Tesina di Filosofia Morale PDF

Title Tesina di Filosofia Morale
Author Vittorio Zurzolo
Course Filosofia Morale
Institution Università degli Studi di Messina
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Summary

Tesina valida come esonero, molto utile alla comprensione dei libri di Neher e Jonas...


Description

LA PAROLA COME PRESENZA DI SILENZIO E IL SILENZIO INERTE DEL NULLA.

Vittorio Zurzolo matr. 480102

INDICE 1. Introduzione…………………………………………………………………….…….1 2. Dai vari silenzi al nome di Dio……………………………………………………...… 3 3. Alcune

figure

ebraiche………………………………………………………………...4 4. Quale Dio ad Auschwitz?..............................................................................................5 5. Bibliografia…………………………………………………………………………...7

1. INTRODUZIONE Questo lavoro nasce dall’interesse suscitato in me, dall’interpretazione di André Neher verso la dimensione del silenzio, principalmente nel testo: L’esilio della parola. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz. Si incontrano nel testo molti personaggi biblici e ogni incontro ci porta ad una nuova concezione del silenzio, sotto la guida del suo autore. Lo scopo di questo lavoro è portare il lettore alla comprensione di questa nuova concezione del silenzio, per poter successivamente soffermarsi sull’Olocausto, che l’autore sostiene essere prima di tutto silenzio e che non può essere compreso prescindendo da una sua analisi profonda. Vogliamo invitare il lettore in queste prime battute a concentrare la propria attenzione non solo su una lettura attenta del testo che segue, ma a fare esperienza di quanto scritto. Iniziamo asserendo che la parola è l’aspetto fisico del silenzio, che quindi la parola 1

sta al silenzio, come l’aspetto fisico, sta all’aspetto spirituale. Proponiamo adesso la metafora della corda del violino, per una comprensione profonda di questa dimensione silente: il silenzio è la corda del violino, fin quando non si mette il dito e non si poggia l’archetto, la corda contiene i suoni, ma solo nel momento in cui la corda viene suonata nasce la musica. Parlare equivale quindi a suonare il silenzio. Per entrare più a fondo nella diade parola-silenzio, ci rifacciamo adesso ad alcune radici ebraiche. Il termine ebraico davar, viene erroneamente tradotto con il significato di parola. In realtà per riassumere il concetto di questo termine, dobbiamo rifarci alle teorie sapienziali, secondo le quali per diventare uomini saggi, sono 3 le dimensioni che vanno curate: il pensiero, la parola e l’azione. Il termine davar, verrà così concepito: un pensiero che diventa fisicità di verbo, di parola, ma anche una fisicità di parola che diventa concretezza fattuale. Per pensare, per parlare e per agire, ci vuole silenzio, come dimostrato dalla metafora del violino, secondo la quale, il silenzio non è assenza di parola, viceversa, la parola è presenza di silenzio, senza quest’ultima dimensione, neanche la prima può esistere; o meglio: senza il substrato del silenzio, la parola è una parola vuota. In questo scritto non stiamo rivolgendo il nostro interesse alla parola che esiste in quanto l’uomo è fisiologicamente capace di emettere suoni, ma alla parola che rispecchia il significato di davar. Utilizziamo adesso un’altra metafora, proposta da Neher nella sua opera: L’esilio della parola. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz, cioè quella della luna e della terra. Riteniamo importante dare una prima infarinatura del pensiero di Neher, della sua attitudine verso lo studio del silenzio. Egli critica gli studiosi del silenzio perché non si sono soffermati abbastanza nei loro studi sul concetto che la Bibbia ci offre, nonostante abbiano preso in considerazione molti testi sacri; critica anche gli storici della Bibbia, per non aver avuto l’arditezza di studiare il silenzio in sé e per sé. L’autore sostiene che la Bibbia sia la prima testimonianza della scoperta che l’infinito della natura coincide con il silenzio, arrivando addirittura a sostenere che il silenzio sia la forma metafisica del cosmo. Proprio per farci comprendere meglio questa sua idea, ci invita ad immaginare il rapporto tra la luna e la terra: dalla terra solo una delle facce della luna è visibile, l’altra esiste innegabilmente, ma dalla prospettiva della terra, può esistere solo in una dimensione metafisica. Allo stesso modo, il cosmo ci offre la sua parte fisica, l’altra esiste, certo, ma in una dimensione silente, che dalla prospettiva umana, può esistere solo in una dimensione altrettanto metafisica. In definitiva Neher 2

