Filosofia del dovere giuridico, Antonio Incampo [Riassunto Ruggiero Dambra] PDF

Title Filosofia del dovere giuridico, Antonio Incampo [Riassunto Ruggiero Dambra]
Author Ruggiero Dambra
Course Filosofia del Diritto 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
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Summary

Questo è il riassunto del libro di Antonio Incampo, Filosofia del dovere giuridico, utile per l'esame di filosofia del diritto presso UniBa, con il professore Incampo. Questa dispensa può sostituire il libro...


Description

Filosofia del dovere giuridico [Antonio Incampo] Riassunti [Ruggiero Dambra] 1. FILOSOFIA E DIRITTO La filosofia è la scienza del tutto, analogamente la filosofia del diritto, non privilegia un aspetto del diritto. Per questo motivo è più facile dire che riflette sul dovere giuridico. Ma il diritto non è il dovere giuridico, ma il diritto senza il dovere giuridico è impensabile. Il dovere giuridico, ha a che fare con il tutto. Gli altri saperi del diritto si soffermano soltanto su una parte di esso, come il diritto penale, civile, costituzionale e così via. La filosofia del diritto, si chiede cos’è il dovere giuridico in sé. Possiamo iniziare a distinguere i doveri, partendo dalla distinzione di doveri secondo la forza e doveri secondo l’oggetto. Però possiamo distinguere i doveri anche tra doveri di condotta che istituiscono rapporti giuridici e doveri di struttura, volti a organizzare un corpo di norme, ciò significa parlare di doveri secondo l’oggetto. Ha inizio, in questo modo, una prima classificazione. I sensi del dovere giuridico, sono l’obbligo e il permesso. Il permesso, è riconducibile all’obbligo. Il permesso ha il dovere di impedire l’impedimento dell’obbligo. I permessi possono distinguersi secondo libertà e poteri. Le libertà non richiedono un’iniziativa dello Stato. Ad esempio, le libertà individuali, come quelle di opinione, non possono essere ostacolate. Solo i poteri sono garantiti da interventi mirati dello Stato. Come il diritto all’istruzione, dove lo Stato garantisce con le sue risorse la scuola. I diritti, hanno effetti diverso se sono libertà o poteri. Che rapporto c’è tra obblighi e poteri? La libertà implica il divieto del suo impedimento, il potere ha l’obbligo del suo adempimento. Il permesso si rafforza con l’obbligo. Quindi, dove c’è un obbligo c’è un diritto, e viceversa. Dove c’è un dovere c’è anche un permesso e dove si accorda un permesso, c’è anche il dovere. L’obbligo ha due direzioni possibili: ci sono doveri di e doveri verso qualcosa o qualcuno. I doveri di, sono per di più costrizioni; mentre i doveri verso sono doveri che presuppongono un diritto. L’ordinamento presuppone che nessun’altra norma sia valida e che valide siano tutte e sole le norme o validate secondo regole di formazione, cioè regole da cui nascono nuove norme, o validabili secondo regole di trasformazione dello stesso ordinamento, cioè regole che trasformano norme di un altro tipo, (norme di costume), in norme giuridiche. Queste norme, formano l’intero ordinamento, poiché la totalità delle norme valide, è il carattere essenziale (quidditas) dell’ordinamento. Dunque, affermando che son valide solo le norme dell’ordinamento, si decide pure ciò che è invalido. Ad un primo approccio, ci sono almeno due specie di norme: la norma secondo la forza, l’altra secondo l’oggetto del dovere. Ci sono però, norme senza le quali il diritto non sarebbe neanche pensabile, ne esisterebbe; altre invece potrebbero pure non esserci. Quindi, è necessaria la “norma fondamentale” [Grundnorm] a la Kelsen: “Ci si deve comportare secondo la costituzione effettivamente statuita ed efficace”. La norma fondamentale non è, il senso di un atto di volontà. Questa norma fondamentale, è il prodotto della ragione. L’ordinamento, non può che comandare il proprio adempimento. Sarebbe contraddittorio un ordinamento il quale, enunciando le sue innumerevoli disposizioni, giungesse ad una norma in grado di disporre tutto il contrario, sarebbe come dire, che un ordinamento, introducesse alla fine il dovere di una norma permissiva fondamentale: “fate tutto quello che volete”; ci sarebbe solo contraddizione. È interessante notare come i doveri necessari siano spesso muti. Si comportano, da veri crittotipi, cioè doveri nascosti, non avendo il carattere di leggi scritte. Infatti, la norma fondamentale non compare in nessuna parte del codice. Il motivo potrebbe risiedere nella sua forza. La Grundnorm è così evidente che non ha 1

