Esercitazioni Manzin - riassunto completo del libro \"argomentazione giuridica e retorica forense\" di. PDF

Title Esercitazioni Manzin - riassunto completo del libro \"argomentazione giuridica e retorica forense\" di.
Course Filosofia del diritto
Institution Università degli Studi di Trento
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Summary

Warning: TT: undefined function: 32 Warning: TT: undefined function: 32LEZIONE 1Il libro del professor Manzin è un testo di filosofia del diritto e, in particolare, affronta quella parte della filosofia chiamata argomentazione giuridica proponendo una teoria costruttiva. È un testo complesso perché ...


Description

LEZIONE 1 Il libro del professor Manzin è un testo di filosofia del diritto e, in particolare, affronta quella parte della filosofia chiamata argomentazione giuridica proponendo una teoria costruttiva. È un testo complesso perché richiede la conoscenza di determinati soggetti che sono implicati nei 10 saggi. Per comprendere questo testo è necessario fare una introduzione sul significato di argomentazione, sul significato di argomentazione giuridica. Questo testo si occupa di teoria dell’argomentazione che è una specie della teoria del ragionamento giuridico. Per comprendere che cos’è l’argomentazione giuridica è necessario comprendere che cos’è il ragionamento giuridico. Per fare ciò è necessario comprendere che cos’è un ragionamento. Iniziamo col dire che per ragionamento si intende qualsiasi processo razionale per il quale muovendo da determinate premesse si giunge ad una conclusione. Questo ragionamento può essere psicologico e/o linguistico. È psicologico in quanto ha luogo nella mente dell’individuo; è linguistico in quanto viene esplicitato in un enunciato. Quindi questa distinzione tra ragionamento psicologico e ragionamento linguistico delinea la distinzione tra ragionamento implicito ed esplicito, espresso o inespresso. Ciò vale su un piano generale, ma noi trattiamo un ragionamento peculiare: il ragionamento giuridico. In che cosa si distingue il ragionamento giuridico dal ragionamento tout court? Nel dare questa risposta seguiamo il ragionamento di un noto filosofo, Damiano Canale, il quale in uno studio della storia della filosofia del diritto alla domanda “quali sono i tratti pecuniari del ragionamento giuridico?” individua due caratteristiche. In primo luogo, , cioè è un ragionamento in cui la conclusione è un enunciato prescrittivo. La conclusione serve a indirizzare il comportamento dei consociati o, più genericamente, serve a indirizzare la condotta dei destinatari. Quindi, il ragionamento giuridico ha una forza coattiva: deve essere eseguito, ha una conclusione che può essere eseguita con la forza. . Negli stati costituzionali di diritto, il ragionamento giuridico è quello di soggetti che esercitano pubblico poteri e che devono ragionare (devono) a determinate condizioni alle quali il ragionamento può dirsi giustificato. La decisione del giudice dello stato costituzionale di diritto deve essere motivata, quindi il ragionamento deve seguire determinate condizioni. Ora, in queste parole c’è un non detto: quando si parla di ragionamento giuridico, l’abbiamo descritto oggettivamente (funzione normativa, contenuto istituzionalizzato dal contesto), ma quando si parla di ragionamento giuridico di chi stiamo parlando? Chi sono i soggetti che formulano ragionamenti giuridici? Chi è il soggetto di attenzione? di chi è il ragionamento giuridico? Legislatore / magistrato (giudice e pubblico ministero) / dottrina / avvocato / pubblica amministrazione. Tutti questi sono soggetti istituzionali che svolgono, nell’esercizio delle loro funzioni, ragionamenti giuridici; è evidente che il ragionamento giuridico coinvolge una pluralità di soggetti. Tuttavia nel contesto dello stato di diritto, ha assunto preminenza il ragionamento giuridico del giudice al punto che quando si parla tradizionalmente di ragionamento giuridico si intende il solo ragionamento giudiziale, con ciò riconoscendo un ruolo dominante del giudice sugli altri soggetti. Nella teoria dell’argomentazione, così come la studieremo, si riconosce il ragionamento del giudice solo come uno dei ragionamenti possibili, attribuendo rilievo anche agli atri soggetti processuali.

