary

Testo della poesia...


Description

Poesia inserita nella prima sezione de Le Occasioni, ma nata dall’unione di un primo testo del 1928 (ispirato, su suggerimento di Bobi Bazlen dalla bellezza delle gambe di una ragazza moldava, di nome Dora Markus) e da una seconda parte composta nel 1939, nell’imminenza dello scoppio del secondo conflitto mondiale e della persecuzione nazista. 1. [I sezione] Fu dove il ponte di legno 2. mette a Porto Corsini sul mare alto

1

3. e rari uomini, quasi immoti, affondano 4. o salpano le reti. Con un segno 5. della mano additavi all'altra sponda 6. invisibile la tua patria vera 2. 7. Poi seguimmo il canale fino alla darsena

3

8. della città, lucida di fuliggine 4,

9. nella bassura dove s'affondava 10.

una primavera inerte, senza memoria.

11.

E qui dove un'antica vita

12.

si screzia in una dolce

13. ansietà d'Oriente 5,

14.

le tue parole iridavano come le scaglie

15.

della triglia moribonda.

16.

La tua irrequietudine mi fa pensare

17. agli uccelli di passo

6

che urtano ai fari

18.

nelle sere tempestose:

19.

è una tempesta anche la tua dolcezza,

20. turbina e non appare 7,

21.

e i suoi riposi sono anche più rari.

22.

Non so come stremata tu resisti

23.

in questo lago

24. d'indifferenza

8

ch'è il tuo cuore; forse

25.

ti salva un amuleto che tu tieni

26.

vicino alla matita delle labbra,

27.

al piumino, alla lima: un topo bianco

28.

d'avorio; e così esisti!

29. [II sezione] Ormai nella tua Carinzia

30.

di mirti fioriti e di stagni,

31.

china sul bordo sorvegli

32.

la carpa che timida abbocca

33.

o segui sui tigli, tra gl'irti

34. pinnacoli

35.

10

9

le accensioni

del vespro e nell'acque un avvampo

36. di tende da scali e pensioni 11.

37.

La sera che si protende

38.

sull'umida conca non porta

39.

col palpito dei motori

40.

che gemiti d'oche e un interno

41.

di nivee maioliche dice

42.

allo specchio annerito che ti vide

43. diversa

12

una storia di errori

44. imperturbati 13e la incide 45. dove la spugna non giunge 14.

46.

La tua leggenda, Dora!

47.

Ma è scritta già in quegli sguardi

48.

di uomini che hanno fedine

49. altere

15

e deboli in grandi

50.

ritratti d'oro e ritorna

51.

ad ogni accordo che esprime

52. l'armonica guasta

16

nell'ora

53.

che abbuia, sempre più tardi.

54.

È scritta là. Il sempreverde

55. alloro

17

per la cucina

56. resiste, la voce non muta 18,

57.

Ravenna è lontana, distilla

58. veleno una fede feroce 19.

59.

Che vuole da te? Non si cede

60. voce, leggenda o destino...

61.

20

Ma è tardi, sempre più tardi.

62. 1. [I sezione] Avvenne [il nostro incontro] dove il ponte di legno 2. immette sul molo di Porto Corsini verso il mare aperto 3. e pochi pescatori, praticamente immobili, gettano 4. o tirano le reti. Tu [Dora Markus] indicavi 5. con un segno della mano la tua patria vera 6. sull’altra sponda che non si poteva vedere. 7. Poi seguimmo il canale fino alla darsena 8. della città, splendente nei fumi della stazione, 9. nella costa dove sprofondava 10.

una primavera senza vita e senza memoria.

11.

E in questo luogo, dove la vita del passato

12.

acquista varie tonalità di colore in una

13.

tranquilla inquietudine orientale,

14.

le tue parole prendevano i riflessi di colore

15.

di un triglia agonizzante.

16.

La tua ansia segreta mi fa pensare

17.

agli uccelli in migrazione che si scontrano

18.

con le lanterne del porto nelle sere di tempesta:

19.

ed anche la tua dolcezza è per me una tempesta,

20.

[poiché] è agitata ma non si manifesta con evidenza.

21.

E le pause [del tuo affetto] sono ancor più rare.

22.

Non so come tu, al culmine della sofferenza,

23.

possa resistere con il tuo cuore

24.

colmo di indifferenza; forse ti salva l’amuleto

25.

che custodisci vicino alla matita

26.

per truccarti le labbra, al piumino da cipria,

27.

alla lima per le unghie: [è] un topolino

28.

di avorio; e grazie questo tu riesci a vivere!

29.

[II sezione] Ormai [dopo molti anni] nella tua Carinzia piena

30.

di mirti in fiore tieni d’occhio,

31.

china sul bordo degli stagni,

32.

una carpa che abbocca inconsapevole [all’amo]

33.

oppure segui sui tigli con lo sguardo

34.

il rosseggiare del tramonto tra le guglie della città,

35.

e [vedi] sull’acqua il riflesso colorato

36.

che viene dalle tende di luoghi di scalo o pensioni.

37.