bisogno di essere rappresentata. Il fatto di non essere presente nel codice, non significa che non sia una norma. Sarebbe meglio dedurre, che il diritto non si rifà soltanto a leggi scritte. C’è un diritto praeter legem. Ma non è sempre così. Esistono anche doveri necessari che hanno un preciso rapporto con il codice. Ad esempio, possiamo pensare al passaggio di proprietà di bene immobili, dove è prevista una scrittura privata o pubblica. Questo è il caso del diritto secundum legem. Infine, oltre al prater legem e al secundum legem, c’è un terzo rapporto tra doveri necessari e nomografica. Questo rapporto, è riferito alle situazioni in cui tali doveri sono in conflitto con la legge. La nozione di “crimini contro l’umanità”, elaborata dallo Statuto del Tribunale di Norimberga alla fine della Seconda guerra mondiale, stabilisce il principio che una condotta possa definirsi antigiuridica anche se ordinata dallo Stato all’interno dei propri confini e verso i propri cittadini. Andando avanti, nel 2006 la Corte Internazionale di Giustizia, ha stabilito che il divieto di genocidio appartiene al diritto internazionale cogente e non può essere trasgredito da nessuno Stato. Il diritto è perciò anche diritto contra legem. Non tutte le norme sono necessarie. Ad esempio, non era necessario l’art 144 del c.c. italiano sulla potestà matrimoniale, in questo articolo vi si leggeva, che la moglie dovesse accompagnare ovunque il marito. Che fosse una norma solo possibile è dimostrato dal fatto che non è più vigente in Italia. Inoltre, la sua riforma non ha comportato una qualche contraddizione. Si trattava solo di un obbligo legato, al retaggio storico dell’ideologia maschilista del codice. Oggi sappiamo che la discriminazione di genere è un errore teoretico, insieme alla schiavitù e al razzismo ad esempio. Un altro caso, è quello che due amanti restituiscano i doni alla fine della loro storia. I doni non hanno reciprocità e non si danno a patto di riceverli, ne ammettono di essere ripresi da parte di chi li dona. Sia il nono, sia il per-dono, si offrono anche a costo di non essere corrisposti. La loro regola è assenza di regola. Oltre che per la forza del dovere, le norme si distinguono anche per l’oggetto. Un catalogo di norme secondo l’oggetto separa norme primarie da norme secondarie. Le norme primarie sono le norme di condotta. Con esse sono istituiti i rapporti giuridici, stabilendo ciò che si deve o non si deve fare. Una norma di condotta, è la norma che vieta l’omicidio. Il fatto che prescriva un comportamento basta a definirla come norma di condotta. Infatti, non si può riuscire neanche a pensare un ordine giuridico che includa l’omicidio. Il PASSAGGIO da uno stato di natura pregiuridico ad un ordine giuridico si giustifica, grazie alle norme di condotta. Il divieto di uccidere, è il vertice delle norme di condotta. ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Le norme secondarie sono, le norme di struttura, che creano e organizzano l’ordinamento giuridico. Le norme di struttura, sono norme su norme, che vertono su altre norme, (un esempio è l’art. 70 della cost. “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”). Di conseguenza, l’art. 70 cost. non è una norma che dispone una condotta dei destinatari, fissa solo il soggetto legittimato a produrre le norme di condotta, quindi, non fissa come ci si deve comportare, ma chi decide come ci si deve comportare. È una norma di struttura, anche la norma di chiusura dell’ordinamento (“sono valide tutte e sole le norme dell’ordinamento, nessun’altra è valida”). Sono norme di struttura, anche le norme che fissano un ordine tra le leggi. Come all’art. 15 delle preleggi, che riguarda l’abrogazione di implicita delle leggi in caso di conflitto tra loro, stabilendo che la norma successiva, prevale sulla precedente (Lex posterior derogat priori). C’è una relazione tra norme primarie e norme secondarie? Le norme di struttura sono condizioni necessarie e sufficienti di validità delle altre norme. Ogni norma dipende da atti di produzione, soprattutto agli atti del legislatore. Senza questi atti non ci sono norme valide. Quindi, bastano questi atti perché ci siano norme valide. Ma è realmente così? No, perché il diritto resiste all’ingiustizia legale. Quindi non basta che le norme siano prodotte da norme di struttura per essere dotate di forza giuridica, ma serve molto di più dell’esistenza di un legislatore perché le leggi siano valide. Non sono sufficienti le norme di struttura. 2

