Goldoni - Vita, Opere, Poetica PDF

Title Goldoni - Vita, Opere, Poetica
Author Annalisa Perni
Course Letteratura italiana lm
Institution Università degli Studi di Roma Tor Vergata
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Goldoni: Vita, poetica ed opere in esame

VITA Carlo Goldoni (Venezia 1707, Parigi 1793) è stato un commediografo, librettista, scrittore, poeta e avvocato italiano della Repubblica di Venezia. Nacque da una famiglia Borghese benestante di origine modenese. Da ragazzo si trasferì a Rimini per studiare, ma scappò da qui alla volta di Chioggia, dove nel frattempo la sua famiglia si era trasferita, a bordo di una nave di comici. Nel 1723 fu iscritto all’università di Pavia dalla quale fu espulso prima di concludere il terzo anno a causa di una sua opera satirica scritta per deridere i costumi delle fanciulle della borghesia pavese. Nel 1734, tornò a Venezia dove scrisse e mise in scena le prime tragicommedie. Nel 1738, consegnò al teatro di San Samuele la sua prima vera commedia, il Momolo Cortesàn, che a differenza delle precedenti commedie, basate su un canovaccio e sull’improvvisazione degli attori, aveva la parte del protagonista completamente scritta: può considerarsi l’inizio della sua riforma teatrale. Si trasferì a Pisa durante la guerra di secessione austriaca, ma fece ritorno a Venezia, convinto dal capocomico Girolamo Medebach per il quale scrisse una serie di commedie dal 1748 al 1753, messe in scena al teatro Sant’Angelo. Sarà cruciale per la sua carriera di scrittore la stagione teatrale 1750-51 durante la quale scrisse e mise in scena 16 commedie, portando a compimento la sua riforma del teatro. Tra queste sono di nostro interesse La Pamela e La Locandiera, messa in sena nel 1752. Da qui iniziarono ad emergere le rivalità e le diversità di vedute con l’abbate Pietro Chiari e con Carlo Gozzi. Tra le commedie scritte per la stagione 1750-51 merita menzione anche Il Teatro Comico, poiché rappresenta una forma di metateatro (teatro nel teatro), ovvero il tema della rappresentazione è il teatro stesso. Questo esperimento fu già fatto da Moliére in Francia e poi ripreso nel corso del Novecento da Luigi Pirandello con la trilogia del Teatro nel Teatro, che comprendeva le famose commedie Stasera si recita a soggetto, Sei personaggi in cerca d’autore e Ciascuno a modo suo. Nel 1753 interruppe il sodalizio con la compagnia di Medelbach e si trasferì a lavorare, sempre a Venezia, presso il Teatro San Luca, fu un periodo difficile e tra le tragiccomedie scritte per questo teatro una menzione particolare spetta sicuramente a Il campiello. Risale

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a questo periodo anche I Rusteghi, che, sebbene non in programma, merita una menzione per quanto riguarda un significativo cambio nella sua poetica. Infatti, Goldoni, da sempre schierato dalla parte della Borghesia, alla quale riconosceva degli alti valori morali rispetto alla nobiltà (e fu questo, oltre alla lingua, uno dei principali motivi di contrasto con Chiari e Carlo Gozzi), cambia ottica ed individua nel vecchio mercante, accorto nello sperperare il denaro, la figura di un rustego, ovvero di una persona rozza e poco comunicativa, contrapposta spesso ai giovani ed alle donne, più propensi nello spendere: aveva iniziato a trovare dei difetti anche nella borghesia. Inoltre, nello stesso periodo, ne Il Campiello, comincia a riconoscere una certa dignità e veridicità anche alla figura dei popolani. Nel 1761, Goldoni fu invitato a trasferirsi a Parigi per dirigere l’Opéra Italienne, sostanzialmente la commedia dell’arte per il pubblico francese. Prima di partire realizzò l’ultimo capolavoro in lingua italiana: Una delle Ultime Sere di Carnovale. A Parigi cominciò a scrivere nuovamente utilizzando le maschere, gli archetipi aboliti nella sua riforma in Italia. Ma del resto è comprensibile se si pensa che Goldoni ha sempre ritenuto il pubblico giudice sommo (più dell’opinione dei suoi detrattori), ed il suo compiacimento era prioritario per l’autore. Tra le opere teatrali scritte in francese quella che riscosse più successo fu Le Bourru Bienfaisant. L’opera più importante che scrisse in Francia fu tuttavia le Mémoires (1784-87) una autobiografia artistica in lingua francese che ci ha consegnato il suo punto di vista sulla sua vita. Spesso romanzato, è comunque una delle fonti più attendibili per lo studio dell’autore. Morì a Parigi in miseria nel 1793 dopo che i risultati delle Rivoluzione Francese sospesero le pensioni concesse dalla corte agli artisti.