La sera che si stende

38.

sulla regione del lago non porta con sé

39.

col rumore dei motoscaf

40.

che i versi delle oche, e una stanza

41.

con ceramiche bianche alle pareti racconta,

42.

ad uno specchio vecchio e nero che ti ha visto

43.

diversa [da ora], la storia del tuo vagabondaggio

44.

impassibile, e la scolpisce

45.

dove non può essere cancellata.

46.

Ma la tua vicenda, Dora!,

47.

è già scritta negli sguardi

48.

di uomini dalle basette severe

49.

ma deboli [d’animo], raffigurati in grandi ritratti

50.

dalle cornici dorate e [la tua vicenda] ritorna

51.

in ogni accordo che viene prodotto

52.

dall’armonica a bicchieri [ormai] guasta, nell’ora

53.

del giorno, sempre più tardi, mentre cala la notte.

54.

[La tua storia] è scritta là.

55.

L’alloro sempeverde resiste

56.

per l’uso in cucina, la voce non cambia,

57.

[il ricordo] di Ravenna è lontano, mentre

58.

un’ideologia mortifera sparge veleno nel mondo.

59.

Che pretendono da te? Non si può vendere

60.

ciò che è voce, leggenda o destino...

61.

ma è tardi, sempre più tardi.

62.

1

Lo sfondo è geografcamente ben determinabile: si tratta del ponte sul

canale che collega Ravenna al Porto Corsini, e al suo molo che si protende sull’Adriatico. Da metà Settecento fino alla Prima guerra mondiale il Porto Corsini è stato il principale scalo marittimo della città romagnola. 2

la tua patria vera: a seconda delle possibili identità di “Dora”, questa “patria”

può essere individuata nella Moldavia (da dove proviene Dora Makus), nella Carinzia di Gerti Frankl, o - più probabilmente - alla terra d’Israele, intesa come patria ideale delle diverse figure femminili ebree (Dora, Gerti, Irma Brandeis) che confluiscono nella protagonista di questo testo. 3

fino alla darsena: si tratta del porto interno di Ravenna.

4

lucida di fuliggine: l’espressione, che allude al fatto che vicino alla “darsena”

c’è una stazione ferroviaria, ha valore antifrastico, poiché la città splende pur coperta dalla coltre dei fumi delle locomotive. 5

una dolce ansietà d’Oriente: l’immagine paesaggistica e la “antica vita” (v.

11) alludono all’influenza bizantina sulla storia della città, ai cui preziosi mosaici fa riferimento il verbo “screziarsi” del v. 12, ai quali si sovrappone la “dolce ansietà” che è anche un tratto psicologico di Dora Markus, combattuta tra l’irrequietezza profonda e l’apparente impassibilità. 6

uccelli di passo: si tratta di uccelli abituati a migrare, così come gli

ebrei, nel mondo, sono in eterno pellegrinaggio, in quanto privi di una patria. 7

turbina e non appare: altro rimando alla psicologia e all’identità ebraica di

Dora, la cui ansia intima (nella seconda parte della poesia, dovuta anche all’incubo nazista all’orizzonte) non trapela quasi mai all’esterno, almeno per chi non la conosce bene. 8

quel lago d’indifferenza: l’espressione è di origine letteraria: “Allor fu la

paura un poco queta, | che nel lago del cor m’era durata”, Dante, Inferno, I, vv. 19-20. 9

Carinzia: regione meridionale dell’Austria, in cui Montale immagina che si

trovi Dora nel momento in cui scrive (sovrapponendole i dati biografici di Gerti

Frankl, originaria appunto di quella regione). Quattro i laghi della regione (Faaker See, Millstaettersee, Ossiacher See, Wörther See). 10

gl’irti pinnacoli: Montale si riferisce all’architettura neogotica tipica del

XIX secolo e caratteristica delle cittadine austriache. 11

Costruzione vv. 29-36: “Ormai sorvegli, nella tua Carinzia di mirti fioriti e di

stagni, china sul bordo, la carpa che timida abbocca o segui sui tigli le accensioni del vesrpo tra gl’irti pinnacoli e [segui] nell’acque un avvampo di tende da scali e pensioni” 12

diversa: forte, nella seconda parte di Dora Markus, il senso del passaggio

inesorabile del tempo: da un lato, la protagonista e il poeta sono ormai separati e lontani; dall’altro, la stessa Dora si trova in un mondo che l’ha vista “diversa”, cioè giovane e potenzialmente felice. 13

errori imperturbati: è il tema - dal latino errare, vagare continuamente -

della continua diaspora, individuale e collettiva, cui è costretta Dora, che reagisce a questa situazione con la sua classica manifestazione di imperturbabilità. 14