Il diritto nasce attraverso atti di produzione; alla base della sua validità insistono l’intuizione e la deduzione. Le norme, si comportano come gli enunciati, cioè le norme spiegano solo la ragione. L’esistenza di doveri necessari non supplisce, alla funzione del legislatore. Sarà sufficiente un’osservazione. Grazie alle regole tecniche o al concetto di “natura della cosa”. Le regole tecniche, si presentano secondo lo schema: “se vuoi x devi y” (se vuoi guarire, devi prendere i farmaci). Sarebbe contradittoria una volontà che ripromettendosi di guarire, deliberasse di non assumere farmaci. Non importa, sapere se un fine abbia valore oppure no, ma che a un fine segua necessariamente un mezzo. Ci sono, dei doveri necessari che siamo in grado di conoscere in maniera chiara e distinta. La questione, però, è capire che cosa serve ai fatti giuridici. Un testamento olografo presuppone che sia sottoscritto di mano dal testatore. Si stenta a credere che un testamento scritto per intero dal testatore, alla fine non sia anche sottoscritto. Infatti, si tratta di una regola tecnica, che per essere una norma giuridica, ha bisogno di trovarsi nel codice. Lo stesso vale per la trascrizione di una donazione. I doveri sono entrambi necessari. La caratteristica della prima regola è che la conseguenza o il fine sono sempre dedotti da una norma dell’ordinamento. La donazione giuridica, non esiste fuori dall’ordinamento. Perciò il rapporto mezzo-fine non è la semplice conversione in forma di regola di un rapporto di causa ed effetto, ma la trasformazione del rapporto di due fatti qualificati dall’ordinamento: la condizione e la conseguenza. Le norme di struttura non possono stare senza le norme di condotta, e viceversa. Il diritto non è, totalità semplice di doveri semplici che si danno per mezzo di volontà particolari. Ci sono anche doveri necessari, senza i quali l’ordinamento smetterebbe di essere quello che è. L’ordinamento non può discostarsi dall’obbligo di comportarsi secondo la Costituzione statuita ed efficace. Il diritto, quanto è più giustificato, più si apre all’universale. Però, il diritto senza l’umanità non esisterebbe. Le norme giuridiche presuppongono di essere giustificate per via della loro stessa definizione. La norma giuridica è appunto una norma. Non ci sono però, solo norme giuridiche, ad esempio ci sono le norme morali come “ama il prossimo tuo come te stesso”, che non è certamente una norma giuridica. Se osserviamo le due norme, quelle giuridiche e quelle morali, possiamo evidenziare almeno due differenze importanti. Prima di tutto, i punti di vista interno o esterno del dovere. Il dovere giuridico implica un’azione esterna del soggetto; il dovere morale, è tutto concentrato sull’impulso interno. Un’altra differenza, è quella che il dovere giuridico è bilaterale-attributivo, cioè ad ogni dovere, corrisponde l’autorizzazione dell’altro ad esercitare la propria pretesa mediante la coazione. L’inadempimento del negozio giuridico, suppone tutti i mezzi per essere risarciti. Con il dovere morale non è così. Se è vero che una norma morale non è una norma giuridica, non è una norma totalmente immorale. Un ordine del tipo “o la borsa, o la vita”, è un ordine delinquenziale. La regola delinquenziale non è diritto. Cosa manca alla norma delinquenziale? La giustificazione. La differenza specifica della regola giuridica sta proprio nella sua giustificazione per ogni possibile destinatario. In questo senso, chiunque crei o applichi il diritto non può limitarsi a dire che cosa si deve o non si deve fare. Dovrà offrire una motivazione. La seconda spiegazione sul rapporto tra diritto e ragione è di ordine politico latu sensu. Cioè una norma quanto più è giustificata tanto più è efficace; una norma assolutamente ingiustificata perde ogni efficacia e finisce per negarsi da sola. Le leggi senza alcuna efficacia non sono leggi.