LA RIFORMA TEATRALE I testi goldoniani sono sempre stati legati alla compagnia per la quale venivano scritti ed al luogo nei quali venivano rappresentati per la prima volta. Infatti, quando queste venivano date alle stampe per la vendita, venivano puntualmente revisionate. Egli infatti si rese conto che la sua riforma teatrale poteva trovare pieno compimento solamente qualora le sue opere fossero svincolate dalla rappresentazione e fossero date alle stampe. Per questo motivo nel 1750 vide la luce la prima stampa delle sue opere presso l’editore Bettinelli. In questa edizione vi era una importante prefazione che fissava i caratteri della riforma nei 2

termini Mondo e Teatro. Nell’opera Il Teatro Comico, Goldoni mette in scena in maniera geniale i tratti della sua riforma grazie alla tecnica del metateatro: ovvero sono gli attori stessi a parlare durante la rappresentazione di come dovrebbero mettere in scena la medesima. Il commediografo si impegnava sempre di più nella rappresentazione della realtà contemporanea e nell’approfondimento di precisi caratteri bene individuati e rappresentativi dal punto di vista umano e sociale. Aveva così deciso di andare oltre le maschere, caratteristiche della Commedia dell’Arte, eliminandole definitivamente: era passato dal recitare a soggetto ad una commedia di carattere. Parlerà approfonditamente dell’origine storica delle quattro maschere tipiche nelle Mémories, di cui parleremo a breve. Si diceva mondo e teatro. Il mondo goldoniano era circoscritto storicamente: l’autore intendeva ritrarre una realtà ambientale ben definita, anzitutto veneziana e borghese, ma più in generale italiana. Il teatro è l’elemento di mediazione artistica del mondo. La natura, nella sua concezione, coincideva con il significato che ne dava più in generale la cultura illuministica: ovvero una natura uguale per tutti gli uomini che poi “decidono” di applicare una cultura, intesa come serie di abitudini e comportamenti associati (il famoso habitus indossato dal buon selvaggio). Sostanzialmente la sua riforma teatrale include un superamento degli archetipi della Commedia dell’Arte (le maschere) ed anche dell’utilizzo di una lingua italiana e toscana, preferendo, spesso il vernacolo locale, sia pur addolcito e semplificato per essere compreso su più larga scala. Una seconda edizione a stampa dei suoi scritti fu portata avanti dal fiorentino editore Paperini nel 1753. Goldoni fu conosciuto, per i motivi citati, soprattutto per il suo illuminismo popolare, che critica ogni forma di ipocrisia dando importanza alla classe sociale dei piccoli borghesi, accettando comunque i diversi ruoli sociali delle diverse classi (nobiltà, borghesia e popolo). Anche se, come scrive il critico Bartolo Anglani, i primi due versi della locandiera 1 sembrano rimarcare che l’etica borghese del denaro vuol prevalere su quella del sangue, e quindi sulla nobiltà. Gli individui sono identificati ora più per i loro averi che per la loro provenienza. Nelle opere di Goldoni quindi prevale sempre una certa morale illuministica che però non intende affatto essere didascalica o pedagogica, ma anzi cerca l’equilibrio, senza scopi rivoluzionari: solo la 1

Marchese di Forlipopoli: “Fra Voi e Me vi è qualche differenza”. Conte d’Albafiorita: “Sulla locanda tanto vale il Vostro denaro, quanto il Mio”.

