Jori-Pintore - Riassunto Introduzione alla filosofia del diritto PDF

Title Jori-Pintore - Riassunto Introduzione alla filosofia del diritto
Author alessandro berni
Course Filosofia del diritto
Institution Università degli Studi di Milano
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RIASSUNTO DETTAGLIATO DEL MANUALE...


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ALESSANDRO GRILLETTI

–IL GRILLORE

FILOSOFIA DEL DIRITTO 1.N OZIONE E PROBLEMI La filosofia del diritto è la filosofia che si occupa del diritto: al di là di questa definizione volutamente tautologica nascono le controversie su quale sia l’effettivo ambito della filosofia del diritto e su quali rapporti intercorrono tra la filosofia del diritto e la filosofia generale (e le sue varie suddivisioni). Non è peraltro possibile esporre in modo veramente neutrale quali siano i problemi affrontati dalla filosofia del diritto: si potrebbe pensare che è neutrale, da questo punto di vista, chi non prende alcuna posizione ma si limita ad descrivere la storia della filosofia e a descrivere le opinioni sostenute dai diversi autori e dalle varie correnti. In realtà anche una simile trattazione non può evitare di servirsi di metodi ed approcci che risultano influenzati dalle proprie concezioni: dire quali sono i problemi della filosofia (del diritto) è già per forza un fare filosofia (del diritto). 2. FILOSOFIE ANALITICHE E FILOSOFIE SINTETICHE Le varie correnti filosofiche vengono generalmente suddivise fra analitiche e sintetiche: l’atteggiamento filosofico di questo manuale è analitico. Ciò è determinato soprattutto dall’assunzione di alcuni principi fondamentali, che denotano le FILOSOFIE ANALITICHE. Può essere qualificata come analitica una filosofia che assuma tutti o alcuni di questi principi fondamentali; proprio per la possibilità di divergenze all’interno delle filosofie analitiche stesse si è soliti parlare di filosofie analitiche al plurale, e non di filosofia analitica al singolare. Questi principi sono i seguenti quattro: - La separazione tra giudizio (e discorso) analitico e sintetico. - La distinzione tra discorsi e metadiscorsi. - La Grande Divisione tra discorsi descrittivi e prescrittivi. - La distinzione tra contesto di giustificazione e contesto sociologico. La prima delle tesi fondamentali che caratterizzano le filosofie analitiche è laDISTINZIONE TRA GIUDIZIO ANALITICO E SINTETICO (che non va confusa con quella tra filosofie analitiche e sintetiche): essa coincide con la distinzione tra conoscenza logica (analitica) e conoscenza empirica (sintetica). È in sostanza la stessa distinzione fatta da Kant nella Critica della Ragion Pura: l’analista sostiene che solo l’esperienza empirica ci può dare informazioni nuove sui fatti, e che queste non sono logicamente necessarie, cioè non possono essere ricavate con il solo ragionamento logico dalle conoscenze già possedute; sostiene per converso che le conoscenze della logica (comprese matematica e geometria) sono tautologiche, consistono cioè nello sviluppo rigoroso delle premesse (assiomi, postulati) del discorso in questione e di quanto è implicito nel già conosciuto. La seconda DISTINZIONE TRA DISCORSI E METADISCORSI spiega che i discorsi possono avere per oggetto altri discorsi: si chiamano pertanto metadiscorsi i discorsi che vertono su altri discorsi detti appunto discorsi-oggetto. Il rapporto metadiscorsivo può essere non solo descrittivo (ad esempio il linguista che descrive una lingua), ma anche prescrittivo (ad esempio il grammatico prescrive come si deve parlare correttamente). Oppure ambedue i discorsi possono essere composti di norme: ad esempio il discorso giuridico è fatto anche di meta-norme (norme che vertono su altre norme; es. le pre-leggi). La relazione metadiscorsiva è di fondamentale importanza per trovare un posto alla filosofia analitica rispetto alla distinzione tra analitico e sintetico: la filosofia analitica ritiene infatti di non poter essere una scienza che si occupi direttamente della realtà, ma piuttosto un metadiscorso rivolto ad analizzare vari tipi di discorsi (tra cui i più importanti sono quelli che descrivono al realtà e quelli che prescrivono le azioni).