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2. POLITICA E DIRITTO La politica, è un momento inevitabile del processo giuridico. Non è pensabile un diritto senza la politica. L’ordinamento giuridico è una realtà continuamente in movimento. Esso è una concatenazione tendenzialmente infinita di atti giuridici. È soprattutto attività, azione. Facendo una distinzione grossolana, abbiamo due grandi ambiti dell’attività giuridica. Da un lato ci sono atti che creano nuovo diritto oltre il diritto che c’è, dall’altro ci sono atti che producono diritto dal diritto che c’è. Gli che creano un nuovo diritto sono atti di legislazione, gli atti che creano diritto dal diritto sono atti di giurisdizione. Il legislatore fa le leggi (atti di legislazione), il giudice no (atti di giurisdizione). L’attività del giudice, dà vita a norme individuali (le sentenze), che discendono dall’applicazione della legge. Nell’attività legislativa, prevalgono giudizi di valore. Lo scopo della legislazione è quello di soddisfare il bisogno di regole negli spazi giuridicamente vuoti. Si legifera a causa dell’assenza di regole. L’attività del giudice invece, è quella di essere chiamato ad applicare le leggi, non a farle. Il legislatore, può sempre intervenire sullo stesso problema politico-sociale creando ogni volta nuove risposte. Non è così per il giudice, che deve giungere per forza a una conclusione. Il legislatore può dare allo stesso problema tante risposte anche opposte tra loro, si da creare un conflitto tra norme. L’art. 15 delle preleggi, prevede che l’abrogazione della legge precedente a quella emanata se in conflitto. Con questo si vuole far capire, che il legislatore può dare più risposte ad uno stesso problema, però con il pericolo di cadere in contraddizione. Mentre il giudice, può dare e deve dare solo una soluzione. Possono cambiare i gradi di giudizio, ma con esso cambiano anche i giudici, ma alla fine si arriverà ad una risposta inappellabile, oltre la quale non si potrà sostituire né il giudice e né la risposta. Un altro aspetto del giudice, è quello di avere l’obbligo formale di motivare le sentenze (art. 111 comma 6 cost.). L’attività del legislatore invece, non implica l’obbligo di motivare le leggi. Quindi la legislazione non è la giurisdizione. Ma potrebbe occuparla? No, perché sennò si rischierebbe una violazione del principio della separazione dei poteri e una paralisi dei processi. C’è il divenire perché c’è il mondo di tutto ciò che accade. L’ordinamento non può fare a meno del mondo; serve al mondo, così come il mondo serve al diritto. L’ordinamento aderisce al mutamento del mondo, ed ha la funzione di rispondere ai bisogni della realtà sociale. I mezzi sono le regole, ma c’è un problema pressante: le regole non sono mai abbastanza. Nascono incessantemente spazi vuoti che hanno bisogno di essere colmati. La pensa, sarebbe l’inefficacia di tutto il sistema. Ma non tutte le lacune sono ordinamentali, cioè di investire tutto il sistema. Ci sono anche lacune “locali” ossia casi non previsti, che non implicano una modifica del sistema, questo perché ad esempio se ne occupa il giudice attraverso i “procedimenti della logica giuridica“. Con l’interpretazione e con i ragionamenti su casi simili o materie analoghe il giudice cerca di non scomodare il legislatore. Per molte dottrine non è affatto scontato che l’ordinamento sia incompleto. A sostenere questa tesi, è il legalismo giuridico, secondo cui la legge è tutto il diritto: non esistono fatti al di fuori della legge. Riguarda la norma sulla tassatività della fattispecie penale contenuta nell’art. 1 del codice penale: nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge […]. Tutte le volte in cui si presenta un caso non previsto, il diritto penale risponde con una previsione indiretta, stabilendo per esso la modalità del permesso. L’articolo si potrebbe riformulare così “ciò che non è previsto è permesso”. In questo modo l’ordinamento è solo apparentemente incompleto. Il principio di tassatività non è soltanto una norma del codice, ma ha pure una sua logica. Se il permesso deve competere con l’obbligo o il divieto, nei casi in cui manca una previsione, è il permesso l’unico ad avere una possibilità. Il principio di tassatività e la regola generale di permissione o di libertà, vige soltanto in diritto penale e non anche in diritto civile. Per il diritto civile infatti, l’art. 12 delle preleggi prevede espressamente l’esistenza di controversie che non possono essere decise con una precisa disposizione. Quindi, il principio di tassatività non occupa tutto l’ordinamento, almeno per il diritto civile le cose stanno diversamente. Ciò che non è previsto, può essere colmato dal giudice con argomenti a simili. 4

