Imparare-dalla-luna, riassunto PDF

Title Imparare-dalla-luna, riassunto
Author Pamela Molinari
Course Architettura CU
Institution Sapienza - Università di Roma
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Summary

Riassunto utile per esame di estetica con prof. Catucci...


Description

Stefano Catucci Imparare dalla Luna Premessa Una nuova corsa alla luna sta per cominciare, si avvicinano le prime esplorazioni al suolo dopo più di quarant’anni dalla fine del programma Apollo; è possibile che per prime saranno le compagnie impegnate nei programmi di turismo nello spazio. In vista di ciò la Nasa ha rilasciato un documento che regolamenta la tutela e la conservazione di segni e opere dell’uomo fuori dalla Terra, un codice di comportamento; dunque la Luna torna al centro dell’attenzione non solo per scopi scientifici ma anche per la sua potenziale vocazione postmoderna di essere musealizzata, trasformando ogni residuo in oggetto estetico. Le tracce lasciate dagli uomini e gli oggetti da loro disseminati sul territorio lunare hanno un valore inestimabile, è perciò ovvia e condivisibile l’idea di proteggere quei siti. Sulla Luna ci sono i memoriel items (targhe commemorative, medaglie, libri, persino un pezzo di roccia lavica terrestre), ma la maggior parte di questi resti è sostanzialmente assimilabile a rifiuti: rottami, imballaggi, equipaggiamenti abbandonati, zaini… Tutto questo si appresta a diventare oggetto di tutela. L’avventura lunare è stata il punto di arrivo di un’idea ingegneristica del progresso che coincide con il progetto della Modernità, è stata anche laboratorio di una forma di esperienza nuova, cresciuta in simbiosi con la televisione; se la si considera come una potenziale rete di musei a cielo aperto, la Luna non è piu soltanto un corpo celeste inospitale e privo di atmosfera respirabile, ma è il fermo-immagine dell’epoca che ha mescolato documento e spettacolo, evento e comunicazione. Questo libro ricostruisce alcune fasi salienti dell’avventura lunare e immagina la visita ai futuri musei della Luna. Il percorso si articola in quattro momenti (capitoli), in parte storici e in parte congetturali: capitolo I (storico): ricostruzioni della scoperta del lato nascosto della Luna capitolo II (storico): visione della Terra dallo spazio capitolo III (congetturale): descrizione dei lasciti umani sulla Luna, immaginati perfettamente intatti dopo la partenza degli ultimi astronauti capitolo IV (congetturale): ricapitolazione di alcuni episodi artistici e filosofici della prima Space Age (1957: lancio del primo Sputnik – 1972: ultima missione americana sulla Luna, Apollo 17)

Capitolo primo – Il lato nascosto 1. Prime immagini Le prime fotografie del lato nascosto della Luna sono del 1959 scattate da una sonda sovietica, in seguito a ciò venne realizzato il primo atlante lunare. Mai prima di allora quella porzione di Luna era entrata nel campo visivo della specie umana. Eppure, malgrado la loro assoluta novità, quelle immagini non suscitarono fervide reazioni, non paragonabili comunque a quelle prodotte nel 1957 dal lancio del primo Sputnik in orbita intorno alla Terra; l’impresa dello Sputnik aveva rappresentato lo spartiacque nella modernità: era l’affermazione del potenziamento tecnico che non lascia al centro della scena dio o l’uomo, ma la macchina; ma era anche fatto che delineava lo spazio come teatro della competizione tra le due grandi potenze terrestri. Il lato nascosto della Luna era più o meno com’era stato immaginato; diverso dalla parte visibile per la presenza più fitta di crateri e per una minore incidenza di zone pianeggianti (i mari della Luna). Mai, come di fronte a quelle fotografie, gli uomini erano stati esposti a qualcosa di così innegabilmente nuovo ma che appariva così tanto ovvio.

Negli anni successivi la comunicazione con la Terra sarebbe stata velocizzata fino a permettere collegamenti radiotelevisivi praticamente in diretta con le missioni; il passaggio orbitale per il lato nascosto, però, avrebbe continuato a svolgersi nel silenzio radio del Quiet Cone, l’assenza di contatto durava circa 30 minuti, un lasso di tempo sufficiente a spostare l’asse del noto e dell’ignoto dal campo del visibile a quello della comunicazione: proprio l’ombra proiettata sul sistema delle telecomunicazioni ha continuato ad alimentare un residuo interesse più o meno visionario per quel lato di Luna.

