Filosofia Morale aforismi PDF

Title Filosofia Morale aforismi
Course Filosofia Morale 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
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riassunto aforismi di due testi principali di nietzsche : al di là del bene e del male e aurora...


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AURORA Aforisma 9 = l’eticità dei costumi. A differenza del passato, gli uomini di oggi vivono in un’epoca in cui si ha poco rispetto per il costume e la tradizione, infatti la potenza del costume e il sentimento dell’eticità, risultano così indeboliti che ormai possono essere definiti come volatilizzati. La tradizione invece è molto importante, infatti secondo il principio fondamentale, l’eticità non è nient’altro che l’obbedienza ai costumi, i quali rappresentano il modo tradizionale di agire e di valutare. Originariamente nell’ambito dell’eticità rientravano varie cose, tra cui l’educazione, la cura per la salute, il matrimonio, l’arte medica, l’agricoltura, la guerra, ma anche i rapporti fra gli uomini e con gli dei. La tradizione pretendeva che si osservassero prescrizioni senza pensare a se stessi. Se in una comunità non esiste una tradizione che comanda, allora non esiste neanche l’eticità. Ma che cos’è la tradizione? E’ un’autorità superiore alla quale bisogna obbedire perché ci viene comandato. L’uomo però prova un sentimento di paura: ha paura di un intelletto superiore che comanda, e quindi di una potenza incomprensibile e indeterminata. Perciò, l’uomo che agisce senza rispettare le regole della tradizione, ma agisce in base a se stesso e al suo volere, è un uomo libero ma privo di eticità, poiché egli vuole dipendere in tutto da se stesso e non da una tradizione che deve comandare e controllare le sue azioni: infatti, in tutti gli stati primordiali dell’umanità, malvagio ha lo stesso significato di libero e individuale. Quindi, se un’azione viene compiuta non perché la tradizione lo comanda, ma per altri motivi (ad esempio, per un’utilità individuale); allora tale azione sarà definita come non conforme all’eticità, sia dalla comunità e sia dall’autore di tale azione. Chi si vuole elevare al di sopra della tradizione, deve diventare un legislatore e stregone, quindi una sorta di semi-dio che deve creare nuovi costumi, e questo sarebbe molto pericoloso da compiere, perché andrebbe contro tutte le regole di una comunità. Ad aver permesso l’esistenza di tali uomini che agiscono fuori dalla legge, sono tutti quei moralisti sulle orme socratiche, che hanno messo nel cuore di tali uomini una morale intesa come un personale vantaggio, e come la chiave per la propria felicità. Tali uomini quindi nel momento in cui compiono delle azioni al di fuori della propria tradizione, vengono puniti dall’ira divina. Però le conseguenze si ripercuotono anche sull’intera comunità, la quale può vendicarsi nei confronti di chi ha peccato. Al tempo stesso però la comunità sentirà questa colpa come propria e porterà con se il castigo del peccatore come proprio. I costumi quindi si sono rilassati se peccare è divenuto possibile. Al contrario invece, l’uomo maggiormente attento al rispetto della tradizione è colui che rispetta la legge il più possibile, quindi colui che, ovunque e in ogni minima frazione di tempo, porta con se la coscienza di tale legge; e colui che la osserva anche nei casi più difficili; nel senso che a volte, per rispettare la legge, è necessario compiere anche dei sacrifici. Aforisma 13 = per la nuova educazione del genere umano. In questo aforisma gli uomini vengono descritti come soccorrevoli e ben disposti, in quanto cooperare per allontanare dal mondo il concetto di castigo che lo soffoca. Tale castigo non solo è presente nelle conseguenze delle nostre azioni, e quindi questo ci porta ad intendere il principio di causa ed effetto, come il principio di causa e pena, ma ha derubato l’innocenza alla pura casualità dell’accadere. Tale concetto si è spinto tanto oltre da percepire persino l’esistenza stessa come castigo.