Si noti come nei vv. 36-45 Montale insista molto sulla dimensione coloristica,

che affianca il tono cupo e pessimistico di questa strofe; sul calare della sera, dall’“avvampo di tende” (vv. 35-36) si passa al bianco delle “oche” e delle “nivee maioliche” (vv. 40-41), riflesse da uno “specchio annerito” dal passare del tempo. 15

fedine severe: riferimento alla moda delle basette portate all’austroungarica,

con riferimento cioè allo Stato natale di Dora. 16

l’armonica guasta: si tratta, più precisamente, di un’armonica a bicchieri (o

glassarmonica), strumento musicale settecentesco composto da una serie di coppe di vetro, fatte ruotare e suonate per mezzo delle dita inumidite. In questo caso, è un simbolo esplicito del declino del mondo asburgico, e dell’imminente tempesta della guerra mondiale. 17

il sempreverde alloro: altro segno della crisi e del declino (con sotterranea

ironia contro i “poeti laureati” già citati nel v. 1 de I limoni negli Ossi di seppia); il rametto della pianta che sanciva in passato la gloria poetica è qui, più prosaicamente, destinato all’uso in cucina. 18

la voce non muta: Montale intende qui con “voce” il destino storico di

sradicamento inscritto nel sangue di un popolo (e di Dora stessa).

19

una fede feroce: allusione indiretta ma nettissima alla “fede feroce” (cioè,

folle ed insensata) del nazismo, e all’Anschluss dell’Austria del marzo del 1938. 20

In chiusura di Dora Markus, piano individuale e piano collettivo (“voce,

leggenda o destino”) si uniscono, nel constatazione senza speranza che è “sempre più tardi” per tutti. La prima parte della poesia, con il verbo incipitario («Fu») che colloca i fatti in un passato non definito, è ambientata a Ravenna, come esplicita il v. 2 («Porto Corsini» è il porto della città emiliana). Il poeta la fissa intenta a compiere un gesto con la mano mentre si trova sul canale che dal porto conduce alla città: ella indica verso l’«altra sponda» dell’Adriatico, a Oriente, la sua «patria vera» (v. 6), e quest’ultima potrebbe la Carinzia, regione austriaca della quale la donna è originaria, o – trattandosi di una poesia che mescola tre figure femminili ebree – più probabilmente l’espressione fa riferimento alla “terra promessa” degli ebrei della Diaspora. Il paesaggio che avvolge la donna e l’io lirico (il verbo «seguimmo» al v. 7 esplicita una presenza plurale) è nero di fuliggine, in una primavera che è «senza memoria» (v. 10) perché l’atmosfera non è quella tipica di questa stagione. La seconda strofa della prima parte è legata alla precedente dalla congiunzione incipitaria «E» (v. 11) ed evoca Ravenna che, con i suoi monumenti e mosaici bizantini, suscita una nostalgia d’Oriente. Nei due versi finali il poeta usa una similitudine: le parole della donna «iridavano» (v. 14), mutavano continuamente, come fanno le cangianti scaglie delle triglie. Tale effetto rimanda anche al cromatismo dei mosaici bizantini a cui alludeva poco sopra. Nella terza strofa non ci sono riferimenti di luogo: il poeta guarda all’«irrequietudine» della donna, che gli ricorda quella degli uccelli migratori che, attirati dalla luce, «urtano ai fari / nelle sere tempestose» (vv. 17-18); a differenza di questi, che si concedono momenti di riposo durante i lunghi voli, la donna raramente trova tregua alla sua inquietudine, alla sua «dolcezza» che è come una «tempesta» (v. 19). Il poeta si stupisce di come la donna possa resistere, così «stremata», al «lago / d’indifferenza» (vv. 23-24) che è il suo animo: egli presume che la sua salvezza derivi da un portafortuna («amuleto», v. 25), un «topo bianco / d’avorio» (vv. 27-28), un oggetto quotidiano che però assume appunto un significato salvifico, che ella conserva in mezzo agli oggetti da trucco. Nella seconda parte il poeta immagina la donna in Carinzia, la regione austriaca della quale ella era originaria, e nella prima strofa descrive un paesaggio lacustre presso il quale la donna si sofferma: le acque riflettono, come un «avvampo» (v. 35), i colori delle tende delle banchine e degli alberghi circostanti. Nella seconda strofa della seconda parte si passa dal lago, su cui la sera che scende lascia spazio al «palpito dei motori» (v. 39) delle imbarcazioni e ai «gemiti d’oche» (v. 40), agli interni della casa di Dora Markus, che sembrano raccontare una «una storia di errori»,

quella della giovinezza, che viene incisa in quella parte della memoria in cui i ricordi rimangono vivi. Nella terza strofa la storia («leggenda», v. 46) di Dora viene legata a quella dei suoi antenati («sguardi / di uomini che hanno fedine / altere e deboli in grandi / ritratti d’oro», vv. 47-50), ma «nell’ora / che abbuia» (vv. 52-53) tutto appare fuori tempo rispetto alla minaccia del presente, quella nazista e della guerra, pur non esplicitamente nominata. L’ultima strofa, invece, rende più esplicito il clima di sgomento e terrore che si sta abbattendo sull’Europa e, in particolare, sugli ebrei: il nazismo è «una fede feroce» (v. 58) che «distilla / veleno» (vv. 57-58) e che minaccia l’identità e i valori della donna, che tenta la sua resistenza con un altro oggetto salvifico, il «sempreverde / alloro per la cucina» (vv. 54-55): come già anticipato nella strofa precedente, però, «è tardi, / sempre più tardi» (v. 61)....


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