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Per questo le filosofie analitiche vengono spesso chiamate FILOSOFIE LINGUISTICHE o, un po’ impropriamente, filosofie del linguaggio: tuttavia l’aspetto fondamentale delle filosofie analitiche non è l’attenzione per il linguaggio (che pure è l’aspetto che colpisce maggiormente); essa risulta più che altro un carattere derivato. Ciò perché l’approccio analitico discende dai principi indicati, di cui l’attenzione per il linguaggio è conseguenza. Poiché hanno per oggetto altri discorsi e discipline, le filosofie analitiche tendono alla specializzazione, e si suddividono in varie branche della filosofia: filosofia della scienza, filosofia della matematica, filosofia della morale, filosofia del diritto. Le filosofie analitiche tendono pertanto al discorso particolare e settoriale piuttosto che alla grande costruzione sistematica (atteggiamento questo, perseguito dalle filosofie sintetiche). Il terzo principio fondamentale delle filosofie analitiche è quello dellaDISTINZIONE FRA ESSERE E DOVER ESSERE, comunemente noto tra gli analisti come la Grande Divisione: ossia che non è possibile dedurre logicamente un giudizio di valore o normativo (cioè prescrittivo) da uno fattuale (cioè descrittivo); non è possibile fondare in modo conclusivo un discorso di dover essere su un discorso meramente fattuale. Inoltre non è possibile neppure l’inverso: non è possibile dedurre conclusioni di fatto da prescrizioni (la cosiddetta SCIENZA NORMATIVA); questa preclusione crea molti problemi per chi cerca di giustificare analiticamente la scienza giuridica tradizionale, che sembra fare proprio questo. Chi cerca di superare queste barriere tra essere e dover essere viene accusato di fallacia naturalistica (vedi la voce in:Giustizia). Un quarto principio fondamentale delle filosofie analitiche è laDISTINZIONE TRA CONTESTO DI GIUSTIFICAZIONE E CONTESTO SOCIOLOGICO:per molti analisti bisogna distinguere il (meta)discorso che descrive le regole di formazione, giustificazione e controllo di un discorso oggetto (discorso di giustificazione), dalla descrizione del modo in cui di fatto viene usato il discorso oggetto , lo studio della sua influenza sulla società, delle condizioni fattuali che lo determinano e della sua storia fattuale (discorso sociologico e storico). Il discorso di giustificazione è naturalmente un’astrazione; esso individua regole e strutture di regole (ragioni) che possono anche non essere sempre effettivamente tra le cause che producono il discorso stesso: le ragioni possono non essere i motivi che effettivamente muovono le persone che fanno il discorso. Se queste sono le caratteristiche di fondo delle filosofie analitiche, possiamo chiamare, molto sommariamente, FILOSOFIE SINTETICHE quelle che non ammettono, per ragioni diverse, neppure la rilevanza di tali principi e l’importanza di tali distinzioni. Nella descrizione di filosofie non analitiche, il filosofo analitico (ricordiamo che il manuale è di impostazione analitica), non può fare a meno di lasciar trasparire la propria diversa impostazione: per esempio nella descrizione di molti discorsi metafisici sintetici l’analista noterà che essi gli sembrano violare contemporaneamente la distinzione tra sintetico e analitico e tra descrittivo e prescrittivo: infatti molti sistemi metafisici tradizionali sembrano derivare nuova conoscenza dai concetti, o prescrivono nuovi significati ai termini ordinari con la pretesa (inaccettabile per l’analitico) di fondare la prescrizione sulla contemplazione della verità. Lo sfavore verso ogni forma di metafisica, che in alcuni momenti iniziali (della cosiddetta fase “eroica”) delle filosofie analitiche è giunta fino al dileggio, si è ora notevolmente attenuato: superata la fase eroica le filosofie analitiche sono tornate ad usare un senso positivo della metafisica, come discorso che verte sulle premesse della ricerca filosofica, premesse che non possono essere dimostrate, ma devono essere assunte come fondamento della ricerca successiva. Così possono essere considerati “la metafisica” delle filosofie analitiche i quattro principi precedentemente esposti. Pertanto, nella nuova prospettiva, il contrasto tra filosofie analitiche sintetiche non è un contrasto tra filosofie metafisiche e non-metafisiche, ma piuttosto tra metafisiche diverse: anzi è possibile distinguere, ancora analiticamente (in modo quindi non neutrale), tra metafisiche descrittive e metafisiche prescrittive; le prime mirano a ricostruire i presupposti del pensiero filosofico esistenti e diffusi nella cultura; le seconde propongono, per quanto fattibile, principi nuovi, cercando di innovare le abitudini fondamentali di un certo settore culturale.