2. Una cosa qualsiasi Solo nel 1968 on la missione americana Apollo8, lo sguardo umano si è posato direttamente sul lato nascosto della Luna: fu il primo lunar sunrise. Lo spettacolo viene descritto dagli astronauti come "una linea curva di buio assoluto, un immenso arco di cielo privo anche di punteggiatura delle stelle", una "visione da far rizzare i capelli dalla paura", si aveva la "sensazione di precipitare in un buco nero". Al momento di entrare in quell'arco buio la Luna si rivelò però come una splendente epifania della faccia nascosta e l'equipaggio rimase incantato da quell'immagine luminosissima e troppo brillante per risultare definita. Le immagini risultarono molto più definite di quelle delle sonde sovietiche di poco più di un mese prima. Malgrado la meraviglia del primo impatto, Anders (fotografo membro dell'equipaggio) non nascose di lì a poco una significativa mancanza di interesse, disse "il retro sembra un mucchio di sabbia, il tutto è rimestato, senza definizione. Solo un muccio di massi e buchi", non vedeva nulla che non gli fosse familiare da lungo tempo: il retro della Luna non era che una cosa qualsiasi.

3. Il corpo e il suolo Le parole di Anders descrivono un'esperienza che si può definire come la presa visione di un oggetto dato, di un corpo inerte e incapace cioè di modificare il nostro rapporto con l'esperienza. L'altro lato della Luna può essere visto, fotografato, mappato, descritto, ma in tutte queste operazioni non interferisce con la definizione del nostro sguardo ed è equiparabile perciò ad una cosa qualsiasi. Nei testi di Husserl questo tipo di esperienza trova un suo lessico: il corpo oggettivato, Korper (corpo sensibile), si distingue dal modo in cui intendiamo il nostro corpo, Leib (corpo proprio), che invece non è solo oggetto ma anche soggetto di esperienza. Husserl osserva come anche la Terra, luogo della nostra vita e della nostra esperienza, non possa essere trattata solo come un Korpe, ma sia per noi un suolo, Boden, ovvero il luogo a partire dal quale si compie ogni esperienza. La parola "suolo" ha dunque una funzione paragonabile a quella del corpo proprio. La Terra per noi è anzitutto "suolo", luogo di esperienza che solo a un livello superiore diventa "corpo celeste, oggetto scientifico". Per Husserl non possiamo definire paesaggio qualcosa costituito semplicemente come un corpo sensibile; paesaggio è l'apertura di uno spazio che ci si offre anzitutto come "suolo". Il paesaggio dunque non potrà mai essere completamente oggettivato perché mette in gioco la fondazione di un suolo d'esperienza.

4. Delusioni razionali La faccia nascosta della Luna si è offerta alla specie umana come un oggetto costituito, un corpo oggettivato che la conquista di un punto di osservazione inedito ha reso noto per la prima volta senza modificare realmente il senso dell’esperienza che gli uomini ne avevano avuto fino a quel momento: non era che un corpo muto, una semplice cosa del cui scarso interesse per l’umanità potevamo sospettare fin dal principio. “Chi si aspettava dalla faccia posteriore della Luna più che dalla faccia anteriore non ha solo perso la scommessa, ma ha dato prova di scarsa razionalità”.

