Integrazione verticale e realzioni verticali PDF

Title Integrazione verticale e realzioni verticali
Course Economia industriale 
Institution Università degli Studi di Udine
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INTEGRAZIONE VERTICALI E RELAZIONI VERTICALIIntegrazione verticale: situazione nella quale la singola impresa ha la proprietà e il controllo su fasi precedenti e/o successive di un processo di produzione.  Il processo produttivo si compone di fasi più o meno legate tra loro. L’integrazione vertical...


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INTEGRAZIONE VERTICALI E RELAZIONI VERTICALI Integrazione verticale: situazione nella quale la singola impresa ha la proprietà e il controllo su fasi precedenti e/o successive di un processo di produzione.  Il processo produttivo si compone di fasi più o meno legate tra loro. L’integrazione verticale consiste quindi nella scelta di un’impresa di controllare e/o svolgere più fasi del processo produttivo, si distingue:  Integrazione verticale a monte: l’impresa ottiene il controllo sulla produzione degli input necessari per la propria attività.  Integrazione verticale a valle: l’impresa ottiene il controllo su un’attività che utilizza e/o commercializza i suoi prodotti. La misurazione del grado di integrazione verticale: l’indice di Adelman L’integrazione verticale è qualcosa di difficile da misurare, tipicamente si utilizza una misura (proxy) che è oggetto di critica e ha perso rilevanza nell’ambito dell’analisi moderna di economia industriale. Adelman suggerisce di utilizzare come misura dell’integrazione verticale il rapporto tra il valore aggiunto e il fatturato dell’impresa.  Indice di Adelman: a livello di settore, il grado di integrazione verticale può essere misurato attraverso il rapporto fra la sommatoria del valore aggiunto (VA) e la sommatoria del valore della produzione, approssimato dal fatturato (S)   L’indice assume valori 0-1; se Cvi=1 l’impresa ha il massimo grado di integrazione verticale.  Il valore aggiunto è la differenza fra output (valore della produzione) e input (costo di beni e servizi acquistati da terzi per la produzione).  Sostanzialmente esprime quanto efficacemente si riesce ad aggiungere valore ai beni acquistati.  Il valore della produzione è il valore globalmente realizzato dall’impresa, indipendentemente dal fatto che sia stato commercializzato. Il valore aggiunto rappresenta dunque una proxy del numero di fasi produttive svolte all’interno dell’impresa => all’aumento della percentuale di valore aggiunto sul fatturato corrisponde un incremento del grado di integrazione verticale. Esempio di global value chain In un’economia globalizzata i processi produttivi sono frammentati sia a livello di filiera che a livello geografico. Ad esempio la produzione di aerei (es. Boeing 787) è estremamente segmentata a livello geografico (diversi paesi e diverse imprese). Idea che all’interno di questa frammentazione della produzione, ciascun territorio dovrebbe andare ad acquisire le fasi a maggior valore aggiunto => non tutte le fasi del processo produttivo hanno pari valore ma si pensa che sia possibile per ciascun territorio specializzarsi nelle fasi in cui a parità di input impiegati si ottiene il maggior valore in termini di output => generando così il maggior valore aggiunto che significa una (potenziale) maggiore remunerazione dei fattori della produzione.

