L\' Autostima - Appunti Psicologia Sociale PDF

Title L\' Autostima - Appunti Psicologia Sociale
Author Stella Critelli
Course Psicologia Sociale
Institution Università telematica Universitas Mercatorum di Roma
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Appunti Psicologia Sociale...


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10 - L'AUTOSTIMA La presente lezione si apre con un’introduzione sull’autostima, partendo dalle definizioni e contestualizzazioni nella storia della psicologia, in particolare della psicologia sociale, e accennando anche al suo sviluppo nell’arco di vita. Successivamente vengono chiarite le differenze tra autoefficacia e autostima.Infine, si conclude con un accenno ai metodi per svilupparla e ad un’analisi delle applicazioni di ricerca in psicologia sociale sul tema. 1. Introduzione L'etimologia della parola "autostima" deriva dal latino aestimare che significa valutare, "determinare il valore di", "avere un'opinione su". L'autostima è il processo soggettivo e duraturo che porta la persona a valutare e apprezzare sé stessa tramite l'auto-approvazione del proprio valore. Questa dimensione nasce nella prima infanzia, nel confronto con il mondo esterno e riguarda la capacità di intrattenere un rapporto positivo con sé stessi mirato al rafforzamento di ciò che siamo e al conseguente miglioramento della relazione con gli altri e con l'ambiente. È un concetto in continuo mutamento, una dimensione individuale, da elaborare e rafforzare in un complesso percorso verso la conoscenza di sé stessi. Il concetto di sé è la costellazione di elementi a cui una persona fa riferimento per sé stessa. Esso riguarda tutte le conoscenze sul sé, come il nome, la razza, ciò che piace o non piace, le credenze, i valori e le descrizioni fisiche. Ad esempio, una persona può vedere sé stessa come un lavoratore, come l'amico del fioraio, come una persona interessata alla fantascienza e così via. Queste sarebbero tutte componenti del suo "concetto di sé". L'autostima, per definirla ulteriormente in riferimento al concetto di sé, consiste in una valutazione circa le informazioni contenute nel concetto di sé; è la reazione emotiva che le persone sperimentano quando osservano e valutano cose diverse ed è collegata alle credenze personali circa le abilità, le capacità, i rapporti sociali e i risultati futuri. Infatti, è possibile per le persone amare se stesse, ed avere quindi un’alta Autostima, a prescindere da qualunque indicatore oggettivo che sostenga una così positiva visione di sé. Altro concetto legato a quello di autostima è il senso di autoconsapevolezza (selfawarness), che comincia a svilupparsi dai 18 mesi, riveste una grande importanza nello sviluppo psicosociale della persona e – col tempo – si differenzierà in autoconsapevolezza privata ed autoconsapevolezza pubblica. Quest'ultima riguarderà prevalentemente la preoccupazione per l'aderenza agli standard sociali di comportamento.

Figura - Differenziazione dell’autoconsapevolezza William James (1890-1983), psicologo e filosofo statunitense di origine irlandese, definisce l'Autostima come il valore tra il Sé percepito di una persona e il suo Sé ideale. Secondo James una persona sperimenterà una bassa Autostima se il Sé percepito non riesce a raggiungere il livello del Sé ideale. Ad esempio, se una persona crede che la sua alta Autostima dipende dal conseguimento di una laurea e invece diventa un ricco imprenditore, non si sente di valere