5. Opus Lunae Nell’Ottocento un astronomo danese aveva ipotizzato che sul lato nascosto potessero esserci atmosfera e forme di vita; altri ipotizzavano che ci si potesse trovare l’oro. Fin dal XVII secolo, tuttavia, da quando la Luna è stata scrutata con il telescopio, gli astronomi hanno avuto dati empirici sufficienti per formulare anticipazioni sulla continuità del suolo lunare; in quel secolo si era infatti analizzato il fenomeno della librazione, l’apparente oscillazione del moto orbitale lunare che ci rende visibile più della metà del satellite, circa il 59%. Il retro della Luna non era dunque del tutto incognito ma era prevedibile che fosse il prolungamento del già noto, bisognoso di essere completato, ma non di essere costituito attraverso un nuovo atto di visione. La prevedibilità del lato nascosto è diventata talmente paradigmatica da servire, nei primi del 900, come perfetto esempio delle teorie del neopositivismo sulla verificabilità degli enunciati: la verificabilità è una possibilità logica del discorso, una dotazione di senso che dipende da un principio di razionalità e non dalla possibilità pratica di compiere un’esperienza per verificarla. Esiste dunque differenza tra proposizioni inverificabili per principio (metafisiche) e proposizioni inverificabili per ragioni tecniche 8che riguardano dati di fatto ma sono prive, anche provvisoriamente, di sostegno empirico. In base a queste aspettative la visione del lato nascosto non poteva presentarsi come la matrice di un’esperienza nuova, inverificabile per principio. Enzo Melandri ha osservato che se si radicalizza l’esigenza della verifica, e la si spinge fino al limite di ciò che per noi ora è tecnicamente concepibile, ci si accorge che la distinzione neopositivista fra enunciati significativi e metafisici è molto più sfumata. Proiettare lo sguardo verso frontiere che vanno oltre i limiti tecnici concepibili comporta l’affacciarsi di questioni metafisiche; Melandri non vuole riabilitare la metafisica, vuole evidenziare i limiti delle teorie neopositiviste. La Luna a causa della sua lontananza e della sua inaccessibilità è stata considerata per millenni un mistero; era immaginata come fonte sacra o demoniaca. Jung ha osservato che il lato oscuro non è in relazione con l’invisibilità dell’emisfero più lontano, ma dipende da una relazione con l’inconscio che si fonda nell’antica connessione tra due attività complementari: l’opera del sola, opus Solis, che riguarda lo strato cosciente della nostra psiche, e l’opera della Luna, opus Lunae, che riguarda i nostri contenuti inconsci.

6. Suspence Una volta caduto il velo dell’invisibilità, le incognite del lato nascosto non hanno più riguardato il corpo della Luna, bensì le azioni che astronauti e macchine erano chiamati a compiere durante il passaggio per il Quiet Cone, queste finirono così per essere sostituite da un dispositivo tipico dell’attesa narrativa, una forma di suspence alimentata dal fatto che riuscita e fallimento della missione potevano dipendere da quanto avveniva in quei frangenti. Apollo8 è stata la prima missione a doversi immettere sulla rotta della Terra accendendo i motori in pieno silenzio radio; gli astronauti non avevano mai compiuto un’operazione così delicata senza ricevere assistenza dal centro di controllo e la tensione era altissima. Quei momenti di suspence hanno fornito uno schema narrativo di base che si p riproposto anche in seguito, ogni volta che un altro equipaggio è passato per la faccia nascosta. I neopositivisti si erano aspettati dalla faccia nascosta della Luna semplicemente la verifica di ipotesi empiriche. A riprendere piede, però è stata l’immaginazione narrativa finendo per relegare in secondo piano le informazioni scientifiche ottenute. L’effetto di suspence è una caratteristica strutturale dell’esplorazione lunare, un potenziale narrativo che il viaggio intorno alla Luna aveva scoperto di possedere dopo che, avendo superato l’invisibilità del lato oscuro, le era rimasto in dotazione solo quel blackout comunicativo temporaneo.

7. Routine Suspence e assenza di comunicazione sono da mettere in rapporto con il ruolo centrale svolto dai mezzi di informazione nell’avventura spaziale degli anni 60-70. La corsa alla Luna era nata insieme alla televisione e si era compiuta attraverso il format televisivo del collegamento diretto internazionale; questa avrebbe inevitabilmente faticato a liberarsi della televisione. Non sorprende che già dopo il primo allunaggio, però, sembrava non ci fossero più né molta suspence, né grandi novità da aggiungere a un copione già recitato. Con l’Apollo 15 erano stati raggiunti i limiti tecnici del programma e le spedizioni successive apparirono essenzialmente attività di routine; solo la tragedia sfiorata dell’Apollo 13 aveva rianimati l’audience. Fu chiaro che tra routine e tragedia in televisione correva un filo sottile.