Aforisma 14 = significato della follia nella storia della moralità. Nonostante l’oppressione dell’eticità sotto la quale vissero le comunità umana secoli prima della nostra era, ci sono stati nuovi pensieri, valutazioni e istinti, e questo avviene perché ovunque c’è follia, follia che ha

aperto la strada a nuove prospettive e nuovi modi di pensare e intendere. Un tempo infatti si pensava che la follia comprendesse anche del genio e della saggezza, quindi qualcosa di divino. Perciò tutti quegli uomini superiori che avvertivano in loro la voglia di scavalcare l’eticità e infrangere le regole per crearne altre, venivano definiti come folli e così apparivano agli occhi degli altri. I folli sono tutti gli innovatori, di qualsiasi campo si tratti, i poeti ad esempio nel corso del tempo son stati definiti sempre pazzi, proprio perché creatori di qualcosa; così come quasi tutti gli uomini più importanti della civiltà antica. E questo, agli occhi di Nietzsche è terribile, è terribile cioè che un uomo dotato di genio e innovazione, debba essere definito pazzo. Aforisma 18 = la morale della sofferenza volontaria. Nietzsche si chiede quale sia il godimento supremo di una comunità che vive in una costante condizione di guerra, in cui vige il pericolo dell’eticità. Tale godimento è la crudeltà: l’agire in maniera crudele rallegra non solo la comunità, ma anche gli dei. In questo modo quindi s’insinuano nel mondo due idee principali: una è che la sofferenza volontaria e il martirio liberamente scelto, abbiano un senso e un valore -si è più sospettosi di fronte ad un eccessivo benessere; e piu fiduciosi di fronte ad una condizione di sofferenza. Di conseguenza quindi lo sguardo degli dei sarà sdegnato nel caso in cui l’uomo mostri troppa gioia; al contrario invece il loro sguardo sarà benigno nel caso in cui l’uomo soffra, proprio perché tale condizione li diverte e li mette di buon umore. Non bisogna però confondere tale sguardo con la compassione, in quanto quest’ultima è considerata spregevole. Tale virtù del soffrire però viene utilizzata come mezzo di disciplina, per evitare di cadere nella ricerca della felicità individuale. Coloro che andavano oltre i principi dell’eticità, evitando quindi la sofferenza, non solo venivano ritenuti folli, ma subivano anche un martirio volontario. Tali uomini quindi s’incamminavano verso vie nuove e questo provocava in loro rimorsi e paure; di conseguenza s’infuriavano con i loro stessi corpi e desideri. Secondo Nietzsche non dobbiamo pensare di esserci liberati oggi di tali idee e, soprattutto, non dobbiamo dimenticare che oggi se siamo arrivati a tale libertà di pensiero e di espressione, è grazie a tutti i martiri che nel corso dei secoli milioni di uomini hanno subito. Aforisma 26 = gli animali e la morale. Nelle società più raffinate si tende a seguire alcune regole, come ad esempio evitare il ridicolo e lo stravagante, tener nascoste le proprie virtù e i propri desideri, mostrarsi imparziali. Queste sono le regole che generalmente troviamo più o meno in ogni morale sociale, persino nel mondo animale; infatti il mondo animale e il mondo umano vengono messi a paragone in questo aforisma, in quanto essi si comportano più o meno nello stesso modo: gli animali infatti si sottraggono ai propri persecutori e si vogliono avvantaggiare per cacciare la preda; loro osservano i movimenti degli altri animali e studiano le loro peculiarità, sulla base delle quali poi agiscono. Essi inoltre imparano a dominarsi e a simulare, ad esempio possono fingersi morti o prendere le forme e i colori di un altro animale o di una foglia. Perciò l’uomo, cosi come l’animale, è capace di adattarsi al proprio ambiente sociale, e di non farsi ingannare, ascoltando con diffidenza le parole di passione, mettendo in guardia se stessi. Perciò l’autodominio nasce dalla saggezza, sia negli uomini che negli animali. Ma, per dominarsi, uomini e animali osservano il comportamento dei loro nemici, dopodichè riguardano indietro su se stessi e cercano di cogliersi in maniera oggettiva. Diciamo quindi che l’uomo è simile all’animale in quanto entrambi possiedono quegli istinti che insegnano la ricerca del nutrimento, la fuga dai nemici, e l’autoconservazione. Aforisma 76 = pensare male significa rendere malvagio. Le passioni diventano malvagie se vengono guardate e pensate in modo maligno. E’ esattamente in questa maniera che il Cristianesimo è riuscito a fare di Eros e Afrodite, originariamente grandi potenze ricche di forze ideali, degli spiriti infernali, ed è riuscito a fare questo attraverso i tormenti che esso ha fatto