Dibattito sulle politiche che i singoli paesi adottano per attrarre le attività a maggior valore aggiunto. Nell’ambito della produzione di aerei la componente più tecnologicamente avanzata (e quindi a maggior valore aggiunto) sono le ali => come attrarre una produzione di questo tipo? Nell’ipotetica frammentazione della produzione molta discussione c’è in questo aspetto. Il controllo finale ce l’ha Boeing => colui che compra le diverse componenti e ha il rapporto con la domanda finale. Altro esempio simile è il settore dell’automotive in cui i grandi operatori (casa automobilistica) sono di fatto degli assemblatori => assemblano componenti prodotte da terzi soggetti (motore, ruote, …). In questo caso il rapporto con la domanda finale ce l’ha l’assemblatore; sono inoltre loro che decidono quali parti produrre in casa e quali parti esternalizzare. NB quando esternalizzano la produzione di alcune componenti, ciò non necessariamente comporta una remunerazione coerente da parte della casa madre => il rapporto che si instaura con i fornitori è sbilanciato da parte della casa madre (es. produttore non può sforare con i costi). Oltre a ciò c’è l’obbligo di certificazione e controllo da parte della casa madre per quanto riguarda il mantenimento di certi standard. Questo fenomeno crea un problema dal punto di vista degli stati. Integrazione e disintegrazione verticale: motivazioni La linea guida del ragionamento è l’analisi che fa riferimento a Coase e Williamson Potenziali motivazioni all’integrazione verticale: 1. Riduzione dei costi di transazione => riferimento a Coase anche se non fa mai riferimento diretto ai costi di transazione, è Williamson che sviluppa questo pensiero e che inizialmente aveva posto la questione in questo modo: se il mercato funzionasse così come suggerisce la teoria microeconomica della concorrenza perfetta, allora non ci sarebbe bisogno di un organismo sopra il mercato che ingloba alcune transazioni che si chiama “impresa” => all’interno delle imprese le transazioni non sono organizzate attraverso il meccanismo dei prezzi, ma attraverso uno schema gerarchico in cui l’imprenditore sceglie come allocare i beni e le risorse all’interno dell’impresa stessa. Confini dell’impresa sono giuridici perché i singoli fattori produttivi si legano all’imprenditore sulla base di una serie di contratti (di lavoro). Per Coase, una delle motivazione per cui le impese esistono e si differenziano sul piano verticale (inglobando più o meno fasi di produzione) dipenderà dal fatto che organizzare la produzione all’interno dell’impresa può avere costi di organizzazione inferiori a quelli che sono i costi di organizzazione delle stesse transazioni sul mercato => si spiega la dimensione dell’impresa secondo un confronto tra i costi di organizzare quelle transazioni sul mercato e all’interno di un’impresa (in cui non si utilizza il meccanismo dei prezzi) => tanto più conviene l’impresa e tanto più questa sarà dimensionalmente grande, fino ad inglobare potenzialmente tutte le transazioni che sarebbero state svolte dal mercato. Applicando questo ragionamento all’integrazione verticale si arriva al concetto di make or buy => cioè costa meno, in termini di organizzazione della produzione, fare quell’attività internamente o acquistare l’input/SL/MP all’esterno? Costo di transazione: si riferisce esattamente a quel costo di organizzazione delle transazioni che riguarda sia il mercato sia l’impresa. 2. Interdipendenze tecnologiche nel processo produttivo: tendenzialmente fanno riferimento al fatto che potrebbe non essere conveniente dal punto di vista tecnologico separare più attività. L’esempio più chiaro da questo punto di vista lo si ha nelle nelle c.d. industrie di processo in cui l’output è frutto di un processo produttivo che ha caratteristiche di continuità tali da non poter essere separato => esempio può essere quello della produzione di acciaio in cui si ottiene l’acciaio attraverso una serie di lavorazioni => si produce attraverso un processo continuo in modo da eliminare i costi connessi al fatto di farlo raffreddare e farlo poi scogliere in un secondo momento (che avrebbe un costo superiore).