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Se per i filosofi sintetici il punto forte delle filosofie sintetichesono le mancate distinzioni (che per i loro critici analitici sono il punto debole), quello delle filosofie analitiche sono le distinzioni medesime (questa volta a pareri invertiti): le filosofie analitiche sono irretite di distinzioni, che creano spesso gravi limiti alla possibilità di fondazione dei discorsi e delle dimostrazioni; le filosofie sintetiche in genere permettono forme più “potenti” di conoscenza, e soprattutto di conoscenza dei valori e conoscenza della realtà profonda, o essenza ontologica al di là del contingente: agli analitici queste forme di conoscenza, è inutile dirlo, paiono di frequente non fondate e non fondabili. Va infine ricordato che, di recente, alcune TEORIE DELL’ ARGOMENTAZIONE E DELL ’ ERMENEUTICA hanno cercato di collocarsi in una zona intermedia tra i due approcci sopra menzionati: cercando di fornire un’analisi che contemporaneamente contenesse una descrizione del modo di parlare e ragionare dei giuristi e una valutazione positiva di tale modo di ragionare, una conferma implicita della legittimità di tali forme linguistiche. Per l’analista questa strada è tuttavia resa difficile dal sospetto che si cerchi di passare in tal modo dal descrittivo (descrizione di come di fatto si argomenta) al prescrittivo (prescrizione che il metodo descrittivo è lecito e buono). 3. LA F ILOSOFIA DEL DIRITTO Ci si limiterà qui a menzionare i vari problemi trattati, cercando di ordinarli in modo filosoficamente significativo. Come primo problema della filosofia del diritto va menzionati il problema della definizione del concetto di diritto: questa priorità spetta non solo per tradizione, ma anche per ragioni filosofiche (si tratta di un problema di tipo qualitativamente diverso dagli altri problemi di filosofia del diritto): infatti il CONCETTO DI DIRITTO è il luogo dove si cercano di risolvere i problemi fondamentali della filosofia giuridica, o meglio dove si cerca di sintetizzare e coordinare queste soluzioni. Tali problemi possono essere problemi metafisici (quali siano i presupposti necessari o contingenti della conoscenza o della pratica del diritto), problemi epistemologici (come si può conoscere il diritto e in che modello di scienza rientri questo tipo di conoscenza), problemi metodologici (come deve procedere il giurista nelle sue operazioni) e problemi etico-politici (quali scelte d’azione e pratiche nei confronti del diritto sono giuste e buone). Tutti questi vari problemi possono essere “compressi” nella definizione del CONCETTO DI DIRITTO: non si tratta pertanto di una mera questione di definizione o di significato (come afferma G.Williams), ma di un insieme complesso di problemi e soluzioni che trovano espressione mediante una definizione e un concetto. Tra gli altri problemi importanti della filosofia del diritto, vanno ricordate le questioni principali dell’epistemologia e della metodologia giuridica (es. il problema della norma, dell’interpretazione, della conoscenza e derivazione del diritto, del significato dei concetti giuridici): talora si tende a raggruppare questi problemi, che vengono chiamati PROBLEMI CENTRALI DEL DIRITTO (a metà strada tra i problemi fondamentali e il diritto positivo) e di cui si occupa la TEORIA GENERALE DEL DIRITTO; essa è dunque distinta dalla FILOSOFIA DEL DIRITTO che si occupa dei PROBLEMI FONDAMENTALI. La rilevanza di questa distinzione consiste nel mettere in evidenza che qualunque discussione sui problemi centrali rimanderà inevitabilmente ai problemi fondamentali; ciò spiega perché molte discussioni filosofiche non riescono a giungere da buon fine: perché partono da premesse differenti. In tempi recenti, la scelta di occuparsi di determinati problemi accompagna di solito un particolare orientamento filosofico: i problemi di epistemologia e di metodologia giuridica vengono perlopiù trattati dalle filosofie analitiche; i problemi etico-politici interessano maggiormente le filosofie sintetiche (nel campo etico, la filosofia analitica si è interessata più che altro di meta-etica, cioè del metodo di determinazione dei valori morali). Se i giusfilosofi analisti si sono occupati del problema dei valori molto meno rispetto ai sintetici, è soprattutto perché essi ritengono di non essere in grado di risolvere filosoficamente detti problemi (cioè di non poter fondare le risposte etiche, ma solo analizzarne la coerenza per individuarne le premesse e i principi etico-normativi): i problemi di valore del diritto vengono in genere studiati da filosofie non analitiche, che ritengono di poter giungere

