I Gruppi Sociali - Appunti Psicologia Sociale PDF

Title I Gruppi Sociali - Appunti Psicologia Sociale
Author Stella Critelli
Course Psicologia Sociale
Institution Università telematica Universitas Mercatorum di Roma
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Appunti Psicologia Sociale...


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20 - I GRUPPI SOCIALI L’obiettivo di suddetta lezione è quello di illustrare concetti relativi al costrutto dei “gruppi sociali”, proponendo diversi studi e teorie che hanno contribuito a definire tali categorie e funzioni all’interno della Psicologia sociale.Verranno passati in rassegna alcuni esperimenti fondamentali per la formulazione delle teorie più accreditate nella psicologia sociale per le dinamiche intra gruppo. Il materiale proposto servirà, infatti, a comprendere non solo la formazione, ma soprattutto le dinamiche dei gruppi sociali e i comportamenti delle persone all’interno di queste realtà sociali. 1. Definizione e funzioni psicologiche Secondo M.E. Shaw (1976), si definisce gruppo l’insieme di due o più persone che interagiscono e comunicano tra loro. Successivamente è stato prezioso il contributo di Kurt Lewin (1948) il quale afferma che a decidere l’appartenenza o meno allo stesso gruppo o a due gruppi diversi non è la somiglianza o la diversità, ma l’interazione sociale o altri tipi di interdipendenza. Per tale ragione, Lewin definisce il gruppo come una totalità dinamica basata sull’interdipendenza invece che sulla somiglianza. Egli formula la Teoria del Campo presupponendo che ogni persona sia immersa in un campo di forze, endogene ed esogene, che agiscono simultaneamente, spingendola in direzioni diverse. Fu proprio tale teoria che condusse Lewin a studiare i gruppi, introducendo il termine “dinamiche di gruppo” intendendo con esse che, come la persona e il suo ambiente formano un campo psicologico, così il gruppo e il suo ambiente formano un campo sociale. Due sono i concetti fondamentali della sua definizione di gruppo: • l’interdipendenza in quanto ogni persona è fonte di azioni che modificano gli altri membri e il gruppo e, a sua volta, la sua azione viene modificata dalle azioni/reazioni altrui. • La totalità dinamica in quanto la struttura del gruppo si modifica di continuo per i cambiamenti di soggetti e relazioni. Parlando di classificazioni di gruppi, una prima distinzione va fatta in basa alla numerosità dei membri che li compongono. Si parla, quindi, di: • gruppi estesi, • gruppi ristretti. Nel primo casi intendiamo tutte le collettività organizzate, le organizzazioni sociali come, ad esempio, partiti politici, sette religiose, imprese, sindacati e gruppi nei quali si ha una strutturazione orizzontale e verticale. Nel secondo caso, invece, ci si riferisce a quei gruppi in cui ogni singolo membro conosce personalmente gli altri e interagisce frequentemente con loro, ad esempio, la famiglia, una classe scolastica, un gruppo di amici. Tali gruppi godono di una certa strutturazione normativa, più o meno debole, a seconda che si tratti di un gruppo di familiari o di un gruppo di amici. Un’altra distinzione, proposta da C.H. Cooley nel 1902, si basa sulle caratteristiche delle relazioni tra membri; in questo caso si parla di: • gruppi primari, • gruppi secondari. I gruppi primari sono quelli che svolgono una funzione fondamentale nella formazione della natura sociale e degli ideali dei membri che ne fanno parte. Sono costituiti da un insieme di persone che interagiscono direttamente tra loro, legandosi tramite vincoli di natura emotiva. All’interno di questi gruppi le relazioni sono di natura intima e si svolgono faccia a faccia, con una reciproca valutazione affettiva più che razionale. Il loro scopo è quello di soddisfare i bisogni individuali di ogni membro, accettato come persona e al di là delle proprie competenze. All’interno di questi gruppi esiste un’atmosfera ricca di calore e sostegno affettivo e un forte sentimento del “noi”. Nei gruppi secondari, al contrario, i membri sono tenuti insieme da uno scopo o da un fine, per tale ragione ogni membro viene valorizzato per il suo contributo al gruppo. In questi gruppi esistono dei ruoli specifici e le relazioni sono limitate proprio a ciò che i