8. Cronaca di un allunaggio mancato Fu anche per ridestare l’interesse dell’opinione pubblica che Schmitt, pilota del modulo Apollo17, propose di far sbarcare la sua missione sul lato nascosto. Schmitt avrebbe dovuto prendere parte all’Apollo 18 ma quando venne deciso di sospendere il programma lunare e cancellare le ultime missioni in preparazione, i vertici della Nasa spinsero perché il suo nome fosse inserito nell’ultimo equipaggio utile. I motivi della sospensione delle missioni erano la crisi economica del 1970, il venir meno della competizione con l’Urss dopo la vittoria nella corsa all’allunaggio, il prolungarsi della guerra in Vietnam, ma il più forte consisteva proprio nell’indifferenza dei media, per i quali la Luna era ormai oggetto archiviato. Schmitt pensò che con un’operazione imprevista si sarebbe potuta invertire questa tendenza, mettere piede su una zona mai toccata avrebbe dato agli uomini una nuova “prima volta”. L’allunaggio sul lato nascosto presentava tuttavia dei rischi che nessuno alla nasa si sentì di correre. A spaventare era l’impossibilità di mantenere il contatto radio e assenza di segnale significava impossibilità di collegamento con i canali televisivi. Schmitt ipotizzò che si sarebbero potuti posizionare in orbita della Luna alcuni satelliti per trasmettere il segnale; che si trattasse di un’operazione tecnicamente possibile era evidente (operazione fatta dai giapponesi nel 2007); quel mancato incontro con il lato nascosto della Luna può essere dunque interpretato come una manifestazione del disinteresse per un luogo che già dopo le prime acquisizioni fotografiche er stato trascurato dal pubblico e liquidato dagli stessi astronauti come oggetto cosmico senza particolari attrattive.

9. Il lato noioso La noia che gli astronauti costatavano nel pubblico televisivo non era solo una componente esterna, si trattava piuttosto di un sentimento interno (degli stessi astronauti). La noia si era insinuata nelle missioni spaziali, si era manifestata nella forma di un oggetto incapace di produrre esperienza. Dopo il primo sorvolo di Apollo8 non se ne è quasi più parlato nei rapporti o nei dialoghi a bordo, piuttosto nel passarvi sopra gli astronauti ascoltavano musica o scherzavano. A volte quel lato di Luna diventava uno scenario narrativo, il giro di boa che preparava l’azione decisiva, la discesa al suolo e che gli astronauti lasciavano alle spalle come un attore fa con una quinta a teatro. La faccia nascosta della Luna ha rivelato di possedere un rapporto strutturale con la noia, essendo essa stessa qualcosa di noioso. Si potrebbe ormai persino parlare del lato noioso della Luna. La noia secondo Heidegger: descrive un tipo di noia che non dipende da condizioni psicologiche, da sentimenti personali, ma è contenuto nelle cose. Noiose sono le cose che tengono in sospeso l’apertura verso il “fuori” di un individuo e non le lasciano appigli a cui afferrarsi. Le cose noiose non ci sono indifferenti, non scompaiono del tutto all’attenzione, ma non ci occupano realmente e non riempiono il nostro tempo con la loro presenza.

La noiosità dell’altra faccia della Luna ha molto a che fare con la descrizione di Heidegger. Il dark side ha letteralmente “lasciato vuote” le nostre aspettative, per quanto poco razionali potessero essere.