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a conclusioni tramite dimostrazione filosofica (che si rifanno a movimenti più generali quali l’esistenzialismo, il marxismo, l’hegelismo ecc.). In generale, i problemi proposti dalla filosofia del diritto si dividono in tre grandi gruppi: problemi assiologici o di valore, riguardanti il diritto come dovrebbe essere; problemi ontologici, riguardanti l’esame del diritto come esso è; problemi fenomenologici, che riguardano l’esistenza del diritto nella società; più di recente è stata aggiunta un’altra voce, i problemi metodologici, che riguardano appunto il metodo di conoscenza e applicazione del diritto. C ONCETTO DI D IRITTO 1.N OZIONE E PROBLEMI Il concetto di diritto è l’insieme delle tesi fondamentali di ciascun approccio al diritto, cioè delle scelte primitive di ciascuna concezione del diritto. Tali scelte non sono unicamente epistemologiche (riguardanti cioè il modo di conoscere il diritto), ma anche etiche e politiche. Sovente, tra gli studiosi del diritto, esse non sono nemmeno esplicite, consapevoli e coerenti. Proprio per questo, il semplice parlare di concetto di diritto non è un approccio neutrale e da tutti accettabile, perché presuppone che queste scelte fondamentali: - Ci siano e siano rilevanti - Possano e debbano essere esplicitate - Possono essere rese in termini generali; e siano dunque coerenti tra loro e con le idee di chi le sostiene In particolare i GIURISTI POSITIVI contemporanei tendono a vedere questo concetto con sfavore (poiché lo considerano un concetto non giuridico, ma filosofico), sostenendo che non ce ne sia alcun bisogno, perché il diritto è per loro identificato da norme giuridiche positive (: formulate ed imposte), e non da concetti filosofici. Di concetto di diritto non è comunque possibile dare una definizione neutrale neppure per i filosofi, perché essi discutono non solo su quale sia il vero concetto di diritto, cioè sulla sua definizione, ma anche su quale sia la corretta definizione di concetto. Inoltre, anche che cosa sia una definizione è un complesso problema filosofico. Tradizionalmente comunque, il problema del concetto di diritto è stato considerato il centro della filosofia del diritto: trovare la definizione di diritto vuole dire innanzitutto trovare i caratteri essenziali del diritto, o almeno quelli differenziali, che lo distinguono cioè da altri concetti affini e con esso confondibili, come la morale e i costumi sociali. Un concetto può essere presente in un discorso in forma esplicita o implicita: diventa esplicito quando il suo uso è descritto o regolato da una definizione. Tutti usiamo i concetti, più o meno esplicitamente: il dubbio non è dunque se essi siano utili o meno (sono anzi “necessari” al discorso), ma se sia necessario o meno renderli espliciti e modificarne o regolarne l’utilizzo tramite l’uso di definizioni. Si consideri il termine “mamma”: è ovvio che un bambino sa utilizzare questo termine, ma non sarebbe capace di formularne una definizione generale esplicita. I concetti smettono di funzionare bene in questo modo implicito quando intervengono situazioni che fanno sorgere problemi di confine. Nel caso di “mamma” il problema in genere non sorge (ma potrebbe sorgere in presenza di genitori adottivi o matrigne). Ora, il diritto è un’entità assai meno delimitate e familiare delle mamme: a maggior ragione i giuristi non possono fare a meno di usare un qualche concetto (implicito o esplicito) di diritto quando trattano i propri affari giuridici e parlano di diritto. Tuttavia, in casi estremi, il concetto di diritto può essere messo in crisi: qui interviene la filosofia, per affermare con forza che il concetto di diritto è uno strumento misconosciuto dalla SCIENZA GIURIDICA POSITIVA , ma comunque utilizzato ed indispensabile. Un ramo della filosofia contemporanea, la FILOSOFIA ANALITICA , ha sottoposto ad indagine sistematica questo problema, giungendo a conclusioni piuttosto radicali: si è sostenuto infatti