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Ciò non è detto che debba accadere dappertutto, es. alluminio => diverse fasi della filiera in cui prima si produce la “billetta” (panetto di alluminio) che poi viene utilizzata in lavorazioni successive che comportano il fatto che nel mezzo viene raffreddato per poi essere successivamente riscaldato. NB alcuni processi produttivi hanno interdipendenze tecnologiche evidenti ma dovute anche a motivazioni economiche, ma dipende molto dall’attività economica che si considera. Incertezza: a. Rispetto a prezzo e qualità dei fattori produttivi => idea che quando l’impresa non ha abbastanza fiducia nel risultato del mercato rispetto a qualità e condizioni economiche dei fattori produttivi => è auspicabile produrli internamente. b. Certezza della fornitura specie nel caso di possibile razionamento => non è una questione di prezzi e qualità ma anche di avere quella materia prima. Un esempio per questi 2 temi è il fenomeno accaduto nell’industria dei pannelli fotovoltaici, in cui la crescita della domanda, in cui per poter produrre le celle fotovoltaiche ci si poneva il problema di avere sufficiente silicio di grado “solare” per poi produrre i pannelli. Molte imprese che producevano celle fotovoltaiche hanno provato a integrarsi verticalmente per produrre in proprio il silicio di cui avevano bisogno nelle fasi “a valle”. Dato che il silicio viene prodotto dalla sabbia, in questo caso il problema non è la disponibilità di materie prime, bensì la capacità produttiva per ottenere il materiale da utilizzare nelle produzioni a valle => la cella fotovoltaica entrava in competizione con tutte le altre applicazioni elettroniche per quanto riguarda le forniture, prezzo e qualità. NB questo tema è al centro di tutte le c.d. tecnologie “green” e digitali => oggi si pone un problema perché queste tecnologie impiegano materie prime rare e geograficamente concentrate come il cobalto => ad esempio le batterie per le automobili fanno ancora riferimento alle tecnologie a ioni di litio => problema del cobalto che è disponibile in quantità limitata oltre ai problemi geopolitici per quanto riguarda l’accesso a quei materiali. Tesla attraverso le sue gigafactories tenta di risolvere questo problema attraverso un’integrazione verticale, mentre le altre case automobilistiche hanno optato per scelte differenti. Correzione dei fallimenti di mercato: preservare la qualità e reputazione dei propri prodotti (es. McDonalds’) => i ristoranti sono regolati attraverso contratti di franchising, McDonalds’ non lascia ai singoli ristoratori l’approvvigionamento delle materie prime in modo da preservare una qualità uniforme dei suoi prodotti. Evadere o eludere restrizioni, normative e tasse governative: scelta delle imprese di spostare la produzione in altre zone geografiche per sfruttare l’arbitraggio essendoci diverse leggi e norme che hanno a che fare con ad esempio i costi del fattore produttivo minore (spesso ci sono differenze di carattere normativo come sicurezza sul lavoro, giornata lavorativa, …) oppure condizioni di accesso al capitale => NB non necessariamente queste decisioni seguono differenziali di produttività reale. Disintegrazione verticale connessa con motivazioni di carattere fiscale => si evita di realizzare un utile nei paesi in cui la tassazione è più alta addebitando in quei territori costi più alti => consente di trasferire il profitto in paesi con livelli di tassazione minore (aumentandolo). In questo caso la differenza che si traccia è prezzi di trasferimento rispetto a prezzi di mercato (in caso di controlli sui prezzi, tassazione e regolazione del tasso di profitto). Accrescere o creare potere di mercato => monopolizzazione del mercato o discriminazione di prezzo. Eliminare potere di mercato di altre imprese => si ricollega all’esempio precedente sulle materie prime => acquisire la proprietà di parte della filiera che coinvolge materie prime scarse in modo che quell’impresa non sfrutti questo potere di mercato a danno dell’altra impresa.

Integrazione verticale e costi di transazione Secondo Williamson molte delle motivazioni dell’integrazione verticale possono essere ricondotte nell’ambito della teoria dei costi di transazione [Coase].  il tratto caratteristico dell’impresa è il superamento del meccanismo dei prezzi => l’integrazione verticale emerge da un confronto tra: o costi di coordinamento esterno => individuazione e ricerca dei prezzi di mercato, definizione di contratti, negoziazione, ecc… o costi di organizzazione interna => presenza di rendimenti decrescenti della funzione imprenditoriale/manageriale (costi di pianificazione, controllo/monitoraggio degli input, raccolta e trasmissione delle informazioni). Dimensioni delle transazioni e integrazione verticale 4 dimensioni che potrebbero spiegare l’idea di “make or buy”. L’andamento dei costi di transazione dipende da una serie di variabili: 1. specificità (e frequenza/durata): idea che ci siano attività che potrebbero perdere gran parte del proprio valore se vengono spostate dal contesto per cui erano inizialmente pensate (es. un macchinario) a. localizzazione vincolata b. beni capitali specialistici (es. rotaie) c. capitale umano specializzato si lega all’idea di frequenza e durata => la specificità è tale per cui non si potrà ricorrere al mercato perché nessuno potrebbe essere incentivato a ricorrere a quel determinato prodotto. Se due attività sono legate da condizioni specifiche si potrebbero generare dei problemi di hold-up (ricatto) da cui si potrebbe generare un sotto-investimento in quelle attività che potrebbe eliminare del tutto l’investimento in quell’attività. 2. Incertezza a. Garanzia e regolarità nella fornitura di materie prime b. Qualità dei fattori produttivi c. Fattori di produzione tecnologicamente complessi 3. compressione informativa a. raccolta informazioni e incentivi alle imprese fornitrici (moral hazard e adverse selection) 4. coordinamento estensivo a. necessità di coordinamento tra le imprese (es. industrie a rete)