La teoria dell’argomentazione è la nuova frontiera della teoria del ra rivendica e attribuisce dignità ad altri soggetti oltre al giudice. Quindi nella teoria dell’argomentazione quel binomio (ragionamento giuridico – ragionamento giudiziale) viene messo in discussione. Allora, che cosa concorre nel determinare le condizioni del ragionamento giuridico? Quali discipline concorrono nello studio del ragionamento giuridico? In primo luogo,

. In particolare la psicologia studia il ragionamento sotto

il profilo funzionale, cercando di spiegare in che cosa consistono le capacità ragionali degli uomini, perché siamo inclini a certi comportamenti, perché siamo inclini a certi tipi di errori, come si ragiona e qual è l’influenza del contesto sul ragionamento. In questo sta l’apporto della psicologia. Oltre alla psicologia si sono affermate, negli anni recenti, alcune indicazioni da parte della neurofisiologia, quella disciplina che studia le caratteristiche anatomiche del cervello, associando degli stati mentali e cercando di spiegare come si generano e come si sviluppano, dal punto di vista biochimico, i pensieri umani. Il centro studi di Rovereto si occupa anche di questo. Quindi psicologia, neurofisiologia, studi di scienze cognitive, sono discipline che concorrono allo studio del ragionamento giuridico ma sono intenzionalmente snobbate perché vi si imputa il difetto di spiegare fenomeni empirici, dire come stanno le cose, ma non poter spiegare le condizioni alle quali i ragionamenti siano corretti. La psicologia, la sociologia, le scienze cognitive sono una tradizione messa a parte perché non attribuiscono al discorso l’universalità. Non consentono di dire a quali condizioni il ragionamento sia giustificato; dicono ciò che accade perlopiù, forniscono delle indicazioni di massima ma non forniscono prescrizioni universali oggettive. a. Quando parlo di logica intendo lo studio delle regole del ragionamento in forza delle quali l’inferenza può dirsi corretta (l’inferenza è il passaggio logico tra premessa e conclusione). Le regole della logica indicano le condizioni di validità del discorso, le condizioni alle quali il discorso è coerente, non contraddittorio, privo di salti logici. Il pregio della logica è quello di fornire delle regole universali, cioè che valgono per tutti indipendentemente da come uno pensa si debba ragionare. La logica ha il pregio di essere una scienza normativa e spiegare come si debba ragionare correttamente e per questo corrisponde perfettamente alle esigenze del ragionamento giuridico. Un’altra disciplina che concorre a determinare le condizioni del ragionamento giuridico è la linguistica. Il ragionamento è espresso in enunciati; il ragionamento riguarda una forma di comunicazione linguistica che coinvolge altri soggetti. Quindi la linguistica, nella misura in cui studia il rapporto tra significato, significante e contesto, fornisce gli elementi per lo studio del ragionamento. Con riferimento alla linguistica, si è detto che essa studia il significato, il significante ed il contesto, e con ciò riferendosi alla semantica, alla sintattica ed alla pragmatica (tre indirizzi di studio della linguistica). Di questo si occupa la filosofia del diritto laddove tratta di analisi del ragionamento. Poi incide sul ragionamento anche la comunicazione, quella disciplina che studia i contesti di comunicazione e formalizza, enuclea, le regole di comunicazione di settore. Ogni settore ha i suoi usi linguistici che gli studiosi di comunicazione distinguono nelle interazioni contestuali. Quindi bisogna trovare assolutamente una sintonia in una collaborazione tra giuristi e studiosi di comunicazione, perché il ragionamento giuridica, anche se inteso nel senso più strettamente giudiziale, altro non è se non