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che un concetto non è altro che il significato di un termine (o di più termini che hanno lo stesso significato), e la sua definizione non è altro che la scelta tra i suoi possibili significati. Questa scelta può essere compiuta sulla base di ragioni e criteri diversi: secondo questa concezione, pertanto, la tradizionale ricerca del concetto di diritto deve essere considerata fra queste due possibilità: 1) La ricerca del senso “ordinario” (nei discorsi comuni o dei giuristi) della parolaDIRITTO. 2) La modifica più o meno profonda di questo senso ordinario per soddisfare le esigenze teorico-descrittive o valutative del giurista. Nella nostra cultura la parola diritto ha significato ordinario certo approssimativo, ma comunque costante. Come DEFINIZIONE MINIMALISTICA si può accettare quella di Kelsen, per il quale “è diritto la coazione applicata in modo sistematico e organizzato, con sufficiente effettività”. È evidente che questa definizione è valida per il diritto statale contemporaneo in condizioni sociali e politiche relativamente pacifiche: è l’esistenza di quest’uso ordinario che dà l’impressione che esista qualcosa che precede la ricerca definitoria che va scoperto (l’essenza del diritto, il vero concetto di diritto, la definizione propria). In verità però anche il concetto di diritto (come tutti i concetti complessi e importanti), ha confini incerti e margini d’applicazione dubbi. I casi marginali sono quelli che presentano alcune, ma non tutte le caratteristiche dei casi centrali ed indubbi di diritto: sono di questo tipo certi diritti primitivi, il diritto internazionale, i diritti di stati e luoghi in situazione di rivoluzione in atto o di guerra civile. La definizione minima già data può però essere considerata con una certa tranquillità come la definizione lessicale di diritto, cioè quella descrittiva dell’uso ordinario del termine diritto e del concetto, cioè anche delle espressioni e dei termini sinonimi. Pochi filosofi si sono però accontentati di prendere atto della definizione minima: né è nata una discussione senza fine, che non ha portato a conseguenze, ma è anzi apparsa ad alcuni del tutto inutile e male impostata. Così il giurista britannico Glanville Williams, in un saggio pionieristico dell’approccio analitico al diritto, Il diritto internazionale e la controversia della parola diritto (1945), imposta il problema della definizione in termini radicalmente nominalistici, sostenendo che il problema del concetto di diritto debba essere ridotto a quello di scegliere il senso con cui si preferisce usare la parola diritto: si tratterebbe per Williams di un problema privo di interesse intrinseco, a parte la necessità di una chiarezza terminologica. Secondo Williams, ben più feconde di queste dispute verbali sono le discussioni sui vari caratteri posseduti da fenomeni che sono stati considerati giuridici sulla base delle diverse concezioni o definizioni di diritto. La tesi di G. Williams è ispirata alla fase cosiddetta “eroica” della filosofica linguistica o analitica, in cui si riteneva che tutti i problemi filosofici potessero essere risolti attraverso la cos...


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