La globalizzazione ha spinto verso una dislocazione della produzione tra diverse imprese e territori geografici => quale impatto sul territorio può avere una ricollocazione della produzione in ambiti diversi? Si legge soprattutto in base a reddito e occupazione. Quali politiche dovrebbero essere adottate dai paesi per attrarre una particolare fase di una filiera? sulla base che queste si differenzino per il valore aggiunto generato => ogni territorio vorrebbe attrarre quelle fasi a maggiore valore aggiunto. Si pensa che la globalizzazione abbia ridotto la capacità dei vari territori di generare valore, soprattutto in riferimento al ruolo crescente giocato dalla Cina che oggi viene definita “fabbrica del mondo” [quella che nell’800 era il Regno Unito]. Tema legato alle politiche adottate da Cina e Paesi avanzati rispetto a queste problematiche. In un’ottica microeconomica di economia industriale, le eventuali integrazioni verticali sono lette soprattutto in termini di potere di mercato => le scelte di integrazione vengono viste in maniera semplicistica, attraverso l’obiettivo delle imprese di massimizzazione del profitto => la scelta di

quante e quali fasi controllare viene letta in termini di potere di mercato. Uno dei problemi che sorge sotto questo profilo è il seguente. Integrazione verticale e potere di mercato: problema della doppia marginalizzazione Il problema della doppia marginalizzazione sorge quando sussistono condizioni di monopolio sia nella fase di produzione che nella fase di vendita al dettaglio. [in generale si parla di monopolio nelle diverse fasi della filiera, qui ipotesi semplificata] NB in un’ipotesi semplificata, come quella descritta dallo schema, ci potrebbe essere un problema di doppia marginalizzazione nel caso in cui ciascuna delle due fasi sia caratterizzata da condizioni di monopolio => 1 produttore, 1 rivenditore e tanti consumatori diversi. In questa situazione, ciascun produttore monopolista presente in ciascuna delle fasi della filiera, si comporta come un monopolista che cerca di massimizzare il profitto => impone un mark-up (di monopolio) al prodotto che acquista => dal costo di produzione (per il produttore) o di acquisto all’ingrosso (per il rivenditore) applica un mark-up di monopolio e l’esito complessivo è che i consumatori si trovino a pagare un prezzo più alto di quello che si realizzerebbe nel caso in cui le fasi della produzione fossero verticalmente integrate => prezzo maggiore e quantità minore rispetto di quella che si otterrebbe nel caso di un monopolio verticalmente integrato. La doppia marginalizzazione dal punto di vista grafico

