IL Cognitivismo - Riassunto Modelli epistemologici in psicologia. Dalla psicoanalisi al costruzionismo PDF

Title IL Cognitivismo - Riassunto Modelli epistemologici in psicologia. Dalla psicoanalisi al costruzionismo
Author Laura Scaramelli Hollow
Course Psicologia dell'educazione
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
Pages 4
File Size 127.5 KB
File Type PDF
Total Downloads 97
Total Views 139

Summary

riassunto del capitolo sul cognitivismo...


Description

IL COGNITIVISMO Introduzione: Il termine “cognitivismo” include un vasto insieme di ricerche, non sempre omogeneo. Negli ultimi anni, si preferisce per questo motivo parlare di “scienze cognitive”, più che di “cognitivismo”, che pare un termine ormai superato. Ci si riferisce dunque all’insieme di discipline atte allo studio della mente umana. Il cognitivismo ha soppiantato il comportamentismo nell’ambito della psicologia scientifica.

Cenni storici e presupposti teorici: La psicologia cognitivista si pone come scienza del “mentale”, e si oppone quindi al comportamentismo (behaviorismo). Scopo del cognitivismo è quello di studiare la mente tramite metodo scientifico. Questo modello dunque condivide con quello del comportamentismo la necessità di costruire una psicologia come scienza della natura (opposta alla scienza dello spirito). Per questo motivo, Luccio considera il cognitivismo una filiazione del comportamentismo. I primi cognitivisti, di fatti, si considerano “comportamentisti di una nuova fase”. Già la variabile interveniente tra Stimolo e Risposta [S -> I -> R] del comportamentismo era un chiaro passo verso il cognitivismo. Col tempo si sono però evidenziate sostanziali differenze: per il cognitivismo, oggetto della psicologia è la mente, e non il comportamento. Cioè quella che i behavioristi chiamavano “black box”. COME E’ POSSIBILE STUDIARE PROCESSI INOSSERVABILI, QUALI QUELLI DELLA MENTE? La risposta che il cognitivismo dà, è: tramite l’intelligenza artificiale, la quale consente di ricostruire la mente ed i suoi processi e quindi di rendere osservabili quei processi inosservabili: cioè di aprire la black box dei behavioristi. A questo punto bisogna trovare un metodo che stabilisca se un determinato fenomeno è stato adeguatamente riprodotto. A questo problema risponde il funzionalismo, secondo cui la struttura fisica che riproduce un fenomeno è irrilevante, se al livello di analisi prescelto non esistono differenze significative tra l’originale ed il riprodotto. Dunque la mente viene considerata al pari di un programma per il computer: un sistema organizzato di strutture e processi che elaborano dati provenienti dall’esterno. Per i comportamentisti il comportamento era una risposta ad uno stimolo ambientale. Per i cognitivisti non è semplicemente questo, in quanto ogni comportamento è guidato da processi mentali. Quello che i comportamentisti chiamavano STIMOLO, per i cognitivisti diventa INFORMAZIONE. La mente riceve un’informazione dall’esterno, la elabora, e da questo nasce un comportamento, cioè una risposta allo stimolo/informazione.