nonostante i dati oggettivi dimostrino il contrario, perché la sua realtà non corrisponde al suo ideale. La conseguenza è che non godrà delle sue conquiste nonostante il mondo glielo faccia notare. La differenza tra come ci vediamo e come vorremmo essere è infatti un segno importante del grado in cui siamo soddisfatti di noi stessi. In altre parole, secondo la definizione di James, l'Autostima sarebbe il risultato del confronto tra successi concretamente ottenuti e corrispondenti aspettative. 2. Differenze tra autoefficacia e autostima Concetti strettamente legati allo sviluppo del Sé sono l'autostima e l'autoefficacia. La prima è costituita da una combinazione di pensieri e sentimenti che si esprimono nel valore positivo o negativo che la persona generalmente si attribuisce; rappresenta il senso più globale del nostro valore complessivo (Kunda, 2000). Secondo Baumeister (1998) l'autostima rappresenta un aspetto valutativo della coscienza riflessiva. Chi ha una buona autostima tende a cercare feedback positivi nelle interazioni con gli altri e – contemporaneamente – interpreta positivamente tali feedback proprio perché coerenti con la concezione di sé. Il senso di autoefficacia (già trattato ampiamente in un’altra lezione) costituisce la percezione che una persona ha della propria competenza nell’ambiente di appartenenza e influenza la scelta dei comportamenti adottati tra quelli a disposizione (Bandura, 1994, 1997). Pertanto, come ricorderemo, si tratta di un costrutto contesto e compito specifico. Il Sé ha una componente che produce energia – motivazione intrinseca – attiva e intraprendente quando le proprie azioni sono approvate integralmente dal soggetto. In questo caso la persona svilupperà la convinzione di essere egli stesso il locus delle sue azioni e del suo sviluppo. «La cultura e le pratiche educative da essa influenzate forniscono le linee guida entro le quali le singole persone elaborano l'insieme delle conoscenze su loro stessi (teorie di Sé). All'interno di queste linee guida le persone utilizzano fondamentalmente tre processi per ricavare elementi di conoscenza sul Sé: l'introspezione, l'osservazione dei comportamenti e l'interazione sociale» (Mannetti, 2002: 161). I concetti di autostima e autoefficacia vengono spesso usati intercambiabilmente, come se rappresentassero lo stesso fenomeno, mentre in realtà si riferiscono a cose completamente diverse. Secondo Bandura (2000), infatti, il senso di autoefficacia riguarda i giudizi di capacità personale, mentre l’autostima riguarda giudizi di valore personale. Non c’è una relazione definita tra le convinzioni circa le proprie capacità e il fatto di piacersi o non piacersi. Una persona può giudicarsi irrimediabilmente inefficace in una data attività senza per questo patire una qualsiasi perdita di autostima, se non investe tale attività del senso del proprio valore personale. Le persone comunque tendono a coltivare prevalentemente le proprie capacità in attività che danno loro un senso di valore personale. Se ci limitiamo a studiare le attività che le persone investono del proprio senso di valore personale, le correlazioni tra autoefficacia e autostima risulteranno falsamente elevate, poiché vengono ignorati gli ambiti di funzionamento in cui le persone si giudicano inefficaci senza che ciò abbia la benché minima importanza per loro e quelli in cui le persone si sentono molto efficaci ma non si gloriano di eseguire bene l’attività a causa delle sue conseguenze socialmente lesive. Per riuscire bene in qualcosa ci vuole molto più che una buona autostima. Il fatto di piacersi non è necessariamente causa di buone prestazioni, queste ultime - come abbiamo visto precedentemente - sono il prodotto di impegno e autodisciplina. Per mobilitare e mantenere l’impegno necessario a riuscire, ci vuole un saldo senso di autoefficacia (Bandura, 2000). Pertanto in una certa attività, il senso di efficacia personale consente di prevedere quali obiettivi vengono scelti e la qualità della prestazione, mentre l’autostima non ha un effetto su queste variabili. Spesso l’autostima viene considerata erroneamente come una forma di autoefficacia generalizzata. Il senso generale di valore personale è visto in questi casi come una proprietà emergente di ordine superiore che è