nascere nella coscienza dei credenti. Secondo Nietzsche è qualcosa di orribile trasformare sensazioni necessarie e normali in fonti maligne di miseria. In questo modo resta soltanto una miseria che viene tenuta nascosta, in quanto non tutti hanno il coraggio di ammettere il loro offuscamento cristiano, cosi come fece invece Shakespeare. Perciò Nietzsche si chiede se bisogni necessariamente chiamare malvagio tutto ciò contro cui dobbiamo combattere; cosa peggiore è che ormai è tipico pensare che un nemico sia sempre malvagio, e chi pensa ciò è, secondo Nietzsche, un’anima volgare. E’ a causa di questo che futuri gruppi di uomini troveranno qualcosa di meschino nella cultura cristiana. Aforisma 77 = delle torture dell’anima. L’indignazione si scatena nel momento in cui qualcuno infligge una tortura ad un altro corpo; il solo pensiero ci fa tremare e soffrire in maniera intollerabile. Purtroppo però non si è ancora raggiunta quell’idea universale secondo cui la tortura è un qualcosa di assolutamente terribile. Anzi, il Cristianesimo, afferma Nietzsche, ha applicato le torture dell’anima e ha continuato nel tempo a predicarle; con un’aria innocente e lamentandosi laddove tali torture non venivano messe in pratica. Tutto questo ha come risultato il fatto che gli uomini, verso le torture, si comportano con la stessa pazienza con cui si comportavano una volta verso la crudeltà usata sui corpi di uomini e animali. Se così stanno le cose, secondo Nietzsche, l’inferno non è stata solo una mera parola; a questo proposito Plutarco immagina la situazione di un miscredente all’interno del paganesimo. Tale miscredente quindi finirebbe all’inferno perché non crede in alcuna religione e questo viene ritenuto peccato. Offerta quest’immagine quindi, Plutarco immagina una serie di scene alle quali il miscredente in questione potrebbe assistere: -una cicogna che tiene nel becco un serpente e che esita ad ingoiarlo -la vista di parenti defunti che portano nei loro volti i segni delle loro sofferenze -le parenti della camera del dormiente si rischiarano e su di esse vi appaiono strumenti di tortura. Il cristianesimo perciò ha fatto della Terra un luogo spaventoso, in cui i grandi predicatori hanno reso pubblico il dolore segreto degli uomini; e in cui il crocifisso è stato collocato in ogni dove, quasi come a ricordare la Terra come il luogo in cui il giusto viene martirizzato (Gesù infatti era un giusto ma fu ucciso e il crocifisso ci ricorda questo). Aforisma 80 = il cristiano compassionevole. L’altra faccia della pietà cristiana per i dolori del prossimo, è il sospetto per ogni gioia del prossimo. Aforisma 107 = il nostro diritto alla nostra follia. Nietzsche si chiede come bisogna agire e a quale fine. E’ l’autorità della morale che dev’essere alla base di tutte le nostre azioni, le cui finalità e i cui mezzi siano chiari in maniera immediata. Perciò è come se ci fossero degli imperativi morali (Kant) che ci permettono di agire sempre nella maniera più giusta, e di evitare quindi il problema individuale e il pericolo di agire o pensare in maniera errata. Ma, tale moralità è pericolosa per chi possiede l’autorità: nel momento in cui viene permesso il diritto di agire in maniera arbitraria e folle, chi possiede l’autorità e la potenza, la perde, perché inizierebbe ad agire senza moralità. In realtà, afferma Nietzsche, noi siamo stati abituati ed educati a sentire in maniera patetica, cioè a fuggire nell’oscurità, proprio quando l’intelletto invece dovrebbe essere lucido e freddo. Aforisma 109 = autodominio e moderazione, nonché il loro motivo ultimo. Nietzsche elabora 6 metodi per sfuggire al desiderio di soddisfare un istinto: 1° metodo: si possono evitare le occasioni in cui il nostro istinto potrebbe essere soddisfatto; e lo si può indebolire attraverso lunghi periodi di tempo in cui il nostro istinto non viene soddisfatto.