Per ipotesi: assenza di costi di rivendita, l’unico costo per il rivenditore è legato all’acquisto del prodotto all’ingrosso. Grafico a): situazione di monopolio per un’impresa verticalmente integrata => è il profitto dell’impresa in caso che il monopolista abbia un obiettivo di massimizzazione del profitto. Grafico b): presenza di 2 imprese diverse, non integrate verticalmente, ciascuna delle quali occupa una fase della filiera => produttore in monopolio (sostiene sempre Cmg per produrre il bene) e rivenditore in monopolio (acquista il bene dal produttore in monopolio e lo rivende ai consumatori a valle). Aspetto importante: la curva di domanda è riferita al consumatore finale con cui si confronta

il rivenditore: rispetto a questa curva di domanda il rivenditore avrà una curva di Rmg (pendenza doppia rispetto alla curva di domanda). La curva di ricavo marginale del rivenditore coincide con la curva di domanda del produttore se il produttore sa che il rivenditore opera con una logica di massimizzazione del profitto => il produttore sa quale sarà la quantità che il rivenditore decide di acquistare perché ne conosce la logica di comportamento => quantità da collocare sul mercato sarà definita dall’intersezione della curva di ricavo marginale del rivenditore con il prezzo praticato dal produttore => perciò le due curve coincidono => sulla base di quella curva di ricavo marginale il rivenditore domanderà una certa quantità piuttosto che un’altra al rivenditore. Se RmgR è anche la curva di domanda del produttore, è possibile trovare di conseguenza la curva di ricavo marginale del produttore RmgP da cui poi si deriva quantità prodotta e prezzo praticato se il produttore opera secondo una logica di massimizzazione del profitto => la logica della scelta e degli esiti a questo punto è consequenziale. Sulla base della curva di ricavo marginale il produttore decide il proprio prezzo eguagliando Cmg=Rmg che comporterà una produzione q3 da cui si ottiene un prezzo p2 (prezzo fissato dal produttore per la vendita all’ingrosso del bene). Il rivenditore acquisterà a p2 le quantità q3 (se per ipotesi non ci sono ulteriori costi di rivendita) => p2 è il costo marginale del rivenditore stesso. Eguagliando p2 con RmgR si ottiene la quantità venduta ai consumatori ad un prezzo p3. [il mark-up per entrambi consiste nell’applicare un prezzo maggiore al costo marginale] Tema dell’efficienza allocativa: rispetto alla situazione a), viene peggiorato l’esito in termini di efficienza allocativa => area di perdita secca è maggiore: da CDB a EBG => perché il prezzo è aumentato e la quantità che arriva al consumatore è inferiore => ulteriore perdita in termini di efficienza allocativa rispetto ad una situazione di monopolio verticalmente integrato. Per quanto riguarda il profitto dell’impresa: come si osserva graficamente => non solo questa situazione peggiora il profitto del produttore ma anche aggiungendo il profitto del rivenditore, la somma delle due aree di profitto è minore del caso di un produttore verticalmente integrato. 

Situazione che è peggiore per tutti (sia consumatori che entrambe le imprese).

Conclusione: l’impresa potrebbe essere incentivata a integrarsi verticalmente per realizzare un profitto superiore a quello che realizzerebbe nel caso in cui le imprese non fossero integrate verticalmente. Produttore => acquistare il rivenditore o viceversa, integrandosi verticalmente per incrementare il proprio profitto. Le restrizioni verticali L’integrazione verticale non è l’unico strumento (o soluzione più adeguata) con il quale gestire relazioni e rapporti di forza all’interno della filiera. Tutte le soluzione alternative all’integrazione verticale si possono ricondurre al concetto di restrizioni verticali: sono condizioni o limitazioni commerciali imposte da imprese che sono verticalmente collegate (tra imprese che occupano fasi differenti della filiera). Le restrizioni verticali sono contratti vincolanti a lungo termine fra imprese che operano in stadi successivi del processo produttivo in cui si specifica il prezzo o altre condizioni o forme di comportamento. Esempio: relazione tra produttore (P) e rivenditore (R):  P vuole che R si impegni nella commercializzazione dei propri prodotti.  Il maggiore impegno comporta un costo aggiuntivo per R.  P può far sottoscrivere un contratto a R con cui si specificano gli obblighi di R. NB i rapporti di forza (potere contrattuale) possono anche essere invertiti, come ad esempio nel caso di Amazon.

Tipologie di restrizioni verticali 1. Prezzi non lineari: franchise fee o tariffe in due parti. a. il franchising è tipicamente la forma più...


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