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rimarcazione dei ruoli e delle classi evita la sovversione della società. Pur eliminando l’archetipo della maschera, Goldoni non intende affatto eliminare il carattere che questa maschera porta, ed ecco che Pantalone, storicamente personaggio ricco e deriso da servi e figli, diventa invece il carattere del buon mercante, accorto verso i risparmi ed emblema delle buone qualità dei mercanti veneziani. Verso prima metà degli anni Cinquanta, il panorama veneziano e la commedia entrano in crisi ed è qui che lo stesso Goldoni comincia a prendere atto e coscienza del popolo e delle categorie più umili (la locandiera Mirandolina, i pescatori, i servi ecc). L’edizione a stampa del 1757 (Pitteri) e del 1762 (Pasquali) delle sue opere, le critiche velenose (Chiari e Carlo Gozzi) e gli elogi ricevuti dai più grandi intellettuali coevi, la fine del suo ottimismo verso la società, spinsero Goldoni a far fare alla sua riforma un ulteriore passo tra il 1759 e il 1762: le nuove commedie, quasi con un approccio psicologico e sociologico, si presentarono come un più approfondito studio de mondo e dell’uomo. Così il “Pantalone”, emblema delle virtù morali dei mercanti veneziani, diventa il rustego: un vecchio burbero tenacemente attaccato ai suoi umori, costumi e pregiudizi, tirato per il naso da figli e donne che erano smaniosi di figurare come nobili, sebbene appartenenti ad un'altra classe sociale. In questo contesto riprende forza la figura del membro del popolo, che sia una locandiera, un servo, un pescatore o un venditore di caffè tra una bisca (luogo poco morale) ed un parrucchiere (luogo di pettegolezzi). Secondo Giorgio Strehler, uno dei più grandi registi del Novecento del teatro goldoniano, questo avvicinamento di Goldoni al popolo è fortemente rimarcato nell’opera Il Campiello, che non è solo la storia dei difficili rapporti tra gli abitanti dello stesso, ma è anche la storia di un difficile rapporto tra un gruppo sociale etnico ed un altro. Alla fine, ne Il Campiello vincono i popolani: quel campiello è il loro mondo e resta loro (non di mercanti o nobili). Nella stessa opera compare anche la seconda divisione che abbiamo già rimarcato parlando de Il Rustego: ovvero quella tra vecchi e giocani. Goldoni, di fatto, anticipa alcuni dei contenuti del dramma borghese ottocentesco: i rapporti umani sono soltanto esteriori e sorretti dal principio della reputazione. La riforma goldoniana strizzava l’occhio ad autori stranieri che venivano tradotti anche in italiano, ma criticava a queste traduzioni la freddezza del contesto dell’opera, poco familiare agli spettatori dello stato in cui venivano tradotte e rappresentate. È per questo che l’abbandono di una lingua formale barocca a favore di una lingua più

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parlata e vernacolare, di uso comune, insieme con le ambientazioni ed i temi trattati, hanno di fatto sdoganato il teatro straniero in Italia, patria della Commedia dell’Arte.

IL SERVITORE DI DUE PADRONI Il servitore di due padroni, conosciuto anche come Arlecchino servitore di due padroni, risale al 1745, è una commedia in piena sintonia con la Commedia dell’Arte e Goldoni la scrisse sotto forma di canovaccio per l’attore Antonio Sacco. Nelle successive edizioni l’opera si dotò di un copione steso per intero, così come prevedeva Goldoni nella sua riforma. È una commedia in 3 atti, scritta per il teatro San Samuele di Venezia. La storia parla di Arlecchino (o Truffaldino) che per mangiare a sazietà, decide di servire due padroni a mezzo servizio, ed intreccia la storia creando equivoci e guai. Al centro della commedia troviamo Truffaldino, servo di due padroni, che, per non svelare il suo inganno e per perseguire il suo unico intento, ovvero mangiare a sazietà, intreccia la storia all'inverosimile, creando solo equivoci e guai. La commedia si apre a Venezia in casa di Pantalone de' Bisognosi, anziano mercante che sta assistendo alla promessa di matrimonio tra sua figlia, Clarice, e Silvio, figlio del Dottore Lombardi. I due sono innamorati ed è una fortuna che possano promettersi, dato che Federigo Rasponi, agiato torinese cui Clarice era destinata, è morto in una lite a causa della sorella di lui, Beatrice. Alla promessa assistono Smeraldina, giovane serva di Clarice a casa di Pantalone e Brighella, locandiere veneziano che fa da testimone. Inaspettatamente, nella scena irrompe Truffaldino, il giovane servo venuto per annunciare il suo padrone; si tratta proprio di Federigo Rasponi, venuto in Venezia per incontrare la sua futura sposa e per chiarire gli affari sulla dote della ragazza. In realtà, colui che si presenta in casa degli allibiti personaggi è Beatrice Rasponi, sorella del defunto in vesti da uomo, per poter andare in cerca di Florindo Aretusi, suo amante fuggito a Venezia in seguito al colpo mortale inferto di sua mano proprio a Federigo e che lei sta inseguendo.