una comunicazione in un contesto, quello processuale. Quindi, per analizzarlo, concorrono (oltre alle regole della logica e della psicologia forense e della linguistica) anche le regole della comunicazione. Tutti questi sono discipline teorie che contribuiscono alla formazione di modelli del ragionamento giuridico, perché nella teoria del diritto, in particolare gli studiosi del ragionamento giuridico, si sono occupati di determinare le condizioni di accettabilità razionale del ragionamento, cioè individuare le condizioni alle quali si può dire che una decisione è giustificata e alle quali si può dire che una decisione merita l’assenso, il consenso. Queste teorie da ragionamento giuridico, sviluppando apporti che provengono dalla logica, dalla psicologia, dalla linguistica e dalla comunicazione, hanno formulato dei modelli di contenuto prescrittivo, dei modelli normativi che indicano le regole in rispetto delle quali il ragionamento giuridico è valido e accettabile. Questo è un discorso molto importante perché si interseca con temi generali del diritto; certezza del diritto, cioè una decisione (la decisione giudiziale) motivata, devono essere determinate le condizioni alle quali può dirsi giustificata perché una decisione determina il diritto, forma il diritto. Questo studio è importante anche sotto il profilo della separazione dei poteri, perché se io so le condizioni di validità di un ragionamento posso controllare quel ragionamento e posso dire se vi è stato o meno un abuso. La funzione giurisdizionale viene controllata con un controllo di logicità della sentenza, per quello che gli avvocati sono importanti in questo: nel momento in cui formulano un atto di impugnazione, sia esso ricorso in appello o in cassazione, devono far emergere i vizi di logica o le contraddizioni della motivazione, cioè i punti nei quali la decisione non è stata conforme alle regole (è importante conoscere queste regole per poter giudicare la bontà o meno di una decisione). Certezza del diritto, separazione dei poteri e quindi giusto processo, art. 111: una decisione ben fatta è una decisione che discende da un processo svolto nel contraddittorio tra le parti; quella decisione che non è una terza via autonoma scelta dal giudice, ma è una decisione che il giudice scrive dopo aver soppesato gli argomenti portati dalle parti senza introdurre ex novo, di propria esclusiva discrezionalità, argomenti nuovi. Quindi ciò che trattiamo quando parliamo di teoria dell’argomentazione riguarda una disciplina molto importante che è quella del ragionamento giuridico, un ragionamento di tutti i soggetti istituzionali che istituzionalmente si occupano di diritto, alla quale concorrono diverse discipline e che ha come funzione quella di determinare le condizioni di accettabilità razionale del discorso. La teoria del ragionamento giuridico si propone di fare questo: ditemi a quali condizioni il ragionamento di un soggetto giuridico è razionalmente accettabile (parola razionalmente accettabile è una locuzione che ha a che fare con due cose: la ragione, la logica, la validità e l’accettabilità, che ha a che fare con il consenso, il quale appartiene alla comunicazione intersoggettiva, cioè è l’esito della persuasione, cioè è il risultato di un’azione retorica).

; una coppia di concetti che, nella storia del pensiero filosofico, è stata trattata come una coppia talvolta litigiosa. Nell’ambito della teoria del ragionamento giuridico, il modello di ragionamento giuridico (in riferimento al ragionamento giudiziale) che ha svolto un ruolo predominante a partire dalla cultura giuridica del 1700, è il modello del sillogismo giudiziale.