rispettivi ruoli prevedono. I rapporti tra i membri sono più o meno frequenti, ma sempre riconducibili a scopi pratici ed avvengono prevalentemente in maniera impersonale. Proprio per il fatto che nei gruppi i membri interagiscono e dipendono tra loro, possiamo escludere da questa definizione: • categorie sociali, • pubblico, • folle o aggregati di persone. Vengono escluse le categorie sociali in quanto, in questi casi, le persone sono sì raggruppate in base a caratteristiche specifiche, ma che non interagiscono tra loro. Il pubblico è estromesso dalla definizione di gruppo in quanto rappresenta delle persone che assistono allo stesso evento, ma non si conoscono né interagiscono. Allo stesso modo il termine folla, o aggregato di persone, è generalmente riferito a quel particolare tipo di aggregazione sociale per l’appunto che si forma quando una moltitudine di persone è riunita, in maniera temporanea, in uno stesso luogo senza particolari interazioni tra loro. E. De Grada (1999) definisce un gruppo sociale come caratterizzato da un’elevata gruppalità se: • il gruppo interagisce in maniera integrata e se ha uno scopo comune, • le persone che ne fanno parte si percepiscono come membri di uno stesso gruppo distinguendosi da quelli che non ne fanno parte, • i componenti del gruppo nutrono sentimenti positivi nei confronti degli altri per i membri, • i membri sono consapevoli che il loro insieme costituisce il mezzo necessario per il raggiungimento degli obiettivi comuni, • esiste tra i membri un’identificazione tale da permettere anche un’influenza reciproca, • esiste tra i membri una struttura organizzata tale da permettere alle persone una divisione dei compiti distinti per importanza, • il gruppo condivide un sistema di norme, implicite o esplicite Partendo da tali caratteristiche per la classificazione del gruppo, si possono identificare tanti tipi di gruppi lungo un continuum che va dal piccolo gruppo, caratterizzato dalla presenza di tutte le caratteristiche, fino a situazioni collettive basate solo sulla vicinanza spaziale tra le persone.

Parlando di funzioni relative al gruppo, viene utilizzato il modello proposto da De Grada (1999) poiché tiene conto non solo delle categorie e dei bisogni individuali, ma anche delle caratteristiche che deve avere il gruppo per soddisfarle. Parliamo quindi di: • Bisogni che qualsiasi gruppo, in quanto situazione sociale può soddisfare all’interno dei quali rientrano tutti i bisogni di sicurezza e sostegno sociale; di dipendenza dagli altri (sottomissione); di dominare gli altri; di accrescimento di sé o dell’autostima; di riduzione dell’incertezza. • Bisogni soddisfatti da gruppi composti da membri con determinate caratteristiche, nei quali rientrano tutte le caratteristiche dei membri che compongono il gruppo ad attrarre, ad esempio per il tipo di attività che svolgono, per la simpatia o per il loro tipo di abbigliamento. I membri