sostiene che ciò che la luce e l’ombra sono per la luna, la parola e il silenzio sono per il cosmo. Queste affascinanti interpretazioni sembrano perdere la loro capacità di emozionare, nel momento in cui vengono accostate all’Olocausto. Che si differenzia dalle altre tragedie, nelle quali sono morte milioni di persone, per i silenzi che lo hanno reso possibile e che lo hanno circondato. Quale può essere il significato di questi silenzi? Possono davvero avere un senso?

2. DAI VARI SILENZI AL NOME DI DIO La prima radice ebraica che indica il silenzio e sulla quale vogliamo soffermarci è: harash, che significa sia essere muti che essere sordi. Il vero muto è tale in quanto è sordo, per questo la radice harash, ci permette di comprendere che solo colui che è silente capisce la forza della parola. Questo termine viene utilizzato nella Bibbia, per indicare soprattutto il silenzio di Dio. Proprio Neher ci dice che questa radice, indica un silenzio che è all’opera, non è un silenzio passivo, indica uno sforzo, una tensione verso una realizzazione. Neher ci propone una figura, quella dell’artista, che conosce molto bene questo tipo di silenzio, l’artista come chiunque mediti un’opera, ne elabori il lento progetto e le dia vita con le proprie mani o col proprio cervello, deve prima sperimentare questo silenzio. La radice harash, significa anche arare, incidere. Quindi se la parola è un seme e il silenzio è l’arare, stolto è colui che semina con la parola senza aver arato con il silenzio. Il secondo termine, di cui ci occuperemo è la radice ebraica damah, che significa silenzio. Neher sostiene nelle prime pagine del libro già citato, che il silenzio sia la forma più eloquente dell’adorazione e noi pensiamo che sia proprio a questa radice, a questo termine: damah, che l’autore vuole riferirsi con questa sua affermazione. Abbiamo deciso di spiegare questa radice, tramite l’esperienza del profeta Elia, che cerca Dio, con insistenza e lo cerca isolandosi e fidandosi della sua parola, per la quale si reca sulla cima del monte, dove Dio lo attende. Il verbo damah, significa anche attendere, l’attesa è la dimensione entro la quale la parola nasce dal silenzio. Elia sale sul monte e dopo aver atteso, udì fragore di terremoti, diluvi, saette, ma Dio non è in queste eclatanti manifestazioni. Elia finalmente però, dopo aver atteso ancora, sentì una Voce di 3

Silenzio sottile, dove intuì la presenza di Dio. A partire da ciò, la Cabbalà ebraica ragionò su uno dei nomi Dio: En Sof, che significa infinito. Preferiamo al termine infinito, il termine senza fine, anche detto nulla. I maestri della Cabbalà ebraica e del Midrash, criticano i filosofi, perché sostengono che il nulla sia niente, in realtà il nulla è una dimensione gigantesca, una dimensione senza limiti. Quindi uno dei nomi di Dio è Nulla, in quanto senza fine. Coincidendo l’infinito, o meglio, il nulla, con il silenzio, possiamo affermare che Dio è Silenzio.