Traccia: in cosa consiste il ragionamento giuridico per eccellenza, cioè il sillogismo giudiziale; qual è stata l’evoluzione del sillogismo giudiziale; la sua crisi fino all’emersione delle teorie e dei modelli del ragionamento alternativi. Iniziamo a chiarire un argomento centrale nella cultura giuridica di tutti noi giuristi: il sillogismo giudiziale. Il sillogismo giudiziale ha una data di origine, il 1764, data in cui viene stampato “Dei delitti e delle pene”, anno in cui Cesare Beccaria formalizzò il ragionamento del giurista con queste parole: “In ogni delitto si deve fare dal giudice un sillogismo perfetto: la maggiore deve essere la legge generale; la minore l’azione conforme o non alla legge. La conseguenza, la libertà o la pena”. Queste parole, da allora, pervadono la cultura giuridica perché hanno cristallizzato e stigmatizzato la forma del ragionamento del giudice. Il termine che usa Beccaria è un termine aristotelico: egli parla di sillogismo perfetto e si riferisce ad un ragionamento composto da premesse e conclusioni, nella quale la premessa maggiore è un enunciato che coincide con la legge generale e astratta. La premessa minore è un enunciato che descrive il fatto, la conclusione e una norma, cioè il dispositivo della sentenza che prescrive la libertà o la pena. Per Beccaria questo è un sillogismo pratico perché la conclusione appunto è una norma. Dal punto di vista logico, la forma del ragionamento è un deduzione ma nel linguaggio giuridico non si parla di deduzione ma si parla di sussunzione, perché il meccanismo (idea di qualcosa di automatico, deve ricordare un ingranaggio) della sussunzione consiste nel sussumere il caso nella norma. In ciò funziona il ragionamento: includere un fatto individuale in una classe di norme; le norme sono generali e astratte e prevedono tutte una conseguenza giuridica e quindi la conclusione deve solo dichiarare. È bello credere che così vadano le cose, e questo mito settecentesco nasce proprio nell’era della grande codificazione, quando si riteneva che tutto il diritto fosse nel codice. Se tutto il diritto è nel codice, allora il codice dice tutto il diritto. Quindi, poiché nessun caso è escluso dalla legge codificata, il giudice deve, effettivamente, semplicemente ius dicere, dove questo dicere ha un suo significato meramente dichiarativo, assertivo. Il giudice era la bocca della legge, perché il ragionamento che deve fare è semplicemente quello di ripetere quello che la legge dice, sussumere il caso e la norma, la norma prevede la conseguenza giuridica che il giudice deve dire. Allora il sillogismo giudiziale in questo senso è perfetto; è perfetto non solo nel senso aristotelico ma è perfetto perché è fondato da logiche necessita tra premesse e conclusioni e la forza della conclusione sta nella forza della premessa. La legge è tutta nel diritto positivo. Non ci sono casi esclusi dal codice: il codice regola tutto lo scibile. Il sillogismo giudiziale, così come rappresentato da Beccaria e poi fatto proprio della cultura giuridica Settecentesca e Ottocentesca, ha due caratteristiche: il racconto di come il giudice ragione, quindi è un sillogismo che descrive come ragiona il giudice, la cui sentenza deve essere semplicemente dichiarativa del diritto già posto; e un aspetto prescrittivo perché forma una cultura giuridica, in quanto individua questo passaggio (premessa maggiore, premessa minore, conclusione), uno standard decisionale (così deve fare il giudice). La forza di questo ragionamento è quello di essere una dimostrazione, la logica in fondo è quella della deduzione; quindi il giudice, e in ciò sta il mito, è un po’ come lo scienziato: lo scienziato dispone della sua tavola periodica degli elementi, il giudice dispone delle leggi, le quali sono gli strumenti nelle sue mani per