10. Musica per theremin Già durante il primo passaggio per il Quiet Cone, nessuno sull’Apollo12, prestava molta attenzione a quel che si vedeva dagli oblò, ma l’attenzione si focalizzava, oltre che sugli strumenti di bordo, anche sulla musica che gli astronauti portavano con loro. La musica non solo lascia scorrere il tempo, ma gli dà forma. Se nella noia appare dilatato, la musica gli restituisce organizzazione; con la musica come d’incanto la noia sparisce; ascoltare musica sul lato nascosto era perciò una maniera per dare ordine ritmico a quella mezzora di isolamento dalla Terra. Neil Amstrong, che dicono abbia riflettuto molto sulla musica da portare sull’Apollo11, pensava ad un accompagnamento degno di quanto avrebbe dovuto compiere sulla Luna; si fece riversare alcuni brani da un LP che aveva a casa. Era Music Out of the Moon, un album inciso dal più celebre suonatore americano di theremin. Nulla è più commovente e malinconico di questo rapporto fra la prima missione destinata a sbarcare sulla Luna e il suono ondulante, magico e tedioso del theremin, strumento che era parso futuristico e lunare fin dalla sua creazione nel 1919. Con il suo essere insieme avvenieristico e antiquato, il theremin non era solo una colonna sonora, ma un emblema del viaggio verso la Luna, ancora ricco di illusioni e misteri. Lo stesso immaginario ingegneristico aveva dato vita sia allo strumento musicale, basato sull’emissione di onde in isofrequenza da parte di una coppia di oscillatori, sia ai sogni missilistici di quegli anni. Nati dallo stesso humus utopico e tecnologico, il theremin e i missili erano invecchiati insieme, come testimonia il fatto che alla chiusura del programma Apollo i colossi usa e getta del volo spaziale furono sostituiti dagli Shuttle, simili a grandi aerei a rafforzare l’idea dello spazio come di un luogo ormai di accesso abituale.

Capitolo secondo – Vedere la Terra

1. A casa di Heidegger Nel 1966, pochi giorni dopo la pubblicazione da parte della nasa di alcune fotografie scattate dalla sonda in orbita lunare, Heidegger riceveva nella sua casa tre redattori di un settimanale e durante l’intervista fece riferimento a quelle immagini e in particolare all’inquadratura che per la prima volta aveva ripreso la Terra dallo spazio profondo accanto alla Luna. La Terra non appariva intera ma tagliata dalla luce del Sole lungo una linea curva. Heidegger disse: “La tecnica strappa e sradica l’uomo sempre più dalla Terra”; ammise di essersi spaventato alla visione di quell’immagine. Per Heidegger le fotografie della Nasa testimoniavano il compiersi del processo attraverso cui la scienza moderna ha spostato la sua attenzione dal campo dell’essere a quello del rappresentare. L’oggettivazione dell’ente si compie in un rappresentare” cos al posto del Mondo, al quale appartengono anche il tempo e la storicità, abbiamo solo un’immagine del mondo. Non una pittura o una raffigurazione del mondo, ma il mondo stesso concepito come immagine.

2. Epifanie dalla Terra Le fotografie della Terra trasmesse dal Lunar Orbiter e quella scattata due anni dopo dall’Apollo8 da Bill Anders, sono state fra le più importanti che ci sia mai stato dato di vedere e rappresentano l’esito più eclatante prodotto dai viaggi nello spazio. Un filosofo (anche lui si chiama Anders!) sostenne che il più grande risultato

di quell’impresa non è stato portare fisicamente degli uomini sulla Luna, ma proprio vedere la Terra sparsa nell’universo come un relitto. Sebbene gli astronauti di Apollo8 sapevano in anticipo a quale scena stavano per andare incontro, la visione della Terra che sorgeva dall’orizzonte fu per loro un’autentica sorpresa, come del resto sarebbe stata anche per tutti gli uomini volati dopo di loro nello spazio. Sono le memorie degli astronauti ad averci rivelato come quel momento di meraviglia era stato vissuto da loro come il più emozionante dell’intero viaggio. Sebbene tra gli obiettivi fotografici previsti la Terra non figurava se non al livello più basso di priorità, alla fine della missione su un totale di 850 immagini, bel 150 ritraevano la Terra. “Abbiamo fatto tutta questa strada per esplorare la Luna e la cosa più importante che abbiamo scoperto è la Terra” (Anders). Nelle fotografie di Apollo8 i due modelli estetici della raffigurazione del nostro pianeta visto dallo spazio appaiono già ben definiti. Da una parte la Terra isolata, sospesa nel vuoto, dall’altra la Terra che si delinea all’orizzonte mentre sembra sorgere al di là della Luna.

3. Estetica copernicana Per quanto riguarda il secondo modello, Earthrise, nessuna delle missioni successive avrebbe saputo fare di meglio di Apollo8; anche se le fotografie dell’Apollo11 sono tecnicamente migliori, la forza espressiva dell’immagine di Anders era così ader...


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