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Brighella riconosce Beatrice ma non svela l'inganno dinanzi ai presenti e, anzi, sta al gioco facendosi da garante per assicurare tutti che lo sconosciuto che si trovavano di fronte fosse proprio Federigo Rasponi. Neanche Truffaldino, incontrato da Beatrice nel Bergamasco, sa nulla della vera identità del suo padrone. Il suo unico obiettivo è riempire la pancia, essendo perennemente tormentato dalla fame e dall'ingordigia. Non soddisfatto del trattamento di Beatrice, che trascura gli orari del pranzo e lo lascia spesso da solo, per uno scherzo del destino si trova a servire un altro padrone, che si rivela essere Florindo Aretusi sotto il falso nome di Orazio Ardenti. Beatrice e Florindo sono vittime delle bugie, dell'ingordigia e della scaltrezza dell'abile servitore e si ritrovano alloggiati nella locanda di Brighella in cerca l'uno dell'altro. Per svincolarsi da situazioni critiche, Truffaldino non fa altro che creare guai su guai. Per non farsi scoprire, addossa tutte le responsabilità sul fantomatico Pasquale, servo che in realtà non esiste. Anche quando Beatrice e Florindo si rincontreranno, Florindo crederà che il servitore di Beatrice sia Pasquale e viceversa. Truffaldino soffre la fame, mente, corteggia, ama, finge di saper leggere, serve acrobaticamente due padroni in stanze diverse, pasticcia la trama e la risolve, tutto ciò mentre lo pseudo-Federigo Rasponi complica la vita dei due amanti Silvio e Clarice e delle rispettive famiglie. La finzione di Truffaldino porta al culmine dell'imbarazzo nel momento in cui egli scambia il contenuto di due bauli, uno di Beatrice e l'altro di Florindo. Il servitore deve giustificare a Beatrice come mai sia entrato in possesso di lettere che appartengono a Florindo. A quest'ultimo, viceversa, Truffaldino viene invece obbligato a spiegare perché ha con sé un ritratto di proprietà di Beatrice. La scusa che Truffaldino racconta ad entrambi è quella di avere ereditato questi oggetti da un precedente padrone defunto. Quando la situazione sembra irrimediabile, e Beatrice e Florindo minacciano di suicidarsi convinti che i rispettivi amanti siano morti, Truffaldino riesce a risolvere ogni cosa. I due padroni innamorati si ritrovano per caso e sono condotti a nozze, Clarice e Silvio con le rispettive famiglie si riappacificano, non appena viene svelato l'inganno di Beatrice, Truffaldino e Smeraldina ottengono il permesso di sposarsi. Il servo scaltro si svela solo per amore della servetta. "Ho fatto una gran fadiga, ho fatto anca dei mancamenti, ma spero che, per rason della stravaganza, tutti si siori me perdonerà" e vissero tutti felici e contenti. 6

Alla messa in scena partecipano tutte e quattro le principali maschere della commedia dell’arte: Arlecchino, Brighella, Pantalone e il dottore, ma questo discorso sarà ripreso parlando dei Mémoires. In questa commedia cominciano a trasparire i primi elementi della riforma goldoniana: innanzitutto, sebbene la prima stesura fosse sotto forma di canovaccio (zibaldone), l’edizione a stampa è stata invece scritta e redatta in ogni sua parte. In seconda istanza, il contesto sociale in cui si svolge non è nobiliare ma borghese e comincia ad emergere la differenza, che più avanti si farà sempre più marcata, tra vecchi (Pantalone) e giovani (sua figlia Clarice che vorrebbe sposare l’amato invece del promesso sposo). Uno degli intenti dell’autore è quello di mettere in luce la figura femminile e la sua progressiva emancipazione (non solo Clarice, ma anche Beatrice, sorella del promesso sposo, partirà, vestita da uomo alla ricerca del proprio amato). Goldoni ha una visione perspicace ed illuministica del cambiamento che sta subendo in quegli anni la figura della donna. Un altro tema centrale della commedia è quello dell’amore legato all’utile: se il sentimento non ostacola l’utile che ben venga, altrimenti resterà subalterno a questo secondo.