2° metodo: si può elaborare una legge che regolamenta in maniera ordinata e rigorosa l’appagamento dei propri istinti 3° metodo: ci si può abbandonare intenzionalmente e selvaggiamente al soddisfacimento del proprio istinto, così tanto da avvertire ad un certo punto una sorta di nausea verso tale “godimento”. In questo maniera si riuscirebbe ad avere potere sull’istinto. 4° metodo: associare alla voglia di soddisfare il proprio istinto, un pensiero negativo che ci permetta così di frenarci; bisogna farlo però con esercizio e quindi in maniera costante; fino al punto che anche il pensiero stesso del soddisfacimento del proprio istinto venga percepito come negativo, esattamente come il pensiero al quale lo associamo. Ad esempio il cristiano avverte un istinto sessuale, ma tale istinto lo associa alla vicinanza del diavolo e questo quindi non solo lo blocca dal soddisfare tale istinto, ma lo fa percepire come negativo. 5° metodo: si può spostare tutta la propria forza e la propria concentrazione su un qualunque lavoro pesante e faticoso; oppure su un nuovo stimolo o piacere. A queste due possibilità si può dare un largo soddisfacimento, così da impiegare tutte le forze che abbiamo in un qualcosa di diverso dl nostro precedente istinto, in modo tale che per quest’ultimo non restino più sufficienti energie per soddisfarlo. 6° metodo: indebolire e calpestare il proprio corpo, così da indebolire il nostro istinto. Nietzsche però si rende conto che combattere i nostri istinti non è nelle nostre capacità: l’uomo si lamenta di un suo arrogante istinto, ma in realtà dietro quest’istinto ve n’è un altro ancora, magari più arrogante del precedente, quindi noi ci lamentiamo del nostro istinto, ma quest’ultimo si lamenta di un altro ancora! In questo modo si viene a creare uno scontro in cui il nostro intelletto deve prendere posizione. Aforisma 114 = della conoscenza di colui che soffre. La condizione di certi uomini malati, che a lungo sono tormentati dal dolore senza che però questo offuschi il suo intelletto, è importante per la conoscenza: colui che soffre vede le cose al di fuori della sua condizione di sofferenza; infatti attraverso l’intelletto l’uomo vuole fronteggiare il dolore che sta vivendo e vuole far risplendere di una nuova luce tutto ciò che colpisce con lo sguardo. L’uomo che soffre, inoltre, per evadere dal dolore fisico, si concentra a ricordare i momenti del suo passato, come modo per difendersi dalla sofferenza fisica, che è il suo tiranno. Aforisma 115 = il cosiddetto “io”. Le parole a volte sono un impedimento per l’uomo in quanto quest’ultimo ha preso l’abitudine di non prestare attenzione dove non ci sono le parole; e quindi per l’uomo, dove finisce il regno delle parole, finisce anche il regno dell’esistenza. Oltre ciò l’uomo presta attenzione solo a quelle manifestazioni estreme dei sentimenti, come ad esempio ira, odio, amore, compassione, che sono dovute a stati di accumulo; mentre le manifestazioni più moderate non vengono prese in considerazione, ci sfuggono, e questo è sbagliato perché sono proprio queste manifestazioni a costruire il nostro destino e la tela del nostro io. Le manifestazioni estreme, invece, lacerano la tela del nostro essere. L’uomo quindi è convinto di conoscere se stesso attraverso l’osservazione di queste sue manifestazioni estreme; e questo è sbagliato perciò possiamo dire che in realtà l’uomo si mal conosce, perché sbaglia a leggere quella scrittura e non considera la più fondamentale. Aforisma 129 = il supposto conflitto dei motivi. Quando dobbiamo compiere un’azione pensiamo alle varie conseguenze e le confrontiamo, però questo porta l’uomo a tormentarsi perché indovinare le conseguenze è un lavoro complicato. Quando abbiamo stabilito che le conseguenze sono quelle, crediamo di aver risolto l’azione. Una volta individuate le conseguenze, esse devono essere messe su un’unica bilancia ed equilibrarsi, però a volte ci manca anche la bilancia (ovviamente in senso metaforico) e quindi secondo Nietzsche questo non può avvenire.