fare le sentenze. Però il giudice e lo scienziato, se stiamo a Beccaria, ragionano in modo incontrovertibile, secondo logica. Bellissimo, tutti noi ci crediamo: i ragionamenti costruiti in forma sillogistica sono sicuramente persuasivi ma nel Novecento questo comincia a ravvisarsi con forza e si comprende che il ragionamento giuridico non ha la forma di sillogismo. Nel Novecento questo modo di ragionare (premessa maggiore, premessa minore, conclusione, automatismo, giudice bocca della legge, legge generale ed astratta, fatto che deve essere semplicemente sussunto sotto la norma) che attribuisce al giudice un ruolo simil scienziato, crolla. La crisi del sillogismo giudiziale coincide anche, dal punto di vista conoscitivo, con la crisi del pensiero scientifico; sono gli anni della meccanica quantistica, sono gli anni in cui si mettono in discussione dei principi consolidati delle scienze naturali. Quello che a noi importa da giuristi è che il modello segna il suo cedimento. Il primo grande filosofo a criticare la corrispondenza del sillogismo giudiziario, sia come modello descrittivo che come modello prescrittivo, che sottolinea la non corrispondenza del sillogismo giudiziale sul piano descrittivo e prescrittivo, è stato Hans Kelsen. Kelsen formula la sua critica innanzitutto dicendo che la relazione tra gli elementi che costituiscono il sillogismo giudiziale non è una relazione logica ma è una relazione di potere. Ciò che rende le condizioni del ragionamento, la conclusione del ragionamento, valida non è la deduzione tra la premessa e la conclusione ma è il fatto che l’organo giurisdizionale è autorizzato a emanare la norma. È una questione di potere. Perché, dice Kelsen, la conclusione del ragionamento giudiziale è valida? Non è una questione di relazione logica tra premessa e conclusione, ma dipende dal fatto che chi pronuncia quella conclusione è legittimato a farlo da una norma. C’è una attribuzione normativa, una delega di potere che risulta dalla legge; il giudice ha il potere di farlo. La prima critica del sillogismo giudiziale fatta da Kelsen agli inizi del Novecento non crediamo che la conclusione norma individuale della sentenza sia valida per pura logica; quella norma individuale è valida perché lo dice il giudice. La seconda critica, molto interessante, che riguarda gli elementi interni del sillogismo, per cui questi elementi (premessa maggiore, premessa minore, conclusione), dice Kelsen, non sono dati, ma sono scelti dal giudice. Quando si deve i realtà qualificare la premessa maggiore, si deve svelare il ragionamento normativo. La fattispecie: secondo voi, descrivere il fatto è neutrale? La premessa in fatto, la premessa minore, è una fotografia della realtà asettica? Difficile non riconoscere la fragilità di questa cosa: come si può pensare che un fatto sia lo stesso per tutti? Ci sono tante ragioni: primo perché si parla di fatto (post viene pubblicato alle h. 14:15 del giorno 26/02/2018), si discute di questa cosa in processo nel 2020. Come si discute di quel fatto? Facendone un resoconto, cioè la ricostruzione avviene attraverso la parola. Ma la mia prospettiva, di persona offesa, lo qualifica in un certo modo; diversa sarà la ricostruzione fatta dalla difesa dell’imputato. Non c’è un modo univoco per rappresentare il fatto, perché il fatto è controverso. Il punto è che la scelta della premessa maggiore, la scelta della premessa minore, deve essere giustificata. Le condizioni di accettabilità razionali sono quelle per le quali la scelta della norma dei fatti sono giustificata. Ne consegue che anche la decisione del giudice non è affare semplice di deduzione, ma è una conclusione, è del sillogismo, è una scelta; è ciò che si determina alla luce delle valutazioni in punto di diritto, in punto di fatto, che il giudice ha svolto.

La critica di Kelsen sta in questo: nel mostrare non solo che il sillogismo è frutto di potere, perché la conclusione valida in quanto è emanata da un soggetto autorizzato a farlo, ma, in secondo luogo, la giustificazione interna del sillogismo deve essere svolta, cioè non si può credere che premessa maggiore, premessa minore e conclusione siano atomi, elementi neutri: sono elementi che comportano l’uso della discrezionalità del giudice. Premessa maggiore e premessa minore sono l’esito di valutazioni, di scelte del giudice. Il ragionamento non è nulla di automatico ma è un ragionamento complesso. E così arriviamo al Novecento e alla crisi del sillogismo giudiziali; appurato che il modello paradigmatico del ragionamento costituito dal sillogismo giudiziale non è sostenibile, la teoria del ragionamento si è sviluppata secondo due direttrici. Il modello descrittivo fotografa ciò che accade, ciò che è, modello dell’essere; modello prescrittivo è sempre un modello ideale che ha a che fare con ciò che si deve fare, ciò che deve essere, piano del dover essere.

LEZIONE 2 La volta scorsa ci siamo lasciati con l'indicazione interpretativa valida per tutte le teorie del diritto che dovremo affrontare, cioè quell'indicazione che distingue tra teorie anti formaliste e teorie analitiche. Alla crisi del sillogismo giudiziale è seguita cioè una duplice tendenza: da un lato la propria delle teorie anti formaliste volta a ricercare dei modelli alternativi al sillogismo, altra; altra tendenza è quella propria delle tendenze analitiche che invece recupera, integrandolo, il modello del sillogismo. Tra le teorie anti formaliste la prima che da un punto di vista cronologico si impone è la teoria di Perelman, un log...


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