Gli assunti principali del cognitivismo sono due: 1) Natura computazionale della cognizione  tesi secondo cui i processi cognitivi sono assimilabili a calcoli (computazioni) attraverso i quali si opera su certi dati (informazioni) secondo certe regole. 2) Carattere astratto delle computazioni  tesi secondo cui le computazioni possono essere realizzate da diversi supporti fisici (cervello, computer…)  FUNZIONALISMO Prendendo in considerazione le varie posizioni che compongono il cognitivismo, viene difficile ricostruirne la storia in modo preciso. Si può collocare l’inizio di questo modello tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60. Quest’epoca era comunque ancora segnata dai modelli comportamentisti, anche se si era diffusa l’idea della mente umana come calcolatore. Proprio in quest’epoca si collocano due importanti lavori: quello di Miller e quello di Broadbent. Miller  dimostrò che le possibilità della memoria a breve termine sono vincolate al trattamento di un numero limitato di dati e che ciò definisce i limiti delle prestazioni umane rispetto una grande varietà di compiti. Broadbent  elaborò il cosiddetto “modello del filtro” applicato a compiti di ascolto selettivo. Presentando simultaneamente uno per orecchio due diversi messaggi, egli riuscì a dimostrare per via sperimentale che i soggetti umani sono in grado di prestare attenzione ad un solo messaggio per volta: di qui l’ipotesi dell’esistenza di una sorta di filtro, il cui scopo è quello di selezionare il messaggio che verrà udito, eliminando invece il resto. Pare evidente che queste scoperte non rientrino nel modello del comportamentismo. Non funziona più la formula S  R, in quanto il soggetto umano opera attivamente sugli input ambientali selezionandoli, ricostruendoli, ricordandoli ecc… perciò, al contrario di come credevano i behavioristi, l’essere umano è un soggetto attivo e non si limita a rispondere agli stimoli esterni con un comportamento. Secondo Miller, tutto il comportamento umano è pianificato, così come funziona un programma per il computer pianificato per l’esecuzione di operazioni. Questo rende inadatto il modello S  R, in quanto non in grado di spiegare il comportamento pianificato. Dunque, il modello S  R viene sostituito dal modello computazionale “input  elaborazione  output”. Lo Stimolo viene ridefinito come Input e la Risposta come Output. In mezzo, si trova il sistema di elaborazione, ossia il soggetto, che è in grado di organizzare il rapporto tra Input ed Output. Secondo la definizione di Neisser, la psicologia cognitiva si occupa di tutti quei processi per mezzo dei quali l’input sensoriale viene trasformato, ridotto, elaborato, immagazzinato, recuperato ed infine utilizzato. In tale definizione è contenuto il programma del cognitivismo psicologico. Reed sottolinea che il riferimento all’input sensoriale implica che i processi cognitivi abbiano inizio quando si viene in contatto con il mondo esterno attraverso i sensi. Il passaggio alla scienza cognitiva è segnato dalla fondazione nel 1977 della rivista interdisciplinare “Cognitive Science”.

Dunque i punti attorno cui si muove la ricerca cognitivista sono: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7)

la percezione; il riconoscimento delle informazioni; l’attenzione; la memoria (a breve e a lungo termine) le immagini visive; la categorizzazione; le abilità cognitive complesse come: il linguaggio, l’apprendimento, la soluzione di problemi, la decisione

La ricerca cognitivista costruisce teorie della mente ispirate al funzionamento dei computer. In questo modo riescono poi a creare modelli atti ad osservare singoli processi mentali. Questi modelli vengono verificati tramite metodo simulativo. Questa verifica avviene in due momenti: a) trasformazione del modello relativo ad un certo processo mentale in un programma di calcolo implementabile su calcolatore; b) confronto tra ciò che ol programma implementato su computer fa e quello che fa un uomo quando attiva il processo mentale simulato dal modello. Su questo metodo di verifica si scontrano diverse posizioni. Infatti la verifica può avvenire in base agli esiti di un certo processo, oppure in base alla procedura seguita per ottenerli. Secondo la prima opzione (verifica tramite esiti), sostenuta dall’intelligenza artificiale “dura”, è sufficiente che siano simili gli esiti raggiunti rispettivamente dal calcolatore e dall’uomo, mentre i processi di elaborazione che portano a questi esiti sono irrilevanti. Secondo la seconda opzione (verifica tramite procedure), sostenuta invece dall’intelligenza artificiale “morbida”, è fondamentale che un modello simuli fedelmente non solo gli esiti di un processo (ossia come si fa), ma anche le procedure tramite cui questo processo di realizza (come si fa). Le prestazioni di un computer non devono essere superiori a quelle dell’uomo, ed è anzi auspicabile che il computer commetta gli stessi errori dell’uomo, in modo da rispettare la verosimiglianza tra modello simulativo e processo mentale umano. Come dice Ugazio, il cognitivismo è interessato agli aspetti invarianti e universali del funzionamento mentale, ossia ai processi, non ai contenuti. Viene attribuita scarsa attenzione ai fenomeni emozionali e storico-culturali. Si crede che prendere in considerazione questi rami sia una complicazione eccessiva per la ricerca scientifica. E’ un processo simile a quello che aveva portato i comportamentisti ad escludere la “black box” dalla loro ricerca. COMPORTAMENTISMO  COMPORTAMENTI  BLACK BOX, PROCESSI INOSSERVABILI  MENTE COGNITIVISMO  PROCESSI MENTALI  BLACK BOX, COMPLICAZIONE  EMOZIONI, FENOMENI STORICO-CULTURALI Uno dei processi più importanti studiati dal cognitivismo è quello della CATEGORIZZAZIONE. Questo argomento ha rilevanza sul piano filosofico, su quello della psicologia generale e sociale. Proprio questo argomento infatti porterà delle critiche importanti al cognitivismo, maturate proprio dalla psicologia sociale.