qualcosa di più della somma delle competenze relative ad ambiti di azione specifici. La valutazione del senso generale di valore personale è slegata dai particolari ambiti di funzionamento che contribuiscono in vario modo al senso di orgoglio o di insoddisfazione. Secondo Bandura (2000), invece, i giudizi di valore personale e di autoefficacia costituiscono fenomeni differenti e, inoltre, l’autostima non è meno multidimensionale del senso di efficacia. Le persone variano per quanto ricavano il senso del loro valore personale dal lavoro, dalla vita familiare, dalla vita con il gruppo dei pari o dalle attività del tempo libero. Utilizzando misure del valore personale relative ad ambiti di vita specifici possiamo rilevare le arie di autostima e quelli di vulnerabilità all’autodenigrazione. Non esistono ragioni concettuali o empiriche per concepire il senso di valore personale come qualcosa di globale. E l’autostima non è una variabile generale in cui confluiscono convinzioni di efficacia specifiche. L’autostima, o senso di valore personale, ha diverse fonti secondo Bandura (2000). Può derivare da autovalutazioni basate o sulla competenza personale o sul possesso di attributi culturalmente investiti di valore positivo o negativo. Nell’autostima che deriva dalla competenza personale, le persone si sentono orgogliose quando rispettano i loro standard. Le competenze personali che forniscono i mezzi per riuscire nelle attività investite di valore offrono una solida base di autostima. Questa fonte di autovalutazioni permette di controllare la propria autostima sviluppando potenzialità che possono procurare soddisfazione attraverso il successo. Spesso le valutazioni delle persone riflettono l’apprezzamento o il disprezzo delle caratteristiche delle persone piuttosto che un giudizio sul loro operato. In questi casi, le valutazioni sociali sono connesse alle caratteristiche personali e allo status sociale invece che alle competenze. Il ruolo della competenza personale e delle valutazioni altrui nello sviluppo dell’autostima ha ricevuto conferma dagli studi della psicologia sociale. Il senso del valore personale è influenzato anche dagli stereotipi culturali. Spesso le persone vengono classificati in gruppi apprezzati o disprezzati sulla base della loro etnea, della razza, del sesso o delle loro caratteristiche fisiche. Di conseguenza vengono trattate con un atteggiamento dettato dallo stereotipo sociale, invece che dalla loro individualità. Nelle situazioni in cui viene dato rilievo lo stereotipo, le persone che ne sono vittime patiscono perdite di autostima. 3. Conclusioni Dato che l’autostima deriva da diverse fonti i metodi per svilupparla saranno molteplici. Le persone che possiedono competenze limitate, standard di autovalutazione elevati e attributi che la società denigra sono quelle che più probabilmente nutrono un senso generale di svalutazione personale. La fiducia di sé si conquista con il raggiungimento dei risultati nella vita quotidiana. Secondo Pasini (2008), l’autostima è fortemente legata al potere sociale di una persona. Risulta, infatti, importante capire qual è il proprio ruolo sociale e prendere consapevolezza che ognuno di noi è il timoniere della propria barca. È una presa di consapevolezza forte, questa, per far sì che possiamo sviluppare la convinzione di poter influenzare la realtà esterna finalizzandola agli scopi che realizzano la nostra felicità. E questo fa innalzare potentemente la nostra autostima. Bisogna ricordare che viviamo in una società narcisistica, in cui predomina l'apparenza e spesso ci creiamo una maschera per poterci far accettare dagli altri, dimenticandoci chi siamo realmente. Siamo abituati a pensare che l'autostima si costruisca solo attraverso il raggiungimento degli obiettivi prefissati (autostima interna) e i messaggi positivi che provengono dalle persone che ci circondano (autostima esterna) (Pasini, 2008). Secondo Palmonari e coll. (2002), la ricerca sull’identità si focalizza maggiormente sulle dinamiche processuali attraverso cui le persone arrivano ad assumere impegni significativi a cui possono dedicarsi con fedeltà. La ricerca sul concetto di sé, invece, pone un accento sui contenuti degli impegni, che vanno a costituire gli elementi centrali degli schemi di sé, e sulla valutazione del proprio valore, stima di sé globale e riferita ad ambiti specifici. Tuttavia è possibile pensare anche ad un approccio integrativo, che

consideri sia i processi dell’identità sia i contenuti del concetto di sé. Ad esempio “il concetto di riconsiderazione dell’impegno rappresenta il processo chiave per comprendere le transizioni identitarie, può fornire un ponte concettuale per unire le due linee di ricerca. Infatti quando un soggetto riconsidera i suoi impegni vuol dire che non è più soddisfatto delle scelte fatte fino a quel momento e percepisce altre possibilità come più corrispondenti alle proprie esigenze e aspirazioni. (…) Il processo della riconsiderazione dell’impegno, che implica una vera e propria crisi identitaria, correla negativamente con la chiarezza del concetto di sé, ovvero la misura in cui le rappresentazioni che una persona ha di se stessa sono ben definite e stabili nel tempo. (…) Studi sui Sé possibili hanno suggerito che l’esplorazione sia associata alla capacità di distinguere vari Sé possibili e, in tal senso, la discrepanza tra il proprio Sé attuale e il Sé ideale può costituire il motore che stimola il cambiamento identitario. Questi dati suggeriscono l’interdipendenza tra processi identitari e contenuti del concetto di Sé. Entrambi gli aspetti sono poi strettamente correlati alla stima di sé e confluiscono nel sentimento di identità che può rappresentare, a livello soggettivo, elemento unificante attraverso cui superare la separazione tra identità e concetto di sé” (Palmonari et al., 2002: 147-148). Pertanto, “il sentimento di identità deve essere considerato come una qualità relazionale temporale dell’esperienza globale di Sé” (Palmonari et al., 2002: 148)....


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