Supponiamo però di riuscire a equilibrare queste conseguenze, e allora in questo caso avremmo un motivo per compiere l’azione. Però, nel momento in cui iniziamo ad agire, sorgono nuovi motivi che possono modificare le conseguenze. Ad esempio possono agire forze interne a noi, istinti o passioni che è impossibile bloccare o prevedere, persone di cui abbiamo un certo timore che ci danno una spinta. Quindi insomma possono agire altri motivi che non conosciamo affatto, che conosciamo male oppure che non possiamo prevedere. E’ probabile che tra questi motivi ci sia anche una lotta, ed è questo quindi che si intende con “conflitto dei motivi”, che è qualcosa di invisibile e inconscio in noi. In conclusione quindi io conosco ciò che alla fine faccio, ma non posso conoscere il motivo per cui lo faccio. E’ anche vero però che, secondo Nietzsche, noi ci siamo abituati a non conoscere questi processi nascosti, e abbiamo invece sviluppato e conosciuto solo ciò che potevamo chiaramente conoscere: questo ci porta a confondere il conflitto dei motivi con il confronto delle possibili conseguenze.

Aforisma 133 = non pensare più a sé. A volte agiamo per aiutare qualcuno in difficoltà, anche se non lo conosciamo e anche se tale individuo ci è ostile; questo perché siamo mossi da un sentimento di pietà: in quel momento pensiamo soltanto all’altro, e siamo perciò compassionevoli. In realtà però non pensiamo solo ed esclusivamente all’altro, ma anche a noi stessi, solo che lo facciamo inconsciamente e quindi non ce ne accorgiamo. Al tempo stesso però la disgrazia di un altro ci convincerebbe della nostra impotenza e della nostra vigliaccheria se non gli prestassimo aiuto, e questo farebbe sorgere pareri negativi verso noi stessi; perciò nella sofferenza dell’altro noi siamo in pericolo, ed essa genera in noi un senso di pena. Questa pena noi la respingiamo e la compensiamo con un’azione pietosa; in tale azione pietosa può esserci una legittima difesa oppure una vendetta. Tutto questo però ci fa capire che l’uomo non sempre prova compassione quando vede un individuo che sta soffrendo; poiché egli potrebbe anche pensare soltanto a se stesso e non corrergli in aiuto. E’ sbagliato chiamare compassione la sofferenza che avvertiamo alla vista di una situazione dolorosa; e che tale sofferenza non colpisce chi sta soffrendo; in realtà la sofferenza che l’altro avverte, è anche mia. E in realtà, quando compiamo azioni pietose, eliminiamo la nostra sofferenza, non la sua; e quindi di conseguenza possiamo dire che compiamo azioni pietose per liberarci di un nostro dolore personale e per sentire in noi la gloria e la lode, e non quindi puramente per l’altro, e questo rende i compassionevoli degli egoisti. Riguardo il concetto di compassione, Schopenhauer afferma che essa sia la fonte di tutto l’agire morale passato e futuro. Nietzsche si chiede quale sia la differenza tra il compassionevole e il privo di compassione: gli uomini privi di compassione: -non hanno l’immagine della paura o quella capacità di fiutare il pericolo. -possiedono un orgoglio molto forte che impone loro di non immischiarsi in faccende a loro estranee, infatti pensano solo a se stessi. -sono più abituati a sopportare il dolore rispetto ai compassionevoli, e loro non ci vedono nulla di ingiusto nel fatto che altri soffrano, perche anche loro soffrono. -per loro, avere il cuore tenero, è una condizione penosa, in quanto andrebbe a mettere in pericolo la loro virilità e il loro coraggio.

Il loro perciò è un egoismo diverso da quello dei compassionevoli, e per questo quindi che è sbagliato estremizzare e dire che i privi di compassione sono malvagi, e i compassionevoli sono invece buoni, questa è solo una moda morale. Aforisma 134 = in che senso ci si deve guardare dalla compassione. La compassione è di per sé, secondo Nietzsche, un sentimento negativo, ma questo lo si capisce solo se si comprende la dannosità di tale sentimento e quindi: -nel caso in cui questo viene compreso, la compassione si considera una debolezza, in quanto quest’ultima provoca sofferenza nell’uomo e la accresce nel mondo. In questo caso quindi, colui che vuole essere un medico, in qualsiasi ambito...


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