restano nel gruppo per attrazione e altri ne vogliono far parte per soddisfare il bisogno di interagire con gente che piace. • Bisogni che un gruppo può soddisfare in quanto svolge determinate attività, in quanto tutti i membri sono attratti dalla specifica attività svolta dal gruppo che può, ad esempio, avere il bisogno di esibire le proprie capacità organizzative o di collaborare ad attività di gruppo. • Bisogni che un gruppo soddisfa in quanto persegue determinati scopi, poiché gli scopi individuali coincidono con gli scopi del gruppo, quindi far parte di quel gruppo facilita l’individuo nel raggiungimento di tali obiettivi. • Bisogni personali ed egoistici soddisfatti strumentalizzando il gruppo, in quanto la funzione psicologica svolta dal gruppo è finalizzata al raggiungimento degli scopi personali della persona che ne fa parte. Il gruppo non viene scelto per le sue caratteristiche, ma solo come strumento per il raggiungimento degli scopi personali. Secondo l’autore i motivi per cui determinati gruppi in quanto situazioni sociali attraggono determinate persone, riguardano le caratteristiche dei membri che compongono il gruppo, le attività esercitate dal gruppo, gli scopi del gruppo e, infine, la funzione di strumento che assume il gruppo stesso per il raggiungimento di scopi personali esterni. 2. Dinamiche dei gruppi sociali Come spiega A. Palmonari (2002), lo studio della dinamica dei gruppi riguarda le modalità in cui l’interazione tra i membri struttura e fa funzionare i diversi gruppi sociali. Un concetto introdotto già da Lewin in merito alla teoria del campo, è quello di status, ovvero la posizione che una persona occupa all’interno di un gruppo sociale, in relazione alla valutazione di tale posizione in una scala di prestigio. La differenziazione tra i diversi status esprime la distribuzione del potere, inteso come considerazione e prestigio sociale, tra i membri del gruppo. La posizione di status viene conferita in relazione alle aspettative riguardanti le competenze di ciascun membro del gruppo riguardo il raggiungimento di scopi e obiettivi della collettività. Tutte le aspettative verso lo status che si raggiunge, si formano a causa di un forte confronto sociale che permette ai membri del gruppo di stimare non solo le proprie capacità, ma anche quelle degli altri rispetto agli obiettivi del gruppo stesso. Quando, invece, si parla di aspettative condivise sul modo in cui una persona dovrebbe comportarsi all’interno di un gruppo, ci si riferisce al ruolo che, oltre ad implicare, come lo status, la presenza di aspettative sia sul proprio comportamento che su quello altrui, prevede una certa divisione del lavoro nel gruppo. Secondo D. Levine e Moreland (1990) i principali ruoli all’interno del gruppo sono: • nuovo arrivato, • capro espiatorio, • leader. Dal nuovo arrivato, in quanto tale, gli altri membri del gruppo si aspettano un atteggiamento ansioso, dipendente, conformista e passivo. Inoltre, quanto più verranno rafforzate tali aspettative, tanto più il nuovo membro sarà accettato dal gruppo. Il capro espiatorio, invece, rappresenta per il gruppo una figura sia essenziale che funzionale, in quanto consente ai membri di svincolarsi da aspetti negativi legati all’immagine di sé, proiettandole su coloro che rivestono tale ruolo. Infine, il leader incarna colui il quale, all’interno del gruppo, ottiene maggior potere di influenza sui membri, assume un ruolo di maggiore responsabilità e si preoccupa di prendere iniziative. All’interno di ogni gruppo vanno a delinearsi una serie di norme utili al gruppo stesso per regolamentarsi. Parliamo di una serie di abitudini, tradizioni, standard di riferimento, regole, valori, mode e ogni tipologia di criterio di condotta che, nel corso del tempo, si sono uniformati come diretta conseguenza del contatto e interazione tra i vari membri del gruppo. In particolare, nei gruppi secondari declinati in ampie organizzazioni, le norme sono chiaramente esplicitate o, spesso, anche scritte. Secondo D. Cartwright e A. Zander (1968) le norme svolgono importanti funzioni sia per il gruppo che per la persona. In particolare, permettono:

• l’avanzamento del gruppo verso lo scopo, facilitando la coordinazione delle azioni dei membri; • il mantenimento dell’esistenza del gruppo, rafforzando l’identità del gruppo stesso e quindi differenziandolo dagli altri gruppi; • la definizione dei rapporti con l’ambiente sociale circostante; • la costruzione di una realtà sociale condivisa, funzione svolta soprattutto in presenza di situazioni ambigue e incerte rispetto alla realtà esterna, a cui la persona fatica a trovare una spiegazione se non attraverso il confronto con gli altri membri del gruppo. In generale, le norme di gruppo sono difficili da modificare, perché il gruppo tende a mettere in gioco una certa resistenza rispetto il cambiamento, non solo, più i mutamenti conducono all’abbandono degli standard del gruppo più la persona tenderà a resistere. 3. I fenomeni di gruppo Tra i vari fenomeni che possono presentarsi all’interno di un gruppo citiamo la pigrizia sociale, la presa di decisione e il pensiero di gruppo. Riguardo al primo fenomeno, i primi studi sperimentali furono effettuati da M. Ringelmann nel 1913. Fece tirare una corda a una sola persona, registrando una pressione pari a 100 unità; l’ipotesi iniziale era che, all’aumentare delle persone, sarebbe aumentata in maniera proporzionale anche la pressione esercitata, ma non fu così. L’autore notò che nello svolgimento del medesimo compito i risultati prodotti dallo sforzo di più persone risultavano inferiori alla somma dei risultati prodotti dal singolo individuo da solo. Questo fenomeno fu chiamato effetto Ringelmann, cioè quando la persona, facendo affidamento sull’impegno degli altri membri, riduce il proprio sforzo circa la sua singola prestazione. A partire da questi studi, B. Latanè nel 1979, condusse una ricerca: ai partecipanti venne riferito che lo scopo dello studio era quello di osservare il feedback sonoro sulla produzione dei suoni in condizioni di gruppo. Ogni soggetto doveva indossare una mascherina sugli occhi e delle cuffie che emettevano un forte rumore. Il compito che venne assegnato loro era quello di urlare il più forte possibile sia da soli, sia in gruppi da 2-6 persone, che in una condizione in cui ai soggetti veniva fatto credere di far parte di un gruppo. I risultati hanno mostrato come i soggetti che credevano di far parte di gruppi di due persone producevano un suono pari all’82% rispetto al suono da loro prodotto quando sapevano di esser da soli, mentre quelli che credevano di esser in gruppi di sei producevano un suono pari al 74% rispetto a quanto prodotto nella condizione individuale. Per far fronte alle possibili conseguenze della pigrizia sociale, diversi esperti hanno suggerito una serie di strategie efficacie con lo scopo di contrastarne gli effetti; tra le proposte più efficaci possiamo citare: • aumento dell’identificabilità: la pigrizia sociale non si verifica quando le persone sanno che il loro singolo contributo verrà identificato, valutato singolarmente e confrontato anche con le prestazioni ottenute dagli altri membri. • aumento del coinvolgimento della persona rispetto agli scopi del gruppo: se i membri del gruppo considerano la loro attività interessante è meno probabile che si manifesti la pigrizia sociale. • favorire la fiducia reciproca fra i membri: i membri del gruppo non si impegnano molto nelle attività svolte insieme agli altri, perché pensano che potrebbero essere gli unici ad aver sprecato energia poiché non hanno fiducia nell’impegno altrui. • aumento della percezione di responsabilità personale: la presenza degli altri influenza la nostra capacità di prendere decisioni, soprattutto quando si tratta di comportamenti prosociali, poiché in tali situazioni gli individui pensano che il loro aiuto non sia sufficientemente adeguato, pertanto non intervengono. In merito alla presa di decisione del gruppo, D.R. Forsyth (1990) individua quattro fasi nel processo di elaborazione e attuazione di una decisione: • Orientamento. In questa fase il gruppo definisce il problema e quindi il compito che deve svolgere, in relazione ad esso ne pianifica una modalità di soluzione scegliendo una strategia