3. ALCUNE FIGURE BIBLICHE Ci rifacciamo adesso a tre figure bibliche in particolare, che daranno tre diverse concezioni del silenzio nella Bibbia. La prima figura è quella di Davide, il pastorello che sconfigge il gigante Golia. Il giovane Davide si reca presso la corte del sovrano Saul, nelle notti in cui quest’ultimo è preda di crisi nervose, placa le crisi del sovrano, prestando i suoi servigi clandestini come suonatore di cetra. Servigi clandestini in quanto solo i più intimi di Saul conoscono queste crisi cui il sovrano è soggetto. La sera della sconfitta di Golia, un vasto pubblico testimone della lotta, esalta Davide, il giovane eroe. Ma Saul e Abner, generale del sovrano, fingono di non conoscere il ragazzo, per mantenere il segreto che per loro è ormai un dovere di Stato. Saul domanda allora a Davide chi sia. Esaltato dal successo, Davide potrebbe tradire il contratto non scritto tra sé e la corte, gettando il sovrano alla mercé del popolo, ma decide invece di rispondere a Saul, semplicemente, che lui è figlio del suo servo Isaia, di Betlemme. Gionata, figlio di Saul, si innamora di Davide, per questo suo appello deliberato al silenzio. L’amore fraterno tra Gionata e Davide, nasce quindi, come vuole il midrah, dal silenzio, che è qualcosa di più della parola. Sono due le zone nella Bibbia, dalle quali nasce il silenzio, Neher le chiama nodi e coltri. I nodi sono zone di emergenza, il brusco arresto della frase di Davide ne è un esempio, dove quel silenzio che apparentemente sembra un semplice fenomeno della frase, nella Bibbia diventa pieno di significato. Le coltri sono invece zone nelle quali il silenzio si può estendere per tutto un capitolo, o addirittura per un intero libro, come vedremo con Abramo e Giobbe. Ad Abramo viene chiesto il sacrificio 4

del suo unico figlio, Isacco e allora Abramo, estremamente devoto a Dio, decide di fare quanto gli viene chiesto. Per 3 giorni Abramo e Isacco camminano per arrivare nel punto in cui deve avvenire il sacrificio, in questi 3 giorni c’è una completa assenza di Dio, che si chiude nel suo silenzio. Arrivati a destinazione Abramo è pronto a sacrificare Isacco, ma la voce dell’Angelo interviene e blocca Abramo, che sarà il primo uomo a ricevere benedizioni, perché ha dimostrato la sua fede. In questa prova, c’è un’eclissi Dio, sostiene Neher; non una vera e propria assenza, perché tutto il racconto lascia intendere che dal momento in cui Dio smette di parlare, prima o poi interverrà di nuovo. E’ un’eclissi matematica: un secondo di ritardo e Isacco sarebbe morto, un opposizione da parte di Abramo a Dio, o di Isacco al padre e la prova sarebbe fallita. Diverso è invece il silenzio di Dio nella prova di Giobbe. Dio permette a Satana di mettere alla prova Giobbe, perché sa che Giobbe è un uomo retto, Satana priva Giobbe delle benedizioni, che il Signore gli aveva concesso: uccise tutti i suoi buoi e i suoi servi, con un incendio bruciò le sue pecore e uccise anche tutti i figli di Giobbe. Quest’uomo, continuò a lodare Dio nonostante fosse stato privato di tutte le sue benedizioni, fu concesso a Satana anche di farlo ammalare, senza però ucciderlo. Tutti gli uomini vicini a Giobbe, credevano che lui avesse meritato queste penitenze e che Dio lo avesse privato di tutto ciò che gli era stato dato per punirlo. Giobbe continuò ad amare Dio, quest’ultimo, una volta dimostrato a Satana che anche senza benedizioni Giobbe restava un uomo retto, diede indietro a Giobbe tutto ciò che gli era stato tolto. Nuovi figli sono stati dati però a Giobbe, ma questi non possono colmare il dolore per la perdita dei primi figli, Neher sostiene che questo sia il fallimento di Dio nella prova di Giobbe. Che in tutto questo tempo è rimasto in silenzio e a differenza di quanto fatto con Abramo, Dio non ha mai parlato a Giobbe, non ha mai detto a Giobbe cosa avrebbe dovuto fare o che queste disgrazie erano dovute solo ad una prova. Solo una volta come scritto da Neher Dio prova a parlare con Giobbe, ma il silenzio di Giobbe è disturbato dalle voci degli uomini che lo accusano ingiustamente e non riconosce la voce del Signore.