C’è da chiedersi se la tassatività sia davvero effettiva. Non è facile trovare dei fatti espressamente previsti. Se si va in processo è perché ci sono molti dubbi sia sulle norme da applicare e sia sui fatti da giudicare. Le lacune non sono solo praeter legem, cioè a causa della mancanza di norme, ma possono essere pure intra legem, cioè che le norme ci sono, ma non sono chiare e occorre interpretarle. La conoscenza del giudicato è alla base del discorso valutativo. Quanto più si conosce l’oggetto, tanto più ha senso il giudizio. Di fronte all’assoluta mancanza di conoscenza, il giudizio è totalmente infondato. Se le lacune sono ordinamentali è il legislatore a fare nuove leggi; se sono locali e soggette soltanto all’applicazione della legge, è il giudice che ricava nuovo diritto dal diritto che c’è. Si attribuisce all’attività del giudice una funzione per conclusionem atque determinationem. La giurisdizione è politica. Il giudice non da l’unica risposta possibile, ma sceglie un risultato al posto di un altro. È difficile che ci siano fatti “espressamente previsti”. Forse non ci sono mai fatti del genere. I casi sono unici e irripetibili. Le norme no; esse sono generali e astratte, incapaci di nascondere la loro ambiguità e di nominare in sé tutto ciò che accade. Si pensi ad espressioni come ‘ordine pubblicò per qualificare molte fattispecie criminose. Le norme non dispongono, di fatti singoli, ma della loro generalità ad eccezione delle norme individuali contenute nelle sentenze con cui Tizio è condannato o assolto. Le sentenze sono, il punto di arrivo del giudice. In tal senso, il giudice si trova si trova costantemente a colmare gli spazi vuoti della legge. Lo fa attraverso operazioni sia semantiche, sia sintattiche. A livello semantico, mediante l’interpretazione; a livello sintattico, derivando dal codice tutto il diritto che serve. L’esame del livello sintattico permetterò di discutere anche quello semantico dell’interpretazione. Il procedimento per analogia implica un particolare tipo di interpretazione. Tutte le volte in cui sussiste una somiglianza c’è anche una differenza. Due fatti sono simili, se sono differenti. Se per analogia si può includere nel divieto un caso non previsto, è possibile anche escluderlo. È l’argomento a contrario. Questa volta, grazie all’interpretazione teleologica, si escludono da N’ tutte le situazioni in cui, nonostante le somiglianze, prevalgono le differenze. Da N’ si passa a NN. Da NN si passa a N’’. L’argomento a contrario non è espressamente previsto dal codice. Si introduce grazie alla logica del procedimento per analogia. In certi casi dominano le somiglianze, prevalgono le differenze. Per questo, il codice che prevede il procedimento per analogia dispone implicitamente anche l’argomento a contrario. Gli argomenti per analogia e a contrario rispondono, a un tipo di interpretazione, piuttosto che a un altro, e al ruolo rispettivamente delle somiglianze e delle differenze tra il fatto noto e quello non previsto. Per procedere con gli argomenti a simili e a contrario, il giudice ha bisogno di un particolare tipo di interpretazione. Occorrono, l’interpretazione teleologica, o un’interpretazione che permetta di fissare, al di là delle ...


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