che lo conduca in tale direzione. • Discussione. Questa seconda fase viene dedicata alla raccolta di informazioni necessarie per la valutazione delle diverse modalità di risoluzione possibili. • Presa della decisione. Il gruppo sceglie con una modalità implicita o esplicita la soluzione tra le tante valutate. • Implementazione. Si tratta della fase di messa in atto della soluzione scelta, della successiva valutazione e dell’osservazione delle conseguenze che ne derivano Solitamente le regole utilizzate per la presa di decisione riguardano la maggioranza, l’unanimità o la pluralità. Infine, il pensiero di gruppo, rappresenta una forma di distorsione estrema del processo decisionale del gruppo, assumendo un carattere collusivo in cui sia la discussione che il confronto tra i diversi membri vengono ostacolati e limitati. A tale proposito possiamo citare quanto affermato da I.L. Janis (1972; 1989), ovvero esistono una serie di caratteristiche sintomatiche riguardo il pensiero di gruppo. I membri del gruppo, ad esempio, esercitano una forte pressione verso i membri devianti cercando di indurli al conformismo e fanno di tutto per non esprimere i propri dubbi, incertezze e critiche. Inoltre, esistono, all’interno dei gruppi, alcuni membri il cui ruolo è quello di “guardiani della mente del gruppo”, che tenteranno di far desistere tutti gli altri membri da tutto ciò che potrebbe farli render conto che in realtà esiste, tra di loro, una divergenza di opinioni. Il loro compito è quello di far distogliere loro l’attenzione dalle informazioni che contrastano la decisione che è stata presa. Sempre all’interno dei gruppi si riscontra un clima di falso consenso e di apparente unanimità, ciò porta chiunque abbia delle perplessità riguardo la decisione presa, di essere l’unico ad avere dubbi. Infine, i membri hanno la tendenza a sopravvalutare il proprio gruppo di appartenenza, creando una percezione distorta del gruppo esterno. Secondo Janis, quindi, il pensiero di gruppo evidenzia una vera e propria disfunzione e, pertanto, propone tre soluzioni d’intervento: • limitare la ricerca prematura del consenso e, quindi, permettere ad ogni membro di esprimere i propri dubbi in modo tale da contrastare le pressioni alla conformità; • correggere le percezioni errate sia del proprio gruppo che di quelli esterni, in modo tale da accettare anche limiti del proprio gruppo ed i punti di forza degli altri gruppi avversari; • utilizzare tecniche di decisione efficace e valutare tutte le possibili soluzioni esistenti, i pro e i contro di ognuna. 4. Interazione nei gruppi sociali Rispetto alle interazioni all’interno dei gruppi, gli psicologi sociali hanno focalizzato l’interesse verso tutte quelle situazioni in cui le persone mostrano delle buone ragioni sia per collaborare tra loro che per battere l’altro allo scopo di trarne vantaggio. A tale proposito è bene citare alcuni importanti studi di laboratorio. Il primo è il gioco dei trasportatori, proposto da M. Deutsch e R.M. Krauss nel 1960. Ai due partecipanti viene chiesto di immaginare di gestire una compagnia di trasporti. Queste due compagnie hanno a disposizione due percorsi diversi che congiungono la propria sede con una precisa destinazione. Se vogliono raggiungere la destinazione in minor tempo possono ricorrere ad un percorso comune che deve esser attraversato in direzione opposta e non contemporaneamente. Inoltre, ognuna delle due società ha la possibilità di bloccare questo percorso mediante la chiusura di un cancello. Infine, viene detto ai partecipanti che lo scopo del gioco è quello di ottenere un punteggio più alto rispetto all’altro e che se percorrono la strada comune e più veloce otterranno più punti, al contrario percorrere quella più lunga porterà ad una penalizzazione. Nonostante quest’ultima postilla, raramente è stata scelta la strategia più vantaggiosa in quanto più veloce e che dà più punti, anzi i partecipanti si fermano durante il percorso rifiutandosi di tornare indietro e chiudono il cancello per bloccare il percorso veloce all’altro concorrente. Il secondo studio proposto è il dilemma del prigioniero di D.G. Pruitt e J.M. Kimmel (1977). L’esperimento prevede una situazione in cui due prigionieri sono trattenuti

in una stazione di polizia, sospettati di aver commesso una rapina a mano armata. A entrambi i partecipanti, collocati in stanze separate, viene detto che, visto le prove, possono scegliere se confessare o meno il crimine. Se confessano entrambi saranno condannati per il reato più grave, ma verrà chiesta l’assoluzione per chi ammetterà la propria colpevolezza. Se nessuno dei due confessa, nessuno verrà condannato per il delitto in questione, ma entrambi potranno essere condannati per reati minori, scontando una pena di tre anni. Se uno solo confessa sarà liberato, mentre l'altro avrà una pena di trent'anni. L’ipotesi era che sarebbe prevalsa la strategia competitiva perché, se i due soggetti si fossero fidati l’uno dell’altro, avrebbero fatto la scelta più vantaggiosa per entrambi e cioè di non confessare. Ma per ottenere un vantaggio sull’altro e pensando che l’altro non confessi, entrambi i partecipanti tendono a confessare in modo da ottenere l’assoluzione per aver collaborato. Da questi studi si evince come la scelta di una modalità co...


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