4. QUALE DIO AD AUSCHWITZ? 5

Neher parla di Auschwitz come il luogo nel quale sono stati sperimentati i silenzi più profondi del nulla. Sono 3 le dimensioni del silenzio secondo Neher che circondano Auschwitz: il silenzio colpevole di cui parla il Levitico, cioè il silenzio di chi sente, di chi vede, è testimone e non parla, il silenzio da parte degli ebrei che si trovavano nei campi di concentramento e il silenzio di Dio. La parola nella Bibbia nasce in un luogo privilegiato: il dialogo. Ad Auschwitz non esiste dialogo, esiste una forma di comandoobbedienza, che ha lo scopo di annientare completamente la persona, quindi oltre che fisicamente anche psicologicamente. I vari silenzi di cui abbiamo parlato non possono esistere ad Auschwitz, non può esistere il davar, indispensabile anche nella comunicazione con Dio, questo termine nasce infatti nella Bibbia con Abramo che è il primo uomo ad affrontare un vero e proprio dialogo con il Signore. Il silenzio non è più la dimensione dalla quale tutto nasce, sembra adesso la dimensione nella quale tutto diviene niente. Il salmo 22 della Bibbia ci propone una interessante prospettiva: il salmista durante il giorno ricerca la parola di Dio, ma trova solo il silenzio e durante la notte ricerca il silenzio, ma trova lò dumya, cioè il non-silenzio. Questo non silenzio è più silenzioso del silenzio stesso e ci porta nel suo nulla. Ci chiediamo se possa essere questo uno dei silenzi sperimentati dalle vittime dell’Olocausto. Ma oltre tutto ciò, Dio dov’è? Un Dio Onnipotente, infinitamente buono e comprensivo, come può permettere che accada una simile tragedia? Elie Wiesel, che è sopravvissuto ad Auschwitz, se la prende con Giobbe, perché avrebbe dovuto chiedere a Dio una risposta in termini umani di ciò che ha patito, quale è stato il senso della prova di Giobbe? Perché ha dovuto provare un dolore incolmabile come quello di perdere i propri figli? Per far sì che l’uomo possa comprendere un tale evento, Dio dovrebbe rispondere con termini umani, in maniera chiara, spiegando all’uomo il senso di queste avventure spirituali, ma ciò non è possibile. Se c’è una risposta a tutto questo, se c’è un senso per il quale Auschwitz è avvenuto nonostante la presenza di Dio, pensiamo che quella di Jonas sia la risposta più plausibile. Rifacendosi alla Torah, Jonas crea un mito per il quale Dio nella creazione si è privato di una parte del suo potere, non è più Onnipotente, in quanto la potenza non è più in un unico essere: è stata divisa con l’umanità. L’unica risposta accettabile, per gli esseri umani della presenza di un Dio, che permette quanto accaduto ad Auschwitz, deve essere una risposta che cambia i parametri classici della concezione Divina. Dio secondo 6

le radici ebraiche non può non essere infinitamente buono e comprensivo, quindi dobbiamo rinunciare all’idea dell’Onnipotenza di Dio, come fa saggiamente Jonas. Dio non ha agito, perché lasciando all’uomo il libero arbitrio, sta all’uomo decidere il destino dell’umanità stessa. Elie Wiesel racconta una storia molto commovente nella quale 3 uomini vengono condannati all’impiccagione, 2 adulti e un bambino. Un uomo chiede dove sia il buon Dio ed Elie Wiesel sente una voce leggera dire che Dio è lì, sta per essere impiccato, Dio è nel bambino. Mentre i due uomini condannati, arrivata l’ora gridano ed esaltano la libertà, il bambino sta in silenzio, quel silenzio che ha circondato Auschwitz e quel silenzio al quale gli uomini hanno condannato lo stesso Dio.

5. BIBLIOGRAFIA  Bauman Z., Modernità e Olocausto, Bologna, Il Mulino, 1992, traduzione a cura di Baldini M.  Jonas H., Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica , Genova, Il Nuovo Melangolo, 2004, traduzione a cura di Angelino C.  Neher A., L’essenza del profetismo, Milano, Lampi Stampa, 1984, 290 p., traduzione a cura di Piatelli E.  Neher A., Chiavi per l’ebraismo, Genova, Marietti, 1988, 125 p., traduzione a cura di Piatelli E.  Neher A., Il pozzo dell’esilio. La teologia dialettica del Maharal di Praga (15121609), Genova, Marietti, 1990, 172 p., traduzione a cura di Piatelli E.  Neher A., L’esilio della parola. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz, Genova, Marietti, 1991, 253p., traduzione a cura di Castari G. 

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Neher A., Geremia, Firenze, Giuntina, 2005, 159 p., traduzione a cura di Ombrosi O....


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