PAMELA FANCIULLA Pamela fanciulla (conosciuta anche come La Pamela o Pamela Nubile) è un’opera in tre atti scritta da Carlo Goldoni nel 1750, per il teatro Sant’angelo di Venezia. L’autore si era ispirato (come fece anche Voltaire) al romanzo epistolare di Richardson del 1740 Pamela, o la virtù premiata. L'opera ripercorre il filone della commedia lagrimosa, che Goldoni porterà avanti per tutta la sua carriera. La storia si svolge a Londra dove, in casa di Milord Bonfil, la giovane servetta Pamela viene costantemente insidiata dal nobile padrone, ma lei non cederà alle sue lusinghe fin quando, venute alla luce le sue nobili origini, costui deciderà di sposarla. Pamela fanciulla è la prima commedia goldoniana senza maschere e senza dialetto. Goldoni tenta di rovesciare in modo conservatore e retrogrado il tema sociale, rivelando che alla fine Pamela è figlia di un nobile scozzese decaduto ed esiliato. Sarà lo stesso Goldoni a

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“giustificarsi” nella premessa dell’edizione a stampa dell’opera dicendo che sebbene in Inghilterra questi matrimoni non siano insoliti (come in Italia) e non vi sia alcuna legge che proibisca il matrimonio tra classi sociali diverse, tuttavia, parimenti che in Italia questi non sono ben visti dai congiunti di chi, proveniente da una classe sociale più agiata, decidesse di sposare una persona di rango inferiore. Anche in questa commedia l’amore, sebbene puro e nobile, è in un qualche modo soggetto agli interessi, anche se il lieto fine studiato prima da Richardson e poi da Voltaire e Goldoni trova il modo di far coincidere le cose, premiando la virtù.

LA LOCANDIERA La Locandiera è una commedia in tre atti, scritta nel 1753 per il teatro Sant’Angelo e la compagnia di Medelbach, in particolare per la figura dell’attrice Maddalena Marliani-Raffi, su cui sembra essere ritagliato il ruolo di Mirandolina, la protagonista, che astuta e sensuale, gestisce, insieme al cameriere e suo promesso sposo Fabrizio, una locanda ereditata da suo padre a Firenze. La trama vede Mirandolina costantemente corteggiata da ogni cliente, in maniera particolare da due nobili: il marchese di Forlipopoli, decaduto che ha venduto il titolo nobiliare, e dal conte di Albafiorita, mercante che arricchendosi ha comprato un titolo nobiliare. Due personaggi agli estremi della nobiltà del tempo. L'austera e sensuale locandiera non si concede a nessuno dei due, ma fa credere ad entrambi che sia possibile conquistarla. Questo fragile equilibrio è sconvolto dall’arrivo nella locanda del Cavaliere di Ripafratta, un misogino che crede di essere immune al fascino femminile. Mirandolina, accorgendosi di non esercitare alcun fascino sul cavaliere, decide di mettere in campo le sue armi di seduzione migliore per conquistarlo, essendo la sua vanità un bene primario per sé stessa. La protagonista riuscirà nel suo intento procedendo per gradi e giocando le sue migliori carte. A conquistare il cavaliere sarà proprio il disprezzo di questa verso l’arrivismo femminile. Il cavaliere, ormai cotto a puntino, muove la sua mossa per chiedere la mano di Mirandolina, la quale abilmente, dopo aver reso noto il corteggiamento dello spasimante, rifiuta, sposando il suo promesso sposo e cameriere Fabrizio.

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La morale della commedia può esser fatta risalire allo stesso Ovidio (Ars Amandi) ed è la stessa Mirandolina a parlarne alla fine della commedia, mettendo in guardia il pubblico dai subdoli mezzi della seduzione femminile che possono far perdere la ragione. È, in ogni caso, una morale di forma, perché lo stesso Goldoni nutre una grande simpatia per il personaggio di Mirandolina e non lo vede affatto come negativo. Infatti, continuando quanto già iniziato ne “Il servitore di due padroni”, intende restituire dignità ed una certa dose di emancipazione ai personaggi femminili, sebbene questa, nel caso di Mirandolina, sia circosc...


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