Un esempio di processo cognitivo: la categorizzazione: La categorizzazione è un processo cognitivo che serve a semplificare ed ordinare la realtà. Attraverso questo processo, infiniti stimoli provenienti dall’ambiente vengono selezionati ed organizzati in gruppi quanto più possibile omogenei al loro interno e differenti l’uno dall’altro. Vengono quindi minimizzate le differenze tra membri appartenenti alla stessa categoria, ed al contempo vengono minimizzate le somiglianze tra membri di categorie differenti. Questo processo è molto comune nella vita quotidiana, per esempio: ROMANI  PIGRI MILANESI  LAVORATORI Questo processo indica la necessità di semplificazione, di “economia cognitiva”, data dalla limitata capacità della mente umana di trattare molte informazioni simultaneamente. Infatti, inizialmente, la metafora computazionale si rifà alle modalità di funzionamento dei tradizionali computer “a elaborazione seriale”, capaci cioè di eseguire un solo processo per volta. Dunque, l’uomo ricorre a “scorciatoie di pensiero” per diminuire il carico dell’elaborazione mentale. MA QUALI SONO I CRITERI DI FORMAZIONE DELLE CATEGORIE? “Categoria” è per la psicologia quello che è un “concetto” per la filosofia. La teoria filosofica sui concetti prevede l’individuazione di un certo numero di proprietà essenziali, necessarie e sufficienti a definire tali concetti. L’insieme di queste proprietà necessarie e sufficienti a definire un certo concetto, è detto “intensione” del concetto, mentre la classe di oggetti (insieme) a cui esso appartiene viene detta “estensione” del concetto. Ciascuna delle proprietà essenziali è necessaria, mentre il loro insieme è sufficiente. La posizione filosofica tradizionale sui concetti presuppone la conoscenza di tutte le proprietà essenziali definitorie dei concetti medesimi. Non è però detto che si conosceranno tutte le proprietà definitorie di un concetto. La psicologa cognitivista Rosch ha infatti mostrato attraverso una serie di esperimenti che, da un punto di vista psicologico, le modalità di formazione delle categorie funzionano diversamente. L’ipotesi formulata da Rosch è che le categorie cognitive siano organizzate intorno a esemplari particolarmente rappresentativi, detti “prototipi”. Più ci si allontana dal prototipo, meno gli esemplari hanno le caratteristiche tipiche della categoria. I confini delle categorie sono sfumati: lì si collocano gli esemplari poco rappresentativi, come ad esempio lo struzzo, che pur essendo un uccello non vola, o il pipistrello, che pur essendo un mammifero vola. La Rosch con i suoi esperimenti ha mostrato che il processo cognitivo di categorizzazione non funziona secondo i criteri della tradizionale teoria filosofica sui concetti. In sostanza, le categorie non sono definite in base ad un numero finito di condizioni essenziali, necessarie e sufficienti, ma in base a somiglianze rispetto al prototipo che ne definisce le regole d’uso. L’abbandono della teoria classica sui concetti minaccia di avere effetti devastanti sulla consapevolezza del mondo, in quanto non è detto che due persone diverse abbiano lo stesso “prototipo” di una determinata categoria....


Similar Free PDFs